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Autore: erik3090    19/05/2016    0 recensioni
Sequel di Lonely Souls: Le streghe di New Orleans
Genere: Avventura, Azione, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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 Era passata una settimana dall'ultima volta che avevo visto Kaileena al funerale di Mei. Ero sicuro che le servisse tempo e spazio per se stessa e per le sue faccende ma sapevo che sarebbe tornata nel momento del bisogno.

Agli altri dissi solo che Kaileena non poteva stare con noi in quel momento perché non sarebbe stata concentrata, una mezza verità a fin di bene.

Gli scontri in città erano aumentati dopo il “Massacro della Città dei Morti”, come fu ribattezzato dai giornali. La polizia li ha ricondotti a guerre fra bande anche se le persone uccise non avevano nulla a che fare con le classiche gang di strada.

Alcune morti erano così perfettamente organizzate da sembrare un'opera d'arte ma sapevo chi era il colpevole solo che non riuscivo ancora ad accettarlo.

Qualcuno sbatté la porta ed entro a passo svelto in casa - Che bastardo. Che pezzo di merda bastardo! - urlò una voce femminile che avevo riconosciuto.

Le andai in contro - Che hai da sbraitare tanto? -

Jolene buttò la borsa contro il divano - Francis, quel maiale ci prova con qualsiasi cosa respiri. Prima quella puttanella ignorante e adesso questa nuova arrivata. - era visibilmente arrabbiata.

Sospirai, era un altro dei loro battibecchi - E allora, a te che cosa frega? Tu odi Francis, quindi perché ti scaldi tanto se ci prova con le altre? - le chiesi con poco garbo.

Lei mi guardò stranita - È... vero. Ma questo non lo giustifica. Non può comportarsi così con qualsiasi ragazza carina o un buco dove infilare il pisello. - urlò cercando di convincermi.

- O forse ti da tanto fastidio perché non lo odi così tanto. - sapevo che quei due si stavano avvicinando l'uno all'altra anche se lentamente.

- Mamma tu non capisci... - fece una pausa guardandomi negli occhi - Lascia perdere! - continuò, poi a passo svelto entrò in camera sbattendo la porta.

Mi girai verso Tiffany per cercare qualche spiegazione ma lei mi fece spallucce e continuò a dedicarsi a Thessa. La bambina non aveva detto una sola parola da quando l'avevamo salvata, sembrava quasi sforzarsi per non parlare. Da come risolveva i rebus sembrava molto intelligente, molto più di quello che sembrava.

La giornata tipo di Thessa era: alzarsi dal letto, fare colazione con quello che c'è, prepararsi un minimo, sedersi sul divano e guardare la tivù, pranzare con me, Tiffany e Emris, prendere un volume dell'enciclopedia dalla biblioteca e leggere fino a sera, cenare tutti assieme, fare qualche rebus complicato e andare a letto.

Durante il pranzo e la cena dava sempre una mano ed era sempre impeccabile, sapeva dove, come e cosa fare senza nemmeno parlare sin dalla prima volta. Sembrava divertirsi ma quando finiva di lavorare il suo viso cambiava tornando triste e cupa. Mi faceva un po' pena.

Aspettai che tornasse anche Francis, avevo molto da chiedergli, a partire dal suo comportamento nei confronti di Jolene.

- Sono tornato! - fece a voce alta appena varcata la soglia di casa.

Notai subito il sudore sulla maglia e sui capelli castani chiari - Di nuovo al campo? - gli chiesi.

- Sì, mi aiuta a non pensare troppo e a sfogarmi. - rispose appoggiando la borsa di allenamento e la palla da basket.

- Già, capisco... - e mi fermai, non sapevo come cominciare la conversazione.

Lui mi guardò confuso - Che c'è? -

- Jolene... Jolene è tornata a casa sbraitando e insultandoti ripetutamente di essere un po' troppo intraprendente con le ragazze... - cercai di spiegare anche con i gesti e molto imbarazzo.

Francis alzò lo sguardo come se avesse capito . Stai parlando di Monique? Ma è solo una compagna di classe. Non provo nulla per lei a parte forse un po' di attrazione... insomma è una ragazza molto bella, educata, formosa... ha due fantastiche... - cercò di spiegare con gli occhi sognanti ma lo fermai agitando le mani.

- Non intendevo quello. Dicevo che oltre a questa Monique ci stai provando anche la nuova arrivata e questo potrebbe far male a Jolene, anche se magari non se ne accorge. - gli feci l'occhiolino facendolo arrossire.

Poi però sbuffò e scrollò la testa - È una strega! - bofonchiò.

- Come? Aspetta... era un insulto a Jolene o un modo per rimarcare l'ovvio? - ero confuso, non capivo cosa volesse dire.

Lui mi guardò negli occhi con espressione seria - Quella nuova ragazza di cui parli è una strega! -

Rimasi impietrito, nonostante le ultime battaglie fossero all'interno della città nessuna strega, dopo Thessa e Emris, era entrata nel Quartiere Francese in quei giorni.

- Mi stai dicendo che una strega oltre a noi è all'interno del nostro territorio? E per giunta è sempre rimasta fuori dal radar mio e di Tiffany? - stavo urlando, non riuscivo a credere di essere stato così stupido da essermelo lasciato sfuggire.

- Forse è una sua capacità, riesce a sfuggire facilmente ai radar di chiunque. Ho provato a seguirla ma non sono riuscito a starle dietro. - spiegò con voce pacata.

Feci un respiro profondo per calmarmi - Okay. C'è una strega nel nostro territorio e riesce a seminarti. Non c'è problema, basta che ti impegni e la seguirai senza problemi, giusto? - chiesi continuando a respirare.

- Sbagliato. Io sono una Strega Hassashin, seguire le tracce per me è una priorità, se non riesco a seguire le tracce della mia preda sarei inutile come assassino. E in più abbiamo un istinto naturale per scovare qualsiasi pista possibile. Insomma siamo nati e addestrati a seguire e uccidere. Ma questa strega... - continuò con la sua spiegazione.

- Capisco, quindi le stavi sempre attorno per trovare altre tracce da seguire. - ragionai.

- Esatto. Il suo nome è Jessica Serelli e a quanto pare è la nipote del boss della mafia italiana di New Orleans, Marcello Serelli. Ama la vaniglia e il cioccolato, odia le carote, i piselli e la mozzarella sulla pizza. Ha voti eccellenti e non frequenta nessuna attività extrascolastica, in pratica è una ragazza normale se non fosse per quella sua capacità. - finì lui.

- Marcello Serelli, che nome stupido. Tutti i nomi sono stupidi. - fece una voce squillante proveniente dalla cucina.

Mi girai e vidi Thessa con la mano sulla bocca e gli occhi sbarrati dalla sorpresa, era stata lei a parlare. Tiffany accanto a lei era euforica, non la vedevo così da più di una settimana.

Rimasi immobile credendo me lo fossi immaginato - Sai parlare, eh? - mi rigirai lentamente verso Francis - Non hai trovato praticamente nulla su di lei, giusto? Forse è meglio se ti fai aiutare dalla tua pseudo finta ragazza. Fa pace con Jolene e seguite quella tizia, non mi fido per niente! - gli ordinai. Lui non rispose, si limitò a fare sì con la testa.

Tornai a guardare Thessa - Tu invece, ragazzina, perché non parli mai? -

- P-perché non ho niente da dire! - sembrava scocciata.

- Oh, tesoro. Hai molto da dire cominciando da chi ti vuole fare del male. - la incalzai.

Lei cercò lo sguardo di Tiffany nel tentativo di impietosirla ma non funzionò - E va bene! Va bene. Si tratta del gruppo che ha ucciso il vostro amico, ma questo lo avrete già capito da sole... credo. - ci guardò perplessa.

Io e Tiffany restammo in silenzio con la bocca aperta, non c'eravamo arrivati nemmeno lontani. Anzi non ci avevamo pensato per niente. Nelle le nostre teste c'erano troppe cose per pensare a qualche ipotesi decente.

Thessa aggrottò la fronte - Ecco, come non detto. Ho fatto qualcosa che non dovevo fare e... - stava per dirci tutto ma si ammutolì di colpo, aveva gli occhi sgranati.

Tiffany le mise una una mano sulla schiena per rassicurarla - Thessa, che ti prende? - Thessa non rispose, abbassò lo sguardo e tornò sul divano e si mise a leggere.

Un'istante dopo Emris entrò in casa con tre sacchetti della spesa in una mano e una cassa di birra e un altro sacchetto della spesa.

Era evidente che Thessa non volesse parlare in sua presenza per qualche motivo. Forse era per sicurezza, ormai era risaputo che Emris provasse un fortissimo senso di protezione per la ragazzina, sembrava quasi ossessionato.

Lui ci guardo mentre appoggiava la spesa sull'isola della cucina - Che avete voi due oggi, avete litigato? - ci chiese con un sorriso.

Guardai Tiffany che capì subito cosa mi passasse per la testa - No, stiamo bene! Tu invece, hai bisogno di un po' d'amore? - ironizzò lei.

Lui la guardò dalla testa ai piedi intrigato - Cos'è un invito? -

Lei si sporse leggermente in avanti con un sorriso - Sì. Un invito a chiamare una escort di tuo gradimento e rilassarti un pochino con lei. - e gli diede un buffetto sulla guancia, poi tornò a preparare il pranzo.

Lui rimase imbambolato per un istante poi sogghignò ironico e cominciò a svuotare le borse sul tavolo.

Rimasi al gioco di Tiffany anche se impazzivo dalla voglia di conoscere il motivo dell'atteggiamento chiuso di Thessa. Il resto della giornata passò tranquillo nonostante l'aria tesa tra me e Tiffany, eravamo preoccupati per la ragazzina ma ancora di più per Emris. Non sapevamo nulla di lui, nemmeno le sue capacità e la cosa mi turbava parecchio.

La sera ci mettemmo a rilassarci mentre Francis cercava di spiegare i compiti a Jolene, con pochi risultati visto che lei era ancora infuriata con lui. Andammo a letto presto, mi sentivo più stanco del solito per tutti quei problemi. Chiesi a Francis di tenere d'occhio Emris durante la notte per sicurezza.

Era una notte insolitamente calda, indossavo un semplice babydoll bianco ed ero coperto con un lenzuolo leggero ma ero comunque accaldato. Aprii gli occhi e mi alzai, guardai verso la finestra, la luce della luna dava a tutte le cose nella stanza un bellissimo alone blu-grigio. La musica si sentiva a malapena, solo qualche vibrazione dei bassi.

Andai alla finestra e guardai verso la Bourbon Street, c'erano ancora molte persone che camminavano per la strada e andavano nei locali. Era la normalità per il Quartiere e soprattutto per la Bourbon Street avere un grosso flusso di gente anche a notte fonda.

Sarebbe bello passare una serata così una volta tanto!” pensai con un misto di malinconia e gelosia. Restai appoggiato allo stipite per qualche minuto per raffreddarmi un po', poi tornai a letto e mi misi seduto.

Osservai Tiffany, era distesa a pancia in giù, con le mani nascoste sotto al cuscino e i piedi infilati sotto le coperte. La sua pelle era di bellissimo color blu-grigio, le accarezzai delicatamente il polpaccio con il dito poi su fino alla coscia, era liscia al tatto e proseguii sui i glutei.

È davvero bellissima!” pensai mentre le accarezzavo la schiena.

Lei mosse il capo - Così mi fai il solletico. - mugugnò.

- Scusa, non volevo svegliarti. - continuai a coccolarle la schiena.

Lei girò la testa per guardarmi - E cosa volevi fare allora? - mi sorrise maliziosa.

Le sorrisi anch'io - Ho solo pensato fossi davvero bellissima, visto che eri nuda, nel mio letto e illuminata dalla luce della luna. - le spiegai.

- Sembra un'immagine da romanzo erotico. E poi non sono così bella. - sbuffò ancora stordita dal sonno.

Provò ad alzarsi per guardarmi meglio ma la fermai con la mano - No, non muoverti. Resta così. E per tua informazione sei sempre stata bellissima per me. - le scostai con delicatezza i lunghi capelli e le baciai il collo. Lei mugugnò, era un segno di assenso.

Mi prese una mano e la portò all'altezza del suo sedere, continuai a baciarle e succhiarle leggermente il collo mentre cercavo di raggiungere le grandi labbra con le dita. Quando finalmente riuscii a toccarle provai a individuare il suo clitoride, lei ansimò di piacere - Questa è nuova. >> rise soddisfatta - Mi piace, continua! -

Sorrisi - Sì. - le risposi infilando la mano tra lei e il materasso.

Le accarezzai il capezzolo e contemporaneamente a stimolarle il clitoride. Continuai a toccare le zone erogene e lei continuava ad ansimare e mugugnare premendo la faccia sul cuscino quando stava per gridare. Riconobbi il suo orgasmo quando alzò il sedere per darmi la possibilità di lavorare più agevolmente.

Una volta finito le accarezzai di nuovo il sedere e tornai sulla schiena sudata. Tremava, cercava di prendere fiato, i suoi occhi erano umidi e mi sorrideva soddisfatta.

- Ti è piaciuto, eh. - mi misi a ridere.

Lei non rispose. Leccandosi le labbra si mise a sedere, mi prese di nuovo la mano e si infilò in bocca le dita che usai per stimolarla, era veramente eccitante. Con le mie dita umide dalla sua saliva mi lubrificò ulteriormente le labbra della vagina, poi si avvinghiò con le gambe alla mia vita e cominciò a palpeggiarmi il seno. Mi tolsi l'unico vestito che indossavo e lo gettai via, mi dava fastidio. Era più aggressiva del solito ma non mi faceva male, anzi impazzivo per come toccava certi punti.

Mi baciò con la lingua e facemmo cambio, lei stuzzicava il mio clitoride con le sue dita mentre io continuavo a baciarle la bocca, il collo, il seno e infine le spalle. Mi fece avvicinare ancora di più al suo pube con le gambe mentre le sue dita aumentavano la velocità sul clitoride.

Non riuscii a resistere oltre, mi sdraiai sul letto con le braccia aperte, cominciai ad ansimare e a urlare di piacere. Tiffany continuò accarezzandomi le cosce e le labbra vaginali finché non mise la mano sul mio ventre, un tocco delicato e caldo che mi fece fremere ancora di più. Strinsi le lenzuola più forte che potevo, quando arrivai all'orgasmo feci un urlo liberatorio.

Tiffany mi alzò il vestito e baciò il ventre sudato per tranquillizzarmi, io le accarezzai la testa in segno di aver capito ma ero distrutto e non riuscii nemmeno a pensare. Era bellissimo provare nient'altro che vuoto totale nella propria mente per qualche istante.

Lei mi guardò - Secondo te perché Thessa ha paura di Emris? -

Alzai lo sguardo al soffitto - Non lo so. Tutto quello che possiamo fare ora è aspettare finché non farà una mossa falsa. -

Lei mugugnò di nuovo e si portò accanto a me - E cosa avrà combinato Thessa per creare un casino come quello in cui siamo adesso? Faceva parte dello stesso gruppo che ha ucciso Mei, questo è un motivo abbastanza valido per non parlare ma non capisco cosa vogliano loro da lei. -

- Forse vogliono sfruttare il suo potere per qualcosa. Ma qual'è il suo potere? Non sappiamo nemmeno questo. - sbuffai sconsolato.

Lei mi accarezzò con delicatezza il seno - Troppe domande, come al solito. -

Le baciai la testa - Già. -

Era vero, ogni volta che trovavamo una risposta si facevano largo altre mille domande, la maggior parte delle quali non avremo mai avuto risposte.

Sospirammo entrambe e ci addormentammo di nuovo, erano le tre del mattino ma le bande da strada continuavano a suonare creando un sottofondo musicale per il resto della notte.

Il mattino dopo mi svegliai sul tardi, feci le faccende di casa, una fatica quotidiana che odiavo perché non ero mai stato un tipo da pulizie e ordine.

Avevo quasi finito quando squillò il telefono, lo presi e accettai la chiamata - Pronto? -

- Salve, siamo della segreteria del liceo Saint J. Anderson. È lei la tutrice legale di Jolene Deraneau e di Francis Maser? - mi chiese una voce femminile e distaccata.

- Sì, sono io... - risposi incerto.

- È richiesta la sua presenza nell'ufficio del preside, oggi dopo la fine delle lezioni regolari. - mi comunicò la donna.

Rimasi perplesso, era la prima volta che mi chiamavano e mancavano solo trenta minuti alla fine delle lezioni al liceo - Va bene, ci sarò. - e riattaccai.

Provai a ragionare sulla situazione, sicuramente uno dei due aveva combinato qualcosa o forse persino tutti e due. Chiesi a Tiffany di accompagnarmi e per avere supporto morale.

Appena arrivati la preside, una donna sulla quarantina, alta e magra, vestita con giacca grigia e gonna stretta, i capelli biondi erano così annodai nella chioccia che sembravano finti.

Ci porse la mano sorridente - Benvenute. Venite, vi spiegherò strada facendo. -

Attraversammo i corridoi della scuola mentre una mandria di ragazzi si affrettava a uscire dall'edificio. Avevamo percorso metà strada tra schivate di zaini volanti e spallate dei ragazzi, ma la donna non aveva ancora detto niente.

- Scusi... - Tiffany fu spinta da un ragazzo - Ehm, scusi. Non ci ha ancora detto perché siamo qui. -

- Io ho chiesto della signorina Evaline Deraneau, non di una sua amica. - commentò la donna.

- Cos... ma... - provò a replicare Tiffany.

La donna fece le segno di chiudere la bocca poi si rivolse a me - Da questa parte, prego! - mi indicò una porta.

Stronza!” pensai con un sorriso mentre varcavo la soglia dell'ufficio.

La targhetta attaccata ad altezza uomo era dorata con scritto in nero “Hannabeth Conrad”. L'interno della stanza era divisa in due, una parte con una scrivania, un computer, una sedia su cui era seduta una segretaria, molti scaffali pieni di raccoglitori e una stampante; l'altra parte invece aveva una poltroncina appoggiata alla parete, una pianta finta su un angolino, e un'altra porta scura. Sulla poltroncina c'erano seduti due ragazzi dall'aspetto arrabbiato, Jolene e Francis.

Hanno combinato sicuramente un guaio.” sbuffai rassegnato.

Hannabeth ci accompagnò nel suo ufficio personale, un ambiente lussuoso con scrivania, libreria e mobili in legno massello, tutta un'altra cosa rispetto alla stanza precedente. Si mise seduta sulla sua sedia in pelle nera come se fosse il suo trono.

Io e Tiffany ci accomodammo sulle sedie per gli ospiti - Allora vuole dirmi che cosa è successo? - le intimai con tono arrogante, ero stufo di quei giochetti da quattro soldi.

Hannabeth mi sorrise - Certo. Sua sorella... -

- Figlia. Jolene è mia figlia adottiva. - la corressi.

La donna sembrò sorpresa poi si schiarì la voce - Sua figlia ha rotto il dito indice alla caposquadra cheerleader, Monique Terence. -

Di nuovo quella ragazza, era diventata una presenza troppo costante - Sicuramente è un atteggiamento riprovevole ma conosco Jolene, lo avrà fatto per un buon motivo. - provai a spiegare.

- L'ha fatto per gelosia verso il suo fratellastro, Francis. - mi guardò con sufficienza.

Io e Tiffany ci guardammo - Ma avete prove che sia andata effettivamente così? - chiese Tiffany.

- Certo, me lo ha confermato Monique. E poi ci sono le attenuanti. - rispose senza guardarla.

-Attenuanti? - feci io.

- Ma che cos'è, un tribunale? - fece Tiffany.

Hannabeth si appoggiò con i gomiti alla scrivania - La vostra relazione anomala influisce sull'umore e il carattere di quei due ragazzi. Non credo sia un ambiente salutare il vostro. - ci spiegò con disdegno.

Mi appoggiai allo schienale della sedia - Fa davvero? Lei crede che la colpa sia nostra? - Tiffany era esterrefatta.

La donna si schiarì di nuovo la voce - Una famiglia è dove c'è un padre e una madre, qui invece vedo una donna impegnata in una relazione con una ragazzina esotica. Di certo non può essere una famiglia questa. E poi la famiglia Terence è una delle nostre più assidue donatrici, un incidente del genere influirà sui fondi scolastici. - spiegò.

Non riuscivo a credere che esistessero persone così bigotte da pensare che una famiglia sia formata solo da un uomo e una donna e che stesse dando la colpa a noi di quello che era successo. E infine quell'affermazione sul denaro mi fece venire il voltastomaco.

Tiffany si alzò di scatto dalla sedia - Non ce ne sbatte un emerita sega se lei crede a tutte le stronzate che ha appena sputato fuori da quella sua stupida bocca. E non ce ne frega un cazzo nemmeno dei vostri fondi. Se Jolene ha rotto il dito alla vostra studentella figlia di papà avrà avuto i suoi buoni motivi. Ora, se vuole può procedere alla punizione o alla sospensione bene, altrimenti ce ne andiamo. E per la cronaca io ed Evaline abbiamo la stessa età e della nostra vita privata a lei non deve fregare un fottuto cazzo, quindi non osi mai più insultare me o un qualsiasi membro della nostra famiglia, chiaro? - sbraitò infuriata, aveva il fiatone e stringeva con forza i pugni.

Tiffany...” mi commossi, ero rimasto imbambolato a pensare a una risposta sensata quando bastava solo sputare fuori quello che pensavo.

La donna rimase basita, sembrava non avere risposte da dare a Tiffany - Ecco, io non volevo... - provò a dire.

Improvvisamente sentimmo un urlo agghiacciante. La porta si spalancò, la segretaria entrò di gran foga e con lo sguardo pieno di terrore - Preside Conrad, una... una studentessa... in sala di musica. L'hanno... l'hanno crocifissa a una parete... - farfugliò.

La preside rimase sconvolta dalla notizia, poi in un momento di coraggio - Mi... mi faccia strada. - fece alla segretaria che, ancora scossa, fece si con la testa e accompagnò la donna fino al luogo del delitto.

Tiffany mi guardò, e senza nemmeno parlarci ci precipitammo a seguirle. Uscimmo dall'ufficio, Jolene e Francis si stavano guardando perplessi. Gli feci un cenno, loro si alzarono e ci seguirono senza fiatare.

Percorremmo l'ennesimo corridoio ed entrammo in una sala piena di strumenti musicali e una piccola mensola per gli spartiti, nella parete in fondo alla saletta delle sedie erano posizionate a simulare un'orchestra, alcune di esse erano coperte da macchie di sangue che gocciolava lentamente dalla parete. Guardai in alto e vidi una ragazza inchiodata al muro coperta di sangue dalla testa ai piedi, il vestito bianco e i jeans erano strappati, le braccia e le gambe aperte come a simulare una crocifissione romana. L'odore metallico dei fluidi corporei era quasi insopportabile, mi fece tornare in mente il massacro al cimitero e un brivido alla schiena al solo pensare a Mei.

- Oh mio dio. Ti... tiratela giù, presto! - ordinò Hannabeth.

Mi ripresi in tempo - Fermi tutti. Non dovete toccare nulla. Chiamate l'ambulanza e la polizia. - sbottai di rimando.

La preside si voltò con la faccia contorta dal disgusto - Ma non possiamo lasciarla così, e se fosse ancora viva? - gracchiò.

Qualcuno dietro di me sbuffò annoiato, mi voltai, era Jolene - Okay, vai lì e prova a sentirle il battito. - le proposi sospirando.

- Va bene, mamma. - mi fece lei con un sorriso.

La preside mi guardò male, sapevo cosa le stava passando per la testa, ma non gli diedi peso. Jolene, facendo attenzione a non toccare nulla, mise due dita sulla carotide della ragazza. Scrollò la testa, era morta. Jolene tornò indietro facendo attenzione a dove metteva i piedi ma aveva un'espressione cupa in volto.

Alcuni ragazzi si fermarono per guardare, i mormorii erano cominciati da subito. Una ragazza aveva la mano sulla bocca e lo sguardo fisso verso la vittima.

Hannabeth notò la folla - Non c'è nulla da vedere, tornate a casa. Uscite dall'edificio, se avremo bisogno vi faremo contattare dalle autorità. - ordinò agli studenti.

Finalmente ha fatto una cosa quasi intelligente!” pensai.

Presi di parte Francis - Allora, che idea ti sei fatto? -

- Cavolo, non mi dai nemmeno il tempo di esaminare tutto... - commentò.

Risi sarcastico - Non ci provare, sei in punizione per un mese quindi o ragioni in fretta oppure raddoppia il periodo di punizione. - gli risposi con poco garbo.

Lui mi guardò male - Fai sul serio? - lo guardai negli occhi in silenzio - Sì, fai sul serio. Da quel poco che ho visto sembra un rituale di canalizzazione. Uccidi la vittima sacrificale e ne incanali la forza vitale. - spiegò.

Lo osservai attentamente - Ma? - dissi per incoraggiarlo a dirmi tutto.

- Ma se è così e non ne sono sicurissimo, non credo che l'omicida si fermerà. Queste pratiche hanno bisogno di molta energia per poterci fare qualcosa di concreto. - continuò con la spiegazione.

- E con molta energia tu intendi... - provai a ragionare.

Lui mi fissò negli occhi - Molte vittime! -

- Ecco, appunto! - sospirai.

Era implicita la priorità di trovare il killer il prima possibile, anche se non avevamo quasi nessun indizio. L'unica cosa certa era che doveva essere stata una strega a compiere quell'atrocità.

La polizia arrivò pochi minuti dopo seguiti dall'ambulanza. Fecero tutti i rilevamenti e gli interrogatori ai presenti e infine portarono via il corpo della ragazza. Hannabeth aveva l'espressione isterica e paranoica verso chiunque, parlarle era praticamente impossibile in quel momento.

Mi avvicinai alla segretaria - Senta, per caso oggi c'erano lezioni di musica? -

Era una donna sulla trentina posata e ben vestita - No, oggi no. - si asciugò le lacrime con un fazzoletto. Pura scena visto il distacco con cui mi aveva parlato al telefono.

- Capisco. Qualcuno ce l'aveva con la vittima? - la buttai sperando in una risposta.

La donna mi guardo strana - Ma che facendo un interrogatorio? -

- Assolutamente no, volevo solo capire la situazione. - le risposi.

Lei fece una smorfia - È stata barbaramente uccisa una studentessa, che altro vuole capire? - poi si voltò e se ne tornò in ufficio.

Provai a fermarla ma non funzionò, la possibilità di reperire informazioni era bella che andata.

Tornai da Jolene, Tiffany e Francis che stavano parlando tra di loro - Che avete da fare tutto sto casino? -

Jolene mi guardò e per un attimo sembrava voler stare zitta - Quella ragazza è Alice More, l'ho riconosciuta quando le ho ascoltato il battito. Faceva parte di una congrega di streghe qui a scuola. - spiegò con un tono grave.

- Streghe? Intendi come noi? Io non le ho percepite, come hanno fatto... - provai a ragionare.

Jolene mi interruppe con una leggera gomitata al fianco e mi mostrò un ciondolo con una stella a cinque punte coperto di sangue - Sono delle streghe moderne, sai la wicca, incantesimi all'acqua di rosa... sono persone normali che venerano la natura. Gli altri membri si chiamano Amber, Emma, e Joshua. - spiegò.

- Okay. - ragionai su questa ultima informazione - Quindi sono un gruppo di ragazzi emarginati dal resto della scuola. -

- Sarebbero delle vittime perfette per questo tipo di rituali. - continuò Francis.

Jolene sospirò preoccupata – Sono ormai due giorni che non si fanno vedere in giro. Pensavo stessero preparando chissà che cosa per le festività, ma adesso... - li conosceva di vista e in qualche modo si sentiva responsabile per loro.

Le misi una mano sul fianco e le baciai la testa - Tranquilla, troveremo il responsabile e se sono in pericolo li salveremo. O almeno ci proveremo, promesso. -

Lei mi abbracciò forte in vita e affondò la la faccia sul mio seno - Grazie, mamma! -

Era prioritario trovare quei tre ragazzi il prima possibile, il fatto che non abbia sentito la presenza di quella strega killer mi faceva preoccupare parecchio. Se qualcuno poteva entrare tranquillamente nel nostro territorio e fare quello che gli pare, quel poco di pace che avevamo guadagnato sarebbe finito prima di quanto pensassimo.

Stavamo per tornarcene a casa quando un poliziotto sbucò dall'entrata del liceo e corse verso un suo collega.

Il collega appena sentita la notizia sbiancò, poi si girò verso di noi e si avvicinò - Lei deve rimanere qui. Abbiamo molte altre domande da farle. - fece in tono autoritario verso Jolene.

- Ma io non... - provò a dire lei.

- Scusate, ma ora devo andare! Parleremo più tardi. - si congedò lui.

Il poliziotto corse fuori dall'edificio e svoltò subito verso destra. Qualcosa lo aveva sconvolto e di sicuro si trovava in quella direzione.

- Rimanete qui, vado a vedere io. - ordinai agli altri.

- Non se ne parla, veniamo con te. O tutti o nessuno. - replicò Jolene.

Tiffany fece spallucce, Francis annuì.

- La maggioranza vince! - decretò Jolene mentre si incamminava fuori dal liceo.

Guardai male Tiffany e Francis e seguii Jolene.

Girammo a destra dove trovammo un altro edificio più piccolo e attaccato a quello più grande. La porta era aperta, entrammo e ci trovammo un locale caldaie a sinistra mentre a destra c'era una scala che scendeva a un piano interrato. Le voci di alcune persone rimbombarono nitidamente sulle pareti.

- Quindi? - fece una voce maschile.

- Non lo so con esattezza, ma sono sicura che è successo due giorni fa. - fece un'altra voce.

Scendemmo le scale mentre parlavano, uno strano odore si fece largo nelle mie narici. Mi misi la mano sulla bocca ma la puzza aumentava e non riuscii a resistere dal emettere mugugni di disgusto.

La cantina era spaziosa con all'interno cisterne e scaffali pieni di attrezzi vari. A terra, al centro della stanza, c'era il corpo di un ragazzo magro vestito con jeans e maglietta, entrambi sporchi di sangue secco. Affianco a lui due persone, il poliziotto che ci aveva parlato e una donna sulla quarantina vestita in borghese.

I due si girarono sorpresi - Che ci fate voi qui sotto? - chiese il poliziotto.

- Volevamo solo sapere cosa ci stava succe... - provai a dire ma fui interrotto.

- Questa è la scena di un crimine non potete stare qui. - sbraitò l'uomo.

Jolene mi spinse di lato e guardò la scena - Joshua... - scostò lo sguardo con la mano sulla bocca.

La donna fece un passo verso di noi - Conoscevi la vittima? -

Jolene la guardò negli occhi - Sì, faceva parte di un gruppo di ragazzi che praticavano la wicca. Il suo amichetto in divisa ha tutti i nomi. - indicò il poliziotto con un cenno della testa.

La donna fece si con la testa - Capisco. Quindi si trattano di riti satanici, era da un bel po' che non ne vedevo uno. Ora che ci penso fra poco c'è Halloween, forse l'assassino sta preparando qualcosa per quella data. È incredibile che esista ancora gente che crede di evocare il Diavolo uccidendo persone. -

Cazzo! Poteva dire tutto tranne quello. Perché i poliziotti sono così stupidi?” pensai mentre mi giravo verso jolene, aveva il volto di una persona che stava per esplodere “Devo calmarle gli animi altrimenti qui finisce male.”

Jolene fece un passo in avanti, stava per replicare alla deduzione del tutto arbitraria della donna, ma la presi per i fianchi e la spinsi via - Scusateci per il disturbo, ora ce ne andiamo. - dissi con un sorriso. Feci cenno a Jolene di stare zitta e di uscire.

Sapevo quanto Jolene ci tenesse al culto antico della sua famiglia e la wicca era la cosa che più ci si avvicinava, anche se era lontana anni luce dalla realtà del nostro mondo.

Lei continuò a dimenarsi e insultarci per tutto il tragitto. Una volta fuori la gettai ancora di più verso l'esterno. Non volevo che il poliziotto si facesse ancora di più un'opinione sbagliata si Jolene.

- Che cazzo fai? Quella puttana zitella ha insultato chi venera la natura paragonandoli a dei maniaci che praticano riti satanici. Non sa nemmeno di che cazzo sta parlando. - sbraitò cercando di tornare dentro.

La bloccai e la spinsi di nuovo indietro - Lo so. Adesso però calmati, okay? - cercai di dirle con tono calmo e pacato.

Jolene si mise le mani tra i capelli sempre più agitata - Lo sai? Lo sai, mamma? - andava a destra e a sinistra, non riusciva a stare ferma - Come fai a saperlo? Come fai a sapere come mi sento quando il mondo in cui vivi ti strappa via persone a cui tieni? Come? - verso la fine cominciò anche a piangere.

Francis fece un passo in avanti e si fermò un istante come se avesse paura di intervenire, poi continuò a camminare finché non raggiunse Jolene e le strinse le spalle - Io so cosa si prova, ho perso tutto. Ma ho ricevuto un'altra possibilità e non intendo sprecarla. Vivrò assieme a voi fino alla fine. Farò tutto il possibile affinché tu non debba perdere più nessuno. -

Lei lo guardò negli occhi. - È vero. - sorrise, poi gli prese le guance tra le mani per fissarlo meglio - Chi meglio di un assassino può capire una vittima. - il suo sguardo era cambiato in disprezzo. Lo lasciò andare, si girò e se ne andò.

La sua reazione era dettata dalla paura di perdere di nuovo tutto e io l'avevo capito immediatamente.

Mi misi accanto a Francis - Non voleva dire quelle... -

Francis mi interruppe - Ha ragione. - si girò verso di me con il viso rosso e contratto nel tentativo di nascondere le lacrime - Questo non significa che verrò meno alla promessa che ho fatto. Proteggerò tutti voi a qualunque costo. - i suoi occhi erano umidi ma non fece scendere nessuna lacrima.

Jolene lo aveva ferito nel profondo con quelle parole, era stata lei a rassicurarlo quando Marta era morta sotto gli occhi di Francis. Se lui aveva detto quelle cose nonostante le parole dure di Jolene significava che il loro legame era qualcosa che andava oltre il sentimento di odio-amore che provavano l'uno per l'altra.

Mi limitai ad annuire, non avevo altro da dire. Guardai Tiffany cercando un po' di conforto ma aveva di nuovo la testa fra le nuvole, stava sicuramente ripensando ai dubbi che le erano venuti in quei giorni. Mi sentivo impotente difronte a questi problemi, non sapevo come alleviare i loro pesi e nemmeno come far tornare più leggera l'atmosfera. Stava andando a rotoli ogni cosa e la colpa era solo mia.

In quel momento tornò fuori il poliziotto - Dov'è finita la mia indiziata? - fece con tono superiore.

- È tornata a casa! - fece Francis con tono di sfida.

L'uomo gli si avvicinò e lo guardò negli occhi furioso - Che cosa avevo specificato prima? Non ho forse detto che la ragazzina non doveva restare qui? -

Francis continuò a fissare a sua volta l'agente - Io non ricordo proprio un cazzo. -

- Ah no? Allora se ti spedisco in galera per duplice omicidio ti ritorna la memoria? -

Francis sorrise, un sorriso sardonico tradito dagli occhi freddi e calcolatori - E se io invece ti trascino dietro questo edificio e ti amm... -

- Ora basta! - urlai.

Entrambi si girarono verso di me, Francis si allontanò furtivamente, l'agente invece continuò a fissarmi - Il ragazzino mi ha appena... -

Lo interruppi subito - Non me ne fotte un beneamato cazzo. Lei non si permetta mai più di accusare un membro della mia famiglia armato di sole congetture campate in aria. - mi avvicinai a passo spedito verso di lui, riuscii a leggere la targhetta col suo nome attaccata al taschino - E se prova a minacciarci in quel modo le assicuro, agente Simons, che i suoi colleghi la ritroveranno nel Mississippi, pezzo dopo pezzo. - continuai a fissarlo dal basso, era più alto di me di una ventina di centimetri ma non mi lasciai intimidire.

L'uomo fece una smorfia, per un istante sembrava voler replicare ma poi si fermò, si grattò il naso, sorrise e mi passò accanto senza dire una parola.

Guardai Francis, che aveva lo sguardo soddisfatto, e Tiffany, che mi stava sorridendo. In quell'istante capii che non dovevo fare nulla di più di quello che farebbe una madre per tenere unita la sua famiglia, una sfida continua e senza garanzia di successo.


 

  
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