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Autore: KillYourDarlings    10/05/2016    0 recensioni
[ ... ] lo additavano. E ridevano. E scuotevano la testa.
L'ultima volta che rimedio ai tuoi casini, non voglio che tu mi deluda.
Lo sai cosa succede, quando sono deluso.
Il disonore di una famiglia onorevole.
Tutta colpa tua.
Non abbastanza.
Guarda cos'hai fatto.
Signor Prescot..
Questo è troppo.
Nathan nella camera oscura.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nathan Prescott, Victoria Chase
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I can't seem to face up to the facts
I'm tense and nervous and I
Can't relax
I can't sleep 'cause my bed's on fire
Don't touch me I'm a real live wire

 



Nathan nella camera oscura.
Nathan nella camera oscura.
Nathan nella camera oscura.
Percepì un pizzico sottile sul collo niveo e longilineo, una puntura inaspettata ed il flusso liquido della sostanza sfrigolare nelle vene, attraversarle con una lentezza esasperante. Ne avvertì nettamente l'incedere inarrestabile dento di sè, il bruciore dei tessuti maltrattati, la repulsione di questi ultimi che però si arrendevano all'ineluttabilità del loro mesto destino perché ovviamente incapaci di sovvertire le leggi della biochimia. La mano temante corse per istinto a massaggiare la pelle ma non percepì sotto i polpastrelli il leggero rigonfiamento in corrispondenza del foro dell'ago, ritrovò se stesso intatto e più volte ebbe l'ardire di controllare: nessuno lo aveva defraudato della sua lucidità.. Eppure perché sentiva di non riuscire ad afferrarla a piene mani, di non riuscire a connettersi ad una realtà che era diversa da quella violenta e volgare che la sua mente aveva proiettato sul fondo delle proprie palpebre dolorosamente serrate?
Nessun bianco accecante a fare da sfondo alla propria posa scomposta, nessun faretto fluorescente e nessun telo diffusore, l'impianto stereo languiva inutile in un angolo inaccessibile della propria stanza e tutto era buio. Gli angoli della camera erano inaccessibili per le pupille dilatate e che si agitavano senza requie dietro le ciglia frementi, gli occhi soltanto socchiusi infine si spalancarono per tentare di carpire qualcosa, un dettaglio, rimase tutto fuori dalla sua portata. Si sentiva circondato da una barriera invisibile e densa, irretita dal proprio solido e scalciante senso di inadeguatezza, si sentiva sperduto in una linea fatta di realtà parallele che gli impedivano di sfiorare deliberatamente quella realtà che invece vivevano tutti gli altri. Era solo, e nessuno lo capiva, a volte non si capiva nemmeno lui. Le dita sottili si protesero vero quell'oscurità mitigata soltanto dalla luce mite ed inconsapevole dei lampioni piantati in cortile, fese l'aria con un ringhio gutturale, si ritirò di scatto quando un movimento sfavillò fugace in un punto imprecisato e periferico del suo campo visivo. Incorporeo, impossibile da catturare consapevolmente, costrinse le braccia spaventate a ritirarsi ed i pugni serrati a chiudersi attorno ai capelli biondi e definitivamente privi di piega. Nulla sembrava intrappolarlo, eppure avrebbe giurato su qualsiasi cosa, su chiunque e su un Dio che gli era stato insegnato a disprezzare di essere costretto contro quell'armadio, seduto su quel pavimento, in quella sbavata e brutta copia della realtà altrui.
Nathan nella camera oscura.
Le pareti si chiusero come un guscio mortifero attorno a lui, il crudo sadismo di una Vegine di Norimberga, presto sarebbe stato trafitto. Qualcosa lo pugnalò al petto e gli spezzò il respiro, glielo estirpò direttamente dalla gola e non fu nemmeno capace di indentificare l'origine di quel dolore così pulsante da non fargli dubitare neppure per un istante che potesse non essere reale.
Nathan nella camera oscura.
Sono molto deluso da questo tuo comportamento, Nathan. Non voglio che tu mi deluda.
Lo aveva detto davvero? Forse no, forse era una sua impressione, la sua voce assomigliava davvero così tanto a quella di suo padre? Dio.. Dio, era così confuso, tutto così confuso..
Deludeva chiunque. Deludeva sua madre, che non parlava di lui alle amiche, deludeva suo padre che non parlava di lui ai colleghi.. Deludeva se stesso e l'immagine di sè che la società aveva contribuito a creare basandosi sul proprio cognome, la tradiva, tradiva le aspettative e la fiducia ed era così arrabbiato, era tutto così frustrante.. Deludeva lui, non voglio che tu mi deluda Nathan, sono molto deluso. Non voglio. Deluso. Nella camera oscura.
Strinse contro il petto le ginocchia e sentì di non avere altra scelta, i muri adornati dai propri lavori e dai mobili rimasti, ironicamente, immobili al loro posto non gli lasciarono tregua, lo costrinsero in un angusto spazio nel quale era difficile persino continuare a respirare. Il fiato raschiò la gola ed i polmoni, ebbe la sensazione di non essere abbasanza grande neppure per contenere la quantità di ossigeno di cui necessitava per poter sopravvivere, erano tutti molto delusi.
Le voci si confusero, assunsero forme indefinite, nere si stagliarono su uno sfondo del medesimo colore eppure erano vivide, spaventosamente chiare, definite, grottesche. E lo additavano. E ridevano. E scuotevano la testa.
L'ultima volta che rimedio ai tuoi casini, non voglio che tu mi deluda.
Lo sai cosa succede, quando sono deluso.
Il disonore di una famiglia onorevole.
Tutta colpa tua.
Non abbastanza.
Guarda cos'hai fatto.
Signor Prescot..
Smettila di comportarti così.
Cos'hai che non va?
Questo è troppo.
Nathan nella camera oscura.
«Basta..»
Un gemito sofferente si arampicò sino a sgorgare dalle labbra esangui e screpolate, una supplica spudorata e debole che si disperse nel silenzio di una stanza che gli appariva affollata, gremita da giudizi che severi aleggiavano sopra di lui senza dargli tregua. Basta, ripetè in una nenia incessante e patetica, basta e le lacrime rigarono le guance ancora glabre senza che lui potesse accorgersene o pensare di prendere provvedimenti a riguardo. Sugli abiti e sul pavimento gocciolò quell'impotente disperazione che come una cappa lo soffocava, nella voce atona e stridula si riversò una consapevolezza che lo distruggeva e lo logorava, giorno dopo giorno.
Gli parve di vedere degli occhi, chiuse i propri, basta vi prego, basta..
Il figlio che non avrei mai voluto.
Non smisero, il soffitto stava calando come una falce mortifera sulla sua testa reclinata in avanti e nascosta sotto le braccia, un cubicolo di accuse innominabili e compromettenti senza via di scampo, senza possibilità di fuga e redenzione.
Sei pericoloso.
Non tacquero, lo additarono, voci che desiderava solo compiacere e sguardi che invece non facevano altro che opprimerlo, due universi separati, diametralmente opposti, si mescolavano in un grumoso impasto mai omogeneo eppure inscindibile, due realtà che non poteva comparare se non in quel preciso istante, con il loro ricordo impresso a fuoco sulla pelle.
Sei pazzo.
Basta, e questa volta si accorse di aver gridato. Lasciatemi in pace, per favore, mi dispiace, lasciatemi in pace.. Basta. Tregua. Vaffanculo cazzo, vaffanculo, sono stanco. Si mosse e tutto si dilatò ancora una volta, come un elastico si distese ed allo stesso modo presto schioccò all'indietro sino a fargli male, ma fu un dolore salvifico e catartico. A stento si era reso conto di essersi trascinato verso la scrivania, di aver nell'atto rovesciato la bottiglia di rum che era rimasta fortunatamente vuota a giacere accanto ai propri piedi, si rese invece perfettamente conto della lama di quel taglierino che affondava nella carne tenera e già rovinata delle braccia scoperte. Fu essenziale, vitale, la sua ancora di salvezza, la lama scorreva sulla pelle ed il sangue scivolava verso il basso e loro tacevano, lo lasciavano in pace, saziati da quel tributo ammutolivano e lo lasciavano solo con la sua rabbia ed il modo in cui si accaniva su se stesso per sfogarla, per punirsi, per agganciarsi di nuovo a quel Mondo che a volte sembrava rifuggire a sè come disgustato.

Non aveva udito la porta schiudersi, scivolare sui suoi cardini perfettamente oliati ed i passi di lei resi impalpabili dalla propria alienazione. Concentrato su quel silenzio che si sforzava di preservare non aveva modo di guardare altrove, di badare allo scorrere del tempo ed all'incalzare degli eventi.. Esci con noi stasera, ci divertiamo. Aveva promesso di farlo, poi loro erano giunti per torturarlo e non ne aveva più avuto il tempo, la voglia, a dire il vero la sola e concreta possibilità. Victoria era andata a cercarlo e non fu stupita di ritrovarlo in quelle condizioni, l'amarezza che le chiudeva lo stomaco, quella derivata da una consapevolezza e dall'abitudine mai metabolizzata. Era un sentimento che ancora riusciva a turbarla.
«Nate..»
Lo chiamò sottovoce, un'inflessione dolciastra che quasi stonava con l'immagine che la Blakwell aveva di lei, un'inflessione riservata solamente a lui, una docile condiscendenza che nessun altro meritava: non le sue amiche, non gli altri miseri elementi che frequentavano l'accademia.. Soltanto Nathan. Nathan e quei suoi terrificanti problemi, Nathan e la sua fragilità che era così dolorosamente simile alla propria da farla sentire sempre e costantemente nuda al suo cospetto, Nathan al quale si accostò cautamente ma senza timore alcuno. Era il suo migliore amico -si costrinse a definirlo in quel modo, in altri momenti avrebbe trovato spazio per permettere alla propria insofferenza di dilagare ma non ora-, era la persona più cara che avesse, poteva davvero pensare di non fidarsi? Non ottenne risposta, non le importò, lo stereo che prima aveva tanto destato la sua attenzione rimandò un tenue bagliore all'accensione, quando il tasto play cedette sotto la pressione dell'indice un suono conciliante ed apparentemente vacuo si disperse nella stanza. Gorgheggi profondi e che davano l'impressione di provenire da luoghi remoti e da tempi lontani, il fruscio silenzioso delle onde in sottofondo, acuti e poi al contrario grevi, imprevedibili, colmi di slanci che era difficile seguire consapevolmente. Lo calmavano, i canti delle balene possedevano il potere di lenire i suoi nervi sempre tesi, le sue paure più profonde, di quietare seppur momentaneamente le sue ansie.. Che diavolo di persona contorta era, a lei facevano venire i brividi.
Gli si sedette affianco infine, e fu a quel punto che lui si accorse realmente di non essere più solo, di aver avuto accesso alla realtà di tutti e di essere momentaneamente riuscito a rinchiudere altrove quell'altro universo abitato dai suoi affezionati demoni. L'aveva guardata quando aveva iniziato ad armeggiare con lo stereo, prima, ma una patina trascendentale ed opaca aveva reso il suo sguardo vitreo e immobile come quello di qualcuno che osserva il vuoto.. Ora la vide davvero.
Fu strano ritrovarla accanto a sè, Nathan sussultò visibilmente ed il tremore delle gambe si accentuò, i movimenti implacabili delle stesse si acuirono ma non la scacciò in alcun modo. La guardò con uno stupore terrificante, elegiaco, nascose le braccia ferite e sanguinanti fra il petto e le cosce, si fece piccolo al suo cospetto e si sentì tale quando il suo braccio gli cinse le spalle. Trovò comodo appoggio contro la sua spalla e lì languì in uno strano torpore agitato ma di un'agitazione che era troppo stanco per esprimere, troppo ubriaco forse..
«Mi dispiace, mi dispiace.. Basta, ti prego..»
Nessuna risposta, un sospiro discreto, la guancia rosea di Victoria premuta fra i propri capelli scompigliati. Basta, questa volta tutti accondiscesero.


 

You start a conversation you can't even finish it.
You're talkin' a lot, but you're not sayin' anything.
When I have nothing to say, my lips are sealed.
Say something once, why say it again?

 

   
 
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