Serie TV > NCIS
Ricorda la storia  |      
Autore: nikita82roma    15/05/2016    1 recensioni
Quando si vuole cambiare qualcosa perché ci si accorge che la vita non va come dovrebbe, la cosa più facile da fare è cambiare tutto. Una proposta di lavoro strana, improvvisa ed il viaggio per raggiungerla. Quale strada è meglio percorre, quella più veloce o quella più bella?
Una mia versione un po' particolare di quello che farà Tony una volta lasciata l'NCIS
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anthony DiNozzo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ad Abu Dhabi ho solo il tempo di scappare da un aereo all'altro girando in questo aeroporto. Incenso, profumi speziati, mandorle tostate, caffè e pollo fritto: gli odori si alternano uno dietro l'altro mentre cerco il mio gate in questo scalo affollato. Muscat, Oman, destinazione finale. Almeno del viaggio in aereo.

“È ora che scegli la tua strada”. Gibbs mi aveva detto solo questo, al termine dell’ennesimo caso che mi aveva lasciato un segno ancora più profondo. Ormai sembrava che ogni caso fosse qualcosa di personale e perdevo sempre più lucidità, invece di riacquisirla. Anzi, perdevo me stesso. O forse mi ero già perso e dovevo ritrovarmi. “Scegli la tua strada”. Gibbs non parlava tanto, bastava una frase a farti capire tutto e lo sguardo con cui l’accompagnava. Non c’era bisogno di spiegazioni a quello che diceva.
Non sapevo se questa era la mia strada, ma era una strada, una strada diversa. Mi faceva male percorrerla, perché stavo lasciando le persone più importanti della mia vita, ma finalmente tornavo a respirare. 
Li avevo messi in pericolo tutti con il mio comportamento: avevano sparato a McGee e solo perché io non ero stato abbastanza concentrato in quello che facevo. Era andata bene, ma poteva essere una tragedia. Gibbs non disse niente. “Vai a casa, ci vediamo domani” e quel suo tono calmo, quasi gentile, mi preoccupò più di una sua sfuriata. Non fu più nulla come prima. Non tra me e lui, che anzi, più di una volta mi aveva ripetuto che non era colpa mia, ma tra me e me stesso. Non potevo accettare che per i miei turbamenti le persone più importanti della mia vita fossero in pericolo. Se le persone più importanti della mia vita, alla mia età, erano i miei colleghi, solo i miei colleghi, vuol dire che qualcosa non andava. Non potevo cambiare la mia vita se prima non ritrovavo me stesso e allontanarmi da tutto mi sembrava l’unica soluzione possibile. Agii d’istinto, come sempre avevo fatto, c’era chi diceva che l’istinto era una delle mie qualità migliori. Agii da DiNozzo, senza pensare troppo alle conseguenze ed accettai la proposta.

Ora sono a bordo di un aereo, seduto tra due uomini arabi, molto distinti ma così diversi tra loro. Entrambi vestiti di bianco, ma uno con un candido velo con i lembi arrotolati sul cordino nero, pizzetto ben curato, lineamenti morbidi: Rolex, occhiali da sole di Gucci nel taschino, gemelli ai polsi, scrive qualcosa con la sua Montblanc su un foglietto.
Dell'altro, seduto vicino al finestrino, la prima cosa che si nota è il turbante dalle sfumature viola e verdi avvolto sulla testa a formare un nido, il vestito è più semplice, ma da un pennacchietto che scende dal collo proviene un profumo buonissimo, di sandalo, muschio e incenso. I suoi lineamenti sono più marcati, quasi duri, tiene lo sguardo basso anche quando l'hostess orientale, molto carina, gli passa una salvietta rinfrescante. Ringrazia timidamente mentre l'altro più sfrontato, lo vedo squadrarla bene mentre torna indietro soffermandosi sul fondischiena e si lascia scappare un ghigno beffardo, come avrei fatto anche io, qualche tempo fa.
Non potrebbero essere più diversi questi due arabi, ma lo avrei scoperto presto, gli omaniti sono così: timidi, riservati ma di gran cuore. Sono meno sfacciati dei loro "cugini" degli emirati: non ostentano ricchezze e lusso.
Quando pensa che non mi accorgo, vedo che mi guarda, curioso. Poi mi chiede se andavo a Muscat in vacanza.
"Lavoro" rispondo, tenendomi sul vago.
Mi da il benvenuto nel suo paese e mi dice che se avrò la possibilità dovrò assolutamente andare a vedere dei posti che mi elenca, felice di spiegarmi le bellezze del suo paese. Ne parla orgoglioso.

Scendiamo. L’aeroporto è molto più piccolo e la fila alla dogana enorme. Vedo un uomo con un cartello "Mr Anthony DiNozzo" mi avvicino. È basso, ha gli occhiali, un turbante sulle tonalità del blu. Mi da il mio visto e mi accompagna ad un desk senza fila. 
Il doganiere controlla il mio passaporto, storce un po' la bocca quando vede i visti di Israele e lo faccio anche io scuotendo la testa per far scivolare via ricordi lontani che ancora bruciano. 
Mette un timbro, scrive qualcosa e mi saluta cordialmente. 

Appena arrivo ai nastri dei bagagli, trovo Il piccolo uomo che si chiama Jamal, sorridente, che mi chiede quali sono i miei: glieli indico e non faccio in tempo a prenderli che lui si è già caricato i miei trolley e sta andando verso l'uscita, facendosi strada tra gli indiani che sono ovunque. Altro metal detector. Altri indiani che si abbracciano, si salutano, piangono e urlano. Stride la loro teatralità con la compostezza dei locali. 

Jamal mi dice di seguirlo al parcheggio, dove ha la sua auto. Come metto un piede fuori dall’edificio, oltre che da altri indiani, vengo inondato da un caldo umido soffocante. Sono le dieci di sera e sudo come se fosse pieno giorno. Mi dovrò abituare.
Jamal corre veloce con tutti i miei bagagli attraversando la strada tra taxi, pullman, fuoristrada e pickup. Lo seguo e come prima cosa mette in moto ed accende l’aria condiziona della macchina, cosa che poi vedrò fare a tutti e la temperatura che c’è lascia subito intendere il motivo, poi scende e mette via i bagagli. Mi vuole far salire dietro, ma gli dico che non c’è problema e salgo vicino a lui. È simpatico, ride sempre, mi porta al mio hotel ad un quarto d’ora dall’aeroporto, si preoccupa di farmi fare il check in e poi mi saluta calorosamente, come se ci conoscessimo da sempre, probabilmente, invece, non lo vedrò mai più. Domani sarebbe venuta un’altra persona per portami a destinazione.

Quando scendo nella hall con i bagagli, trovo Malik già lì ed il suo fuoristrada bianco, come praticamente tutti qui, fuori dall’hotel. Anche Malik mi accoglie con un gran sorriso, mi chiede come sto, si preoccupa che tutto sia ok: la prima cosa che mi colpisce di lui è il vestito, non la la tunica bianca, ma color sabbia ed un turbante rosso e marrone, con delle sfumature color oro.
Bagagli dietro, io davanti e come prima cosa mi fa vedere dove tiene l’acqua fresca. Alle 8 di mattina sono già 30°. Il fuoristrada è grande, nuovo, spazioso. Ha il cambio con le marce e la cosa mi colpisce. Gli chiedo perché e mi risponde con l’espressione di chi spiega l’ovvio, che chi sa guidare nel deserto guida con le marce, perché se ti insabbi poi puoi uscire. Parliamo. Molto. Lui è molto curioso e socievole. Avremo da fare molte ore insieme per arrivare al porto di Duqm, la mia destinazione. Mi dice che dopo l’Eid si sposerà con una cugina, il matrimonio lo ha organizzato la madre. Indica l’anulare sinistro e mi chiede perché alla mia età non sono sposato ma non so cosa rispondergli. “Sai, è la vita, il lavoro…” Mi chiede se mi manca non avere una famiglia e dei figli. “A volte” rispondo tenendomi vago. Non lo so nemmeno io se mi manca, probabilmente sì, ma non ho mai fatto niente per fare il contrario, non posso lamentarmi. Me ne sono solo accorto tardi.

Arriva un momento che senti di dover cambiare qualcosa nella tua vita e se pensi a cosa vuoi cambiare ti ritrovi, invece, a cambiare tutto, perché forse è più facile così. Non so nemmeno perché sono venuto qui, perché per almeno sei mesi starò in questo avamposto sull’Oceano Indiano a vigilare sui Marines che sbarcano e si imbarcano per le missioni antipirateria tra Oman e Somalia. Duqm. Nemmeno sapevo che esisteva un posto chiamato così. Sei mesi. Per capire cosa fare di me. Vance mi ha detto che è un’opportunità, che c’è anche la possibilità che nei prossimi mesi visto l’intensificarsi dei rapporti tra il nostro paese ed il Sultanato, qui ci possa essere anche una squadra d’appoggio per coordinare le missioni in Medio Oriente e a quel punto “tu saresti il primo candidato per dirigerla”. Ma non so se lo voglio veramente, se voglio continuare a fare questa vita, se posso stare veramente qui e per quanto tempo.

La strada è grande, a tre corsie, spacca una montagna dalle molteplici sfumature: nero, rosso, rosa, giallo, verde. Malik dice che dipende dall’ossidazione. Finite le montagne è deserto roccioso a destra e mare a sinistra. Continuiamo così per molti chilometri. Ogni tanto si vede adagiato sulla spiaggia, nelle insenature, qualche villaggio di pescatori e qualche oasi tra le montagne dall’altra parte, dove il verde spacca la montagna brulla. Malik qualche volta si accosta, abbassa il finestrino, il caldo invade l’abitacolo, ma lui è imperterrito, mi indica un punto sperduto tra le rocce per farmi vedere uno orice o un uccello particolare e comincia a guidare piano, ai bordi della strada, per farmelo vedere meglio. Malik si meraviglia delle piccole cose che vede ogni giorno e lo invidio, perché io questo l’ho perso da tempo. Controllo spesso il cellulare per assicurarmi che ci sia campo anche lì, in mezzo a quello che a me sembra il nulla, Sono sempre raggiungibile, la cosa mi da sollievo fino a che non penso che tanto non mi chiamerà nessuno: non ci sarà un “capo” che mi chiederà di sbrigarmi per raggiungerlo.
Appoggio malinconicamente la fronte al finestrino e sento il vetro caldo, indice di quella che è la temperatura all’esterno. Il mio autista ora è più silenzioso, forse si accorge che sono immerso nei miei pensieri e rispetta la mia privacy. Musica araba piuttosto allegra fa da colonna sonora al nostro viaggio e lui canticchia appena, forse per paura di disturbarmi. 
Non mi accorgo nemmeno che ci fermiamo fino a quando sento il vento caldo entrare in auto quando Malik scende, rientrando poco dopo con un bicchiere bianco ed una cannuccia rossa. Mi dice di bere, che è buono e fa bene: è una specialità del posto. Lo prendo toccandolo appena, istintivamente, per paura di non scottarmi come se fosse il mio solito bicchiere di caffè e a porgermelo non fosse questo ragazzo che conosco da qualche ora. Invece è freddo ed il sapore di limone e menta mi riporta alla realtà che ho scelto. Un bicchiere identico può contenere tante cose diverse.
Malik prima di ripartire mi chiede se sto bene e se ho bisogno di qualcosa. Si preoccupa se la macchina sia confortevole, se avessi fame o volessi qualcosa di diverso da bere. Sì, vorrei un caffè, uno di quegli schifosissimi caffè di quella schifosissima macchinetta dell’ufficio che ora mi manca e sarebbe la cosa più buona del mondo, anche se sa di bruciato. Ma lui non capirebbe, quindi gli dico che è tutto ok e che sto bene così. Mi guarda poco convinto della mia risposta.
Mi chiede se sono triste e gli rispondo sincero: un po’. La sua risposta mi spiazza, mi chiede se può fare qualcosa per me. Gli sorrido ringraziandolo dicendogli che è solo un momento, non si deve preoccupare, pensavo agli amici.
Riprendiamo il viaggio e la strada diventa più piccola, ma sempre ben asfaltata.
Lui mi spiega che di solito accompagna i turisti che sono in vacanza e sono sempre tutti molto allegri, quindi gli sembra strano viaggiare con me. Sembra strano anche a me viaggiare con lui e ci tengo a precisare che di solito non sono così, sono più allegro, ma è un periodo particolare. Non so perché, ma gli racconto di me, di quello che ero e di quello che sto per fare, di come ho lasciato la mia vita in America per ricominciare da qui, solo per la voglia di cambiare, senza un perché preciso. E che ora ho tanti dubbi se la scelta sia giusta. Lui mi ascolta, non mi risponde, forse non sa cosa dire. Poi rompe il silenzio, sembra averci pensato molto “Se non ti piace, puoi sempre tornare a casa”. La sua semplicità mi sconvolge e mi rendo conto di quando sono diversi i nostri modi di vivere.

Attraversiamo un villaggio, un gruppo di case e piccoli negozi che costeggiano la strada e tagliano il deserto, di sabbia adesso. Malik improvvisamente lascia la strada asfaltata ed entra nel deserto. Non capisco, gli chiedo perché, e mi dice che per arrivare a Duqm attraversare il deserto è più bello.
Dico che devo andare a Duqm per lavorare, per la prima volta un po’ spazientito, io non sono un turista! Lui non si scompone,  non cambia strada, mi dice che non è un problema ci metteremo solo poco di più. “Il deserto è bello”, come se questo giustificasse tutto, anche il tempo perso. Per lui il deserto è bello. Io tutti i ricordi che ho di deserti sono tutt’altro che belli, parlano solo di morte e dolore. Come può il deserto essere anche bello?

Poi rifletto. È veramente tempo perso quello passato attraversando un deserto per arrivare ad un porto? È tempo perso quello passato a cercare il bello nella vita? Un bello che a noi ci sfugge, perché non riusciamo a vederlo e siamo condizionati dai nostri preconcetti?
Il sole è perpendicolare sopra di noi, Malik fa scivolare il fuoristrada sulla sabbia come se fosse la cosa più normale del mondo. Si è tolto la cintura di sicurezza, allentato il turbate, sorride guidando, è libero. 

Ci avviciniamo piano ad una tenda, c’è un uomo, fuori che sta cuocendo della carne su una griglia improvvisata, un recinto di cammelli poco più in là dove ci sono solo dei piccoli, e dei bambini seduti fuori all’ombra di una tettoia. Si salutano calorosamente, mi invita a scendere. Affondo sulla sabbia e le mie scarpe eleganti si riempiono. Le tolgo all’ingresso. Mi sento a disagio nel mio completo grigio, fortunatamente almeno non ho messo la cravatta. Dentro la piccola tenda mi sorprende il fresco di un condizionatore ed una donna con una maschera al volto ed un bambino in braccio. Malik mi indica dei cuscini per sedermi a terra lui fa lo stesso vicino a me. L’uomo che prima cucinava la carne mi offre uno strano caffè in una minuscola tazzina di ceramica. Mi dice di mangiarlo con i datteri. Ringrazio e lo prendo. E’ poco più di un goccio, è forte, non zuccherato e sa di cardamomo ed altre spezie. Sorrido mentre lo bevo e penso ad Abby e ai suoi litri di CafPow, chissà cosa ne penserebbe.
L’uomo ci porta dei piatti con del riso e la carne cotta poco prima. Mi dice che è cammello, sa di manzo ma è più morbido. Mangio tutto non solo per non offendere chi ci sta dando ospitalità, ma perché è buono.
I bambini curiosi entrano nella tenda e per nulla intimoriti dall’estraneo mi vengono intorno e mi riempiono di domande, soprattutto il più piccolo decide di sedersi in braccio a me, mentre aspetto Malik che è andato a pregare. La donna dall’altra parte della tenda sorride sotto la maschera mentre quello che è evidentemente l’ultimo nato della famiglia, le dorme tra le braccia. Quando Malik torna mi dice che dobbiamo andare. Saluto i bambini, ringrazio e ripartiamo. Gli dico che i suoi amici sono molto gentili, lui mi risponde che non li conosceva, gli aveva solo chiesto se potevamo mangiare con loro. “Tra beduini ci si aiuta”. 

Capisco Malik. Lui è di lì, è beduino, per questo il deserto è più bello. Mi racconta che quando è stanco, lui guida nel deserto fino ad una duna e dorme lì, sulla duna. Malik dorme sulle dune per rilassarsi. Gli amici lo chiamano il “Re del Deserto”, ma non perché la sua tribù, gli Al Wahibi, è la più importante, perché è il più bravo a guidare e glielo riconoscono. Si orienta nel nulla guardando l’orizzonte, sceglie la pista migliore, sente la sabbia, scivola via tra una duna e l’altra dolcemente.
E’ quasi il tramonto, abbiamo viaggiato dalla mattina, ma lui non è stanco di guidare, nel deserto non si stanca mai. Fa molto caldo fuori, ma lui sceglie una duna più alta delle altre, ci arrampichiamo con il fuoristrada, parcheggia e mi fa uscire. Butto via la giacca nel sedile posteriore, mi slaccio un altro bottone della camicia, arrotolo le maniche. Il sole ancora brucia sulla pelle, ma tira un vento leggero, che smuove appena la sabbia formando piccole onde che cambiano di colore a seconda dei raggi del sole e quella che sembrava dorata diventa rossa, senza che te ne rendi conto.
Si mette seduto sulla sabbia sul bordo della duna a fumare una pipa beduina, due tirate poi butta il tabacco si fa così, mi fa sedere vicino a lui e me la fa provare. Quasi mi strozzo e lui ride di me. Ed anche io rido di me stesso adesso e mi piace sentirmi ridere, con la risata che si perde nell’infinito vuoto. Aspettiamo il sole che tramonta.

Penso che ho fatto bene a venire via da Washington anche solo per vedere un tramonto così, con un ragazzo beduino che sceglie una strada per arrivare alla meta solo perché è più bella, non perché è più rapida, che guida piano per vedere un animale, che si gode un tramonto che avrà visto ogni giorno della sua vita come se fosse la prima volta.
Mi tolgo le scarpe e le calze. Rimango a piedi nudi ed è piacevole affondare, vedere che ad ogni movimento una piccola scia di sabbia scende dalla duna fino alla valle sottostante. Così sbatto i piedi sul bordo, più volte, come un bambino e guardo tutte quelle scie rincorrersi. Sorrido, leggero. Immergo le mani nella sabbia ancora calda e la stringo, lascio i granelli scivolare via dalle dita leggermente sospinti dal vento. Mi guardo intorno e vedo la vastità del nulla. Non ne sono spaventato, mi sento bene. Non mi fa più paura, niente morti e torture, solo silenzio e pace.
Malik mi lascia il suo numero di telefono e mi dice che se voglio un giorno mi viene a prendere e mi porta nel deserto ancora una volta, perché mi deve far vedere un’altra duna bellissima, perché per lui le dune non sono tutte uguali. 
Arriviamo a Duqm in nottata, però il deserto è la strada più bella e allora non mi importa, perché adesso se devo scegliere la mia strada per arrivare lì, passerei per il deserto altre mille volte e so che anche Gibbs sarebbe d’accordo.

Malik oggi mi ha indicato una strada nuova, attraverso il mio deserto, per raggiungere una meta. 
Duqm non so ancora se sarà la fine del viaggio o solo il primo passo. 

- Cap… ehm… Gibbs, ciao sono Tony. Sono arrivato.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > NCIS / Vai alla pagina dell'autore: nikita82roma