Le porte
della camera erano chiuse a chiave. Da fuori non
proveniva alcun rumore e dentro il silenzio dominava sovrano, non fosse
per gli
sbuffi che alle volte lo interrompevano. Una parte delle tende del
baldacchino
rosso – che ondeggiavano pigramente, a ritmo del vento fresco
mattutino che
s’addentrava dalla finestra socchiusa – era stata
tirata, un po’ per celare ciò
che durante la notte aveva avuto luogo, un po’ per desiderio
di reclusione,
dettato dal rifiuto nei confronti del resto del mondo.
Era
sorprendente come, a volte, anche un tipo come lui –
così altero, egocentrico, avrebbe detto Merlin –
aveva bisogno di congegnare
uno spazio tutto per sé, da condividere con chi
più gli aggradava.
La prima cosa
che constatò fu il gelo del mattino. Persino
sotto le coperte e con un corpo nudo e tiepido accanto, si sentiva
tremare,
lievemente, la pelle accapponata che strusciava contro il tessuto
ruvido delle
coperte. Mosse le gambe, lentamente, a ricercare calore ed un piede
andò ad
intrecciarsi alle sottili caviglie che gli cingevano la coscia.
Sospirò, concludendo,
soddisfatto che la ricerca si fosse risolta a buon fine.
Sistemò un braccio
attorno alla vita sottile del corpo vicino, accostandolo maggiormente a
sé e
respirando il profumo di quella pelle. Lasciò un leggero
bacio sulla nuca, ad
occhi chiusi, e percepì la vibrazione di un mugugno
divertito.
«
Smettetela ».
Era ovvio che
non gli desse ascolto. Ovvio, naturale.
Continuò
a lasciare una scia di baci lungo le spalle
esili, ad assaggiare il sapore fresco di quella pelle che, la sera
precedente,
era divenuta tanto rovente da rischiare di scottarsi, standovi a
contatto. E lo
sentiva, piccolo e fragile fra le braccia, tremare in maniera
incontrollabile.
«
Smettila tu, piuttosto », sorrise contro il suo collo,
«
tremi come un pulcino bagnato ».
La testa di
Merlin, scura ed arruffata, fece capolino da
sotto le coperte. Il suo corpo vibrò per un istante al tocco
di Arthur e prima
che il principe potesse aggiungere altro, si girò e
andò a rifugiarsi fra le
braccia calde che lo cingevano.
«
Freddo », si lamentò, la bocca impastata, premendo
la
punta fredda del naso sul collo di Arthur, che tremò a sua
volta al contatto.
«
Lo so ».
Arthur
sfregò una guancia contro i capelli corvini di
Merlin, posandovi poi un bacio ed un sospiro, con delicatezza.
« Non è… »,
iniziò. Umettò le labbra aride con la punta della
lingua, cercando un aggettivo
per descrivere quel che c’era stato, la notte precedente.
Inspiegabile.
Era
ciò che gli veniva in mente, come prima parola. Ma non
era inspiegabile, dopotutto: sarebbe bastato rifletterci sopra per
qualche
minuto e una giustificazione sarebbe venuta da sé. Merlin
l’aveva sempre
attratto, in un certo senso; forse l’aggettivo
‘inspiegabile’ si conformava più
a lui che agli avvenimenti della nottata. Era sfuggente, come il fumo.
Poteva
vederlo, studiarlo, contemplarlo; ma non afferrarlo, non del tutto.
Arthur
aveva sempre tentato di ghermire con dita incerte la sua essenza,
ciò che in
fondo Merlin era. Puntualmente, però, quando era ad un passo
dal denudare la facciata
che si presentava ogni giorno davanti a lui, per servirlo e schernirlo
giocosamente, tutto svaniva, in un soffio leggero di fumo. Quel che le
sue dita
sentivano, allora, era solo la pelle tirata di una guancia sorridente,
e tanto
bastava per fargli dimenticare il resto.
«
Non è cosa, sire? ».
Arthur
sbuffò, indispettito. « Sire? ».
«
Perché, come volete che vi chiami? ». Gli occhi di
Merlin cominciarono a scrutarlo, non appena la sua testa si fu
distaccata dall’incavo
del collo del principe. Gli piaceva quando cominciava a punzecchiarlo.
«
Magari col mio nome? ».
« E
voi mi permettere questa confidenza? ».
«
Siamo intimi,
Merlin », sottolineò Arthur, roteando gli occhi
con fare annoiato. « In privato
potresti pure usare meno formalità ».
Merlin
ridacchiò e scosse il capo. Gli occhi blu, vedeva
Arthur, si socchiudevano in maniera graziosa, molto da fanciullo; gli
davano
un’aria sbarazzina e vivace. Non fu in grado di reprimere una
risatina. « Sei
un bambino, Merlin. Uno sciocco bambino ».
Merlin
cessò di ridere e, con l’ombra di un sorriso sulla
bocca, ritornò a sistemarsi contro il collo di Arthur,
rannicchiandosi ed
adattandosi alla posizione del suo corpo.
«
È stato bello », proferì in un mormorio
che riecheggiò
sotto le coperte.
Arthur si
accigliò, gli occhi che seguivano le pieghe del
baldacchino. « Bello? ».
«
Sì », continuò sorridendo Merlin.
« Non mi aspettavo che
fossi così… così, ecco ».
«
Così? Bello?
».
Arthur scrollò le spalle con un sospiro burbero.
Era stato lui
a chiedergli di non usare toni formali
quand’erano soli – lo aveva appena fatto
–, eppure era rimasto lievemente
sorpreso dal nuovo modo di rivolgersi che aveva adottato Merlin,
così in fretta.
Sarebbe stato un po’ difficile abituarsi.
«
Mi domando se stavi dormendo mentre lo facevamo »,
finì,
masticando le ultime parole della frase.
Merlin
barbugliò qualcosa d’incomprensibile e il suo
mugugno si spense nell’aria fredda, lasciandosi a tergo una
scia di tranquillo,
pacifico silenzio. Non c’era niente da aggiungere, nulla di
rilevante.
«
È ora di alzarsi, mi sa ».
«
Dici? Sono così… svogliato ».
«
Che novità ».
Arthur
sogghignò, chiudendo un momento gli occhi. «
Gogna,
gogna », canticchiò, le dita che solleticavano il
collo dell’amante.
Merlin si
liberò dall’abbraccio del principe e si
puntellò
sui gomiti. I capelli arruffati e l’espressione ancora
assonnata che marcava i
suoi lineamenti lo rendevano ancora più buffo di quanto
già fosse. Arthur gli
pizzicò una guancia incavata, ghignando apertamente al
gemito di replica.
«
Non mi sono annoiato, se è questo che intendevi »,
soggiunse l’inserviente, ripensando alla sferzata che
precedentemente gli era
stata lanciata. Scostò le dita del principe. «
… a differenza di quanto mi
aspettavo ».
«
Cosa? », rise Arthur. In un batter d’occhio, senza
che
Merlin se ne potesse accorgere, lo aveva atterrato sulle coperte,
scoprendo
gran parte del corpo nudo. « Allora cerchi davvero guai
». Detto questo, lambì
il labbro inferiore con la punta della lingua e si gettò sul
ragazzo esalando
un sospiro ansioso, iniziando a giocare con la pelle sottile di quel
collo
candido.
«
Non è… non è ora », tentava
di articolare Merlin,
cercando con le mani di allontanare Arthur; ma il principe gli
afferrò i polsi,
portandoglieli sopra la testa.
«
Comando io ».
Per risposta,
Merlin sbuffò roteando gli occhi. « Oggi
c’è
una battuta di caccia, non so se te ne ricordi… ».
«
Abbiamo tutto il tempo del mondo, Merlin ». La voce di
Arthur giungeva smorzata dall’incavo del suo collo.
«
Non credo », ribatté l’inserviente,
fremendo quando il
respiro di Arthur sfiorò, freddo, la pelle calda della gola.
Poi, in un tono
alquanto sommesso, pigolò: « Devo ancora preparare
le vesti e… be’, lucidare
l’armatura ».
Arthur si
fermò all’istante, e Merlin immaginò
l’espressione che le sue fattezze avessero assunto: occhi
sbarrati, bocca
dischiusa. Un’aria decisamente bieca, che non prospettava
alcuna buona
intenzione.
«
Mh. Cosa ti avevo ordinato, ieri sera? ».
Merlin
deglutì. « Di preparare tutto »,
rispose. Sentì
Arthur distaccarsi ed ergersi sopra di lui, con lo stesso sguardo che
aveva
immaginato potesse ostentare.
« E
perché non l’hai fatto? ».
Ma poi i
ricordi della sera precedente – caduti quasi a
fagiolo - soggiunsero alla mente dell’inserviente, che non
riuscì a trattenersi
dal rinfacciarli.
«
Se ricordo bene », fece, « mi sei salito addosso,
senza
darmi la possibilità di svolgere i miei doveri ».
Arthur scosse
il capo con uno schiocco della lingua e si
alzò svogliatamente dalle coperte ancora tiepide,
sgranchendosi le braccia e
dirigendosi verso il tramezzo sistemato in un angolo della stanza.
Merlin gettò
il capo sui cuscini in un sbuffo stanco, le braccia abbandonate sul
giaciglio
scomposto, e proprio nel momento in cui aveva chiuso gli occhi e
sentito il
torpore invaderlo, ammaliante, la voce di Arthur lo destò,
molesta.
«
Vedi di prepararmi i vestiti, Merlin, a meno che tu non
voglia che anche il resto della corte possa godere della tua stessa
visione
mattutina ».
Leave
out all the rest.
{ I'm strong on the surface, not all the way through.
«
Abbiamo un problema ».
Uther si
volse immediatamente alla frase enunciata dal
figlio e abbandonò i cavalieri con cui stava progettando
piani d’attacco ai
danni di paesi confinanti, andandogli incontro.
«
Cosa intendi? ».
Raggiunto il
padre, Arthur schiarì la voce, una mano
serrata attorno all’elsa della spada.
«
Stamani sono partito con un gruppo di cavalieri a
caccia, nella foresta vicina, e ci siamo imbattuti in un essere che di
comune
ha ben poco ».
«
Spiegati meglio », incalzò Uther, percorrendo con
lo
sguardo accigliato il volto di Arthur.
«
È dotato di due teste dissimili, una di leone e la
seconda di capra, sulla schiena. La coda è strana, di un
colore più scuro e
lucente rispetto alla pelliccia », spiegò il
principe. « Non ho mai visto un
animale del genere ».
Uther
spalancò gli occhi, interdetto.
«
Padre, potrebbe essere… ».
«
No », negò subito il sovrano. « E anche
se lo fosse, tu
e i tuoi cavalieri sarete capaci di affrontarla. Eliminala il prima
possibile,
Arthur ».
Arthur
inspirò dalla bocca dischiusa e chinò il capo
all’ordine del sovrano. Senza ribattere, diede le spalle alla
corte e si allontanò
in direzione delle porte, con passo deciso. Fuori, trovò
Merlin ad attenderlo,
esitante sul posto. Quando vide le porte chiudersi e il principe
allontanarsi,
degnandolo soltanto di un fugace sguardo, l’inserviente si
precipitò a
seguirlo.
«
Cosa vi ha detto? », iniziò all’istante.
«
Di combatterla con la cavalleria ».
«
Ma… ». Merlin rimase basito. « Ma
è ovvio che quella sia
stregoneria ».
«
Dillo a mio padre, Merlin », ghignò un istante
Arthur.
«
Lasciate che informi Gaius ».
«
No ».
«
Ma potrà aiutarci! ».
« Aiutarci? ».
Arthur lo guardò sorridendo, cinico. « Tu non
andrai da nessuna parte. Va’ a
preparare il mio cavallo, entro breve radunerò i cavalieri
».
Merlin gli
rivolse un’occhiata crucciata, che il principe
ricambiò con un altro sorriso altero, stavolta un
po’ più largo.
«
Come volete », si licenziò.
Merlin
svoltò un angolo, abbandonando Arthur lungo il
corridoio, e si diresse non alle stanze del principe, ma piuttosto ad
una delle
torri del castello, aumentando il passo.
«
Merlin! », esclamò Gaius, vedendolo apparire dal
nulla.
Abbandonò sul tavolo da lavoro una grande lente e si
dedicò al ragazzo. « Cosa
ci fai qui? Hai già svolto i tuoi doveri? ».
«
Ho bisogno del vostro aiuto », esordì Merlin,
osservandolo serio. « Per salvare Arthur ».
¨
«
In ginocchio! ».
Cadde come un
corpo morto, non sulle ginocchia, ma
completamente sdraiato per terra, un lato del viso contro il pavimento
gelido,
le mani legate dietro la schiena.
« Tu ».
La corte era
taciturna, raccolta in un silenzio irreale,
tetro. Le luci del giorno riverberavano sul pavimento cristallino,
illuminando
e risaltando i riflessi confusi, opachi, del sovrano e dei suoi
cavalieri.
Manti rossi, armature lucenti, sistemati compostamente a cerchio
attorno alla
sagoma elevata del re. Di Arthur non c’era traccia.
«
Stento a crederci ». La voce del re era colma di
sorpresa e di collera ad un tempo. « Il valletto di mio figlio ».
«
Sire, io… ». Merlin tentò di rialzarsi.
«
Taci! Taci, stregone! », sbottò Uther,
sollevandosi di
colpo dal trono. « Hai approfittato della mia
bontà per troppo tempo! ».
Scese con
lentezza i gradini della pedana e si avvicinò al
corpo malamente disteso del mago, osservandolo disgustato, le narici
dilatate e
la fronte increspata dall’ira. « Tutto si
ricollega, in tal modo. Ogni
calamità, ogni sciagura, ogni disgrazia abbattutasi sul
regno ».
Le porte
della sala si spalancarono all’improvviso,
provocando un forte spostamento d’aria, che agitò
i mantelli e le vesti dei presenti,
seguito dall’incalzante suono di passi decisi.
«
Cos’è successo, padre? »,
tuonò la voce di Arthur, che
riecheggiò fra le alte volte del soffitto. « Un
soldato mi ha riferito della
cattura… ».
S’interruppe
bruscamente alla vista di Merlin accasciato
sul pavimento. La sua andatura si smorzò fino a fermarsi del
tutto. « Merlin »,
soffiò sorpreso. Sollevò un momento gli occhi su
suo padre, scorgendo il
disprezzo scavargli i lineamenti.
«
Cosa significa questo? », chiese. « Cosa
c’entra lui? ».
Uther
alzò il mento, serio. « È
lui ».
«
Lui..? ».
D’un
tratto, la risata di Arthur riempì il silenzio
crollato sulla sala del trono. Arthur volse un momento le spalle alla
corte, il
viso ridente rivolto a mirare il soffitto. « Merlin? Padre,
una scena simile è
già successa ».
«
Mi aspettavo questa tua reazione », pronunciò il
sovrano, riacquistando con forza la calma e tornando a sedersi sul
trono. Prima
di proseguire con il suo discorso, posò il mento sul dorso
di una mano e sospirò.
Arthur tornò serio e si pose accanto alla figura china del
suo inserviente,
lanciandogli un’occhiata incerta. Nascose un sogghigno dietro
una mano, senza
indugiare sui suoi lineamenti contratti dall’angoscia.
«
Ci sono prove a suo sfavore? Se sì, da chi sono state
dichiarate?
».
Uno dei
cavalieri di Camelot uscì fuori dalla linea. « Da
me, maestà ».
Arthur
impallidì in un colpo.
«
Come vedi, Arthur », appoggiò Uther, con un cenno
della
mano, « sir Creighton
è stato testimone
oculare dell’accaduto. E tu sai che, per rispetto delle leggi
che governano il
nostro regno, i cavalieri sono obbligati alla lealtà ».
Il principe
dischiuse le labbra
e guardò nuovamente Merlin, stavolta con occhi increduli. E
vide, stavolta vide
ogni più piccolo, insignificante particolare, che fosse il
pallore insolito che
gli spegneva le guance o le labbra ridotte ad una linea sottile.
« Esponi l’episodio
alla corte, Creighton »,
ordinò
il re.
Arthur
ascoltò, ascoltò attentamente ogni singola parola
che la bocca del cavaliere formulava, a gran voce, e che riecheggiava
nella
sala e nella sua mente, stordendolo con lentezza. Parlava di uno
schiocco di
dita, di uno sguardo dorato e di brillio intenso che per un istante gli
aveva
accecato gli occhi, e della spada del principe alzarsi in volo, mossa
da mani
invisibili, e divenire più lucente, sotto i raggi deboli di
un sole offuscato,
fino ad ardere quando si conficcò nel petto della creatura.
Magia.
«
È… vero? ».
Arthur si era
sistemato al fianco di Uther, quando Merlin alzò
gli occhi in sua direzione; aveva assunto una posa che gli si confaceva
ben poco,
pensò, con le braccia cascanti lungo i fianchi e le mani
mollemente aperte,
segno di evidente impotenza. Ma la sua espressione, attonita ed
atterrita ad un
tempo, era ciò che faceva più male.
Ciò che mai, mai avrebbe voluto vedere su
quelle fattezze, la cui unica caratteristica corrispondeva a
tutt’altro che
alla debolezza.
Merlin non
seppe rispondere. Si limitava a fissarlo, gli
occhi spenti, non fosse per le lacrime che li inumidivano.
«
Rispondi, dannazione! », proruppe Arthur, facendosi
avanti. « È vero, Merlin? È
vero? ».
Il silenzio
fu la sola risposta che il mago, ancora, fu
capace di dare. I lineamenti tesi di Arthur si trasformarono in una
maschera di
rabbia. Si gettò in avanti, afferrandolo per il bavero della
maglia, iniziando
a strattonarlo con violenza.
«
Di’ loro che non è così! Diglielo!
».
Ma, fra gli
scossoni, non uscì parola. Non una, e la
verità cadde addosso ad Arthur come un macigno. Si
sentì sprofondare, sotterrare
dal quel peso greve.
«
Non osa nemmeno rispondere », ribatté sprezzante
Uther. «
Il suo silenzio non fa che assentire ».
«
È vero », asserì Merlin immediatamente
dopo che le
parole del re si furono spente, senza che la voce lo tradisse, ferma.
Arthur vide
l’ultimo bagliore di speranza digradarsi e
sparire nel buio dell’incertezza. Scrutò i
lineamenti del servitore, stringendo
la maglia spasmodicamente fra le dita, gli occhi sgranati e colmi
d’incredulità
che non abbandonavano quelli di Merlin.
« Voglio un servo di
cui potermi fidare! », gli aveva gridato una volta,
in un tempo che
sembrava tanto distante ed inimmaginabile. E cosa gli aveva risposto
lui, cosa?
Cosa?
« Voi potete fidarvi
di me! ».
Potete
fidarvi, potete fidarvi. Potete… potete fidarvi…
«
Domani avrà luogo l’esecuzione pubblica
», tuonò il
sovrano. « Portatelo nelle segrete. Bendatelo, utilizzate
delle catene per
legargli i polsi ed uno straccio per chiudergli la bocca,
affinché non possa
utilizzare sporchi trucchi per liberarsi. Che nessuno lo perda di vista
».
Merlin venne
legato, bendato ed imbavagliato dinanzi all’intera
corte, taciturna spettatrice. Morgana assistette alla scena,
silenziosa, con
una mano sul petto e l’espressione afflitta; quando
notò lo scatto di Gwen,
mossasi nel tentativo di bloccare in qualche modo l’arresto,
la fermò con un
braccio negando col capo. Posò una mano sulla spalla della
serva e spostò lo
sguardo su Arthur, il cui volto appariva ora indecifrabile.
Eppure, lei
sentiva – sentiva senza comprendere appieno cosa
fosse – che c’era qualcosa oltre quel velo
impenetrabile ed illeggibile.
«
Potete fidarvi ».
¨
Quando
Morgana fece il suo ingresso nelle stanze del
principe, trovò Arthur seduto su una sedia, lo schienale
rivolto alla porta e
il viso puntato a rimirare la luna.
Il silenzio,
notò Morgana, era ciò che più
inquietava. Era
un silenzio teso, assenza di rumori immobile, la quale sussurrava
– senza effettivamente
farlo – che nulla sarebbe più cambiato e
né, tantomeno, ritornato a ciò che era
un tempo. Ed era Arthur a plasmare le emozioni di
quell’ambiente; era sempre
stato lui, sin dal principio.
«
Non dormi ».
Arthur non
replicò. Si limitò, ancora, a guardare dalla
finestra il cielo notturno. La luna, dall’alto della sua
posizione preminente,
sembrava schernirlo. Forse, aveva visto anche troppo.
«
Tu credi alle parole di Creighton? ». Arthur si
portò
una mano sugli occhi stanchi, sospirando. « Io stento
ancora… ».
Morgana
distolse lo sguardo dalla spalliera della sedia,
portandolo a terra.
«
Perché non hai tentato di difenderlo? », espresse,
e la
sua voce incerta si spense nuovamente, con lentezza, fino a tramutarsi
in un
fioco sospiro.
La risposta
che ottenne fu una risata, non sommessa, né
trattenuta: era quasi urlata e suonava più come un grido di
dolore che come un
riso di scherno. Morgana sussultò sul posto, incerta,
sgranando appena gli
occhi.
«
Perché? », proferì Arthur con voce
roca. « Perché?
Dov’eri, Morgana, dov’eri
durante… ».
La sua frase
rimase incompiuta, interrotta da un brusco sospiro.
Arthur si alzò di scatto dalla sedia, spostandola indietro
con una spinta delle
gambe, e si volse ad affrontare la sorellastra. Le parole, a vedere i
lineamenti di quel volto giovane ora scavati da rabbia e dolore,
morirono in
gola a Morgana.
«
La magia non è sempre infida, Arthur », si
costrinse la
donna. « E Merlin non lo
è ».
Arthur
ghignò, sprezzante, col viso rivolto per un momento
al soffitto.
«
Non lo è? Mi ha ingannato! È… uno
stregone ».
«
La sua colpa è quindi essere ciò che
è? », ribatté
Morgana.
«
Non è questo… non… dannazione!
». Le mani del principe
si serrarono in pugni e colpirono il tavolo con forza, facendo
ribaltare il
calice colmo d’acqua. « Mi ha nascosto una cosa
simile. A me. Ed io mi fidavo,
capisci? Mi fidavo ».
Morgana lo
vide chinare il capo e stringersi nelle spalle.
Lo guardò abbattersi senza osare avvicinarsi. Gli porse a
sua volta la schiena,
dirigendosi alla porta, silenziosa così com’era
venuta.
«
Aveva timore, ed è comprensibile », disse.
« E forse, si
aspettava la tua reazione. Non voltargli più le spalle
».
Allo scatto
della porta, Arthur sentì le gambe cedere e
crollò in ginocchio sul pavimento, i pugni ancora chiusi e
frementi sul tavolo,
mentre la pozza d’acqua scivolava, goccia dopo goccia,
sparpagliandosi per
terra.
Gli parve di
trascorrere un’eternità, prono in quella posa
scomoda. Avvilente. Come se quella sorta di tradimento avesse portato
via con
sé anche l’orgoglio, oltre a brandelli di fiducia
tradita. Pensò alle parole di
Morgana, a quel “non voltargli più le
spalle” pronunciato a mo’ di rimprovero,
e credette che fosse più adeguato alla propria condizione.
Era stato
come raggirarlo, avergli riso alle spalle
nascondendogli una parte così rilevante della sua natura. La
sua vera natura,
ciò che non era riuscito mai a ghermire di lui, quel fumo
sfuggente che si
digradava ogni volta che il sorriso – quel
sorriso – faceva capolino sulla sua bocca. E fu per amore di
quello – il sorriso
– che Arthur decise di fare
qualcosa. Per redimersi, perché una parte di sé,
seppur piccola e futile, gli
diceva che aveva tradito; e per redimere, cercare almeno di redimere
lui da una
colpa all’apparenza esorbitante.
Si
rialzò dal pavimento aiutandosi con le mani e, presa la
spada, marciò verso la porta, aprendola e sparendo nel buio
del corridoio.
Le gambe lo
condussero alle segrete, nel cuore del
castello. Prigioni vuote guidavano l’incedere del principe e
lo scalpiccio
degli stivali sul pavimento freddo manifestava la sua venuta.
«
Chi è là? ».
Arthur
arrestò entro breve la sua andatura, fermandosi
alle spalle della sentinella che stava di guardia. Sguainò
velocemente l’arma e
colpì con l’elsa la nuca del soldato, che cadde
malamente ai suoi piedi, simile
ad un fantoccio, nell’ombra. Arthur si chinò e
frugò nella veste rossa alla
ricerca di un mazzo di chiavi. Quando l’ebbe rinvenuto, lo
rigirò fra le mani,
provando, una dopo l’altra, le diverse chiavi nella serratura
della prigione
dinanzi alla quale aveva trovato la guardia. Lo scatto della serratura
lo fece
rabbrividire. Sospirò, stringendo il labbro inferiore fra i
denti, ed entrò
nella prigione, calpestando lo sporco foraggio che rivestiva
l’intera area.
Sforzò gli occhi, tentando di individuare nel buio la sagoma
di Merlin. La
reperì prima di quanto si aspettasse, disposta in un angolo
della cella, ancora
legata, bendata e con un fazzoletto a separargli le labbra.
Arthur si
avvicinò lentamente e si piegò davanti a quella
figura
scura. Aveva il viso sporco di polvere ed un labbro rotto, ancora
lucido di
sangue. E sulle guance dei solchi sottili di pelle chiara e umida.
Istintivamente, le sue dita si mossero a sfiorare la bocca offesa e
vermiglia –
e i ricordi, crudeli, iniziarono nuovamente ad assalirlo. Socchiuse le
palpebre
come frastornato e diresse le mani a slacciare il bavaglio. Merlin si
mosse, di
botto, e Arthur s’immobilizzò nell’atto
di sciogliere il nodo.
«
Sono Arthur ». E non capì perché lo
disse, né la ragione
del suo tono confortante; solo, avvertì che quella sorta di
rassicurazione
riuscì a calmare Merlin.
Dopo aver
sciolto il bavaglio, si dedicò alle catene che
gli stringevano i polsi.
«
Arthur ».
Arthur non
gli badò, rivolgendosi con maggior impegno e
forza a quelle manette fino a che la chiave non sortì
l’effetto sperato.
«
Arthur, io… ».
Il catenaccio
si aprì e lasciò liberi i polsi feriti di
Merlin.
«
Silenzio », lo zittì il principe. «
Togliti la benda e
va’ ».
Arthur si
rialzò spostandosi nei pressi dell’entrata. Al
sentire il fruscio delle vesti del mago, si portò fuori
dalla prigione, aspettandolo
vicino ad una torcia. Poco dopo avvertì la sua presenza
dietro di sé e si volse
a fronteggiarla, e quasi sentì il respiro mozzarsi nella
gola e rimanere lì, a
soffocarlo. Alla luce del fuoco, i tagli e i lividi sul volto di Merlin
risaltavano
maggiormente, facendo luccicare il sangue nelle ferite ancora aperte.
«
Sbrigati ».
Merlin non
accennò un movimento. Lo guardò negli occhi,
senza far trapelare alcuna emozione.
«
Gaius? ».
« A
Gaius penserò io ».
Merlin
annuì impercettibilmente, senza domandare altro, e
superò
la figura del principe, a rilento, gli occhi ora bassi.
«
Dietro c’eri tu? ». Dietro al mistero, dinanzi alla
spada o alla faretra o allo scudo. L’interrogativo che
l’aveva assillato per
l’intero pomeriggio.
Arthur non
chiese altro. Lasciò solo intendere la propria
amarezza. « Che domanda », rise poi, perfidamente,
« c’eri sempre
tu ».
Merlin torse
il collo e mise a fuoco la sua sagoma
divorata a metà dalle ombre. Il capo biondo era chino, le
spalle ricurve e il
peso della spada costringeva la mano a calarsi.
«
Era un mio dovere », rispose il mago. « Ed un mio
desiderio. Non potevo lasciarti morire ».
Seguì
un breve silenzio, durante il quale Merlin chiuse
gli occhi e tentò di arginare il dolore sordo che gli
stordiva i sensi. Era
tutto strano, così ovattato che avrebbe potuto confondere la
realtà col sogno.
Allontanarsi da Camelot, abbandonare Gaius, dire addio a Gwen.
Lasciare
Arthur per un lasso di tempo indeterminato,
magari per sempre.
«
Credevo che… ». Merlin scosse il capo, portando
una mano
a coprire gli occhi.
«
Mi hai ferito, Merlin », sibilò Arthur,
« nemmeno
immagini quanto ».
Merlin si
volse del tutto ad affrontare la figura
slanciata di Arthur, ritta e fiera, non più di spalle. La
fiamma che
risplendeva al suo fianco proiettava un riflesso di fuoco nei suoi
occhi
azzurri, e il gioco di ombre rendeva ancor più duri e seri i
suoi tratti.
«
Sai come mi sento adesso? Lo sai? ».
«
Era ciò che temevo », sussurrò Merlin,
il capo chino. «
Hai reagito proprio… come nelle mie più orrende
fantasie ».
«
Come avrei dovuto reagire? Sei uno… stregone,
maledizione! È stato troppo, troppo ».
«
Mi disprezzi, allora? ».
«
Io… ». Il principe parve soppesare quel quesito.
Il suo
sguardo si svuotò lentamente della durezza che
l’aveva inasprito e si fece stranito.
« Ti ho… », iniziò in un tono
quasi sorpreso, ma non completò la frase.
Merlin
sentì il cuore perdere un battito. Non riuscì a
sopportare il rimpianto ed il rifiuto: si avventò su Arthur,
aggrappandosi al bavero
del suo mantello scuro, come un naufrago ad uno scoglio. Lo scosse
leggermente,
prima di posare il capo contro il suo petto ansante.
«
Devi credermi », ringhiò sommessamente, i denti
stretti,
gli occhi serrati a contenere le lacrime, « devi credermi
quando ti dico che non
ho mai usato i miei poteri se non per proteggerti, devi.
Non sarei mai capace di farti del male, mai, mai, mai ».
«
Come posso crederti ancora? ». Arthur sospirò sui
capelli neri di Merlin, chiudendo a sua volta le palpebre. «
Mi hai celato
qualcosa di… tremendo. Ha sconvolto tutto, ha annientato le
mie certezze. Come
posso fidarmi di te dopo tutto questo? ».
Con uno
sforzo che parve a lui stesso sovrumano, sollevò
la spada e la posò contro la nuca di Merlin, verticalmente.
« Allontanati da me,
ora », proferì soltanto, riaprendo gli occhi, in
un’espressione gelida.
Merlin
sollevò il capo velocemente, sentendo la lama
premere contro il collo scoperto, nudo ed inerme, in
quell’abbraccio letale. Arthur
non l’avrebbe mai fatto, non si sarebbe azzardato a compiere
un simile gesto
nei suoi confronti. Ma le circostanze erano cambiate radicalmente,
ormai; tutto
era diverso. Lui non era più il suo fedele servo, e gli
occhi che lo stavano
divorando non erano pieni né di tenerezza, né di
ilarità.
«
Arthur, ti prego ».
«
Non osare rivolgerti a me come ad un tuo pari ».
Forse furono
le sue parole, combinate con quel gesto
inumano, a risvegliarlo. L’astio di quella frase –
breve, concisa – lo aveva
schiaffeggiato in una maniera tanto potente da costringerlo a riaprire
gli occhi
e capire, comprendere che tutto stava effettivamente accadendo. Per
quanto dura
fosse la realtà, doveva separarsi da ciò che
aveva imparato ad amare.
«
Vattene e non fare più ritorno ».
Le dita di
Merlin lasciarono andare la stoffa con
passività, in un gesto meccanico. Non distolse gli occhi da
quelli di Arthur,
nemmeno quando cominciò a scostarsi da lui e a retrocedere.
Si rese conto
di essere ancora in pericolo solo dopo aver
visto la figura del principe sparire dietro l’angolo appena
svoltato. Fu lì che
inizio la sua corsa, veloce e rabbiosa, i pugni serrati, le unghie
conficcate
nella carne dei palmi, i denti che addentavano le labbra. Tutto era
sfocato,
caldo e freddo ad un tempo. Sentì dei passi avvicinarsi e
delle urla. « È
scappato! », dicevano, « che qualcuno lo catturi!
». Ma erano distanti,
distanti anni luce.
Come lui.
¨
«
È finita. Ho fallito ».
Erano parole
pesanti, opprimenti.
Gli
toglievano il fiato persino più di una corsa attorno
al campo di addestramento. Ed era faticoso fare un giro intero, senza
mai
fermarsi. Sorrise mestamente al pensiero: Arthur era solito portarselo
dietro
agli allenamenti della cavalleria, non tanto per compagnia, ma
piuttosto per
affidargli le sue armi – anche se alle volte si fermava a
braccia incrociate
vicino a lui, lamentandosi del fatto che, un giorno, sulle spalle di
quei
fantocci sarebbe pesata la responsabilità di salvaguardare
il regno.
Posò
la testa sulle ginocchia congiunte, senza emettere un
solo lamento.
«
Non è finita, giovane mago », rispose una voce
cavernosa.
«
Ah, no? ».
Si sentiva
svuotato, dentro, squarciato, come se una spada
gli avesse asportato le interiora con un unico colpo.
Il petto, era
il petto che doleva più di ogni altra parte
del corpo.
Merlin
sollevò gli occhi sulla mastodontica figura del
drago, accovacciato su una roccia davanti a lui; i suoi occhi ambrati
lo
scrutavano, impenetrabili. Si limitò a ricambiare lo sguardo
per alcuni
secondi, prima che la testa ricadesse ancora sulle ginocchia e gli
occhi si
chiudessero, stanchi.
«
Mi troveranno », sussurrò, « e allora
sarà finita sul
serio ».
Seguì
un silenzio carico di tensione e risentimento. Alle
orecchie di Merlin pervenivano soltanto il debole scroscio
dell’acqua e il
respiro roco del drago.
«
Devi fidarti di lui ».
«
Fidarmi? Fidarmi?
», esclamò Merlin con amara ironia. « Mi
domando se credi veramente alle parole
che enunci ».
Il muso del
drago si alzò. « Perché sei venuto da
me,
allora? Se davvero credi che ti cattureranno, allora dovresti fuggire
da
Camelot ».
«
Fuggire dal mio destino, dunque? ».
«
Il tuo destino non è Camelot, Merlin. È Arthur
».
«
È uguale ».
«
No, non lo è », obiettò ancora il
drago. « È molto,
molto diverso, invece ».
«
Arthur… ». Merlin si morse il labbro inferiore,
ghignando. « Arthur è come suo padre. E tu lo
conosci, Uther. Odia la magia più
di ogni altra cosa ».
Il drago
scosse il capo, lentamente, senza distogliere gli
occhi dalla sagoma smilza del mago. « Non hai visto
ciò che a me è concesso
vedere. Non hai visto l’Albion di Arthur. Se il principe
dovesse realmente essere
come il padre, il tuo destino non potrebbe mai adempiersi ».
«
È ciò che sta accadendo ».
«
Fandonie, mago. Questo è ciò che tu vuoi vedere ».
Merlin si
alzò di scatto da terra, in un moto d’ira.
« Io?
», urlò, battendo il palmo di una mano contro il
petto. « Io? Credi
veramente che possa volere una cosa simile? ».
Il drago si
rabbuiò, la fronte e il muso in ombra. Solo
gli occhi rifulgevano, nell’oscurità, di un caldo
color oro. Vedeva l’aura
ambrata circondare il piccolo, gracile stregone; la vedeva crescere a
ritmo dei
battiti incalzanti del suo cuore. Per un momento, ne ebbe timore. Ma
Merlin era
solo un ragazzo ingenuo, abbandonato alla passione: non era in grado di
controllare
appieno la magia, non era in grado di utilizzarla nel migliore dei
modi.
Non era
ancora ciò che era destinato ad essere.
«
Due facce della stessa medaglia, ricordi? », disse il
drago. « Lui non può odiarti ».
Merlin
esplose in una risata aspra, ostile. « Avresti
dovuto sentirlo, allora. Vederlo », ribatté con
durezza. « Avresti dovuto
vedere i suoi occhi ».
Il drago
ruggì sommessamente, torcendo il collo per staccare
gli occhi dalla sagoma sottile di Merlin. « Io vedo
», soffiò, leggero.
« E
cosa vedi, sentiamo ».
«
Vedo un ragazzo spaventato dal proprio destino »,
ribatté la creatura, le iridi infuocate di nuovo su Merlin,
rigide. « Vedo il
terrore nei confronti della verità. Vedo il tuo futuro, il nostro futuro, svanire a causa del
panico. Sono i tuoi sensi a
destabilizzarti; se solo sapessi governare il sentimento che ti scuote,
potresti fare grandi cose, grandi! ».
Merlin
chinò il capo. Gli incisivi candidi morsero il
labbro inferiore per fermarne il tremito.
Sentiva che
ciò a cui era destinato stava scivolandogli
via dalle mani, scorrendo fra le dita, crudele ed inarrestabile, come
acqua e
vento. Destino, quale parola più errata.
L’ineluttabilità avrebbe dovuto
garantirgli tutto; invece, quel tutto – la sua vita
– sfumava col passare del
tempo, ad ogni secondo.
La sua mente
si rivolse a Gaius, e a sua madre. Gaius avrebbe
potuto rischiare un processo con l’accusa di tradimento, solo
perché lo aveva
accolto ed accudito come un genitore, aiutandolo a celare il suo
segreto. E sua
madre… sua madre avrebbe potuto morire. Chi gli assicurava
che Uther non
avrebbe mandato una esigua truppa di soldati per sterminare il
villaggio e far
fuori Hunith? La madre dello stregone, pensò con sprezzo,
colei che l’aveva generato,
allevato ed in seguito spedito a Camelot a portar sventura.
«
Sai una cosa? », proruppe Merlin. « Sono una
nullità. Ho
fallito, in tutto. Il mio destino è andato perduto, e mi
sento come svuotato,
insulso, privo di vita. Ho perso… »,
tentò di concludere, sforzandosi ad
ingollare il groppo che gli ostruiva la gola, « ho perso lui,
per sempre ».
«
Nulla è per sempre, giovane mago ».
«
Nemmeno il destino ».
Il drago
assottigliò gli occhi, sorridendo. « Nemmeno il
destino? », ripeté. « Ma vale la pena
lottare per ciò in cui si crede, lottare
per i propri sogni, per la speranza. Per i sentimenti ».
«
Sentimenti… ».
«
Sentimenti, sì », rincarò il drago.
« L’amore, ad
esempio. L’amore di tua madre, senza il quale non saresti
venuto al mondo;
l’amore di Gaius, che ti ha sostenuto ed educato come un
padre. L’amore del
principe, ciò che mai ti saresti aspettato ».
Merlin
dischiuse le labbra aride, arretrando fino a
sentire gli angoli della parete rocciosa contro le spalle,
metà sorpreso da
parole che non si aspettava. Vi poggiò cautamente la testa e
sospirò, le
palpebre serrate e tremanti. « Un amore che si è
spento. A causa di ciò che
sono ».
Il drago si
limitò al silenzio per qualche istante.
«
C’è una foresta, al limitare del regno
», proferì poi,
scrutando i lineamenti provati del mago.
«
Una foresta? ». Merlin riaprì gli occhi,
ricambiando
l’occhiata con un’espressione lievemente accigliata.
La bestia
annuì. « Percorri il regno puntando sempre a nord.
Ai piedi della Catena Grigia, troverai una foresta. Quello è
uno dei pochi
luoghi, sconosciuti al sovrano, in cui l’utilizzo della magia
è ignorato. È lì
che vive Lei ».
«
Lei? ».
«
La madre di tutte le cose, Hiril [1]
», sorrise il drago, quasi a volerlo rianimare. «
Una creatura che accudisce e protegge. Sono certo che troverai asilo
lì, nessun
altro posto è più sicuro ».
Merlin
annuì distrattamente scostandosi dalla parete e
avviandosi verso il varco della caverna.
«
Merlin », lo chiamò il drago, prima che sparisse
oltre
il passaggio; il mago si voltò. « Per la speranza
», disse, « abbi fede. Adesso
vai, fuggi lontano da qui ».
«
Ti ringrazio », rispose Merlin con un sorriso appena
accennato,
per poi lasciarsi alle spalle il drago e quel luogo cavernoso in cui,
tempo
addietro, era venuto a conoscenza del proprio destino - un destino che
gli era
parso un ente invalicabile, impossibile da affrontare, e che, in quel
momento, era
tutto fuorché sinonimo di certezza.
Breve
nota, ragazzi.
Per
quanto i cliché siano enormi –
lo sono, oh sì che lo sono :D – ho
cercato di imprimere qualcosa di mio. Anche se, a dirla tutta, non
è che ne sia
fiera al 100%. È fin troppo spezzettata, per i miei gusti,
ma non sono riuscita
ad aggiungere altro o ad allungare dei pezzi. Penso che leggerla
sarà stato
faticoso tanto quanto lo è stato scriverla :D
E
comunque, quella che vi siete lasciati poco prima alle spalle non era
che la
prima parte di una long-fiction a due capitoli (o, per meglio dire, di
una
one-shot divisa in due) scritta per la challenge “Swords
& Spells” con,
come prompt, un pezzo de La canzone di Marinella di De
André: “Ma un re
senza corona e senza scorta
Bussò
tre volte un giorno alla tua porta (…)
Tu
lo
seguisti senza una ragione
Come
un ragazzo segue un aquilone”.
Ora,
non
chiedetemi com’è uscita questa cosa qua da un
frammento di testo simile. Non
c’entra un tubo – almeno finora. Vedremo
nell’ultima parte :D
Un
bacio
a Val, con la quale fangherlare è sempre un piacere immenso
– specie se ci sono
Arturi pronti al balzo di mezzo –, e a Gaietta <3
Ah,
ovviamente pure a Giù, sì. Anche se è
diventata più acida di uno Yoga rancido.
E
prima
che lo dimentichi, ringrazio chi ha recensito la mia prima shot su
questo
fandom. Mi avete fatto saltellare per la gioia *O*/