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Autore: MerasaviaAnderson    10/05/2016    2 recensioni
•{Gallavich ~ What if? ~ 2780 parole}
"Così, all’improvviso, dal ricevitore che Rita portava attaccato alla camicia arrivò una chiamata, la voce arrivò forte e chiara alle orecchie di Ian, che subito – assieme ai suoi compagni iniziò a preparasi per il soccorso.
«Un uomo di 29 anni ha avuto un grave incidente sulla S. Artesian Ave, richiede un intervento immediato.» disse Rita con la sua voce ferma mentre i due paramedici che erano di turno assieme ad Ian salivano sui sedili anteriori, mentre lui si sedeva all’interno dell’ambulanza."
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Mickey Milkovich
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Eight fucking years
 

 
 
Generalmente, al pronto soccorso del South Side di Chicago, i martedì notte non erano molto affollati, capitava solo di rado di dover partire con l’ambulanza e fortunatamente, nella maggior parte dei casi, non era mai nulla di troppo grave o difficile da gestire.
Erano ormai otto anni che Ian Gallagher lavorava lì come paramedico e, nonostante le occhiate un po’ diffidenti di qualcuno, tutti avevano accettato il suo bipolarismo, che – tra l’altro – stava tenendo sotto controllo con i farmaci, prendendoli con regolarità.
Era stato quel lavoro a dargli la spinta decisiva, perché se prima prendeva le pillole lo faceva soltanto per la sua famiglia o per Caleb, non l’aveva mai fatto per se stesso. Adesso, invece, la situazione era completamente diversa: prendeva quelle maledette medicine perché voleva star bene, voleva continuare a fare il suo lavoro, voleva provare alle persone che diffidavano di lui che poteva vincere sulla sua malattia.
Come aveva previsto, con Caleb non era durata più di due anni, nell’ultimo dei quali la loro relazione camminava sul filo di un rasoio, c’erano sempre tensioni, malintesi e alla fine, di comune accordo, avevano deciso di farla finita per sempre.
Non ci aveva sofferto troppo, Ian, forse l’amore che provava per quel ragazzo era sparito nel tempo. Aveva avuto altri partner durante gli anni successivi, mai durati più di qualche mese e mai presentati alla sua famiglia.
E adesso, nei suoi ventisette anni compiuti da poco, Ian era innamorato solo del suo lavoro.
Quella sera era perso a studiare l’etichetta del succo di frutta che stava bevendo, visibilmente annoiato, non che si augurasse l’arrivo di una chiamata, ma quella notte avrebbe preferito di gran lunga trovarsi all’Alibi con suo fratello Lip a bere una birra.
Proprio suo fratello Lip, che ormai da otto anni faceva dentro e fuori dal centro di disintossicazione dall’alcool … Chi lo avrebbe mai detto che sarebbe finito proprio come Frank? Eppure, per Ian, Lip era e continuava ad essere una delle persone dal cuore più grande che avesse mai conosciuto.
Fiona entrava e usciva da mille relazioni diverse, Debbie aveva terminato gli studi e si stava dedicando a Frances con l’aiuto di Carl e Dominique, l’unica coppia che aveva mantenuto un legame solido, Liam aveva 13 anni, ormai, e dal carattere che aveva sembrava proprio Carl da tredicenne … solo che lui era nero veramente.
Erano tutti cresciuti e tutti, anche dopo otto lunghi anni, vivevano ancora a Casa Gallagher.
Così, all’improvviso, dal ricevitore che Rita portava attaccato alla camicia arrivò una chiamata, la voce arrivò forte e chiara alle orecchie di Ian, che subito – assieme ai suoi compagni iniziò a preparasi per il soccorso.
«Un uomo di 29 anni ha avuto un grave incidente sulla S. Artesian Ave, richiede un intervento immediato.» disse Rita con la sua voce ferma mentre i due paramedici che erano di turno assieme ad Ian salivano sui sedili anteriori, mentre lui si sedeva all’interno dell’ambulanza.
«D’accordo.» le rispose il giovane dai capelli rossi, con il volto più serio e concentrato che mai chiuse le porte e non appena il veicolo uscì dal garage azionò le sirene.
Lo aveva fatto tante volte Ian, ormai doveva essere come una routine, eppure era sempre come la prima volta: vi era ansia, tensione, paura, ma al contempo anche tanto coraggio … e lui ne aveva da vendere.
Aveva imparato in quegli otto anni che, nonostante tutti i rischi del mestiere, salvare la vita di una persona era la sensazione più bella che avesse mai provato.
Quei pochi minuti di viaggio gli parvero interminabili, si attrezzò per ogni eventualità, mise a portata di mano tutti gli attrezzi che gli sarebbero potuti servire.
Subito pensò che doveva fare del suo meglio, quell’uomo aveva solo 29 anni, una lunga vita davanti a sé e, al momento, quella vita era tutta tra le sue mani.
Non appena arrivarono sul posto videro subito un corpo sanguinante disteso a terra, affiancato da due volanti di polizia. Con una rapidità inimmaginabile andarono incontro all’uomo e, non appena Ian riuscì a scorgerne il viso gli si gelò il sangue nelle vene: riconobbe subito i capelli neri che erano impregnati di sangue, le palpebre socchiuse appena celavano due splendidi occhi azzurri.
Non poteva essere lui, non poteva essere proprio Mickey Milkovich.
Proprio quel Mickey Milkovich.
Restò paralizzato, non riusciva a sentire i richiami dei suoi compagni e dei poliziotti, era troppo impegnato a ripercorrere con la mente tutti i momenti che aveva vissuto con quel ragazzo, quanto crudele era stato con lui quando gli aveva aperto il suo cuore davanti Casa Gallagher.
Non si sarebbe mai perdonato se fosse morto, specialmente se fosse stato lui stesso la causa della sua morte.
L’immagine di una possibile morte di Mickey bastò per far prevalere su Ian il suo istinto da medico, si precipitò sul suo corpo e iniziò a controllare tutti i parametri vitali, quando toccò la sua pelle calda e sporca il suo cuore perse un battito … Quasi quasi era lui quello che doveva essere ricoverato.
«Ian, si può sapere cosa maledizione sta succedendo? Chi è quest’uomo?» domandò uno dei suoi colleghi, vedendo il modo frenetico e disperato in cui Ian stava agendo.
«Non importa adesso, Alan! Portatelo dentro l’ambulanza, devo collegargli l’ossigeno urgentemente!»
In pochi secondi Mickey fu portato e sistemato all’interno del veicolo, dopo aver chiuso le porte ed esser partiti dritti verso il Pronto Soccorso, in seguito alle varie medicazioni possibili e necessarie Ian s’accorse che vi era poco da fare per lui su quell’ambulanza, inoltre era ancora privo di sensi e sporco, così il giovane decise di iniziare a levar via il sangue dal suo volto. Era dolce mentre lo faceva, quasi come una carezza sfiorava la sua pelle calda e i suoi capelli, stringendo di tanto in tanto la sua mano sporca … e diamine, cosa non avrebbe fatto in quel momento per di vedere i suoi maledettissimi occhi azzurri.
Ian non parlava, non piangeva, lo guardava e basta, provando a fare tutto il necessario per farlo restare in vita.
Non gli importava il tempo passato, non gli importava dei malintesi – quasi gli mancavano quelle sere passate a prendersi a cazzotti – non gli importava più di nulla, voleva solo che Mickey vivesse e giurò a se stesso che avrebbe fatto di tutto per salvarlo.

«Gallagher, il tuo turno è finito da un pezzo.» contestò Alan – uno dei paramedici – vedendo Ian seduto accanto ad una barella del Pronto Soccorso.
«Lo so, Al.» il suo tono di voce era distante, il suo sguardo perso nel volto ormai pulito di Mickey.
«È il paziente dell’incidente?»
«Sì.»
«Hanno detto che si riprenderà.» gli disse, sorridendo leggermente mentre gli tirava una pacca sulla spalla «Io vado a casa!»
« D’accordo, ciao Al!»
Alan non aveva fatto domande, meglio così, pensò il ragazzo, ancora perso a scrutare quel volto che tanto lo stava confondendo.
Sì, Ian era confuso. Non aveva mai pensato a Mickey durante quegli anni ed ora era ricomparso all’improvviso, grondante di sangue, su quella barella … ed il destino aveva voluto che la sua vita fosse messa nelle sue mani.
Mickey non era cambiato molto fisicamente, il suo volto aveva dei lineamenti più adulti e quasi non ricordava quanto bello potesse essere. Ricordava che quando Svetlana lo andava a trovare in carcere non voleva che gli dicesse nulla, non voleva sapere se aveva chiesto di lui, se avesse giocato un po’ con Yevgeny … non voleva sapere niente di quello stronzo di un Milkovich, tanto meno quando si godeva quello straccio di felicità con Caleb.
Ed ora eccolo lì, il vecchio e bastardo Mickey, davanti ai suoi occhi.
Cosa doveva fare dopo otto lunghi anni?
L’istinto gli disse di prendergli una mano e così fece: si lasciò guidare da quella sensazione, s’abbandonò completamente ad essa.
Posò un baciò sulla mano, stando attento alle sbucciature su di essa e alle fasciature sulle braccia, non voleva fargli male.
Oh, come avrebbe potuto far del male a Mickey Milkovich? Aveva la scorza dura, quello …
Eppure, Ian sapeva che quando lo aveva lasciato quelle parole gli avevano fatto più male di qualsiasi altra cosa, anche più di quel proiettile nel culo che si era beccato mentre cercava di rubare a casa di Candace Lishman.
E così Ian iniziò a piangere, piangere senza sosta, senza motivo, chiedendosi di come poteva essersi messo in quella situazione così strana, tremenda, da un lato.
Piangere stringendo la mano del suo ex fidanzato era sicuramente una delle cose che non si sarebbe mai aspettato di fare nella vita. Eppure, se avesse potuto lo avrebbe abbracciato proprio in quel momento, lo avrebbe stretto forte a sé, senza correre il rischio di lasciarlo andare via mai più.
Dopo aver baciato per l’ennesima volta quella mano bagnata da numerose lacrime Ian fu ridestato da una voce, la conosceva bene, fin troppo, l’avrebbe riconosciuta anche a chilometri e chilometri di distanza.
«Ma cosa cazzo?»
Quanto gli era mancato …
Ian alzò subito il volto ed eccole lì: le sue iridi cristalline con la sua solita espressione corrucciata, le mano che gli stava tenendo si muoveva leggermente, meno rigida sotto il tuo tocco caldo.
«Sogno o son desto? Quello è Gallagher!» esclamò all’improvviso, la voce ancora impastata di anestetico ed antidolorifici.
«Come ti senti, Mick?» la voce di Ian sembrava allarmata, ma il suo tono era totalmente naturale, come se non fossero stati distanti per otto anni, come se non avessero mai smesso di prendersi cura l’uno dell’altro.
«’Fanculo, sono morto, ho visto un angelo.» scherzò il ragazzo, voltando a fatica la testa verso l’altro lato per poi far aprire le sue labbra in un sorriso quasi sproporzionato.
Non poteva crederci che fosse proprio lui. Cosa ci faceva lì?
Anche Ian aveva un maledetto sorriso da ebete sul volto, le sue mani tremavano, i suoi occhi splendevano di una strana luce.
«Vuoi spiegarmi che cazzo succede, Gallagher? E soprattutto perché merda sei qui?»
«Sono il fottuto paramedico che ti ha salvato la vita, Milkovich.» gli rispose Ian, stringendo ancor di più quella mano leggermente tremante.
«Allora ti devo un favore, Rosso.» sorrise di nuovo, rilassandosi sul lettino e cercando di evitare il più possibile lo sguardo di Ian.
Non gli sembrava vero, a dir la verità, pensava che fosse tutto un sogno.
«Mick?»
«Uhm?» gli rispose un po’ flebilmente, girando la testa verso il volto del ragazzo che l’aveva chiamato.
«Otto anni giusti, eh?»
Mickey scosse la testa in un segno di diniego, non perdendo quel sorriso abbastanza insolito per lui «Sei.» affermò, trovando il coraggio di guardare i smeraldi che Ian aveva negli occhi.
Il paramedico alzò un sopraciglio, quasi per chiedergli il motivo per cui dopo sei anni fosse già fuori di galera e inutile dire che Mickey comprese all’istante. Avevano una certa intesa quei due, non avevano bisogno neanche di parole.
«Buona condotta, Gallagher.»
«Buona condotta? Tu, Mickey Milkovich, vieni rilasciato per buona condotta?» rise Ian, un sorriso sincero, quasi incredulo.
«Non sono molto credibile, vero?»
«No, Mick, no.» Ian continuò a ridere, mentre lasciava incurante che le lacrime si asciugassero sulle sue guance e Mickey pensò che era bello vederlo ridere dopo tutti quegli anni. «Cosa hai fatto in questi due anni che sei stato fuori?»
«Ho girato il mondo.» rispose Mickey, cercando di mettersi comodo sul lettino a causa dei dolori e delle ferite che sembravano che gli stessero lacerando il corpo. Guardava il soffitto e aveva un’aria sognante … molto atipica, per un Milkovich.
«No, dai, serio.»
«Te lo giuro, ho vagabondato per l’America da buon cittadino nato il 4 luglio.» affermò, mantenendo quell’aria bizzarra «Con un po’ di sano spaccio mi sono mantenuto, a volte mi sono intrufolato in qualche casa, a volte in un hotel di lusso …»
Ian rise, no, non poteva credere che Mickey avesse fatto tutte quelle cose, era abbastanza improbabile e il Rosso conosceva il gran senso dell’umorismo del ragazzo.
Eppure, Ian pensò che gli sarebbe piaciuto fare tutte quelle cose con lui.
«Aah!» mugugnò Mickey «Non crederci pure se vuoi, ma ho fatto di tutto pur di star lontano da questo buco di culo e ora che ci sono tornato … puf! Un bel pullman mi mette sotto!»
Era strano, ma Ian non riusciva più a proferir parola: voleva solo guardarlo, ancora e ancora, voleva bearsi di quei suoi tratti maturi, di quei suoi occhi azzurri un po’ stanchi, e di quelle labbra che continuavano parlare e parlare, sparando parolacce, facendo strane espressioni.
Porca miseria, neanche un pullman riusciva ad atterrire Mickey Milkovich.
Solo il suo amore l’aveva fatto.
«E tu che mi racconti, bel soldatino? Cos’hai fatto in tutti questi anni?» aveva girato il volto verso di lui e guardava la sua aria incantata, i suoi occhi verdi persi in un punto imprecisato del suo viso, la sua espressione così assorta che non si sarebbe accorto di nulla. «Ehi, giochi alla Bella Statuina?»
«Uhm?» fece allora il ragazzo, scuotendo la testa per tornare alla realtà «Cosa ho fatto in questi anni? Be’ …»
Cosa doveva dire? Che era diventato un paramedico? Come se non l’avesse capito chiaramente.  Che era stato con Caleb e con un altro paio di ragazzi? Meglio di no. Che lo aveva pensato? Non sarebbe stato vero.
«Ho cercato di mettere un po’ a posto la mia vita,» affermò convinto «mi sono buttato a capofitto nel lavoro, ho cercato di calmare un po’ i casini a casa, ma tutti lì dentro sembrano impazziti.»
«Rosso, posso chiederti una cosa?» il tono di voce di Mickey si incrinò, calò un po’ lo sguardo e le sue guance di tinsero di un leggero color porpora. Mickey Milkovich che arrossiva, ma che stava succedendo? «Senti, insomma, il Succhia-latte come se la passa con la russa?»
Oh, certo, Yevgeny.
Era difficile ammetterlo per Mickey, ma gli importava di quel bambino molto più di quanto volesse dare a vedere.
«Il Succhia-latte ha quasi 9 anni, Mick. Ed è un bel giovanotto.»
«Cazzo, quante cose che mi sono perso … Svetlana ha smesso di venire a trovarmi in gattabuia quando aveva solo 2 anni e mezzo. Non mi chiamava “papà” e neanche Mickey: mi chiamava “Dickey”.» il moro soffocò una risata ed anche una lacrima, forse, era davvero curioso di sapere com’era diventata quella creaturina «Dickey – Dick. Capisci?»
«Sì, Mick, sì.» e scoppiando a ridere di gusto coinvolse nel suo riso anche il ragazzo al suo fianco.
Ridevano insieme, dopo tanto tempo.
«Ma, secondo me è stata la russa che … Ah!» esclamò all’improvviso, contraendo il volto in un’espressione di dolore «Porca puttana!»
«Aspetta, aspetta!» esclamava Ian, mentre lo aiutava a prendere una posizione più comoda su quel lettino asettico.
«Gallagher?» lo chiamò, la voce era roca, forse un po’ arrabbiata e sofferente.
«Sì?»
«Di’ a quel cazzone dell’infermiere di darmi altri antidolorifici.»
Ian si girò per andare dall’infermiere e sorrise, non certamente perché Mickey stesse male, ma proprio perché era lì con lui, con il suo sporco modo di fare, con la sua perenne rabbia e i suoi occhi celestiali.
Lo amava ancora?
Eccome se non lo amava ancora, non aveva mai smesso di farlo, probabilmente.
Così di scatto si girò, scordandosi dell’infermiere che doveva chiamare e dei lamenti del ragazzo nel letto, coprì la brevissima distanza che lo separava da esso in un lampo e – quasi senza pensarci – posò un bacio sulle labbra di Mickey.
Un bacio fugace, forse anche un po’ violento, proprio come quello che si erano scambiati per la prima volta su quel furgone malandato.
Aveva adorato quel bacio, Ian, lo aveva adorato perché sapeva che Mickey lo amava e non poteva esserci nulla di più bello. Lo aveva amato, perché, per un breve momento, aveva visto quel famoso sguardo nei suoi occhi.
E ora era lui a contraccambiare, era lui – con quel bacio – a dirgli d’amarlo.
Non gliel’aveva mai detto, Ian.
Non appena si staccò il rosso sorrise, mentre il ragazzo malandato nel letto non proferì parola, restò semplicemente a guardarlo con la bocca aperta e gli occhi spalancati.
Quasi non ci credeva, erano otto fottuti anni che non assaporava quelle labbra.
Ian si girò nuovamente, un sorriso malizioso increspava il suo volto, le sue mani si muovevano frenetiche, i suoi occhi avevano un qualcosa di estremamente brillante.
Era felice, si poteva dire.
«Dove stai andando?» gli chiese Mickey, la voce era incredula, esitante.
Ian Gallagher era lì e lo amava.
«A chiamare il cazzone dell’infermiere.» gli rispose il rosso rimarcando le sue parole e girandosi verso di lui con quel sorrisetto. Mickey annuì, ancora stranito. Quasi quasi non aveva più bisogno di un infermiere per gli antidolorifici, aveva ritrovato il suo guaritore personale. E lo amava.

Ancora, dopo otto fottuti anni.



FINE
 


Note d’Autrice:
Come avevo promesso circa una settimana fa, sono tornata con questa OneShot sui Gallavich.
Non chiedetemi come mi sia venuta in mente, davvero, la mia vena drammatica ha preso il sopravvento ancora una volta ed ho elaborato questa storia, scritta ancor prima di “I will protect you”.
Quindi sì, questa è la prima Gallavich che ho scritto.
Mi scuso ancora una volta se i personaggi – specialmente Mickey – sono OOC, ma diciamo che ancora devo “prenderci la mano”.
Sono anche consapevole che la parte in cui Mickey viene soccorso è molto veloce e poco dettagliata, ma nonostante le nottate intere passate e guardare E.R. Storie incredibili su Real Time di medicina d’urgenza ne capisco davvero poco.
E niente, spero che la OneShot vi sia piaciuta … E se vi è piaciuta fatemelo sapere con una recensione!
See ya!
(E che Frank possa regalare a tutti voi una bella lattina di birra fresca)
_merasavia.


 
   
 
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