Soul of Gold
-Cancer-
I
*
Cazzo, che freddo!
Doveva essere finito di nuovo nel
Cocito. Solo lì c’era un freddo così maledetto che
mordeva la carne e bruciava più del fuoco.
Ma insomma! Combatteva per sé
stesso e non andava bene, combatteva per Athena
(anche se in incognito spacciandosi per traditore) e non andava bene nemmeno, si
metteva a disposizione per aiutare a fare un buco in quel maledetto muro e neanche
quello andava bene, finiva di nuovo all’inferno a gelare… porca miseria, che
qualcuno gli dicesse una buona volta cosa diavolo doveva fare per avere un poco
di pace!
Se qualunque cosa faceva era
sbagliata allora non era un problema suo: doveva esserci qualche problema di
direttive sù, ai piani alti, dove gli dei giocavano
con le vite degli uomini ed ingarbugliavano i loro fili senza curarsi
minimamente di rimetterli in ordine.
Peccato che sentisse tanto
freddo. Era troppo intisicato persino per
bestemmiare, altrimenti avrebbe ribellato l’Olimpo, avrebbe tirato giù dei e
santi uno per uno.
Tanto sarebbe stato punito
comunque, giusto?
Allora tanto valeva che si
togliesse la soddisfazione di tirare qualche ultima bestemmia, magari di quelle
belle fantasiose che gli riuscivano tanto bene.
Risprofondò nell’incoscienza e
l’ultima impressione che provò fu quella di un estremo fastidio per non poter
esternare la sua incazzatoria attraverso il
turpiloquio e la blafemia.
**
No, forse non era il Cocito.
Qualcosa accanto a lui lo stava
scaldando; il freddo non mordeva più forte come prima.
O forse sì, era il Cocito, ma qualcuno lo stava richiamando ancora una volta.
Il cosmo di Athena
era stato in grado di richiamarli dal mondo dei morti prima del muro del
pianto, e la sensazione che provava era molto simile.
Non smetteva. Era qualcosa che lo
richiamava, scacciava il freddo, gli dava tregua e conforto.
“Eh, no, eh! Adesso non
ricominciamo! Sono morto e voglio restare morto questa volta”
Pensò seccato.
Quale coglione aveva detto che la
morte era un sonno che portava pace? Un idiota, di sicuro!
Uno che non aveva mai avuto la
disgrazia di incrociare la strada delle divinità.
E intanto quella cosa continuava.
Non voleva creargli disagio ma
nemmeno lo lasciava andare come lui avrebbe voluto.
Era più camurriusa
di una sveglia la mattina.
“E basta, vattene! Non sono cosa,
io! Trovati qualcuno migliore”
No, non smetteva. Insisteva a non
abbandonarlo.
Era proprio la stessa sensazione.
Gli faceva dimenticare chi era, cosa lo faceva soffrire, tutta la confusione
che si portava dentro.
Alla fine sospirò.
“Vuoi che io viva? E va bene.
Però stavolta ditemi chiaro che devo fare, per cortesia”
Quando riaprì gli occhi e riuscì
a sincronizzare le sensazioni fisiche con quelle emotive capì di essere
stravaccato a faccia in giù nella neve.
Si tirò su a sedere piano,
lentamente, perché non si fidava per niente di un corpo che avrebbe dovuto
essere stato disintegrato.
No, tutto sommato le sue articolazioni
funzionavano abbastanza bene.
Attorno a lui tutto era neve e
silenzio, ed il sole pallido che stava basso sull’orizzonte era quello malato
che aveva visto durante certe missioni affidategli dal caro vecchio Saga che lo
avevano portato nel Nord Europa.
E dunque dov’era? Norvegia?
Islanda?
Che gliene importava in fin dei
conti? Era in un posto deserto e fottutamente freddo, punto.
Si alzò in piedi e provò ad
accendere un minimo del suo cosmo per scaldarsi.
Almeno quello gli era rimasto,
peccato che se ne pentì immediatamente perché il suo cosmo aveva attivato
un’altra vibrazione fin troppo familiare.
La seguì giusto per levarsi la curiosità
se aveva capito bene.
Proveniva da sotto la neve. Si
inginocchiò e cominciò a scavare, e poco dopo le sue dita urtarono un angolo
familiare.
“Ah, pure tu qui? Bè, sai che ti
dico? Tanti saluti, bella mia! Non sei più un mio problema!”
Fu con un gran senso di
soddisfazione che voltò le spalle al box della cloth di Cancer e si incamminò in
mezzo alla neve verso dove gli sembrava di vedere un filo di fumo.
Se c’è fumo c’è fuoco, e se c’è
fuoco qualcuno lo ha acceso.
Aveva fatto solo pochi passi che
dalla cloth provenne una vibrazione che era insieme
il pianto di un bambino, una preghiera ed un ordine.
Non
lasciarmi qui. Io devo stare con te. Riprendimi!
Death Mask
provò ad ignorarla. Eh, no! Dopo che quella caina lo
aveva abbandonato era già tanto che avesse accettato di indossarla di nuovo
davanti al muro del pianto.
Quello era stato il suo ultimo
dovere, adesso basta.
Lui non aveva più bisogno di lei,
lei non aveva più bisogno di lui e fine della storia.
Non
lasciarmi, non lasciarmi, non lasciarmi.
Death Mask
si voltò di scatto con un’imprecazione furibonda.
-Ora basta, capito?! Trovati
qualcun altro!-
Ma non smetteva anzi più si
allontanava peggio era. Ci stava malissimo come se stesse lasciando indietro
una parte di sé.
Alla fine sbottò ancora più
irritato, spazzò la neve quanto bastava ad afferrare uno degli spallacci e si
caricò il box in spalla.
-Ora sei contenta, spero. Bè, io
non lo sono proprio per niente, sappilo-
Eppure la cosa sulla sua schiena
gli diceva che aveva fatto la cosa giusta, che era contenta di lui, e questo,
malgrado tutto, gli dava un senso di conforto.
***
Asgard.
Maronnamaria! Ma di tutti i posti in cui
poteva sperare di tornare in vita proprio quello più in culo ai lupi gli era
toccato!
E lui che il freddo non lo
sopportava!
Doveva essere una curiosa forma
di contrappasso.
La cosa che si portava appresso
era calma per il momento, non aveva più cercato di parlargli e lui era
contentissimo così.
Solo quando tentava di lasciarla
avvertiva quel disagio indefinito, e allora sbuffava ed imprecava ma se la
teneva stretta.
Aveva vagato in quella terra fino
a che aveva incontrato persone. Si era lamentato del freddo e loro lo avevano
guardato con un’aria mista di compatimento e di superiorità.
Quella era Asgard.
Il Nord. Lì il freddo era come il pane, anzi di più. Ma se lui non riusciva a
sopportarlo c’era una città, vicino alle radici dell’albero sacro Yggdrasil; lì il clima era mite.
Death Mask
decise che ci sarebbe andato.
Non era debole lui, poteva sicuramente
stare al freddo all’occorrenza, ma si siddiàva. Era
un uomo cresciuto con il sole, lui. Sole, mare e vento.
Che minchia ci faceva in mezzo al
ghiaccio? Meglio cercare un poco di càuddu.
Tanto più che quella camurrìa che aveva sulla schiena si era fatta sentire e gli
aveva fatto capire che sì, la città era il posto giusto.
Sia mai però che si fosse degnata
di dirgli per cosa era il posto giusto.
****
Un aspetto positivo però c’era,
nel portarsi dietro quella roba: lo proteggeva dagli incubi.
Erano ombre striscianti su cui si
era imposto per anni, tenendole a bada, e che adesso tornavano prepotenti e più
forti di lui.
Non le aveva mai affrontate, solo
represse, e adesso tornavano una per una a presentargli il conto.
Riviveva all’infinito il momento
esatto in cui era stato trascinato nella Bocca dell’Ade.
Che privilegio! Non era da tutti
passare nell’aldilà senza attraversare la morte fisica.
La sua anima era finita dritta all’inferno
prima del suo corpo, fine del privilegio: poi da lì era stato come per tutti
gli altri esseri umani: pianto e stridore di denti.
Non era il tormento degli inferi
a spaventarlo negli incubi, era il “prima”; la sua mente si era bloccata
all’istante in cui aveva capito che lui non era un privilegiato rispetto alla
morte, non ne era il dio, non l’aveva assoggettata.
Era convinto di essere superiore
agli altri esseri umani. Scoprire quanto in realtà era inerme e fragile e
quanta paura provava per la morte lo aveva annientato più che la morte stessa.
Riscoprirsi uomo era stato
orribile. La prima ed ultima vera consapevolezza della sua vita prima di
tornare polvere alla polvere.
Era quello il momento che lo
tormentava all’infinito, che lo faceva piangere e gridare di notte come anima
di purgatorio.
E allora dalla sua cloth proveniva la stessa voce che lo aveva richiamato
dall’oblio.
Non
temere, anima salva.
Non aveva la minima idea di
perché lo chiamasse così.
*****
Appena arrivato in città capì
subito che quello era il posto adatto a lui.
C’era un sacco di confusione, e
quello forse gli sarebbe servito a zittire le voci dentro la sua testa, ed
inoltre poteva mescolarsi tra la folla. Non aveva mai desiderato tanto
l’anonimato.
-Ah, bene! Finalmente è arrivato qualcuno!-
-Aphrodite?!
Anche tu?-
-Eh, sì, anche io-
Eh, sì, sempre in mezzo a cabasisi, lui! Con tanti cari saluti all’anonimato.
Però tutto sommato meglio Aphrodite che altri. Almeno lo svedese non dava giudizi
morali e non pretendeva di riportarlo sulla via della giustizia o della bontà o
cazzate simili.
-E adesso che facciamo? Tu hai
idee, Aphrodite?-
-Aspettiamo-
-E cosa? Siamo qui, siamo vivi,
ce la siamo scampata per chissà quale miracolo, che altro deve succedere?-
-Non lo so, ma qualcosa
succederà. Lo sento nelle rose. Quelle che crescono qui sono… strane-
Death Mask
sbuffava e guardava contrariato la bottiglia di liquore che stava finendo.
-Può succedere quello che vuole.
Per me può pure crollare il mondo, ma io ho chiuso-
-Allora sei qui per nasconderti?-
-Io sono qui per dimenticarmi del
mondo e perché il mondo si dimentichi di me-
E finì l’ultima boccata di
liquore.
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Cantuccio dell’Autore
Orbene, sono di nuovo qui.
È la prima volta che provo a
scrivere qualcosa di serio su Death Mask, per cui
sono in fase di sperimentazione.
Il granchio psicotico è un
personaggio complesso perché non è solo “pazzo” è qualcosa di più che non
riesco ancora a capire bene.
Qualunque cosa sia però, è certo
che in Soul of Gold lo hanno rovinato troppo, per cui ho deciso di provare a
ridargli un po' di dignità.
Spero di non fallire miseramente,
altrimenti Death si offende.
Vi anticipo, in caso non l’aveste
notato, che mi divertirò a ficcare frasi e parole in dialetto siciliano ad ogni
occasione buona.
Sotto vi lascio un piccolo
glossario così capite di che sto parlando.
Intisicato: intirizzito
Camurriusa: seccante
“non sono cosa”: non sono (adatto
a fare questa) cosa
Caina: traditrice
Si siddiàva:
si seccava
Càuddu: caldo
Camurrìa: seccatura, impiccio
Cabasisi: Montalbano docet…
Grazie
Makoto
Ps: il banner è stato realizzato
da me medesima di persona personalmente, con immagini ufficiali scaricate da internet in modo da non violare il copyright di autori di fanart. Ho usato un’app per smartphone che si chiama Picsart.