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Autore: KeepLookingHoney    07/05/2016    3 recensioni
“Lose control”
“and you'll be free.”

Continuava ad osservarsi i polsi, Chanyeol, dopo quasi un anno, con la stessa perplessità del primo giorno in cui quelle due semplici frasi erano state incise sulla sua pelle.
Tutto ciò che sapeva, era che erano legate alla maledizione che incatenava la sua anima, e che in quelle vi era la chiave di tutto.
Sentiva la sua anima logorarsi pian piano ad ogni delusione, ogni errore, ogni giornata che passava, ogni ora.
Ogni minuto.
Ed una settimana era tutto ciò che gli restava.
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ChanBaek || Sorcery!AU || Inspired by "Control" by Halsey.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Baekhyun, Baekhyun, Chanyeol, Chanyeol
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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~Writer's corner~
Ebbene, signore e signori, che ci crediate o no, KeepLookingHoney è ancora viva.
Ahimè, sto vivendo un periodo di blocco pazzesco per le fanfiction, quindi vi chiedo scusa se ho smesso momentaneamente di postare sia le traduzioni che altri miei lavori.
Semplicemente tra il roleplaying che -- mi sta tipo risucchiando tutta l'ispirazione, ed il fatto che ora mio fratello non si scolli più da camera nostra, mi mettono in difficoltà.
Poco tempo fa ho sentito la canzone -appunto- Control, e da un semplice "oddio, mi sto immaginando Chan e Baek così, così e cosà"-- è uscita questa.
Di getto.
L'ho scritta al cellulare mentre mio frtello giocava al pc e gridava come un forsennato in conferenza coi suoi amici perché dovevano sterminare i terroristi. /?
Ed io sono abituata a scrivere nel silenzio più assoluto e solo da pc, perciò figuratevi quanto disperata dovessi essere.
Per carità, non aspettatevi chissà cosa: non scrivo una ff da troppo, ormai.
Credo che anche il mio stile sia cambiato - e non so dire se sia un bene o un male, perché mi piaceva il mio modo di scrivere ;;-
e la tematica non è chissà quanto articolata, ma è qualcosa che avevo bisogno di scrivere anche solo per cercare di rimettermi in moto e cercare di tornare in carreggiata.
Anche se, per il momento, sembra essere tutto.
Però chissà che non mi prenda un altro attacco del genere e vomiti parole su un foglio ancora una volta.
Detto questo, vi lascio a questa cagatina, perché, appunto perché è un evento che mi sta sembrando abbastanza raro, ultimamente, ero davvero ansiosa di postarla e di sapere cosa ne pensate.
Spero non mi abbiate dimenticata ;u;
Commentate in tanti, anche solo per mandarmi a cagare, ma fatelo ;; mi mancate e voglio rivedervi qui ;;
Ed ascoltate Control che ne vale la pena!
Grazie di tutto, spero di tornare presto <3
Chu~





 
 Control.



 
“Lose control”
  “and you'll be free.”
 
 
Continuava ad osservarsi i polsi, Chanyeol, dopo quasi un anno, con la stessa perplessità del primo giorno in cui quelle due semplici frasi erano state incise sulla sua pelle. Cercava di comprenderne l’enigma nascosto alla base, ma ogni volta che giungeva ad una possibile conclusione, ecco che si ritrovava punto ed a capo.
 
Tutto ciò che sapeva, era che erano legate alla maledizione che incatenava la sua anima, e che lì, in quelle due frasi, vi era la chiave in grado di aprire quel lucchetto tanto impalpabile quanto resistente, che teneva strette le maglie di quella fitta rete di catene che lo costringeva nella sua prigionia, senza apparente via d'uscita.
 
Era un ciclo in continua ripetizione, il suo: ogni mattina, da quando i suoi piedi toccavano terra, il suo cervello gli ricordava che un altro giorno della sua vita era andato perduto, insieme ad un’altra occasione di sopravvivere al suo destino.
 
Una settimana era tutto ciò che gli restava.
 
Sentiva la sua anima logorarsi pian piano ad ogni delusione, ogni errore, ogni giornata che passava, ogni ora.
 
Ogni minuto.
 
Era come osservare la clessidra della sua vita svuotarsi con lentezza straziante ed al contempo con immensa velocità, granello dopo granello, legato ad una sedia, con gli occhi spalancati da due divaricatori ed il collo tenuto fermo da una morsa cosicché il suo sguardo non potesse distogliersi nemmeno per sbaglio, dal contemplare quella che era la sua imminente fine.
 
O almeno, era questa la sua visione.
 
Perché dopo trecentocinquantotto giorni di tentativi, dopo gli infiniti mal di testa, dopo le occasioni andate a vuoto ed il male sopportato, era giunto alla conclusione che la sua fine sarebbe stata proprio quella: da solo, su un letto troppo grande per una sola persona, in una camera troppo spoglia e troppo smorta.
 
Troppo vuota.
 
Esattamente come lui.
 
 ✣ ✤ ✣


Nella vita, si sa, a volte ci sono avvenimenti che pongono davanti ad un bivio e costringono a prendere delle decisioni.
Da quando lui aveva accettato quel compromesso, però, un anno prima, non aveva fatto altro che sentirsi sempre più solo e disperato.
 
Non era bastato il dolore che aveva dovuto subire quel giorno, alla morte della persona che più amava nella sua vita, no: adesso aveva i giorni contati, e non passava attimo che non provasse, come un folle, a risolvere quel rebus che gli marchiava la carne, che lo rendeva prigioniero di se stesso e delle sue scelte. Prigioniero del suo amore.
 
Ma più si scervellata su quelle frasi e più sentiva di allontanarsi dalla soluzione.
 
Più ci ragionava su, e più sentiva di star perdendo il controllo della situazione: eppure era proprio di quello che le iscrizioni sui suoi polsi parlavano; quello, che quelle frasi richiedevano, no?
 
Eppure non succedeva nulla, se non il contrario di ciò che sperava. Si sentiva solo morire e lacerare ogni volta di più. Sentiva la speranza spegnersi poco a poco, come una fiammella in una bufera, riparata a stento da qualche foglia secca.
 
Come una morsa, sentiva la morte stringere la sua gola, sempre più forte, attimo dopo attimo, senza lasciargli scampo; eppure lui ci credeva ancora.
 
Credeva nel suo amore.
 
Credeva nel fatto che potesse ancora trovare la sua salvezza in qualcuno, intorno a lui: ma come avrebbe potuto, lui, non aver paura di fallire, quando la persona che cerchi potrebbe essere in qualunque parte del mondo, sapendo, inoltre, che una sola settimana è tutto ciò che resta?
 
Aveva allontanato tutti con i suoi comportamenti, ma non era colpa sua.
Era tanto disgustato da se stesso da non riuscire più nemmeno a guardarsi allo specchio. La paura di trovare degli occhi -specchio dell’anima- vuoti come mai erano stati, ed intravedere in essi il mostro che quella situazione lo aveva reso, era troppa.
Non che non ne fosse consapevole, ma preferiva evitare i conati di vomito che ogni volta risalivano prepotenti il suo esofago.
 
Era parte del gioco, e lui lo sapeva.
 
Aveva fatto del male a troppe persone, in quell'arco di tempo; tanto male da aver preferito rintanarsi nella sua camera ingrigita e vivere all'ombra di se stesso.
 
Non poteva permettere che un sentimento più forte nei confronti di qualcuno crescesse dentro di sé, perché quel meccanismo demoniaco si sarebbe innescato ed avrebbe mandato tutto a monte, uccidendolo lentamente dentro.
 
Come se ogni volta perdesse il controllo di se stesso.
Come se tutti i neuroni del suo cervello si autodistruggessero in un unico momento, con conseguenze disastrose.
 
Gli parve di vedere di nuovo quel coltello scivolare via dalle sue mani tremanti e cadere a terra.
 
Gli occhi impauriti di quella ragazza, pieni di lacrime, nel disperato tentativo di chiedergli pietà, di non ucciderla, in ginocchio davanti a lui mentre la lama, sulla sua gola, era pronta a tagliare la tenera pelle con estrema facilità.
 
Si sentiva morire al solo pensiero di aver quasi mietuto una vittima innocente, probabilmente traumatizzandola per il resto della vita, dopo aver visto la sua ora giungere dal nulla, senza alcun motivo e soprattutto, per mano della persona che, ipoteticamente, avrebbe dovuto proteggerla da tutto.
 
Si sentiva uno schifo, ma non poteva farci nulla: più i sentimenti che sviluppava per la persona sbagliata erano forti, e più la reazione sarebbe stata drastica.
 
Era la sua condanna, e lui l’aveva accettata nel momento in cui aveva deciso di sacrificarsi per il suo amore.
 
Perché quel loro legame era tanto forte da averlo portato a rivolgersi a qualunque divinità esistente, di qualsiasi religione, positiva o negativa che fosse, pur di riportarla in vita.
 
Non seppe nemmeno quale, di tutte quelle, lo condusse quasi inconsciamente da un uomo: un uomo che conosceva già la sua richiesta senza nemmeno aver proferito parola, e per la quale propose un patto: l'anima della sua amata, si sarebbe integrata a quella di qualcun altro; non avrebbe potuto mantenere il corpo, ovviamente, ma i sentimenti sarebbero rimasti invariati. Il suo compito sarebbe stato quello di ritrovarla, da qualche parte nel mondo, seguendo solo quelle due frasi che subito dopo vennero marchiate sulla sua pelle. Se avesse fallito, la sua anima non avrebbe più avuto accesso né al paradiso né all'inferno, ma avrebbe vagato in un limbo fatto del nulla più assoluto.

Né luce, né buio; né bene, né male. Solo lui e la sua coscienza, in una eterna autocommiserazione.

In quel momento, Chanyeol non si preoccupò del suo destino, fermamente convinto di poterci riuscire e pienamente convinto che i suoi sentimenti fossero abbastanza forti da trovare la via.
 
Ed ora era lì, con le mani tremanti e nemmeno la forza di piangere.
Probabilmente, in realtà, aveva pianto così tanto che di lacrime non glien’erano nemmeno rimaste.
 
Non si era arreso nemmeno per un attimo, da quando tutto era iniziato.
 
Aveva viaggiato in lungo e in largo, in giro per il mondo, nella vana speranza di coprire almeno in minima parte un'area abbastanza vasta da consentirgli di dire di averci provato con tutto se stesso.
 
Sfortunatamente, però, i risultati erano sempre uguali.
 
Ogni volta la stessa storia.
 
Troppe occasioni e nessuna valida.
 
Sembrava quasi una calamita, Chanyeol, per la quantità di persone che avevano affermato di essersi infatuate di lui, ma con la stessa frequenza, ognuna di loro veniva brutalmente respinta da quell’automatismo che spegneva le sue volontà ed agiva al posto suo.
 
Perché c'era una cosa che Chanyeol non sapeva, ma che col tempo imparò a comprendere, e con la quale imparò a convivere solamente troppo tardi: c’era un cavillo inespresso in quel ‘contratto’, che faceva sì che chiunque incontrasse sul proprio cammino, fosse destinato ad innamorarsi istantaneamente di lui. L’inconveniente maggiore, era che nel momento in cui questo veniva ricambiato il ciclo ricominciava, facendo terra bruciata intorno a lui.
 
Negli ultimi tempi, avrebbe detto, non era più riuscito a distinguere se l’allontanare chiunque fosse una reazione dettata da quel tranello infernale, o se fosse volontà sua, pur di non mettere in pericolo anima viva.
 
E si era ritrovato solo, per l’ennesima volta, con lo stesso peso sul cuore di quando l'incendio gliel'aveva portata via. Le stesse solitudine e disperazione che quel giorno avevano inglobato ogni altro sentimento e gli avevano offuscato la ragione, tanto da portarlo ad accettare di essere ciò che era adesso.
 
Forse era proprio questo, il senso di quelle frasi: che per lui non c'era speranza, che aveva dato via la sua anima per nulla, che una cosa del genere non aveva altro sbocco che la pazzia e la solitudine, perché forse, qualcuno che getta via se stesso per qualcuno che non c’è più, non merita che il nulla per l’eternità.
 
Ogni volta che si arrovellava il cervello su quel pensiero, su quell’ipotesi, contava i giorni che gli restavano, e quando notava che questi erano sempre meno, tentava di grattare via dalla sua pelle quei segni, più neri della sua aura, ottenendo solo altro dolore e nulla più. Erano più profondi di un tatuaggio, e quell’inchiostro sembrava più resistente di qualsiasi materiale noto al mondo; non importava quanto scalfisse quella pelle, le parole erano sempre lì, vive e forti, in completo contrasto col suo intero essere, più morto e debole che mai.

Avrebbe rischiato di tranciare irrimediabilmente le vene olivastre che pulsavano sotto la sua pelle, se avesse insistito di più, e sebbene avesse svariate volte pensato di farlo, pur di porre fine a quel supplizio, quel briciolo di speranza che lo teneva in vita, lo convinceva a tener duro. Non voleva ancora morire. Non prima di aver dato il tutto per tutto. Non prima che anche l'ultima goccia di speranza fosse stillata via dal suo corpo.
 
O per lo meno, questa era la sua prospettiva prima che anche l’ultimo dei suoi affetti lo allontanasse dandogli irrimediabilmente del pazzo.
 
Avevano tutti paura di lui.
Era rimasto solo, e lui non aveva ritrovato il suo amore perduto.
 
Tutto perdeva lentamente senso, e percepiva la vita scorrere via dalle sue mani come granelli di sabbia fine persi tra vento e forza di gravità, gli stessi che percorrevano inesorabili la clessidra della sua vita, dall’alto verso il basso.
 
Non ne poteva più di vivere in quella casa: una casa che lo rendeva più solo di quanto non sarebbe mai stato se avesse vissuto come un eremita nel deserto.
 
I suoi familiari erano tutti lì, ma nessuno gli rivolgeva nemmeno più lo sguardo.
Per paura, principalmente: non avevano il coraggio di andargli vicino, per paura che potesse scatenarsi in uno di quei suoi "attacchi" e farli fuori uno dopo l’altro.
 
L'avevano lasciato impazzire da solo, nella sua camera cupa quanto il suo animo, senza cure né attenzioni. Niente di niente. Solo solitudine e depressione.
 
Perciò, quel giorno, con le occhiaie scure e i solchi segnati dalle lacrime asciutte, decise di alzarsi e andare via, in qualche posto in cui nessuno sarebbe andato a cercarlo, in cui nessuno l’avrebbe visto morire, cosicché, forse, potessero dimenticarsi più facilmente di quel pazzo che allontanava chiunque tentasse di avvicinarglisi, come una bestia selvaggia ed impaurita avrebbe probabilmente fatto.
 
Chiuse la porta alle sue spalle e camminò a lungo, senza una meta rinchiuso nel buio del cappuccio della sua felpa per non farsi vedere, giungendo così alle sponde del fiume.
 
Era come se il rumore dell'acqua, lo scorrere tranquillo della stessa, lo facessero sentire un po' più a casa ed alleggerisse quel fardello che ormai portava dentro da quella che sembrava una vita.
 
Si spostò in direzione di un ponte per nascondersi al di sotto dello stesso, come se quello fosse il suo luogo di appartenenza e che in qualche modo lo stesse richiamando a sé.
 
Sedette sulla sponda, poggiando la schiena al muro umido, rannicchiando le ginocchia e premendovi la fronte sopra, mentre con un sospiro lasciava andare la sua frustrazione.
 
Progettava di rimanere in quella posizione finché non sarebbe giunta la sua ora, ma un rumore alla sua destra attirò la sua attenzione, costringendolo a sollevare il capo. Di sicuro non gli andava a genio l'idea di essere morso da qualche strano animale -nonostante i suoi piani apocalittici-, perciò, istintivamente, tentò di pararsi con la prima cosa che trovò lì in giro: un pezzo di legno.
 
Si sarebbe aspettato di tutto, tuttavia, eccetto ciò che gli si parò davanti: dalle frasche un ragazzino uscì con un legnetto in mano, probabilmente nel suo stesso tentativo di difendersi da qualche creatura.
 
E forse, quella visione, li spaventò anche più dell’eventualità di trovarsi il serpente più velenoso del mondo davanti. Entrambi indietreggiarono in preda al panico ed all’angoscia, mormorando un disperato «Non ancora, non anche qui!»
 
Eppure nessuno dei due riuscì ad andarsene.
 
Era come se qualcosa li tenesse inchiodati lì, l'uno di fronte all'altro. Come se qualcosa negli occhi dell'altro fosse fin troppo familiare ed allo stesso tempo completamente sconosciuto.
 
E notare come lo sguardo di entrambi fosse lo stesso, identico sguardo, provato dalla solitudine forzata e dalla pazzia, probabilmente fu ciò che li convinse a darsi un'ultima possibilità, prima di rinunciare del tutto.
 
«Che- che sei venuto a fare qui?»
 
Chiese il più alto dei due, facendo fatica a produrre un suono limpido, tanto da dover tossicchiare più volte, prima di parlare decentemente. Il silenzio prolungato al quale si era costretto, quasi gli aveva fatto scordare il suono della propria voce.
 
«Se ti raccontassi perché sono qui, mi daresti del pazzo come tutti gli altri.
 
Mi chiamo Baekhyun, comunque.»
 
Parlò a voce bassa, il più minuto, anche lui rannicchiato sul posto, col viso oscurato da un cappellino logoro e vecchio. Allungò timidamente la mano verso di lui, lasciando il polso scoprirsi appena.
 
«Ah, a quello sono abituato anch'io, Baekhyun.
 
Io mi chiamo Chanyeol.»
 
Ricambiò la stretta con la stessa indecisione, abbassando lo sguardo sulle loro mani. Gli fu inevitabile notare del sangue secco sporgere appena dal tessuto scuro della maglia dell’altro.
 
Se ne stupì, inizialmente, decidendo di sorvolare per delicatezza, ma dopo qualche attimo, ormai rassegnato alla sua imminente fine, decise di avere un po’ meno tatto del solito: non aveva più niente da perdere, si disse, e poi non avrebbe di certo ucciso nessuno.
 
«Autolesionista?»
 
Chiese Chanyeol osservando ciò che delle sue cicatrici sporgeva dalla manica. In automatico, Baekhyun abbassò lo sguardo e notò il rivolo rosso scuro ormai asciutto che aveva attirato la sua attenzione.
 
«Ah- questo? No, magari.»
 
Iniziò, sospirando poi profondamente, sconfortato dal dover ripensare ancora una volta a quella storia e dal doverla raccontare all’ennesima persona che l'avrebbe senza dubbio considerato folle, anche ad una settimana dalla sua fine.
 
Scoprì i polsi coperti dai ristagni e li osservò con frustrazione, sospirando prima di riprendere a parlare.
 
«Un anno fa il mio ragazzo è morto in un incendio, ed io ero talmente disperato da fare qualunque cosa pur di riaverlo.»
 
Prese una pausa e si sporse in avanti, verso l'acqua del fiume, sfregando le mani appena inumidite sulla pelle sporca e lavando via i residui scuri. In qualche attimo, la sua pelle fu candida, rivelando ciò che vi era al di sotto, celato dalle incrostazioni di liquido ematico. Stese le braccia in avanti, rilassandosi, e poi riprese a parlare.
 
«Non so neanche come ci sono finito, da quel—tizio, qualunque cosa egli fosse; so solo che mi sono tirato addosso una maledizione senza capo né coda, con un indizio indecifrabile e la certezza che tra una settimana perderò per sempre la mia anima e che la mia vita finirà, perché non ho ritrovato la mia anima gemella in qualche altra persona che era destinata a me.
 
Folle, no?»
 
Mise in mostra la pelle marchiata, quando parlò di quell’indizio incomprensibile, in modo che Chanyeol potesse osservare.
 
Si sarebbe aspettato una risata isterica, degli insulti, o qualunque cosa comprendesse il deriderlo, ma nulla di tutto ciò avvenne.
 
Lo sguardo di Chanyeol era piuttosto incredulo, come se avesse già sentito quella storia e fosse, per la prima volta, disposto a credergli.
 
Freneticamente alzò le maniche della felpa scoprendo le proprie, di scritte, mostrandole al più basso.
 
«Folle per nulla.
 
Cosa dicono le tue?»
 
Chiese con premura, sentendo il cuore ricominciare a battere, sentendo quella fiammella di speranza rinforzarsi, ingrandirsi, combattere il vento che minacciava con insistenza di estinguerla.
 
«“lose it all” e “Bring it back”. Ma non ha senso. Perdi tutto e riportalo indietro. E con ciò? Ora non ho più nulla, ma non ho ancora trovato chi cercavo.
Le tue che dicono?»
 
Chiese di rimando, sentendo una piccola scintilla prendere vita nel suo petto, sebbene piuttosto incredulo.
 
«“Lose control” e “and you’ll be free”. Il controllo l'ho perso eccome, ma mi sono soltanto ritrovato ancora più solo.»
 
I loro sguardi erano fissi su quelle scritte, così simili, così insignificanti da sole, ma allo stesso tempo pregne di tutto, contenenti tutto ciò che gli era necessario sapere.
 
I loro polsi si accostarono l’uno all'altro, un po' per caso, un po’ nel silenzioso tentativo di giungere a qualcosa, e forse, forse, quella fu la volta buona.
 
I loro cuori ripresero a battere, una volta trovata una combinazione sensata, mentre delle risatine isteriche ed allo stesso tempo felici scuotevano i loro petti.
 
«“Lose control, lose it all. Bring it back, and you’ll be free.”»
 
Lessero all'unisono, con le lacrime ad appannargli la vista prima di abbracciarsi come se si stessero ritrovando dopo un’intera vita passata a cercarsi.
In realtà, non erano poi così lontani dalla realtà dei fatti.
 
Restarono stretti per qualche minuto, imparando di nuovo come si respira, percependo i battiti del cuore accelerare e tornare ad essere più simili ad una melodia ben ritmata che a delle campane che rintoccano lente ad un funerale.
Si concessero qualche attimo prima di recidere quel contatto ed osservare le loro mani scivolare delicatamente una sull’altra: le loro dita si intrecciarono lentamente, stringendosi pian piano l’una con l’altra con timidezza, paura.
 
Paura che tutto potesse ricominciare; paura che anche quella potesse essere la volta sbagliata, perché se anche tutti gli indizi lasciavano pensare che fossero proprio loro due, i prescelti, le passate esperienze li avevano condotti a non fidarsi più di ciò che loro stessi provavano.
Ma stavolta era diverso. Potevano sentire l’amore seppellito in fondo al cuore rifiorire, e riattivare tutto, rinnovandoli dall’interno.
 
Nessuna violenza, nessuna reazione azzardata, nulla di negativo.
 
Finalmente.
 
Le loro dita di strinsero più forte, ancora increduli ed i loro volti si fecero più vicini.
La mano di Chanyeol carezzò dolcemente una guancia di Baekhyun, continuando a sporgersi verso di lui, fin quando le loro labbra non si unirono nel più dolce ed agognato dei baci.
 
Non si accorsero nemmeno, in quel momento, delle loro braccia che tornavano ad essere candide e pulite: né graffi, né tagli, né scritte. Niente di niente.
 
Ma di una cosa si accorsero di certo: dopo un lungo inverno, grigio e cupo, la primavera della loro ritrovata vita, iniziava a spazzare via le nuvole di tempesta.

Nessun uragano, nessuna pioggia.
Ma il sole caldo, capace di fonderli insieme ancora una volta, ed il vento, che dolce accarezzava la loro pelle, soffiando piano in quello che parve un sibilo proveniente dalle loro anime.

 
 
“We are free.”


 
  
 
 
 
 

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