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Autore: Anonimadelirante    26/05/2016    2 recensioni
“«Connor...» Oliver incassa ancora un po' la testa nelle spalle e mormora flebile, anche se non sa cosa dire. Ma Connor fa questa cosa strana con la bocca, la storce, e stira le labbra, e Oliver non può assolutamente crederci, ma quello è un sorriso. Dannatamente inappropriato, cavoli, vorrebbe prenderlo a pugni: come fa a sorridere in una situazione del genere – ma è così bello, ed è il primo sorriso vero che gli vede addosso, che non sia un ghigno o una smorfia maliziosa. […]
Non lui, no, qualunque cosa, va bene, ma non lui. Così è solo crudele.”
[Missing moment 1x15 – Coliver]
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Connor Walsh, Oliver Hampton
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Pairing/Characters: Connor e Oliver. Coliver. Incredibilmente, nessun accenno a nessun altro personaggio. (Non è da me, lo so.)
Warnings: spoiler! per quanto riguarda la 1x15. Angst e fluff e boh, tutto quello che comporta la Coliver, insomma. Connor si rivolge in maniera non proprio lusinghiera ad un'entità sovrannaturale, ma non bestemmia, ecco, non proprio, è più un pochino alterato. Lo dico perché potrebbe anche urtare, anche se non mi sembra, ecco.
Word Count: 1025 w.
N/A: e niente. Niente di particolarmente originale, lo so. Però, ehi,dovevo scrivere qualcosa su quella scena, andiamo!
— Piccola disambigua infondo.

 

 

 

 

 

 

 

 


(«Oliver?»
La stanza è buia e Oliver è sotto un groviglio di coperte – la prima cosa che si chiede è se abbia davvero mal di testa o se sia semplicemente depresso per la morte di Dave. Ma poi alza la testa e gli vede gli occhi cerchiati: «Che hai – stai male?»
«Dipende che cosa intendi» gli risponde in un soffio venato di ironia mal riuscita e Connor si irrigidisce, perché è lui quello che fa del sarcasmo nei momenti difficili e non il contrario – è davvero così grave?
«Volevo dirtelo quando hai chiamato, ma... ma tu non avevi ancora il tuo referto. Ho pensato che magari potessi averla anche tu e-- e che l'avremmo affrontato insieme.»
Dio. Dio, no, ti prego. No: «Oliver-» si appoggia sul bordo del letto e lo guarda. Per favore.
«Sono sieropositivo.»
Fanculo.

 

Oliver lo guarda deglutire a vuoto e boccheggia, lo stomaco rivoltato come un calzino.
Lo guarda deglutire a vuoto e sbattere le palpebre, spaesato, e fissarlo per un lungo istante, confuso, tradito – tradito.
Poi, Connor si alza di scatto dal letto, come se il plaid si fosse fatto di lamina rovente e indietreggia; Oliver si sente rimbombare la porta della camera che sbatte fin dentro le ossa e trema. Trema e sorride, avvelenato nel buio – perché in fondo era proprio questo di cui aveva paura.
Era proprio questo che si aspettava.

 

 

Il petto di Connor si alza e si abbassa a scatti, sputacchiando, e lui prova un'impellenza quasi vitale di urlare. Non lo fa.
Si lascia scivolare contro il muro del corridoio e ti prego ti prego ti prego fa che sia uno scherzo ti prego non può essere è così ingiusto non lui perché-
Perché non io.
Infondo sarebbe stato più ovvio, più... giusto. Così è solo crudele.
Oliver non si merita una cosa del genere, davvero, Dio, se esisti, che cazzo t'è preso?
Non lui, no, qualunque cosa, va bene, ma non lui.
Così è solo crudele.
Comunque, non può lasciarlo solo.)

 

 

 

 

It's okay
(inappropriato)

 

 

 


«Senti, io lo so, d'accordo?» lo fa. Rientra in casa e sbotta, sbotta come ha desiderato fare miliardi di volte prima d'allora e per un istante ha paura di non riuscire a fermarsi in tempo. Sbotta, dopo essere scappato per l'ennesima volta, lo sguardo attonito e disperato di Oliver addosso. «Lo so», ripete, e sbuffa piano: «So di essere un bastardo narcisista e, okay, probabilmente ho una qualche sindrome di superiorità o qualcosa del genere, ma-- e ho fatto cose terribili, davvero, terribili» tu neanche immagini, quanto orribili, Ollie. Sei dannatamente troppo buono per farlo «E sono un egoista e probabilmente non smetterò mai di farti soffrire e--» e sono un assassino. Se le sente salire in gola, le lettere e le parole, fino a comporre quella dannata frase che gli spiaccica i polmoni e calpesta il cuore. Riesce a ricacciarle giù all'ultimo, in un grumo di saliva e terrore.
«Lo so», ripete ancora, «Ma va bene. Tu sei rimasto. Va tutto bene. Sei rimasto anche quando non avresti dovuto, anche quando mi hai sbattuto fuori di casa – lì, sì, insomma, anche quando sono piombato qui balbettando cose che neanche ricordo; sul serio...» si chiede come abbia fatto, come mai l'abbia fatto. Con che coraggio – perché? Perché, si domanda ancora. E perché? gli scivola lungo le ossa, su su, verso l'ultima iperattiva sinapsi del cervello. Perché?
«Io non-» è piuttosto sicuro che Oliver si stia chiedendo se è il caso di chiamare un centro di ricovero o se si è drogato di nuovo o qualcosa del genere perché per quanto nella sua testa ci sia un discorso perfettamente sensato, ora come ora sta riuscendo a sputar fuori solo pezzetti di frase sconnessi ed è quasi certo che quello sia il principio di un attacco di panico – oh, cazzo.
Così, semplicemente, trattiene il respiro e conta fino a dieci – socchiude gli occhi, si morde il labbro e poi gli scivola accanto, sul letto, allunga un braccio e si insinua con le dita in quel bozzolo morbido di coperte: «Va bene così» ripete piano – non fa niente, vorrebbe sussurrare – lo sente tremare, gli occhi sbarrati e il naso arricciato e si chiede cosa starà pensando, adesso, cosa.
«Connor...» Oliver incassa ancora un po' la testa nelle spalle e mormora flebile, anche se non sa cosa dire. Ma Connor fa questa cosa strana con la bocca, la storce, e stira le labbra, e Oliver non può assolutamente crederci, ma quello è un sorriso. Dannatamente inappropriato, cavoli, vorrebbe prenderlo a pugni: come fa a sorridere in una situazione del genere – ma è così bello, ed è il primo sorriso vero che gli vede addosso, che non sia un ghigno o una smorfia maliziosa. Così bello. Piccolo, quasi indeciso. Ma bello.
Connor si allunga e gli sfiora il collo con la punta del naso. Se lo sente respirare addosso e socchiude gli occhi, chiedendosi quanto ancora potrà andare avanti, perché, fosse per lui, quell'attimo durerebbe per l'eternità. Ma poi Connor gli sfiora il pomo d'Adamo con la punta della lingua e, Dio, smette semplicemente di farsi domande.
«È okay» lo sente sussurrare e non ha la più pallida idea di cosa intenda, perché lui non riesce neanche a immaginare a qualcosa che sia anche solo lontanamente okay, in tutto quel casino – a parte le labbra morbide di Connor premute contro il suo collo e- oh.
«È okay. Non vado da nessuna parte – non scapperò. Non 'sta volta, non me ne andrò.»
Oliver ci crede. Non sa neanche lui come faccia, con il tonfo sordo della porta sbattuta che ancora gli riecheggia nelle orecchie e nello stomaco, ma lo fa. Lascia che gli si stringa addosso perché è quello di cui ha più bisogno in assoluto e serra gli occhi, soffiando piano dal naso gelido.
«Affronteremo questa cosa insieme, Ollie.»
E Oliver vorrebbe guardarlo negli occhi e dirgli che non deve, non per forza, non se lo fa per pietà, ma appoggia il mento sui suoi capelli e sorride un sorriso piccolo e mesto, ma pur sempre un sorriso – inappropriato.

 

 

 

 

 

 

 


Note bis:
[...] la prima cosa che si chiede è se abbia davvero mal di testa o se sia semplicemente depresso per la morte di Dave”: Dave è un personaggio della mini-serie televisiva Uccelli di Rovo, 1983, tratta dell'omonimo romanzo di Colleen McCulloungh.

 

 

  
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