Capitolo
2
“Ti
va di
diventare amiche?”
È trascorsa una settimana dall’inizio
del nuovo anno scolastico. Il carico di compiti che i professori ci
assegnano
ogni giorno è decisamente superiore rispetto
all’anno scorso e al termine dei
corsi sono quasi sempre costretta a ritornare subito a casa per
attendere alle
lezioni supplementari del mio tutore privato. Più che altro
l’insegnante
assunto da mio padre si assicura semplicemente che io non abbia
incontrato
troppe difficoltà nell’apprendimento dei nuovi
concetti spiegati in classe. È
vero che non sono un genio, ma non sono neanche così stupida
da dovermi
impegnare due volte più dei miei compagni per non rimanere
indietro. Tuttavia
comprendo l’apprensione dei miei genitori
nell’adoperarsi affinché riceva la
migliore istruzione possibile. Anche se non prenderò posto
tra i futuri
dirigenti della compagnia, non posso certo adagiarmi sugli allori. E
comunque
sia mio padre che mia madre conoscono perfettamente il mio potenziale e
non
cercano in alcun modo di spingermi oltre i miei limiti, solo per
mantenere alto
il nome della famiglia. Ecco perché studiare per me non
è così spiacevole o
stressante come forse lo è per la maggior parte dei miei
coetanei, soprattutto
considerando che spesso mi ritrovo a condividere le mie sessioni di
studio
pomeridiano con Yoichi, Shizuka e Haruka. Tuttavia i miei impegni
extrascolastici mi hanno impedito fino a questo momento di accettare
l’invito
di Kise ad assistere agli allenamenti della squadra di basket.
All’inizio dell’ora di educazione
fisica, Fujioka-sensei (sensei
significa insegnante) mi ha incaricata di andare a prendere alcuni dei
nuovi
palloni da pallavolo che sono arrivati due giorni fa e che sono stati
momentaneamente sistemati nel magazzino annesso alla palestra. Il
piccolo
deposito si trova però all’esterno, proprio di
fronte ai campi di calcio, per
cui ora mi sto dirigendo lì da sola. Quando raggiungo la
destinazione,
tuttavia, la porta è già aperta e
all’interno trovo un ragazzo intento a
sistemare un paio di vecchi palloni da basket.
«Chiedo
scusa per l’intromissione», annuncio la mia
presenza
prima di entrare a mia volta nell’angusta e poco illuminata
stanza.
Attirato
dalla mia voce, il minuto studente mi concede le sue
attenzioni e i nostri sguardi si incontrano. I lineamenti del suo viso
sembrano
incredibilmente giovani: penso di capire finalmente che cosa volevano
dire
Mayumi e Kise quando dicevano che non dimostro affatto la mia
età. Se non
indossasse la divisa della scuola Teikou, avrei sicuramente scambiato
il
ragazzo davanti a me per uno bambino delle elementari smarritosi sulla
via del
ritorno verso casa.
Per
diversi, e oserei dire interminabili, secondi restiamo
entrambi in silenzio osservandoci a vicenda. I suoi grandi occhi
azzurri come
topazi sembrano, per qualche inspiegabile ragione, meravigliati dal
fatto che
io abbia notato la presenza del loro esile proprietario nonostante la
penombra.
Diversamente da me, forse, questo ragazzo è davvero abituato
a passare inosservato.
Oppure è semplicemente sorpreso di vedere un’altra
persona in questo remoto e
decadente angolo della suola.
«Prego»,
finalmente le sue labbra si dischiudono per comunicare
con me. Ha una voce sottile e leggera, ma allo stesso tempo
piacevolmente pacata.
Avanzo
verso la parete di fondo, dove sono accatastati i nuovi
palloni da pallavolo. Ne scelgo tre e, dopo averli saldamente sistemati
tra le
mie braccia, mi incammino verso la palestra. A causa della scarsa
illuminazione
dello stanzino o, più verosimilmente, a causa della mia
innata goffaggine,
riesco a compiere solo un passo prima di inciampare in uno scatolone e
precipitare al suolo. Il tonfo è così forte che
sono pronta a scommettere che
l’hanno sentito anche da fuori. La mia prima preoccupazione
è accertarmi delle
condizioni dei palloni, sparpagliati ora sul pavimento polveroso.
Raccolgo
rapidamente i primi due, caduti a pochi centimetri da me. Il terzo
invece sta
ancora rotolando verso la porta e minaccia di spingersi fino
all’esterno, in
direzione dei campi di calcio.
«Fermati!»,
è l’unica parola che riesco ad emettere mentre
annaspo sul sudicio pavimento cercando di rialzarmi.
In
un periodo di tempo breve quanto un battito di ciglia,
l’esile ombra del taciturno ragazzo compare ad oscurare la
luce che tenta di
infilarsi nella stanza e il pallone si arresta appena prima di varcare
la
soglia della porta spalancata, arenandosi tra le smagrite gambe del
giovanissimo
studente, il quale si china in avanti per raccogliere la sfera coperta
di
polvere.
«Ti
ringrazio», pronuncio immediatamente, emettendo un sospiro
di sollievo.
Mi
sollevo da terra per raggiungerlo e recuperare l’oggetto in
questione, ma non appena allungo il braccio per ricevere il pallone
avverto un
tremendo bruciore in prossimità del gomito.
«Devi
esserti graffiata quando sei caduta», osserva il
misterioso sconosciuto, offrendosi subito dopo di accompagnarmi in
infermeria.
«Non
posso», ribatto prontamente, ignorando il dolore.
«Devo
prima portare questi palloni alla professoressa».
Il
piccolo ragazzo riflette per un momento quindi, con un cenno
di assenso, mi invita silenziosamente a seguirlo in palestra. Cammino
dietro di
lui mantenendo gli occhi sui suoi piedi. Il suo passo è
quasi impercettibile,
ma regolare. Osservandolo meglio, sembrerebbe più basso di
me di un paio di
centimetri. Non percepisco nulla di speciale dalla sua figura e forse
è proprio
per questo che trovo la sua compagnia insolitamente confortevole.
Mayumi e Kise
hanno entrambi una personalità molto vivace, così
diversa dalla mia. L’energia
sprigionata da Mayumi è calda e vigorosa come la fiamma di
un camino
scoppiettante, mentre l’entusiasmo di Kise è
travolgente e accecante come il
bagliore del sole. Paragonato a loro, il ragazzo di fronte a me
assomiglia più
ad una pallida luna, o ad una stella fredda. Più che un
pianeta, sembra un
piccolo satellite che non può fare a meno di gravitare
all’ombra dei grandi
corpi celesti.
Dopo
avere ottenuto il permesso dalla professoressa Fujioka,
come promesso ci dirigiamo insieme verso l’infermeria.
È una lunga e quieta
passeggiata per i corridoio della scuola. A quest’ora gli
alunni si trovano
nelle rispettive classi, impegnati a seguire le lezioni e io e il mio
gracile
accompagnatore siamo le uniche persone nei paraggi. Improvvisamente
decido di
spezzare il gravoso silenzio.
«Non
mi sono presentata. Sono Eiko Wadsworth della 3-B. Grazie
ancora per il tuo aiuto».
«Io
sono Kuroko Testuya della 3-C. Molto piacere», risponde
cordialmente, voltandosi verso di me. L’espressione sul suo
viso è
indecifrabile e io non sono sicura se in questo momento trovi la mia
presenza
piacevole o fastidiosa. Dal momento, però, che è
stato lui a proporre di
accompagnarmi, forse non dovrei essere così pessimista.
Finalmente
giungiamo a destinazione. Mi introduco timidamente
nella stanza dell’infermeria, dove la dottoressa Saito
attendeva probabilmente
con trepidazione l’arrivo di un paziente. Nel momento in cui
faccio scorrere la
porta, infatti, abbandona la sua sedia imbottita scattando come una
molla e a
grandi passi, quasi correndo, si precipita ad accogliermi con un
larghissimo
sorriso disegnato sulle labbra.
«Benvenuta.
Che cosa ti è successo? Una slogatura? Un
raffreddore improvviso? Un mal di pancia? Oppure
un’emicrania?», le parole
rotolano dalla sua bocca come sassi da una scogliera, stordendomi per
un
momento.
«No,
niente di tutto questo. Solo una sbucciatura», rispondo io,
esponendo la ferita all’analisi della donna.
Quest’ultima,
dopo una prima e rapida diagnosi, mi chiede di
seguirla dietro la tenda di uno dei tanti lettini, per procedere alla
medicazione. Prima di ubbidirle, però, mi volto indietro per
ringraziare ancora
una volta Kuroko, ma lui non è più nella stanza e
non importa quanto i miei
occhi si affannino a cercare la sua sagoma, poiché sembra
essere evaporata nel
nulla. Se lo incontrerò di nuovo, mi assicurerò
di sdebitarmi per il suo aiuto.