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Autore: Egomet    09/04/2009    11 recensioni
Lui era solo un ragazzo tranquillo che aspirava ad uscire con la sua bellissima quanto irraggiungibile collega. Lei era solo una ragazza complicata che aveva voglia di divertirsi. Ma insieme a questo, una pancia grande e gonfia, e soprattutto ciò che conteneva, erano il suo problema. Lui cerca di aiutarla, ma non ha fatto i conti con il suo carattere impossibile. Davide prova a capirla, ma Francesca gli nasconde un segreto. -Ascolta, Davide… sicuramente tu mi hai già visto, ma non ti ricordi di me. Sai, io sono incinta- Davide inarcò le sopracciglia scuotendo la testa. “Ma cosa voleva quella da lui?”. -Beh, tanti auguri, mi fa piacere…- stava già per chiudere la conversazione. Lei intuendo ciò che voleva fare si affrettò a vuotare il sacco. -Sono incinta di te-
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Andiamo allora?-
Bruno prese le chiavi dal mobiletto, in attesa che la ragazza si presentasse alla porta.
La bionda era nella camera da letto, in contemplazione della sua immagine riflessa nello specchio. Come rigenerata, aveva il viso duro ma forte. Di chi sa che deve far la guerra, ma sa anche che sta per giocarsi tutte le sue carte migliori. Di chi sa già che soffrirà, ma le farà bene.
Spostò l’ultimo capello biondo verso destra, le tracce di smarrimento e disperazione di quella mattina del tutto scomparse, o forse abilmente nascoste. Nascoste in attesa di rivelarle sì, ma a chi meritava davvero di conoscerle.
Soddisfatta del suo operato, si mise in spalla lo zaino e il borsone.
Vedendola tornare così agghindata, Bruno si meravigliò.
-Dove stai andando?-
-Via- decretò lei andando verso la porta.
-Come via? Dobbiamo andare in ospedale-
La ragazza sospirò e lo guardò bene negli occhi; era duramente provata, ma i suoi principi rimanevano gli stessi: le persone che non le andavano a genio, dovevano sparire dalla sua vita. Per sempre.
‘Scappi, scappi pur di non sentire’.
Non più ora.
-Non può funzionare-
-Non può funzionare cosa? L’intervento? Ma se ci ho passato una settimana ad assicurarmi che...- Bruno lasciò la frase nell’ovvio, allargando stupito le lunghe braccia, stupito.
-Non l’intervento. Non può funzionare. Tra di noi, intendo.-
Il ragazzo accolse quelle parole come un qualcosa di ridicolo. Sbuffò sconcertato e incredulo, fissandola come alla ricerca di un particolare che rivelasse lo scherzo.
-Cosa?-
-è finita. Anzi, per dir la verità non è manco iniziata. Ciao-
Lo disse come se stesse dando le previsioni del tempo, senza emozione, rimorso o dispiacere; così era la vera Francesca menefreghista e tosta che in quell’ultimo mese aveva vacillato.
E mentre si subiva le grida da lontano del ragazzo, questa Francesca aveva compiuto l’ultimo sforzo. Forse ora aveva davvero esaurito tutta la sua carica esplosiva; ora aveva smesso di condurre il gioco e non sapeva cosa fare. Come da copione non doveva mostrarlo, anche se il tutto si faceva molto difficile adesso. Era il momento decisivo; o dentro o fuori; bianco o nero; vittoria o sconfitta.
Se avesse fallito anche quella occasione, non avrebbe saputo più che fare.
La pressione di tutta quella storia, la responsabilità, le colpe che avrebbero dovuto gravare su di lei fin da subito, le sentì sulla sua pelle in quel momento.
Ne fu schiacciata.
Forse in precedenza aveva sempre avuto qualcuno su cui scaricare queste cose, in modo da non fregarsene e mantenere il suo carattere orgoglioso. Ora però non c’era nessuno a farle da scudo, a sostenerla e ad aiutarla. Nessun Damiano, nessun Davide. Era più sola che mai, e sotto il peso di questa verità i suoi occhi brillarono come per piangere.
 
Quando il ragazzo uscì per portar fuori una busta di spazzatura, scoprì che non era l’unico a starsene fuori, seduto a beccarsi l’afa di giugno.
Silvia era seduta a terra, proprio sul marciapiede, e stava con la testa poggiata fra le mani. Stupito, lui si avvicinò.
-Silvia?- la chiamò.
La ragazza alzò la testa, e lui scoprì che aveva gli occhi rossi, forse e probabilmente reduci di lacrime.
-Ciao- mormorò lei, tirando su col naso.
-Che hai?-
Davide cercò nella tasca del grembiule un fazzoletto e glielo porse. Poi stette in attesa della storia.
Silvia si soffiò il naso, per poi iniziare a parlare con voce tremante.
-Il mio ragazzo mi ha lasciata-
Terminò la sua frase con un altro singhiozzo e poi guardò tristemente il marciapiede, poggiandosi la testa su una mano.
Il ragazzo non fu granché stupito della notizia: una che si faceva un uomo di quarant’anni e passa, e invitava ad uscire il suo collega cameriere (e barman), non si poteva definire l’esempio di donna fedele.
Quasi poteva concordare con lo sconosciuto che aveva lasciato Silvia, che era stato preso in giro e imbrogliato ingiustamente. Lo stesso sconosciuto che, per ironia della sorte, aveva tante volte odiato e maledetto, ora lo capiva e lo appoggiava silenziosamente nella sua decisione.
-Mi dispiace- disse atono, giusto per non parere insensibile.
Lei si alzò in piedi, ancora vestita di quella minigonna che tanto piaceva ai clienti, e a quanto pareva, anche a Bruto.
Tornandogli alla mente quel particolare, al ragazzo venne voglia di smascherarla, ma non lo fece. Se Francesca era un tipo molto impulsivo, vendicativo e cattivo quando voleva far del male ad una persona, Davide era diverso.
Dopo il primo, logico impulso di vendetta, aveva riflettuto molto; ne sarebbe uscito a testa alta e con dignità, prendendosi le sue piccole vittorie. Una, l’aveva già avuta con Bruto, pagandogli il debito e dimostrando che sapeva mantenere le sue promesse. Un’altra, doveva vincerla con Silvia.
Doveva ammettere che tutta quella storia di Francesca e del bambino qualcosa gli aveva insegnato: non era mai stato un ragazzo ambizioso, frenato anche da quel suo carattere un po’ timido, e le sue esperienze nel mondo non erano andate a buon fine tanto che lo avevano convinto di non essere abbastanza in gamba da potercela fare.
Inconsciamente, e solo dopo che la ragazzina se n’era andata, si era reso conto che stava scappando, proprio come l’aveva incolpata di fare, da tutte quelle che erano responsabilità.
Gli ci era voluto un po’ di tempo, forse troppo per capirlo, ma la storia della bionda l’aveva come riscosso dal suo stato passivo.
 
Il mondo non si cambia da solo, e non puoi lamentarti di una vita da schifo, se non hai mai provato a cambiarla.
È vero, il mondo è cattivo, ma nessuno ti compatirà per non aver ottenuto nulla, se non cerchi di stare al passo con gli altri. Magari potrai anche cadere. Ti prenderanno in giro, ti schiacceranno, ti insulteranno.
Ma se sarai onesto e tenterai con tutte le tue forze, avrai vinto l’unica battaglia in cui vale la pena di combattere.
Quella con te stesso.
E una volta che l’avrai dimostrato a te stesso, anche gli altri se ne accorgeranno.
E sarai un uomo.
 
-Grazie Davide. Sei sempre così gentile-
La ragazza gli rivolse un sorriso acquoso, triste, ma sincero.
Forse per la prima volta era riuscito ad ottenere un complimento sincero, grato. Era troppo tardi perché potesse suscitare qualche emozione in lui. Così come quella mattina, scoprì che il suo complimento e l’occhiata gentile che in altri tempi l’avrebbe fatto squagliare, lo lasciava totalmente indifferente.
Invece quella minigonna e il segno che vide con un guizzo spuntare sul suo collo, lo accesero di rabbia a tal punto che anticipò tutte le sue mosse.
D’un tratto posò, o per meglio dire gettò a terra il sacco, senza portarlo a destinazione.
-Beh allora ciao- disse.
Silvia si accigliò.
-Come ciao? Dove vai?-
-Me ne vado- disse lui risoluto, incominciando a slacciarsi il grembiule.
-Dove vai? Non è finito il tuo turno!-
-Me ne vado. Me ne vado per sempre-
Gettò il grembiule nero in grembo a lei, iniziando ad allontanarsi.
Silvia lo osservò stupita e sconcertata, e fu con lo stesso tono che un attimo dopo disse
-Ma non puoi andartene! Che farai?-
Davide, che già aveva cominciato ad allontanarsi, si voltò camminando all’indietro.
Ci pensò su un momento, poi rispose, allargando le braccia.
-Forse comprerò una barca, e me ne andrò a pescare. Forse mi metterò a costruire modellini in scala. Oppure farò quel corso per ragionieri che non ho mai fatto-
I due ragazzi si guardarono, e prima che lei dicesse altro lui le sorrise.
-Ci vediamo Silvia-
Si voltò di nuovo verso la strada, e le mani in tasca si allontanò dal bar, dalla ragazza che per un anno aveva tormentato i suoi sogni, all’uomo che aveva creduto suo amico e che invece l’aveva pugnalato indirettamente alle spalle. D’altronde, com’è che si dice?
Se uno vuole cambiare la sua vita, è meglio farlo alla grande.
Non si voltò indietro per darle un ultimo sguardo, completando così la sua vittoria su tutta la linea.
Aveva vinto senza dargli la soddisfazione di averlo battuto.
 
Francesca era seduta a terra, accanto allo zerbino, a braccia incrociate e gambe rannicchiate contro il petto.
Stava lì, in silenzio ad aspettare, senza sapere nemmeno lei cosa avrebbe detto o fatto; non aveva più nulla a cui appigliarsi, e come un allenatore che vede scivolare le speranze della sua squadra, buttava dentro il campo tutti i suoi attaccanti nella convinzione che non aveva nulla da perdere. Ed era così; non aveva più niente da perdere e quella era la sua ultima possibilità. Il palazzo era stato silenzioso, ostile ad offrirle qualsiasi aiuto, e lei stava zitta in quel silenzio assordante.
Mordeva il suo labbro inferiore come da copione, tentando di calmarsi.
Ma non ci riuscì; d’un tratto il rumore del portone, tre piani più sotto, e dei piedi che sbattevano sugli scalini le annunciarono l’arrivo di Davide. Si riscosse, si drizzò con la schiena e si preparò al discorso. Prima che lui arrivasse al secondo piano lei se lo ripassò ben bene.
Quando però incominciò a sentire i passi avvicinarsi, arrossì e agitata si scordò tutto, andando in panne. Inizialmente aveva pensato di andargli incontro, ma non riuscì a tenere fede al suo proposito. Si rese conto, con grande agitazione, che non era in grado nemmeno di guardarlo negli occhi.
Così non appena sentì che stava camminando su quel piano gettò immediatamente lo sguardo a terra, tesa.
Davide ritornava a casa da un giro fatto per il corso, a rilassarsi un po’ e a pensare al da farsi. Aveva una giacca nera aperta dalla quale tasca risuonavano le chiavi del portone. Camminò lungo il pianerottolo illuminato con le mani in tasca, sfilandole solo per afferrare il mazzo e farlo tintinnare. Arrivò nei pressi della sua porta.
Fu inevitabile non vederla. Il suo primo istinto fu quello di salutarla, parlarle. Ma in un secondo momento prese una rapida decisione.
Tirò dritto, tenendo la testa alta e fissa contro la porta. Troppo fissa per non far capire che cercava di ignorarla. La ragazza sentiva i suoi passi farsi vicinissimi e le guance avvamparle, e continuò a non guardarlo, osservando la pianta nel vaso dall’altra parte della porta.
Davide arrivò davanti al portone, e fece scivolare la chiave verso la serratura.
Francesca ascoltò il rumore senza alzare gli occhi, e capendo che la stava ignorando deliberatamente, strinse le palpebre; si decise a voltare di poco la testa, mandandola a cozzare contro una sua gamba. Dentro di sé, pregava tanto che la guardasse almeno.
Proprio quando stava per infilarla dentro, lui fermò il braccio.
Stette un po’ in silenzio a riflettere, chiedendosi quale fosse la cosa giusta da fare.
Se l’orgoglio maschile ferito gli suggeriva di mandarla al diavolo, la sua indole buona e paziente gli diede l’impulso di cedere.
E cedette.
Appese la chiave alla maniglia, poi lentamente, con molta calma, si abbassò.
Si chinò sulle ginocchia, scendendo scendendo fino a che non arrivò alla sua altezza. Voleva fare in modo che i loro occhi si incontrassero.
Il ragazzo appoggiò i gomiti sui ginocchi, lasciando penzolare le braccia. Poi le rivolse uno sguardo serio, da sotto in su.
Lei alzò finalmente il suo, unendo i loro occhi verdi e azzurri; timorosa e incerta sulla mossa da fare, aspettò che fosse lui a parlare.
Davide, sempre con molta calma, piegò la testa da un lato.
D’un tratto aveva tante cose da dirle, ma non gliene veniva alle labbra nemmeno una.
-Ciao- disse con voce calda e bassa.
Come se fossero solo due amici che si salutavano dopo tempo.
Francesca tenne gli occhi nei suoi, si drizzò di più avvicinandosi.
-Ciao-
Pronunciata quella parola, stette zitta, incapace di dire altro, dimenticandosi completamente di tutto ciò che aveva pensato. Teneva come un grosso magone, proprio all’altezza della gola, e sentiva che sarebbe scoppiato in poco tempo.
Continuarono a guardarsi. Davide pensò che la situazione rasentava il ridicolo. Dopotutto non erano mica due bambini.
Se era tornata, evidentemente aveva qualcosa da dirgli, e dalla faccia seria e preoccupata che aveva, non era una scemenza.
Un ciuffo biondo cadde sulla sua fronte, ostacolando il loro contatto visivo; lui glielo riportò a posto, reggendolo col pollice. Francesca era incapace di staccarsi dai suoi occhi.
Cercò di farla parlare.
-Ti sono mancato?- disse piano, continuando a tenere la mano poggiata sul capello che non voleva stare al suo posto.
Lei avvertì che il groppo saliva sempre più e gli occhi iniziavano a pungerle. Come quando si ha qualcosa di importante da dire, e non si riesce a parlare se prima non ci si è sfogati. E lei, che si era tenuta tutto dentro e non ne aveva parlato con nessuno, ora che aveva deciso di aprirsi e cercare aiuto, vedeva sovrapporsi tutte le cose, tutti i problemi convergere e confonderla.
Quando parlò, fece un grosso respiro per non incrinare la voce.
-Non è per te-
Orgogliosa fino alla fine, non voleva parlare di quello continuando a fissarlo, perciò spostò gli occhi sul pavimento grigio.
-è il bambino- disse in poco più che un sussurro, quando ormai non riusciva più a trattenersi.
Strinse gli occhi, respirando forte, e dalle palpebre serrate iniziarono a colare alcune gocce.
Il ragazzo, sentendo quelle parole e osservando la sua strana quanto inattesa reazione, andò subito a pensare ad una disgrazia.
-Il bambino? Perché, cos’ha?-
Francesca incrociò le braccia, stringendole forte, e lo guardò di nuovo. Ma il suo sguardo non era duro, forte e battagliero, strafottente e superiore come l’aveva conosciuto lui. Ora era acquoso, tremulo e debole. Stava per piangere.
Il che lo rendeva nervoso e agitato.
Lei alzò lo sguardo su di lui, senza nemmeno provare a nascondere le lacrime ormai evidenti.
-Gli mancavi- disse, facendo una smorfia e facendosi colare due lacrime lungo le guance.
Detto questo, iniziò a piangere.
La mano che il ragazzo aveva tenuto sulla testa si bagnò piano piano e questo lo fece scuotere. Incerto sul da farsi, turbato dalla sua reazione improvvisa, perché non si aspettava certo che si mettesse a piangere, si allontanò.
La guardò singhiozzare del tutto impotente, e si alzò lentamente; stupito, incredulo, spiazzato.
La ragazzina bionda piangeva, ma silenziosa, lasciando che le lacrime le colassero giù, non strillò, né urlò.
Era scossa da fremiti che a tratti, improvvisi, la colpivano e per quanto tentasse di trattenersi, le sfuggì solamente un singhiozzo più forte.
Davide non aveva la benché minima idea di cosa fare. Ma sapeva che non gli piaceva quella situazione.
Non gli erano mai piaciute le persone che piangevano, e non perché le considerasse pappamolli o robe del genere; semplicemente perché quando si trovava appunto, in una situazione del genere, non sapeva assolutamente che fare. Non sapeva se una persona voleva essere lasciata in pace, se voleva essere abbracciata, detta parole di conforto.
Trovandosi a disagio, desiderò che la smettesse.
-D’accordo, basta- disse deciso, le mani in tasca.
Ma lei non smise, e continuò a versare lacrime in silenzio.
-Basta, smettila di piangere- riprovò lui.
Ma non ci riusciva. Ricordò allora che le volte che non sapeva mai come prendere la ragazza, la prendeva a muso duro, per farla scuotere e riflettere. Pensò quindi di usare  lo stesso metodo in quella situazione.
-Smetti di piangere-
Questa volta lo disse quasi scocciato, arrabbiato, alzando di più la voce. La bionda lo guardò, interrompendosi e alzando la testa. Schiuse la bocca, impaurita d’un tratto che lui la cacciasse.
Aspettò che parlasse.
-Alzati, forza- proseguì lui, tendendole la mano.
Lei afferrò il palmo e si tirò su, ancora debole e tremante, mettendosi di fronte a lui.
Come se in quel momento vedesse anche la sua ultima speranza scivolare via veloce, irraggiungibile, il magone che si teneva stretto si gonfiò ancora. Stavolta non fu brava come prima a frenarlo. Di nuovo strinse gli occhi, riempiendoli di lacrime.
Un fremito la travolse, e siccome non aveva sostegno, sbatté contro il torace del ragazzo per reggersi in piedi e ricominciò a piangere. Davide non la fermò o la accolse o la respinse. Metabolizzò lentamente le lacrime che ora gli bagnavano la maglietta, e la ragazzina che gli piangeva addosso.
Francesca aveva trattenuto per un mese e oltre tutte le emozioni che le suscitavano i fatti. Il bambino, Damiano, la serata in discoteca, la paura che gli altri scoprissero il suo segreto, i dolori, il vomito, la testa che le girava. Nessuno, nessuno l’aveva aiutata a parte lui.
Nessuno si era preoccupato di sapere come stesse, cosa ne pensasse.
E poi quella fatica, la sensazione di impotenza e debolezza che le impediva di fare tutto.
Bruno che faceva di tutto per sbrigarsi a far morire il bambino. E poi quella parole che gli aveva gridato:
‘Scappi, scappi pur di non sentire’, ‘Credevo tu fossi una donna coraggiosa’, ‘Sei solo una ragazzina’.
Sembrava che non le importasse, ma al contrario ci aveva tanto pensato. Tanto tanto. E mentre avveniva dentro di lei quella devastante tempesta di emozioni, fuori era sempre la stessa, o almeno provava ad esserlo, per non mostrarsi debole e vulnerabile.
Quella era una cosa che poteva controllare, avendo una straordinaria testardaggine e forza di volontà. Ma piano piano, dai lati del muro, le tante crepe avevano incominciato ad allargarsi. Allargarsi sempre più fino a che il muro stesso non aveva cominciato a scricchiolare.
Poi il bambino aveva dato il suo personale segnale, facendosi sentire da dentro la pancia dalla mamma. E lei, la ragazzina, era rimasta totalmente confusa e in balia di se stessa.
Incapace di prendere una decisione, aveva bisogno di qualcuno a cui importasse veramente; di qualcuno che la sostenesse; o magari semplicemente di uno che la ascoltasse e consolasse.
Perché dopo le tante crepe, il suo muro si andava lentamente sgretolando, e Francesca aveva paura a scendere in campo senza il suo scudo.
Davide non la abbracciò, come forse avrebbe dovuto fare, ma guardava dritto la porta di casa, ascoltando il suo pianto impercettibile; quel pianto lo faceva stare male.
Sentiva che, in qualche modo, ne era lui la causa e non poteva sopportarlo.
Forse aveva capito la sua muta richiesta.
Lasciò che si sfogasse per un altro poco, finché non sentì il suo pianto scemare e le lacrime diminuire. Il respiro affannato e spezzato che batteva contro il suo petto divenne mano a mano più regolare, segno che stava un po’ meglio.
Quando la sentì calma, pensò al da farsi.
Lentamente poggiò una mano, la sinistra, sul suo fianco, e la destra la fece scorrere piano fra i suoi capelli fino ad arrivare al collo.
Fece pressione per spingerla via, e la allontanò di poco.
Lo guardò intensa, aspettando la sua mossa, ma poi Francesca abbassò lo sguardo, pronta ad un rifiuto.
Ma Davide si abbassò, continuando a tenere la mano sul suo collo, in modo da vedere i suoi occhi. Incontrandoli la fissò per un lungo momento.
Poi, come se avesse preso la più difficile e sofferta delle decisioni, disse piano, con la stessa voce calda e bassa che aveva usato prima
-Non farlo più-





Ecco, siamo arrivati a metà storia. Grazie a chi legge, chi commenta e chi ha inserito la storia nei preferiti.

MissQueen: D'accordo, analisi logica:
1)"Sei un genio": ....macchè....  2) "apetto che Francesca e Davide tornino insieme": come direbbe Davide 'io e Francesca non siamo fidanzati!'. Ma questo è quel che crede lui. 3)"Non sai quanto mi è dispiaciuto x quella storia di Silvia e Bruto... povero Davide...": ebbene sì, che infami che sono stati.
4)"Ke dire, amo qst FF!": beh, ti ringrazio molto. Grazie d'aver recensito.
P.S.: mi dispiace per 'Vernice fresca', avevo anche pensato di cancellarla però...

Jiuliet: Credo che risponderò in modo molto diplomatico, e cioè che l'uomo non sarebbe niente senza una donna, è vero, ma anche le donne hanno bisogno degli uomini. Come vedi si sono ritrovati ed è andata anche abbastanza bene, direi...

FeFeRoNZa: grazie per i complimenti. Visto? Ogni giorno s'impara qualcosa... non so se è merito delle mie cugine se riesco a descrivere il mondo femminile abbastnza bene, ma sono molto contento di esserci riuscito.

wanda nessie: ma no, dai, che vuoi che sia? Non mi sono mica offeso! Ok, anche io risponderò con sette parole per non fare figuracce: grazie d'aver recensito. Continua a leggere.

Devilgril89: Damiano non è ispirato ad una persona reale come i due protagonisti. Sono contento che abbia i suoi fans perchè facendolo nascere nella mia mente volevo creare un 'papà', un po' diverso. Insomma, in tante storie i genitori che adottano i bambini sono persone orribili, ma non sempre è così, anzi, a volte sono i 'figli' ad essere cattivi con loro. Credo che da questo momento Francesca non potrà fare altro che migliorare, perchè il fondo l'ha già toccato, no?  [ma quale MR.Perfezione....?]

Emily Doyle: beato fra le donne non è corretto, perchè ho un fratello e altri undici cugini maschi di primo grado, quindi siamo pari... allora... evviva Davide!


  
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