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Autore: Sorella_Erba    10/04/2009    9 recensioni
Merlin, nel tentativo di trarre in salvo Arthur durante una battuta di caccia, viene scoperto da un cavaliere. E mentre il re lo condanna a morte, dinanzi alla corte reale - dinanzi agli occhi dello stesso principe - vede il suo destino sgretolarsi e svanire nel nulla. Ma deve imparare ad avere pazienza e, soprattutto, fede. In Arthur e nel loro avvenire.Fanfiction scritta per la challenge "Swords & Spells".
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima stagione
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Le porte della camera erano chiuse a chiave. Da fuori non proveniva alcun rumore e dentro il silenzio dominava sovrano, non fosse per gli sbuffi che alle volte lo interrompevano. Una parte delle tende del baldacchino rosso – che ondeggiavano pigramente, a ritmo del vento fresco mattutino che s’addentrava dalla finestra socchiusa – era stata tirata, un po’ per celare ciò che durante la notte aveva avuto luogo, un po’ per desiderio di reclusione, dettato dal rifiuto nei confronti del resto del mondo.

Era sorprendente come, a volte, anche un tipo come lui – così altero, egocentrico, avrebbe detto Merlin – aveva bisogno di congegnare uno spazio tutto per sé, da condividere con chi più gli aggradava.

La prima cosa che constatò fu il gelo del mattino. Persino sotto le coperte e con un corpo nudo e tiepido accanto, si sentiva tremare, lievemente, la pelle accapponata che strusciava contro il tessuto ruvido delle coperte. Mosse le gambe, lentamente, a ricercare calore ed un piede andò ad intrecciarsi alle sottili caviglie che gli cingevano la coscia. Sospirò, concludendo, soddisfatto che la ricerca si fosse risolta a buon fine. Sistemò un braccio attorno alla vita sottile del corpo vicino, accostandolo maggiormente a sé e respirando il profumo di quella pelle. Lasciò un leggero bacio sulla nuca, ad occhi chiusi, e percepì la vibrazione di un mugugno divertito.

« Smettetela ».

Era ovvio che non gli desse ascolto. Ovvio, naturale.

Continuò a lasciare una scia di baci lungo le spalle esili, ad assaggiare il sapore fresco di quella pelle che, la sera precedente, era divenuta tanto rovente da rischiare di scottarsi, standovi a contatto. E lo sentiva, piccolo e fragile fra le braccia, tremare in maniera incontrollabile.

« Smettila tu, piuttosto », sorrise contro il suo collo, « tremi come un pulcino bagnato ».

La testa di Merlin, scura ed arruffata, fece capolino da sotto le coperte. Il suo corpo vibrò per un istante al tocco di Arthur e prima che il principe potesse aggiungere altro, si girò e andò a rifugiarsi fra le braccia calde che lo cingevano.

« Freddo », si lamentò, la bocca impastata, premendo la punta fredda del naso sul collo di Arthur, che tremò a sua volta al contatto.

« Lo so ».

Arthur sfregò una guancia contro i capelli corvini di Merlin, posandovi poi un bacio ed un sospiro, con delicatezza. « Non è… », iniziò. Umettò le labbra aride con la punta della lingua, cercando un aggettivo per descrivere quel che c’era stato, la notte precedente.

Inspiegabile.

Era ciò che gli veniva in mente, come prima parola. Ma non era inspiegabile, dopotutto: sarebbe bastato rifletterci sopra per qualche minuto e una giustificazione sarebbe venuta da sé. Merlin l’aveva sempre attratto, in un certo senso; forse l’aggettivo ‘inspiegabile’ si conformava più a lui che agli avvenimenti della nottata. Era sfuggente, come il fumo. Poteva vederlo, studiarlo, contemplarlo; ma non afferrarlo, non del tutto. Arthur aveva sempre tentato di ghermire con dita incerte la sua essenza, ciò che in fondo Merlin era. Puntualmente, però, quando era ad un passo dal denudare la facciata che si presentava ogni giorno davanti a lui, per servirlo e schernirlo giocosamente, tutto svaniva, in un soffio leggero di fumo. Quel che le sue dita sentivano, allora, era solo la pelle tirata di una guancia sorridente, e tanto bastava per fargli dimenticare il resto.

« Non è cosa, sire? ».

Arthur sbuffò, indispettito. « Sire? ».

« Perché, come volete che vi chiami? ». Gli occhi di Merlin cominciarono a scrutarlo, non appena la sua testa si fu distaccata dall’incavo del collo del principe. Gli piaceva quando cominciava a punzecchiarlo.

« Magari col mio nome? ».

« E voi mi permettere questa confidenza? ».

« Siamo intimi, Merlin », sottolineò Arthur, roteando gli occhi con fare annoiato. « In privato potresti pure usare meno formalità ».

Merlin ridacchiò e scosse il capo. Gli occhi blu, vedeva Arthur, si socchiudevano in maniera graziosa, molto da fanciullo; gli davano un’aria sbarazzina e vivace. Non fu in grado di reprimere una risatina. « Sei un bambino, Merlin. Uno sciocco bambino ».

Merlin cessò di ridere e, con l’ombra di un sorriso sulla bocca, ritornò a sistemarsi contro il collo di Arthur, rannicchiandosi ed adattandosi alla posizione del suo corpo.

« È stato bello », proferì in un mormorio che riecheggiò sotto le coperte.

Arthur si accigliò, gli occhi che seguivano le pieghe del baldacchino. « Bello? ».

« Sì », continuò sorridendo Merlin. « Non mi aspettavo che fossi così… così, ecco ».

« Così? Bello? ». Arthur scrollò le spalle con un sospiro burbero.

Era stato lui a chiedergli di non usare toni formali quand’erano soli – lo aveva appena fatto –, eppure era rimasto lievemente sorpreso dal nuovo modo di rivolgersi che aveva adottato Merlin, così in fretta. Sarebbe stato un po’ difficile abituarsi.

« Mi domando se stavi dormendo mentre lo facevamo », finì, masticando le ultime parole della frase.

Merlin barbugliò qualcosa d’incomprensibile e il suo mugugno si spense nell’aria fredda, lasciandosi a tergo una scia di tranquillo, pacifico silenzio. Non c’era niente da aggiungere, nulla di rilevante.

« È ora di alzarsi, mi sa ».

« Dici? Sono così… svogliato ».

« Che novità ».

Arthur sogghignò, chiudendo un momento gli occhi. « Gogna, gogna », canticchiò, le dita che solleticavano il collo dell’amante.

Merlin si liberò dall’abbraccio del principe e si puntellò sui gomiti. I capelli arruffati e l’espressione ancora assonnata che marcava i suoi lineamenti lo rendevano ancora più buffo di quanto già fosse. Arthur gli pizzicò una guancia incavata, ghignando apertamente al gemito di replica.

« Non mi sono annoiato, se è questo che intendevi », soggiunse l’inserviente, ripensando alla sferzata che precedentemente gli era stata lanciata. Scostò le dita del principe. « … a differenza di quanto mi aspettavo ».

« Cosa? », rise Arthur. In un batter d’occhio, senza che Merlin se ne potesse accorgere, lo aveva atterrato sulle coperte, scoprendo gran parte del corpo nudo. « Allora cerchi davvero guai ». Detto questo, lambì il labbro inferiore con la punta della lingua e si gettò sul ragazzo esalando un sospiro ansioso, iniziando a giocare con la pelle sottile di quel collo candido.

« Non è… non è ora », tentava di articolare Merlin, cercando con le mani di allontanare Arthur; ma il principe gli afferrò i polsi, portandoglieli sopra la testa.

« Comando io ».

Per risposta, Merlin sbuffò roteando gli occhi. « Oggi c’è una battuta di caccia, non so se te ne ricordi… ».

« Abbiamo tutto il tempo del mondo, Merlin ». La voce di Arthur giungeva smorzata dall’incavo del suo collo.

« Non credo », ribatté l’inserviente, fremendo quando il respiro di Arthur sfiorò, freddo, la pelle calda della gola. Poi, in un tono alquanto sommesso, pigolò: « Devo ancora preparare le vesti e… be’, lucidare l’armatura ».

Arthur si fermò all’istante, e Merlin immaginò l’espressione che le sue fattezze avessero assunto: occhi sbarrati, bocca dischiusa. Un’aria decisamente bieca, che non prospettava alcuna buona intenzione.

« Mh. Cosa ti avevo ordinato, ieri sera? ».

Merlin deglutì. « Di preparare tutto », rispose. Sentì Arthur distaccarsi ed ergersi sopra di lui, con lo stesso sguardo che aveva immaginato potesse ostentare.

« E perché non l’hai fatto? ».

Ma poi i ricordi della sera precedente – caduti quasi a fagiolo - soggiunsero alla mente dell’inserviente, che non riuscì a trattenersi dal rinfacciarli.

« Se ricordo bene », fece, « mi sei salito addosso, senza darmi la possibilità di svolgere i miei doveri ».

Arthur scosse il capo con uno schiocco della lingua e si alzò svogliatamente dalle coperte ancora tiepide, sgranchendosi le braccia e dirigendosi verso il tramezzo sistemato in un angolo della stanza. Merlin gettò il capo sui cuscini in un sbuffo stanco, le braccia abbandonate sul giaciglio scomposto, e proprio nel momento in cui aveva chiuso gli occhi e sentito il torpore invaderlo, ammaliante, la voce di Arthur lo destò, molesta.

« Vedi di prepararmi i vestiti, Merlin, a meno che tu non voglia che anche il resto della corte possa godere della tua stessa visione mattutina ».

Leave out all the rest.

{ I'm strong on the surface, not all the way through.

Arthur entrò nella sala del trono annunciato dal consueto scricchiolio delle porte e percorse a grandi passi la distanza che lo separava dal re, con un’espressione greve dipinta sul viso.

« Abbiamo un problema ».

Uther si volse immediatamente alla frase enunciata dal figlio e abbandonò i cavalieri con cui stava progettando piani d’attacco ai danni di paesi confinanti, andandogli incontro.

« Cosa intendi? ».

Raggiunto il padre, Arthur schiarì la voce, una mano serrata attorno all’elsa della spada.

« Stamani sono partito con un gruppo di cavalieri a caccia, nella foresta vicina, e ci siamo imbattuti in un essere che di comune ha ben poco ».

« Spiegati meglio », incalzò Uther, percorrendo con lo sguardo accigliato il volto di Arthur.

« È dotato di due teste dissimili, una di leone e la seconda di capra, sulla schiena. La coda è strana, di un colore più scuro e lucente rispetto alla pelliccia », spiegò il principe. « Non ho mai visto un animale del genere ».

Uther spalancò gli occhi, interdetto.

« Padre, potrebbe essere… ».

« No », negò subito il sovrano. « E anche se lo fosse, tu e i tuoi cavalieri sarete capaci di affrontarla. Eliminala il prima possibile, Arthur ».

Arthur inspirò dalla bocca dischiusa e chinò il capo all’ordine del sovrano. Senza ribattere, diede le spalle alla corte e si allontanò in direzione delle porte, con passo deciso. Fuori, trovò Merlin ad attenderlo, esitante sul posto. Quando vide le porte chiudersi e il principe allontanarsi, degnandolo soltanto di un fugace sguardo, l’inserviente si precipitò a seguirlo.

« Cosa vi ha detto? », iniziò all’istante.

« Di combatterla con la cavalleria ».

« Ma… ». Merlin rimase basito. « Ma è ovvio che quella sia stregoneria ».

« Dillo a mio padre, Merlin », ghignò un istante Arthur.

« Lasciate che informi Gaius ».

« No ».

« Ma potrà aiutarci! ».

« Aiutarci? ». Arthur lo guardò sorridendo, cinico. « Tu non andrai da nessuna parte. Va’ a preparare il mio cavallo, entro breve radunerò i cavalieri ».

Merlin gli rivolse un’occhiata crucciata, che il principe ricambiò con un altro sorriso altero, stavolta un po’ più largo.

« Come volete », si licenziò.

Merlin svoltò un angolo, abbandonando Arthur lungo il corridoio, e si diresse non alle stanze del principe, ma piuttosto ad una delle torri del castello, aumentando il passo.

« Merlin! », esclamò Gaius, vedendolo apparire dal nulla. Abbandonò sul tavolo da lavoro una grande lente e si dedicò al ragazzo. « Cosa ci fai qui? Hai già svolto i tuoi doveri? ».

« Ho bisogno del vostro aiuto », esordì Merlin, osservandolo serio. « Per salvare Arthur ».

¨

« In ginocchio! ».

Cadde come un corpo morto, non sulle ginocchia, ma completamente sdraiato per terra, un lato del viso contro il pavimento gelido, le mani legate dietro la schiena.

« Tu ».

La corte era taciturna, raccolta in un silenzio irreale, tetro. Le luci del giorno riverberavano sul pavimento cristallino, illuminando e risaltando i riflessi confusi, opachi, del sovrano e dei suoi cavalieri. Manti rossi, armature lucenti, sistemati compostamente a cerchio attorno alla sagoma elevata del re. Di Arthur non c’era traccia.

« Stento a crederci ». La voce del re era colma di sorpresa e di collera ad un tempo. « Il valletto di mio figlio ».

« Sire, io… ». Merlin tentò di rialzarsi.

« Taci! Taci, stregone! », sbottò Uther, sollevandosi di colpo dal trono. « Hai approfittato della mia bontà per troppo tempo! ».

Scese con lentezza i gradini della pedana e si avvicinò al corpo malamente disteso del mago, osservandolo disgustato, le narici dilatate e la fronte increspata dall’ira. « Tutto si ricollega, in tal modo. Ogni calamità, ogni sciagura, ogni disgrazia abbattutasi sul regno ».

Le porte della sala si spalancarono all’improvviso, provocando un forte spostamento d’aria, che agitò i mantelli e le vesti dei presenti, seguito dall’incalzante suono di passi decisi.

« Cos’è successo, padre? », tuonò la voce di Arthur, che riecheggiò fra le alte volte del soffitto. « Un soldato mi ha riferito della cattura… ».

S’interruppe bruscamente alla vista di Merlin accasciato sul pavimento. La sua andatura si smorzò fino a fermarsi del tutto. « Merlin », soffiò sorpreso. Sollevò un momento gli occhi su suo padre, scorgendo il disprezzo scavargli i lineamenti.

« Cosa significa questo? », chiese. « Cosa c’entra lui? ».

Uther alzò il mento, serio. « È lui ».

« Lui..? ».

D’un tratto, la risata di Arthur riempì il silenzio crollato sulla sala del trono. Arthur volse un momento le spalle alla corte, il viso ridente rivolto a mirare il soffitto. « Merlin? Padre, una scena simile è già successa ».

« Mi aspettavo questa tua reazione », pronunciò il sovrano, riacquistando con forza la calma e tornando a sedersi sul trono. Prima di proseguire con il suo discorso, posò il mento sul dorso di una mano e sospirò. Arthur tornò serio e si pose accanto alla figura china del suo inserviente, lanciandogli un’occhiata incerta. Nascose un sogghigno dietro una mano, senza indugiare sui suoi lineamenti contratti dall’angoscia.

« Ci sono prove a suo sfavore? Se sì, da chi sono state dichiarate? ».

Uno dei cavalieri di Camelot uscì fuori dalla linea. « Da me, maestà ».

Arthur impallidì in un colpo.

« Come vedi, Arthur », appoggiò Uther, con un cenno della mano, « sir Creighton è stato testimone oculare dell’accaduto. E tu sai che, per rispetto delle leggi che governano il nostro regno, i cavalieri sono obbligati alla lealtà ».

Il principe dischiuse le labbra e guardò nuovamente Merlin, stavolta con occhi increduli. E vide, stavolta vide ogni più piccolo, insignificante particolare, che fosse il pallore insolito che gli spegneva le guance o le labbra ridotte ad una linea sottile.

« Esponi l’episodio alla corte, Creighton », ordinò il re.

Arthur ascoltò, ascoltò attentamente ogni singola parola che la bocca del cavaliere formulava, a gran voce, e che riecheggiava nella sala e nella sua mente, stordendolo con lentezza. Parlava di uno schiocco di dita, di uno sguardo dorato e di brillio intenso che per un istante gli aveva accecato gli occhi, e della spada del principe alzarsi in volo, mossa da mani invisibili, e divenire più lucente, sotto i raggi deboli di un sole offuscato, fino ad ardere quando si conficcò nel petto della creatura. Magia.

« È… vero? ».

Arthur si era sistemato al fianco di Uther, quando Merlin alzò gli occhi in sua direzione; aveva assunto una posa che gli si confaceva ben poco, pensò, con le braccia cascanti lungo i fianchi e le mani mollemente aperte, segno di evidente impotenza. Ma la sua espressione, attonita ed atterrita ad un tempo, era ciò che faceva più male. Ciò che mai, mai avrebbe voluto vedere su quelle fattezze, la cui unica caratteristica corrispondeva a tutt’altro che alla debolezza.

Merlin non seppe rispondere. Si limitava a fissarlo, gli occhi spenti, non fosse per le lacrime che li inumidivano.

« Rispondi, dannazione! », proruppe Arthur, facendosi avanti. « È vero, Merlin? È vero? ».

Il silenzio fu la sola risposta che il mago, ancora, fu capace di dare. I lineamenti tesi di Arthur si trasformarono in una maschera di rabbia. Si gettò in avanti, afferrandolo per il bavero della maglia, iniziando a strattonarlo con violenza.

« Di’ loro che non è così! Diglielo! ».

Ma, fra gli scossoni, non uscì parola. Non una, e la verità cadde addosso ad Arthur come un macigno. Si sentì sprofondare, sotterrare dal quel peso greve.

« Non osa nemmeno rispondere », ribatté sprezzante Uther. « Il suo silenzio non fa che assentire ».

« È vero », asserì Merlin immediatamente dopo che le parole del re si furono spente, senza che la voce lo tradisse, ferma.

Arthur vide l’ultimo bagliore di speranza digradarsi e sparire nel buio dell’incertezza. Scrutò i lineamenti del servitore, stringendo la maglia spasmodicamente fra le dita, gli occhi sgranati e colmi d’incredulità che non abbandonavano quelli di Merlin.

« Voglio un servo di cui potermi fidare! », gli aveva gridato una volta, in un tempo che sembrava tanto distante ed inimmaginabile. E cosa gli aveva risposto lui, cosa? Cosa?

« Voi potete fidarvi di me! ».

Potete fidarvi, potete fidarvi. Potete… potete fidarvi…

« Domani avrà luogo l’esecuzione pubblica », tuonò il sovrano. « Portatelo nelle segrete. Bendatelo, utilizzate delle catene per legargli i polsi ed uno straccio per chiudergli la bocca, affinché non possa utilizzare sporchi trucchi per liberarsi. Che nessuno lo perda di vista ».

Merlin venne legato, bendato ed imbavagliato dinanzi all’intera corte, taciturna spettatrice. Morgana assistette alla scena, silenziosa, con una mano sul petto e l’espressione afflitta; quando notò lo scatto di Gwen, mossasi nel tentativo di bloccare in qualche modo l’arresto, la fermò con un braccio negando col capo. Posò una mano sulla spalla della serva e spostò lo sguardo su Arthur, il cui volto appariva ora indecifrabile.

Eppure, lei sentiva – sentiva senza comprendere appieno cosa fosse – che c’era qualcosa oltre quel velo impenetrabile ed illeggibile.

« Potete fidarvi ».

¨

Quando Morgana fece il suo ingresso nelle stanze del principe, trovò Arthur seduto su una sedia, lo schienale rivolto alla porta e il viso puntato a rimirare la luna.

Il silenzio, notò Morgana, era ciò che più inquietava. Era un silenzio teso, assenza di rumori immobile, la quale sussurrava – senza effettivamente farlo – che nulla sarebbe più cambiato e né, tantomeno, ritornato a ciò che era un tempo. Ed era Arthur a plasmare le emozioni di quell’ambiente; era sempre stato lui, sin dal principio.

« Non dormi ».

Arthur non replicò. Si limitò, ancora, a guardare dalla finestra il cielo notturno. La luna, dall’alto della sua posizione preminente, sembrava schernirlo. Forse, aveva visto anche troppo.

« Tu credi alle parole di Creighton? ». Arthur si portò una mano sugli occhi stanchi, sospirando. « Io stento ancora… ».

Morgana distolse lo sguardo dalla spalliera della sedia, portandolo a terra.

« Perché non hai tentato di difenderlo? », espresse, e la sua voce incerta si spense nuovamente, con lentezza, fino a tramutarsi in un fioco sospiro.

La risposta che ottenne fu una risata, non sommessa, né trattenuta: era quasi urlata e suonava più come un grido di dolore che come un riso di scherno. Morgana sussultò sul posto, incerta, sgranando appena gli occhi.

« Perché? », proferì Arthur con voce roca. « Perché? Dov’eri, Morgana, dov’eri durante… ».

La sua frase rimase incompiuta, interrotta da un brusco sospiro. Arthur si alzò di scatto dalla sedia, spostandola indietro con una spinta delle gambe, e si volse ad affrontare la sorellastra. Le parole, a vedere i lineamenti di quel volto giovane ora scavati da rabbia e dolore, morirono in gola a Morgana.

« La magia non è sempre infida, Arthur », si costrinse la donna. « E Merlin non lo è ».

Arthur ghignò, sprezzante, col viso rivolto per un momento al soffitto.

« Non lo è? Mi ha ingannato! È… uno stregone ».

« La sua colpa è quindi essere ciò che è? », ribatté Morgana.

« Non è questo… non… dannazione! ». Le mani del principe si serrarono in pugni e colpirono il tavolo con forza, facendo ribaltare il calice colmo d’acqua. « Mi ha nascosto una cosa simile. A me. Ed io mi fidavo, capisci? Mi fidavo ».

Morgana lo vide chinare il capo e stringersi nelle spalle. Lo guardò abbattersi senza osare avvicinarsi. Gli porse a sua volta la schiena, dirigendosi alla porta, silenziosa così com’era venuta.

« Aveva timore, ed è comprensibile », disse. « E forse, si aspettava la tua reazione. Non voltargli più le spalle ».

Allo scatto della porta, Arthur sentì le gambe cedere e crollò in ginocchio sul pavimento, i pugni ancora chiusi e frementi sul tavolo, mentre la pozza d’acqua scivolava, goccia dopo goccia, sparpagliandosi per terra.

Gli parve di trascorrere un’eternità, prono in quella posa scomoda. Avvilente. Come se quella sorta di tradimento avesse portato via con sé anche l’orgoglio, oltre a brandelli di fiducia tradita. Pensò alle parole di Morgana, a quel “non voltargli più le spalle” pronunciato a mo’ di rimprovero, e credette che fosse più adeguato alla propria condizione.

Era stato come raggirarlo, avergli riso alle spalle nascondendogli una parte così rilevante della sua natura. La sua vera natura, ciò che non era riuscito mai a ghermire di lui, quel fumo sfuggente che si digradava ogni volta che il sorriso – quel sorriso – faceva capolino sulla sua bocca. E fu per amore di quello – il sorriso – che Arthur decise di fare qualcosa. Per redimersi, perché una parte di sé, seppur piccola e futile, gli diceva che aveva tradito; e per redimere, cercare almeno di redimere lui da una colpa all’apparenza esorbitante.

Si rialzò dal pavimento aiutandosi con le mani e, presa la spada, marciò verso la porta, aprendola e sparendo nel buio del corridoio.

Le gambe lo condussero alle segrete, nel cuore del castello. Prigioni vuote guidavano l’incedere del principe e lo scalpiccio degli stivali sul pavimento freddo manifestava la sua venuta.

« Chi è là? ».

Arthur arrestò entro breve la sua andatura, fermandosi alle spalle della sentinella che stava di guardia. Sguainò velocemente l’arma e colpì con l’elsa la nuca del soldato, che cadde malamente ai suoi piedi, simile ad un fantoccio, nell’ombra. Arthur si chinò e frugò nella veste rossa alla ricerca di un mazzo di chiavi. Quando l’ebbe rinvenuto, lo rigirò fra le mani, provando, una dopo l’altra, le diverse chiavi nella serratura della prigione dinanzi alla quale aveva trovato la guardia. Lo scatto della serratura lo fece rabbrividire. Sospirò, stringendo il labbro inferiore fra i denti, ed entrò nella prigione, calpestando lo sporco foraggio che rivestiva l’intera area. Sforzò gli occhi, tentando di individuare nel buio la sagoma di Merlin. La reperì prima di quanto si aspettasse, disposta in un angolo della cella, ancora legata, bendata e con un fazzoletto a separargli le labbra.

Arthur si avvicinò lentamente e si piegò davanti a quella figura scura. Aveva il viso sporco di polvere ed un labbro rotto, ancora lucido di sangue. E sulle guance dei solchi sottili di pelle chiara e umida. Istintivamente, le sue dita si mossero a sfiorare la bocca offesa e vermiglia – e i ricordi, crudeli, iniziarono nuovamente ad assalirlo. Socchiuse le palpebre come frastornato e diresse le mani a slacciare il bavaglio. Merlin si mosse, di botto, e Arthur s’immobilizzò nell’atto di sciogliere il nodo.

« Sono Arthur ». E non capì perché lo disse, né la ragione del suo tono confortante; solo, avvertì che quella sorta di rassicurazione riuscì a calmare Merlin.

Dopo aver sciolto il bavaglio, si dedicò alle catene che gli stringevano i polsi.

« Arthur ».

Arthur non gli badò, rivolgendosi con maggior impegno e forza a quelle manette fino a che la chiave non sortì l’effetto sperato.

« Arthur, io… ».

Il catenaccio si aprì e lasciò liberi i polsi feriti di Merlin.

« Silenzio », lo zittì il principe. « Togliti la benda e va’ ».

Arthur si rialzò spostandosi nei pressi dell’entrata. Al sentire il fruscio delle vesti del mago, si portò fuori dalla prigione, aspettandolo vicino ad una torcia. Poco dopo avvertì la sua presenza dietro di sé e si volse a fronteggiarla, e quasi sentì il respiro mozzarsi nella gola e rimanere lì, a soffocarlo. Alla luce del fuoco, i tagli e i lividi sul volto di Merlin risaltavano maggiormente, facendo luccicare il sangue nelle ferite ancora aperte.

« Sbrigati ».

Merlin non accennò un movimento. Lo guardò negli occhi, senza far trapelare alcuna emozione.

« Gaius? ».

« A Gaius penserò io ».

Merlin annuì impercettibilmente, senza domandare altro, e superò la figura del principe, a rilento, gli occhi ora bassi.

« Dietro c’eri tu? ». Dietro al mistero, dinanzi alla spada o alla faretra o allo scudo. L’interrogativo che l’aveva assillato per l’intero pomeriggio.

Arthur non chiese altro. Lasciò solo intendere la propria amarezza. « Che domanda », rise poi, perfidamente, « c’eri sempre tu ».

Merlin torse il collo e mise a fuoco la sua sagoma divorata a metà dalle ombre. Il capo biondo era chino, le spalle ricurve e il peso della spada costringeva la mano a calarsi.

« Era un mio dovere », rispose il mago. « Ed un mio desiderio. Non potevo lasciarti morire ».

Seguì un breve silenzio, durante il quale Merlin chiuse gli occhi e tentò di arginare il dolore sordo che gli stordiva i sensi. Era tutto strano, così ovattato che avrebbe potuto confondere la realtà col sogno. Allontanarsi da Camelot, abbandonare Gaius, dire addio a Gwen.

Lasciare Arthur per un lasso di tempo indeterminato, magari per sempre.

« Credevo che… ». Merlin scosse il capo, portando una mano a coprire gli occhi.

« Mi hai ferito, Merlin », sibilò Arthur, « nemmeno immagini quanto ».

Merlin si volse del tutto ad affrontare la figura slanciata di Arthur, ritta e fiera, non più di spalle. La fiamma che risplendeva al suo fianco proiettava un riflesso di fuoco nei suoi occhi azzurri, e il gioco di ombre rendeva ancor più duri e seri i suoi tratti.

« Sai come mi sento adesso? Lo sai? ».

« Era ciò che temevo », sussurrò Merlin, il capo chino. « Hai reagito proprio… come nelle mie più orrende fantasie ».

« Come avrei dovuto reagire? Sei uno… stregone, maledizione! È stato troppo, troppo ».

« Mi disprezzi, allora? ».

« Io… ». Il principe parve soppesare quel quesito. Il suo sguardo si svuotò lentamente della durezza che l’aveva inasprito e si fece stranito. « Ti ho… », iniziò in un tono quasi sorpreso, ma non completò la frase.

Merlin sentì il cuore perdere un battito. Non riuscì a sopportare il rimpianto ed il rifiuto: si avventò su Arthur, aggrappandosi al bavero del suo mantello scuro, come un naufrago ad uno scoglio. Lo scosse leggermente, prima di posare il capo contro il suo petto ansante.

« Devi credermi », ringhiò sommessamente, i denti stretti, gli occhi serrati a contenere le lacrime, « devi credermi quando ti dico che non ho mai usato i miei poteri se non per proteggerti, devi. Non sarei mai capace di farti del male, mai, mai, mai ».

« Come posso crederti ancora? ». Arthur sospirò sui capelli neri di Merlin, chiudendo a sua volta le palpebre. « Mi hai celato qualcosa di… tremendo. Ha sconvolto tutto, ha annientato le mie certezze. Come posso fidarmi di te dopo tutto questo? ».

Con uno sforzo che parve a lui stesso sovrumano, sollevò la spada e la posò contro la nuca di Merlin, verticalmente. « Allontanati da me, ora », proferì soltanto, riaprendo gli occhi, in un’espressione gelida.

Merlin sollevò il capo velocemente, sentendo la lama premere contro il collo scoperto, nudo ed inerme, in quell’abbraccio letale. Arthur non l’avrebbe mai fatto, non si sarebbe azzardato a compiere un simile gesto nei suoi confronti. Ma le circostanze erano cambiate radicalmente, ormai; tutto era diverso. Lui non era più il suo fedele servo, e gli occhi che lo stavano divorando non erano pieni né di tenerezza, né di ilarità.

« Arthur, ti prego ».

« Non osare rivolgerti a me come ad un tuo pari ».

Forse furono le sue parole, combinate con quel gesto inumano, a risvegliarlo. L’astio di quella frase – breve, concisa – lo aveva schiaffeggiato in una maniera tanto potente da costringerlo a riaprire gli occhi e capire, comprendere che tutto stava effettivamente accadendo. Per quanto dura fosse la realtà, doveva separarsi da ciò che aveva imparato ad amare.

« Vattene e non fare più ritorno ».

Le dita di Merlin lasciarono andare la stoffa con passività, in un gesto meccanico. Non distolse gli occhi da quelli di Arthur, nemmeno quando cominciò a scostarsi da lui e a retrocedere.

Si rese conto di essere ancora in pericolo solo dopo aver visto la figura del principe sparire dietro l’angolo appena svoltato. Fu lì che inizio la sua corsa, veloce e rabbiosa, i pugni serrati, le unghie conficcate nella carne dei palmi, i denti che addentavano le labbra. Tutto era sfocato, caldo e freddo ad un tempo. Sentì dei passi avvicinarsi e delle urla. « È scappato! », dicevano, « che qualcuno lo catturi! ». Ma erano distanti, distanti anni luce.

Come lui.

¨

« È finita. Ho fallito ».

Erano parole pesanti, opprimenti.

Gli toglievano il fiato persino più di una corsa attorno al campo di addestramento. Ed era faticoso fare un giro intero, senza mai fermarsi. Sorrise mestamente al pensiero: Arthur era solito portarselo dietro agli allenamenti della cavalleria, non tanto per compagnia, ma piuttosto per affidargli le sue armi – anche se alle volte si fermava a braccia incrociate vicino a lui, lamentandosi del fatto che, un giorno, sulle spalle di quei fantocci sarebbe pesata la responsabilità di salvaguardare il regno.

Posò la testa sulle ginocchia congiunte, senza emettere un solo lamento.

« Non è finita, giovane mago », rispose una voce cavernosa.

« Ah, no? ».

Si sentiva svuotato, dentro, squarciato, come se una spada gli avesse asportato le interiora con un unico colpo.

Il petto, era il petto che doleva più di ogni altra parte del corpo.

Merlin sollevò gli occhi sulla mastodontica figura del drago, accovacciato su una roccia davanti a lui; i suoi occhi ambrati lo scrutavano, impenetrabili. Si limitò a ricambiare lo sguardo per alcuni secondi, prima che la testa ricadesse ancora sulle ginocchia e gli occhi si chiudessero, stanchi.

« Mi troveranno », sussurrò, « e allora sarà finita sul serio ».

Seguì un silenzio carico di tensione e risentimento. Alle orecchie di Merlin pervenivano soltanto il debole scroscio dell’acqua e il respiro roco del drago.

« Devi fidarti di lui ».

« Fidarmi? Fidarmi? », esclamò Merlin con amara ironia. « Mi domando se credi veramente alle parole che enunci ».

Il muso del drago si alzò. « Perché sei venuto da me, allora? Se davvero credi che ti cattureranno, allora dovresti fuggire da Camelot ».

« Fuggire dal mio destino, dunque? ».

« Il tuo destino non è Camelot, Merlin. È Arthur ».

« È uguale ».

« No, non lo è », obiettò ancora il drago. « È molto, molto diverso, invece ».

« Arthur… ». Merlin si morse il labbro inferiore, ghignando. « Arthur è come suo padre. E tu lo conosci, Uther. Odia la magia più di ogni altra cosa ».

Il drago scosse il capo, lentamente, senza distogliere gli occhi dalla sagoma smilza del mago. « Non hai visto ciò che a me è concesso vedere. Non hai visto l’Albion di Arthur. Se il principe dovesse realmente essere come il padre, il tuo destino non potrebbe mai adempiersi ».

« È ciò che sta accadendo ».

« Fandonie, mago. Questo è ciò che tu vuoi vedere ».

Merlin si alzò di scatto da terra, in un moto d’ira. « Io? », urlò, battendo il palmo di una mano contro il petto. « Io? Credi veramente che possa volere una cosa simile? ».

Il drago si rabbuiò, la fronte e il muso in ombra. Solo gli occhi rifulgevano, nell’oscurità, di un caldo color oro. Vedeva l’aura ambrata circondare il piccolo, gracile stregone; la vedeva crescere a ritmo dei battiti incalzanti del suo cuore. Per un momento, ne ebbe timore. Ma Merlin era solo un ragazzo ingenuo, abbandonato alla passione: non era in grado di controllare appieno la magia, non era in grado di utilizzarla nel migliore dei modi.

Non era ancora ciò che era destinato ad essere.

« Due facce della stessa medaglia, ricordi? », disse il drago. « Lui non può odiarti ».

Merlin esplose in una risata aspra, ostile. « Avresti dovuto sentirlo, allora. Vederlo », ribatté con durezza. « Avresti dovuto vedere i suoi occhi ».

Il drago ruggì sommessamente, torcendo il collo per staccare gli occhi dalla sagoma sottile di Merlin. « Io vedo », soffiò, leggero.

« E cosa vedi, sentiamo ».

« Vedo un ragazzo spaventato dal proprio destino », ribatté la creatura, le iridi infuocate di nuovo su Merlin, rigide. « Vedo il terrore nei confronti della verità. Vedo il tuo futuro, il nostro futuro, svanire a causa del panico. Sono i tuoi sensi a destabilizzarti; se solo sapessi governare il sentimento che ti scuote, potresti fare grandi cose, grandi! ».

Merlin chinò il capo. Gli incisivi candidi morsero il labbro inferiore per fermarne il tremito.

Sentiva che ciò a cui era destinato stava scivolandogli via dalle mani, scorrendo fra le dita, crudele ed inarrestabile, come acqua e vento. Destino, quale parola più errata. L’ineluttabilità avrebbe dovuto garantirgli tutto; invece, quel tutto – la sua vita – sfumava col passare del tempo, ad ogni secondo.

La sua mente si rivolse a Gaius, e a sua madre. Gaius avrebbe potuto rischiare un processo con l’accusa di tradimento, solo perché lo aveva accolto ed accudito come un genitore, aiutandolo a celare il suo segreto. E sua madre… sua madre avrebbe potuto morire. Chi gli assicurava che Uther non avrebbe mandato una esigua truppa di soldati per sterminare il villaggio e far fuori Hunith? La madre dello stregone, pensò con sprezzo, colei che l’aveva generato, allevato ed in seguito spedito a Camelot a portar sventura.

« Sai una cosa? », proruppe Merlin. « Sono una nullità. Ho fallito, in tutto. Il mio destino è andato perduto, e mi sento come svuotato, insulso, privo di vita. Ho perso… », tentò di concludere, sforzandosi ad ingollare il groppo che gli ostruiva la gola, « ho perso lui, per sempre ».

« Nulla è per sempre, giovane mago ».

« Nemmeno il destino ».

Il drago assottigliò gli occhi, sorridendo. « Nemmeno il destino? », ripeté. « Ma vale la pena lottare per ciò in cui si crede, lottare per i propri sogni, per la speranza. Per i sentimenti ».

« Sentimenti… ».

« Sentimenti, sì », rincarò il drago. « L’amore, ad esempio. L’amore di tua madre, senza il quale non saresti venuto al mondo; l’amore di Gaius, che ti ha sostenuto ed educato come un padre. L’amore del principe, ciò che mai ti saresti aspettato ».

Merlin dischiuse le labbra aride, arretrando fino a sentire gli angoli della parete rocciosa contro le spalle, metà sorpreso da parole che non si aspettava. Vi poggiò cautamente la testa e sospirò, le palpebre serrate e tremanti. « Un amore che si è spento. A causa di ciò che sono ».

Il drago si limitò al silenzio per qualche istante.

« C’è una foresta, al limitare del regno », proferì poi, scrutando i lineamenti provati del mago.

« Una foresta? ». Merlin riaprì gli occhi, ricambiando l’occhiata con un’espressione lievemente accigliata.

La bestia annuì. « Percorri il regno puntando sempre a nord. Ai piedi della Catena Grigia, troverai una foresta. Quello è uno dei pochi luoghi, sconosciuti al sovrano, in cui l’utilizzo della magia è ignorato. È lì che vive Lei ».

« Lei? ».

« La madre di tutte le cose, Hiril [1] », sorrise il drago, quasi a volerlo rianimare. « Una creatura che accudisce e protegge. Sono certo che troverai asilo lì, nessun altro posto è più sicuro ».

Merlin annuì distrattamente scostandosi dalla parete e avviandosi verso il varco della caverna.

« Merlin », lo chiamò il drago, prima che sparisse oltre il passaggio; il mago si voltò. « Per la speranza », disse, « abbi fede. Adesso vai, fuggi lontano da qui ».

« Ti ringrazio », rispose Merlin con un sorriso appena accennato, per poi lasciarsi alle spalle il drago e quel luogo cavernoso in cui, tempo addietro, era venuto a conoscenza del proprio destino - un destino che gli era parso un ente invalicabile, impossibile da affrontare, e che, in quel momento, era tutto fuorché sinonimo di certezza.

[1] Dal Quenya, “signora”.

Breve nota, ragazzi.
Per quanto i cliché siano enormi – lo sono, oh sì che lo sono :D – ho cercato di imprimere qualcosa di mio. Anche se, a dirla tutta, non è che ne sia fiera al 100%. È fin troppo spezzettata, per i miei gusti, ma non sono riuscita ad aggiungere altro o ad allungare dei pezzi. Penso che leggerla sarà stato faticoso tanto quanto lo è stato scriverla :D
E comunque, quella che vi siete lasciati poco prima alle spalle non era che la prima parte di una long-fiction a due capitoli (o, per meglio dire, di una one-shot divisa in due) scritta per la challenge “Swords & Spells” con, come prompt, un pezzo de La canzone di Marinella di De André: “Ma un re senza corona e senza scorta
Bussò tre volte un giorno alla tua porta (…)
Tu lo seguisti senza una ragione
Come un ragazzo segue un aquilone”.
Ora, non chiedetemi com’è uscita questa cosa qua da un frammento di testo simile. Non c’entra un tubo – almeno finora. Vedremo nell’ultima parte :D
Un bacio a Val, con la quale fangherlare è sempre un piacere immenso – specie se ci sono Arturi pronti al balzo di mezzo –, e a Gaietta <3
Ah, ovviamente pure a Giù, sì. Anche se è diventata più acida di uno Yoga rancido.
E prima che lo dimentichi, ringrazio chi ha recensito la mia prima shot su questo fandom. Mi avete fatto saltellare per la gioia *O*/

   
 
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