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Autore: Francine    06/05/2016    4 recensioni
Al Santuario vige la legge marziale. Saori Kido ha inviato una lettera al Sacerdote, annunciandogli il suo arrivo. Mentre due Gold Saint - due amici - discutono tra loro su quale sia la migliore strategia da adottare contro i traditori che stanno arrivando, il Grande Tempio di Athena si prepara a vivere quello che sarà il suo giorno più lungo.
Genere: Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aquarius Camus, Scorpion Milo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Quando piovono le stelle'
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11.
 


Pugno destro chiuso. Pugno sinistro ad accompagnare. Braccia tese. Alte sopra la testa, ad accogliere il potere di Aurora e farlo fluire dentro di sé. Come un orcio che si riempie d’acqua. Gambe divaricate.. Ginocchia appena flesse. Talloni ben piantati a terra.
Parfait.
Hyoga è sempre stato un tipo sveglio. Duro di comprendonio, ma lesto ad imparare. Stavolta gli è bastato vedere la posizione in una manciata di occasioni, ed eccolo lì a ripeterla. Sembra quasi vero. Ed è quel quasi a preoccuparlo, ché in quanto a forma, Hyoga ha sempre posseduto un’esecuzione pulita, ordinata, senza sbavature. Non come Isaac, ma il biondino si è sempre difeso bene. È la sostanza a lasciare a desiderare, almeno per gli standard di Camus, che ha sempre preteso qualcosa in più, dai suoi ragazzi. Perché in battaglia non esistono né amici, né fratelli. Sei tu, contro il nemico. E ne resterà soltanto uno, vivo. Un discorso forse un filo troppo pomposo e stereotipato. Ma è vero. Ed è arrivato il momento di fare sul serio. E di dimostrare a Hyoga che il suo maestro, no, non scherza affatto.
Il cosmo di Milo sta friggendo, come un pezzetto di burro in una padella caldissima. Se non fosse per l’Euphonia, lo Scorpione sarebbe salito da un pezzo a dividerli, e alla fine si sarebbero accapigliati loro due, come non succedeva da tempo. Quattordici anni. Un sorriso inarca le labbra di Camus. Era luglio. Faceva caldo. E c'era il mare.
Avrei ancora tante cose da dirti… che peccato, Milo.
E poi il colpo parte.
Sadalmelik ruggisce. E, per la prima volta in vita sua, Camus si accorge che il potere della sua stella guida è diviso a metà. Come una madre che deve dirimere un bisticcio tra fratelli. A chi dare torto? A chi ragione? Così Sadalmelik si mantiene equidistante. Toccherà a loro convincerla a schierarsi, a prendere le parti dell’uno o dell’altro. Vincerà chi si avvicina di più allo zero assoluto. È una questione di volontà, di cosmo che ruggisce nelle vene, assieme al sangue e all’orgoglio. Io sono l’Acquario, digrigna tra i denti Camus, un turbine di energia fredda che colpisce quello di Hyoga, fermandosi a metà strada. Io non indietreggerò, si dice, gli occhi che faticano a vedere in quella tempesta di bianco accecante. Di più. Più in basso. Ancora un po’. Oltre.
Ma quando Camus si accorge che non è la sua, di energia fredda, quella ad essere vicinissima allo zero assoluto, è troppo tardi. Ha vinto Hyoga. E Sadalmelik si schiera accanto al Cigno. Il potere delle stelle confluisce nei suoi pugni e scorre nelle braccia del ragazzo, e ingrossa il suo Cosmo di un’energia spaventosa. Ingestibile, quasi. E con orrore, Camus si accorge che Hyoga è svenuto. È solo la sua forza di volontà a fargli mantenere la presa.
Stupefacente, si dice l’Acquario. Che soccombe. Il suo potere diminuisce d’intensità, trasformandosi da Buran in un venticello dispettoso, di quelli che scombina gonne e cuori nelle giornate tiepide di Aprile. Il potere di Hyoga lo accompagna, lo smorza, lo affievolisce. Spegnendosi col suo.
Quando è tutto finito, le orecchie di Camus fischiano ancora.
Abbassa le braccia, stanche – stanchissime – le spalle che protestano dal dolore. La vista gli si appanna. C’è Hyoga, davanti a sé, le braccia ancora stese, i pugni ancora chiusi, la posizione dell’Attacco Turbinante dell’Aurora come deterrente nei confronti dell’avversario. Come a dirgli, provaci e ricomincio daccapo.
Ma Camus non ha nessuna voglia di provarci. Non ne avrebbe neppure le forze. Il suo orcio s’è svuotato, non v’è rimasta neppure una goccia di acqua. E senza acqua, a che serve l’Acquario?
Etienne barcolla, le caviglie malferme e i capelli ghiacciati. La pelle tira. Brucia, come se avessero gettato del sale su di una ferita ancora aperta. Le labbra sono spaccate. Fanno male. Ma deve dire qualcosa, a Hyoga. La sua battuta d’uscita. Ma cosa dirgli?
Conosci te stesso?
Complimenti?
Cosa vuole essere Etienne Arnoul in questi ultimi minuti, prima che tutto diventi bianco e cali il sipario sulla sua vita? Un maestro? Un Santo di Athena? Cosa?
Ainsi font, font, font,
Les petites marionnettes,
Ainsi font, font, font,
Trois p'tits tours et puis s'en vont.

Prova a muovere un passo. Si accorge che no, non ce la farà. Che si è sbilanciato e che cadrà a terra, sul pavimento ghiacciato dell’Undicesima Casa. Così, Etienne ha solo il tempo di dire – di sussurrare: «Bravo, mon élève», prima di scivolare in basso, nell’oscurità della sua coscienza.
Il cosmo di Milo lo accompagna nella sua caduta. Urla, impazzito. Inviperito. Furioso. Gli chiede se fosse davvero necessario arrivare a questo punto. A quest’eccesso. Non azzardarti a lasciarmi da solo!, grida lo Scorpione. Come se avesse ancora sette anni, i calzoni corti e le ginocchia sbucciate.
Perché? Che faresti, altrimenti?, ribatte Camus in un riflesso di cosmo. Ma non è più il tempo dei bisticci, questo. È il tempo del commiato. Lo so io e lo sai tu.
Ainsi font, font, font,
Les petites marionnettes,
Ainsi font, font, font,
Trois p'tits tours et puis s'en vont.

Te li affido. Hyoga. Coralie. Athena. Li affido a te, Milo.
Non sa se Milo l’abbia sentito. Probabilmente no. È stanco, Etienne. Assonnato. E il suo cosmo è appena un riflesso sbiadito di luce. È stata una giornata lunga, questa. Pesante. Faticosa. Un assedio non è mai una passeggiata tra i fiori. E Camus – Etienne – non ce la fa proprio a tenere ancora gli occhi aperti. Perché s’è fatto tardi. Deve andare, anche se avrebbe ancora tante cose da dire a Milo. Tante spiegazioni da dargli. Forse in futuro. Chissà, si dice Camus. Raccontandosi una pietosa bugia.
C’è odore di cuoio e tabacco nell’aria. E una luce rosso scuro a galleggiare nel buio. Come una stella tascabile. Non avrò freddo, si dice Etienne. Ed è un sorriso sghembo, colorato dalla soddisfazione e dall’orgoglio paterno, quello che incurva le labbra di Rémy, tra la barba di tre giorni e l’aria perennemente stazzonata.
Camus sorride di rimando, l’anima in spalle. Basta pensare al prossimo. Adesso, è tempo di pensare a se stesso. Ha tante cose da dirgli. Da raccontargli. Da chiedergli.
Dove sei stato? Cosa ti è successo? Sei davvero mio padre?
Rémy sorride. Lo ha sentito, ma non risponde.
Andiamo, campione, gli dice, mettendogli un braccio sulle spalle. Abbiamo tutta l’eternità, davanti…
Rémy si porta la sigaretta alle labbra, un tiro veloce e poi padre e figlio si incamminano. Nel buio. A scivolare dentro quel cielo capovolto che, adesso, non fa più così paura. 
Ainsi font, font, font,
Les petites marionnettes,
Ainsi font, font, font,
Trois p'tits tours et puis s'en vont.

 
 
   
 
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