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Autore: Kary91    21/05/2016    2 recensioni
[One-Shot | Pre-Saga | Alec&Jace (bromance) | Slice of Life | Libri / Serie TV]
“E tu?”
L’interrogativo di Jace lo riscosse dal torpore.
“Cosa?”
“Hai ascoltato almeno mezza parola di quello che ti ho detto?”
Alec si passò una mano fra i capelli arruffati e sbadigliò.
“Certo… Parlavi della tua nuova fidanzatina” lo sbeffeggiò poi, tornando a socchiudere gli occhi. “Vuoi sapere se anch’io la trovo grassa?”
“No.”
Jace gli diede un altro colpetto con il piede.
“Parlavo di te. Non ti sento mai parlare di ragazze… Non ti sei mai preso una cotta per qualcuna?”
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alec Lightwood, Jace Lightwood
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'A thousand times over;'
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Questa storia è stata scritta per l’event di maggio del We are Out for Prompts con il prompt “Jace/Alec - Compagni di stanza e prime cotte” di Ili_sere_nere.

 

RoomMates

 

Alec sospirò, passandosi insonnolito il dorso di una mano sugli occhi.

Era passata da poco la mezzanotte e quel giorno si era allenato fino allo stremo delle forze, facendo del suo meglio per mantenere la mente impegnata, oltre che il corpo.

Ne aveva avuto bisogno, visto che da una settimana a quella parte, ogni volta che entrava in una stanza, non faceva altro che imbattersi in Jace e nella sua nuova cotta – una giovane cacciatrice che aveva chiesto ospitalità all’Istituto per via di qualche formalità burocratica.

La ragazza si sarebbe fermata con loro solo fino al lunedì successivo e Jace non si era lasciato sfuggire l’opportunità di accaparrarsi un po’ di compagnia femminile.

In quanto ad Alec, aveva cercato di tenersi alla larga il più possibile dal parabatai, sfruttando gli allenamenti intensivi come scusa. Era infastidito dai continui scambi civettuoli fra i due e dalla completa mancanza di discrezione di Jace che non perdeva occasione per fissare il fondoschiena della nuova fiamma. Si sforzava di pensare che il fastidio provato fosse dovuto agli atteggiamenti presuntuosi dell’amico, alla maniera giocosa con cui si vantava del suo talento nel fare colpo sulle ragazze.

Tuttavia una parte di lui sapeva che quelle spiegazioni non erano sufficienti a giustificare il rossore sulle guance che lo sopraffaceva ogni volta che vedeva Jace in atteggiamenti intimi con la cacciatrice. La rabbia irrazionale che avvertiva quando li sorprendeva a baciarsi dietro qualche porta, incuranti del fatto che chiunque avrebbe potuto vederli.

Tutte quelle farneticazioni mentali lo rendevano stanco e spossato: per quello – e per via delle ore di allenamento extra – la sera crollava sempre dal sonno.

 Quel giorno non faceva eccezione e si sarebbe lasciato stringere volentieri dalle braccia di Morfeo, se solo non fosse stato per un piccolo, grande impedimento: Jace.

Alec sbatté le palpebre e rivolse un’occhiata stanca al parabatai che – come faceva spesso, sin da quando erano bambini – giaceva stravaccato sul suo letto con le mani intrecciate dietro la nuca. Al contrario di Alec, che si stava sforzando di occupare poco spazio per sfiorare il minor numero possibile di parti del corpo dell’amico , Jace si era messo comodo: aveva le caviglie incrociate all’altezza di quelle dell’altro ragazzo e i suoi gomiti occupavano il cuscino per intero.

“Insomma, è stato bello…” stava bisbigliando Jace, in apparenza tutt’altro che insonnolito. “… Non che mi sia innamorato di lei o roba così… Solo, non mi dispiace baciarla.”

Era da almeno venti minuti che la conversazione fra i due era diventata a senso unico. Alec non aveva né le energie, né la voglia di interagire con lui. Era abituato alle incursioni notturne di Jace in camera sua: le loro stanze erano una di fianco all’altra e si erano abituati, sin da ragazzini, a cercarsi ogni volta che uno dei due non riusciva a prendere sonno.

Alec non avrebbe saputo dire quante serate avevano trascorso a bisbigliare nel buio, a ridacchiare per qualche episodio particolarmente divertente che avevano vissuto, a confidarsi i propri pensieri. Il più delle volte era Jace a intrufolarsi in camera sua – di solito senza nemmeno bussare – e ad Alec non aveva mai dato fastidio. Aveva sempre accettato di buon grado la sua compagnia, nonostante il sonno insistente che gli gravava sulle palpebre, ma quella sera riusciva a tollerarlo a fatica.

Era troppo stanco per potersi fingere interessato ai resoconti di Jace sulle sue avventure romantiche. Troppo esausto per poter tollerare il fastidio che gli provocava ascoltare ciò che l’amico pensava, diceva, faceva quando era in compagnia di qualcuna.

Troppo fragile per riuscire a ignorare l’inadeguatezza che avvertiva ogni volta che Jace gli indicava una bella ragazza, che faceva battutine sul gentil sesso o lo stuzzicava per scoprire cosa pensasse di questa o quella giovane intenta a fissarli.

Si sentiva a disagio, quando Jace incominciava a parlare di certe cose. Si sentiva ansioso, difettoso: sbagliato. Ed erano sensazioni, quelle, che aveva sempre creduto impossibili da avvertire in compagnia del proprio parabatai.

“Un po’ mi dispiace che Emery debba andarsene lunedì” proseguì Jace, prima di coprirsi la bocca con la mano per mascherare uno sbadiglio. “Anche se in parte mi sento quasi sollevato: non fa altro che chiedermi se la trovo grassa…”

Alec socchiuse appena gli occhi, concentrandosi sul battito ritmico del proprio cuore; gli sarebbe bastato dire a Jace che aveva sonno o che non sarebbe mai riuscito ad addormentarsi con lui che occupava tre quarti buoni del letto, spaparanzato come un mahraja, e l’amico se ne sarebbe andato.

Poteva farlo, eppure non aprì bocca: per quanto i discorsi di Jace lo facessero sentire a disagio, una parte di lui non poteva fare a meno di trarre benessere da quella vicinanza. Dal calore del corpo di Jace accanto al suo, dalle loro gambe intrecciate, dal modo in cui il chiacchiericcio continuo del parabatai stesse incominciando a ricordargli un ronzio innocuo e cantilenante, utile solo a concigliargli il sonno.

 “E tu?”

L’interrogativo di Jace lo riscosse dal torpore. Alec sbatté le palpebre un paio di volte, cercando, un po’ intontito, di mettere a fuoco le ultime parole pronunciate dall’amico.

“Cosa?”

Le labbra di Jace si piegarono appena a formare un sorrisetto divertito.

“Hai ascoltato almeno mezza parola di quello che ti ho detto?” chiese, dandogli un calcetto poco convinto.

Alec si passò una mano fra i capelli arruffati e sbadigliò.

“Certo… Parlavi della tua nuova fidanzatina” lo sbeffeggiò poi, tornando a socchiudere gli occhi. “Vuoi sapere se anch’io la trovo grassa?”

 “No.”

Jace gli diede un altro colpetto con il piede.

“Parlavo di te. Non ti sento mai parlare di ragazze… Non ti sei mai preso una cotta per qualcuna?”

Alec si irrigidì, il petto intrappolato in una morsa di disagio.

“Non lo so…”

La sua voce incespicava, impacciata. Alec fu grato all’ora tarda, che rendeva il suo balbettare giustificabile.

“Non ho molto tempo di pensare a certe cose; ci sono gli allenamenti e poi… Trascorro gran parte delle mie giornate a cercare di tenere in riga te e Izzy.”

“Ma smettila!” lo rimproverò bonariamente Jace, arruffandogli i capelli.

Alec rabbrividì; allontanò la sua mano con un gesto svogliato, ma dentro di sé si sentiva inquieto.

“Quando parli così sembri più vecchio di Hodge. E comunque, io e Izzy possiamo benissimo cavarcela da soli, ormai… Anzi, sarebbe carino da parte tua concederci un po’ di quel peso che ti porti sempre sulle spalle.”

Alec gli rivolse un’occhiata confusa.

“Non devi essere sempre così responsabile, Alec” si spiegò meglio Jace, posandogli una mano sulla spalla. “Hai diritto anche tu a lasciarti andare, ogni tanto: Robert e Maryse capirebbero.”

Nel sentir nominare i suoi genitori, la sensazione di disagio provata da Alec crebbe.

Tornò a chiudere gli occhi – le mani occupate a tastarsi le guance in fiamme –  sentendosi più stanco e nervoso che mai.

Sapeva che Jace stava cercando di aiutarlo, di prendersi cura di lui per ricambiare, a modo suo, le premure del parabatai nei propri confronti, ma per quanto Alec si sforzasse non riusciva comunque a rilassarsi, né a mostrargli gratitudine.

“Ci proverò” decise di accontentarlo infine, più che altro nella speranza di chiudere quel discorso.

Jace annuì compiaciuto.

“Molto bene. E se mai dovessi avere bisogno di consigli sai dove trovarmi…” commentò poi, stendendosi su un fianco. Un ghigno divertito gli accarezzo gli angoli delle labbra e Alec roteò gli occhi, aspettandosi qualche battuta fintamente boriosa da un momento all’altro.

“… Anche se capisco che tu possa sentirti scoraggiato, dovendo competere con il mio fascino” commentò infatti poco dopo Jace, passandosi le unghie sul petto. “La mia bellezza è impareggiabile, però tutto sommato devo dire che neanche tu sei niente male…”

Alec quasi non si strozzò nella sua stessa saliva; le sue guance tornarono ad accendersi.

 “Sta’ zitto e lasciami dormire, Wayland” borbottò infine, girandosi su un fianco per dargli le spalle.

Jace ridacchiò fra sé; Alec non doveva sforzarsi per immaginare il sorrisetto compiaciuto che probabilmente stava esibendo in quel momento.

“Come vuoi tu, brontolone” replicò il suo parabatai, tornando a intrecciare le dita dietro la nuca. Il suo gomito sfiorò accidentalmente i capelli di Alec e il ragazzo lo allontanò con un gesto brusco, cercando di guadagnarsi un po’ di spazio: Jace non sembrò infastidirsi.

Per qualche minuto il maggiore dei fratelli Lightwood attese impaziente che l’amico si convincesse a tornare nella propria stanza. Abbandonò le speranze nel momento in cui sentì il respiro di Jace farsi più lento e regolare, indice di un sonno tranquillo.

Il disagio scivolò via di colpo dal petto di Alec, nel momento in cui si voltò per osservare il volto del ragazzo addormentato. Jace aveva gli occhi chiusi e un lieve sorriso rilassato ad accarezzargli le labbra, l’aria tranquilla di chi si sente finalmente libero di poter abbassare la guardia.

Nel vederlo così, sereno e insolitamente vulnerabile, Alec avvertì una fitta d’istinto fraterno nei suoi confronti. Provò qualcosa di forte, ma che non faceva paura. Qualcosa che avrebbe tranquillamente potuto accomunare a ciò che sentiva per Izzy o per Max.

Si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo, rassicurato almeno in parte da quel sentimento così familiare e per nulla sbagliato.

Era così, che avrebbe dovuto sentirsi sempre. Jace era suo fratello, suo fratello minore: il suo parabatai. Né più né meno di questo.

 “Buonanotte, Jace” bisbigliò nel buio, prima di voltarsi dall’altra parte e chiudere a sua volta gli occhi.

E, battendo sul tempo le solite riflessioni scomode che si mettevano spesso d’impegno per tenerlo sveglio, il sonno lo prese con sé.

 

Note Finali.

Devo fare una piccola confessione: credo di essere una delle poche persone al mondo che ama tantissimo questi due; adoro Alec e Magnus, ma questi due sono i miei preferiti, non ci posso fare niente. Ciò nonostante tengo troppo al canon per poterli slashare, quindi credo che non sarei mai in grado di scrivere una storia in cui li leghi un sentimento romantico. Questo però non impedisce di fangirlare come una pazza sulla loro bromance, e ai tempi Alec ha effettivamente avuto una cotta per Jace, quindi eccomi qui! Chissà che non spunti fuori qualcun altro a cui piace il Jalec quanto me *incrocia le dita*
Grazie a chiunque sia passato a leggere!

   
 
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