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Autore: Smeralda Elesar    16/05/2016    4 recensioni
Cazzo, che freddo!
Doveva essere finito di nuovo nel Cocito. Solo lì c’era un freddo così maledetto che mordeva la carne e bruciava più del fuoco.
Ma insomma! Combatteva per sé stesso e non andava bene, combatteva per Athena (anche se in incognito spacciandosi per traditore) e non andava bene nemmeno, si metteva a disposizione per aiutare a fare un buco in quel maledetto muro e neanche quello andava bene, finiva di nuovo all’inferno a gelare… porca miseria, che qualcuno gli dicesse una buona volta cosa diavolo doveva fare per avere un poco di pace!
...
No, forse non era il Cocito.
Qualcosa accanto a lui lo stava scaldando; il freddo non mordeva più forte come prima.
O forse sì, era il Cocito, ma qualcuno lo stava richiamando ancora una volta.
Il cosmo di Athena era stato in grado di richiamarli dal mondo dei morti prima del muro del pianto, e la sensazione che provava era molto simile.
Non smetteva. Era qualcosa che lo richiamava, scacciava il freddo, gli dava tregua e conforto.
“Eh, no, eh! Adesso non ricominciamo! Sono morto e voglio restare morto questa volta”
Pensò seccato.
Genere: Azione, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Cancer DeathMask
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Soul of Gold

-Cancer-

 

I

 

*

 

Cazzo, che freddo!

Doveva essere finito di nuovo nel Cocito. Solo lì c’era un freddo così maledetto che mordeva la carne e bruciava più del fuoco.

Ma insomma! Combatteva per sé stesso e non andava bene, combatteva per Athena (anche se in incognito spacciandosi per traditore) e non andava bene nemmeno, si metteva a disposizione per aiutare a fare un buco in quel maledetto muro e neanche quello andava bene, finiva di nuovo all’inferno a gelare… porca miseria, che qualcuno gli dicesse una buona volta cosa diavolo doveva fare per avere un poco di pace!

Se qualunque cosa faceva era sbagliata allora non era un problema suo: doveva esserci qualche problema di direttive , ai piani alti, dove gli dei giocavano con le vite degli uomini ed ingarbugliavano i loro fili senza curarsi minimamente di rimetterli in ordine.

Peccato che sentisse tanto freddo. Era troppo intisicato persino per bestemmiare, altrimenti avrebbe ribellato l’Olimpo, avrebbe tirato giù dei e santi uno per uno.

Tanto sarebbe stato punito comunque, giusto?

Allora tanto valeva che si togliesse la soddisfazione di tirare qualche ultima bestemmia, magari di quelle belle fantasiose che gli riuscivano tanto bene.

Risprofondò nell’incoscienza e l’ultima impressione che provò fu quella di un estremo fastidio per non poter esternare la sua incazzatoria attraverso il turpiloquio e la blafemia.

**

 

No, forse non era il Cocito.

Qualcosa accanto a lui lo stava scaldando; il freddo non mordeva più forte come prima.

O forse sì, era il Cocito, ma qualcuno lo stava richiamando ancora una volta.

Il cosmo di Athena era stato in grado di richiamarli dal mondo dei morti prima del muro del pianto, e la sensazione che provava era molto simile.

Non smetteva. Era qualcosa che lo richiamava, scacciava il freddo, gli dava tregua e conforto.

“Eh, no, eh! Adesso non ricominciamo! Sono morto e voglio restare morto questa volta”

Pensò seccato.

Quale coglione aveva detto che la morte era un sonno che portava pace? Un idiota, di sicuro!

Uno che non aveva mai avuto la disgrazia di incrociare la strada delle divinità.

E intanto quella cosa continuava.

Non voleva creargli disagio ma nemmeno lo lasciava andare come lui avrebbe voluto.

Era più camurriusa di una sveglia la mattina.

“E basta, vattene! Non sono cosa, io! Trovati qualcuno migliore”

No, non smetteva. Insisteva a non abbandonarlo.

Era proprio la stessa sensazione. Gli faceva dimenticare chi era, cosa lo faceva soffrire, tutta la confusione che si portava dentro.

Alla fine sospirò.

“Vuoi che io viva? E va bene. Però stavolta ditemi chiaro che devo fare, per cortesia”

Quando riaprì gli occhi e riuscì a sincronizzare le sensazioni fisiche con quelle emotive capì di essere stravaccato a faccia in giù nella neve.

Si tirò su a sedere piano, lentamente, perché non si fidava per niente di un corpo che avrebbe dovuto essere stato disintegrato.

No, tutto sommato le sue articolazioni funzionavano abbastanza bene.

Attorno a lui tutto era neve e silenzio, ed il sole pallido che stava basso sull’orizzonte era quello malato che aveva visto durante certe missioni affidategli dal caro vecchio Saga che lo avevano portato nel Nord Europa.

E dunque dov’era? Norvegia? Islanda?

Che gliene importava in fin dei conti? Era in un posto deserto e fottutamente freddo, punto.

Si alzò in piedi e provò ad accendere un minimo del suo cosmo per scaldarsi.

Almeno quello gli era rimasto, peccato che se ne pentì immediatamente perché il suo cosmo aveva attivato un’altra vibrazione fin troppo familiare.

La seguì giusto per levarsi la curiosità se aveva capito bene.

Proveniva da sotto la neve. Si inginocchiò e cominciò a scavare, e poco dopo le sue dita urtarono un angolo familiare.

“Ah, pure tu qui? Bè, sai che ti dico? Tanti saluti, bella mia! Non sei più un mio problema!”

Fu con un gran senso di soddisfazione che voltò le spalle al box della cloth di Cancer e si incamminò in mezzo alla neve verso dove gli sembrava di vedere un filo di fumo.

Se c’è fumo c’è fuoco, e se c’è fuoco qualcuno lo ha acceso.

Aveva fatto solo pochi passi che dalla cloth provenne una vibrazione che era insieme il pianto di un bambino, una preghiera ed un ordine.

Non lasciarmi qui. Io devo stare con te. Riprendimi!

Death Mask provò ad ignorarla. Eh, no! Dopo che quella caina lo aveva abbandonato era già tanto che avesse accettato di indossarla di nuovo davanti al muro del pianto.

Quello era stato il suo ultimo dovere, adesso basta.

Lui non aveva più bisogno di lei, lei non aveva più bisogno di lui e fine della storia.

Non lasciarmi, non lasciarmi, non lasciarmi.

Death Mask si voltò di scatto con un’imprecazione furibonda.

-Ora basta, capito?! Trovati qualcun altro!-

Ma non smetteva anzi più si allontanava peggio era. Ci stava malissimo come se stesse lasciando indietro una parte di sé.

Alla fine sbottò ancora più irritato, spazzò la neve quanto bastava ad afferrare uno degli spallacci e si caricò il box in spalla.

-Ora sei contenta, spero. Bè, io non lo sono proprio per niente, sappilo-

Eppure la cosa sulla sua schiena gli diceva che aveva fatto la cosa giusta, che era contenta di lui, e questo, malgrado tutto, gli dava un senso di conforto.

 

***

 

Asgard.

Maronnamaria! Ma di tutti i posti in cui poteva sperare di tornare in vita proprio quello più in culo ai lupi gli era toccato!

E lui che il freddo non lo sopportava!

Doveva essere una curiosa forma di contrappasso.

La cosa che si portava appresso era calma per il momento, non aveva più cercato di parlargli e lui era contentissimo così.

Solo quando tentava di lasciarla avvertiva quel disagio indefinito, e allora sbuffava ed imprecava ma se la teneva stretta.

Aveva vagato in quella terra fino a che aveva incontrato persone. Si era lamentato del freddo e loro lo avevano guardato con un’aria mista di compatimento e di superiorità.

Quella era Asgard. Il Nord. Lì il freddo era come il pane, anzi di più. Ma se lui non riusciva a sopportarlo c’era una città, vicino alle radici dell’albero sacro Yggdrasil; lì il clima era mite.

Death Mask decise che ci sarebbe andato.

Non era debole lui, poteva sicuramente stare al freddo all’occorrenza, ma si siddiàva. Era un uomo cresciuto con il sole, lui. Sole, mare e vento.

Che minchia ci faceva in mezzo al ghiaccio? Meglio cercare un poco di càuddu.

Tanto più che quella camurrìa che aveva sulla schiena si era fatta sentire e gli aveva fatto capire che sì, la città era il posto giusto.

Sia mai però che si fosse degnata di dirgli per cosa era il posto giusto.

 

****

 

Un aspetto positivo però c’era, nel portarsi dietro quella roba: lo proteggeva dagli incubi.

Erano ombre striscianti su cui si era imposto per anni, tenendole a bada, e che adesso tornavano prepotenti e più forti di lui.

Non le aveva mai affrontate, solo represse, e adesso tornavano una per una a presentargli il conto.

Riviveva all’infinito il momento esatto in cui era stato trascinato nella Bocca dell’Ade.

Che privilegio! Non era da tutti passare nell’aldilà senza attraversare la morte fisica.

La sua anima era finita dritta all’inferno prima del suo corpo, fine del privilegio: poi da lì era stato come per tutti gli altri esseri umani: pianto e stridore di denti.

Non era il tormento degli inferi a spaventarlo negli incubi, era il “prima”; la sua mente si era bloccata all’istante in cui aveva capito che lui non era un privilegiato rispetto alla morte, non ne era il dio, non l’aveva assoggettata.

Era convinto di essere superiore agli altri esseri umani. Scoprire quanto in realtà era inerme e fragile e quanta paura provava per la morte lo aveva annientato più che la morte stessa.

Riscoprirsi uomo era stato orribile. La prima ed ultima vera consapevolezza della sua vita prima di tornare polvere alla polvere.

Era quello il momento che lo tormentava all’infinito, che lo faceva piangere e gridare di notte come anima di purgatorio.

E allora dalla sua cloth proveniva la stessa voce che lo aveva richiamato dall’oblio.

Non temere, anima salva.

Non aveva la minima idea di perché lo chiamasse così.

 

*****

 

Appena arrivato in città capì subito che quello era il posto adatto a lui.

C’era un sacco di confusione, e quello forse gli sarebbe servito a zittire le voci dentro la sua testa, ed inoltre poteva mescolarsi tra la folla. Non aveva mai desiderato tanto l’anonimato.

-Ah, bene! Finalmente è arrivato qualcuno!-

-Aphrodite?! Anche tu?-

-Eh, sì, anche io-

Eh, sì, sempre in mezzo a cabasisi, lui! Con tanti cari saluti all’anonimato.

Però tutto sommato meglio Aphrodite che altri. Almeno lo svedese non dava giudizi morali e non pretendeva di riportarlo sulla via della giustizia o della bontà o cazzate simili.

-E adesso che facciamo? Tu hai idee, Aphrodite?-

-Aspettiamo-

-E cosa? Siamo qui, siamo vivi, ce la siamo scampata per chissà quale miracolo, che altro deve succedere?-

-Non lo so, ma qualcosa succederà. Lo sento nelle rose. Quelle che crescono qui sono… strane-

Death Mask sbuffava e guardava contrariato la bottiglia di liquore che stava finendo.

-Può succedere quello che vuole. Per me può pure crollare il mondo, ma io ho chiuso-

-Allora sei qui per nasconderti?-

-Io sono qui per dimenticarmi del mondo e perché il mondo si dimentichi di me-

E finì l’ultima boccata di liquore.

 

__________________________________________________________________________

 

Cantuccio dell’Autore

 

Orbene, sono di nuovo qui.

È la prima volta che provo a scrivere qualcosa di serio su Death Mask, per cui sono in fase di sperimentazione.

Il granchio psicotico è un personaggio complesso perché non è solo “pazzo” è qualcosa di più che non riesco ancora a capire bene.

Qualunque cosa sia però, è certo che in Soul of Gold lo hanno rovinato troppo, per cui ho deciso di provare a ridargli un po' di dignità.

Spero di non fallire miseramente, altrimenti Death si offende.

Vi anticipo, in caso non l’aveste notato, che mi divertirò a ficcare frasi e parole in dialetto siciliano ad ogni occasione buona.

Sotto vi lascio un piccolo glossario così capite di che sto parlando.

 

Intisicato: intirizzito

Camurriusa: seccante

“non sono cosa”: non sono (adatto a fare questa) cosa

Caina: traditrice

Si siddiàva: si seccava

Càuddu: caldo

Camurrìa: seccatura, impiccio

Cabasisi: Montalbano docet

 

Grazie

 

Makoto

 

Ps: il banner è stato realizzato da me medesima di persona personalmente, con immagini ufficiali scaricate da internet in modo da non violare il copyright di autori di fanart. Ho usato un’app per smartphone che si chiama Picsart.

   
 
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