- Premessa
- Concepii
questa storia nella ormai lontana estate del 2010 basandomi solo su
quanto
narrato in Assassin’s Creed 2, quindi vi anticipo che non
terrò conto di molti
eventi presenti nel romanzo Rinascimento e di almeno tre delle Memorie
di
Cristina di Assassin’s Creed
Brotherhood.
- Detto
ciò,
buona lettura e arrivederci alla fine del primo capitolo ;)
- Prologo
- Un
piccolo sospiro, poi un altro più
profondo, poi ancora altri silenziosi rapidi e irregolari…
- Il
ragazzo ispirò l’aria densa di un
odore acre ed intenso che quasi lo soffocava, poi aprì gli
occhi all’oscurità e
batté lentamente le palpebre.
- Sentiva
il corpo pesante, la stessa
sensazione che si prova quando si rimane a letto troppo a lungo e poi
non si ha
più la forza di alzarsi.
- Con
uno sforzo enorme riuscì a
mettersi a sedere, facendo scivolare il telo di stoffa grezza che lo
copriva, e
si guardò attorno.
- Era
su un carro coperto dalle assi
superiori filtrava la grigia luce della luna e quella giallastra, più fioca,
della lanterna del conducente.
- Appena
i suoi occhi si furono
abituati alla semioscurità, intravide poco distanti da lui
due lenzuoli
rigonfi. Subito un forte capogiro lo costrinse ad appoggiarsi alle assi
del
telaio, ma nello stesso istante il carro sobbalzò a causa di
una buca facendo
scivolare la sua mano nel vuoto e facendolo rovinare giù
dalla vettura, oltre
il ciglio della strada.
- Il
carro accelerò, per poi rallentare
di nuovo qualche metro più avanti, proseguendo placido il
suo viaggio.
- Il
ragazzo restò per qualche secondo
immobile nel terrapieno.
- Con
grande fatica riuscì ad issarsi
sulle braccia per poi ricadere supino.
- L’aria
gli mancava. Iniziò a tossire
convulsamente, poi la tosse scemò in profonde boccate
d’aria finché non si
placò del tutto ed il respiro tornò ad essere
quasi regolare.
- Non
ricordava nulla: nella sua mente
c’era solo un grande vuoto.
- La
sua attenzione venne richiamata da
una fitta al braccio destro, attorno al quale serrò
istintivamente la mano
sinistra. La sensazione che gli diede il calore del sangue sotto le
dita lo
riportò parzialmente alla realtà: doveva alzarsi,
andare via da lì se non voleva
morire dissanguato. E doveva farlo subito.
- Prese
un respiro profondo e, stringendo
i denti ed aiutandosi come poteva con il braccio sano,
riuscì a mettersi in
piedi. La testa gli girava ancora, ma le gambe sembravano reggerlo.
- La
luna faceva capolino tra le nubi
illuminando la strada che, da una parte si perdeva nelle campagne,
mentre
dall’altra procedeva dritta verso la luce della lanterna
appesa sotto la porta
ovest di Firenze. Continuando
a
stringersi la ferita iniziò a camminare in direzione della
luce.
- Fortunatamente
era caduto solo a
poche decine di metri dalla porta e non impiegò molto a
raggiungerla. Nella
guardiola il soldato assopito non lo vide passare e lui poté
sparire nei vicoli
della periferia.
- Man
mano che avanzava, nella sua
testa un mulinello di immagini che turbinavano freneticamente, senza alcun nesso logico,
aveva preso il
posto del vuoto iniziale.
- La
testa non gli girava più tanto, ma
iniziava a sentire un lieve ronzio nelle orecchie.
- Era
solo l’istinto a guidarlo per le
strade deserte.
- Non
incontrò anima viva.
- Cosa
strana perché di solito, anche a
quell’ora, le vie non erano mai
del
tutto vuote.
- All’improvviso
un rumore, proveniente
da un vicolo non lontano da lui, lo costrinse a nascondersi dietro una
grande
cassa.
- Vide
passare un piccolo gruppo di
soldati mezzi ubriachi, in
compagnia di
alcune cortigiane.
- Attese
che si dileguassero nella
notte, e quando fu sicuro di essere di nuovo solo, uscì e si
incamminò nella
direzione opposta a quella delle guardie.
- Continuò
a proseguire, stando attento
a non incrociare le ronde notturne, tra le vie della città
addormentata.
- Fu
dopo aver imboccato l’ennesimo
vicolo per evitare una pattuglia,
che si
ritrovò sulla piazza deserta di Santa Trinità.
- I
ricordi nella sua mente iniziarono
a riordinarsi: era li che meno di due sere prima aveva accompagnato suo
fratello dal dottore per una ferita al labbro,
dopo una rissa, e si era fatto stupidamente battere
nella gara a chi
raggiungeva per primo il tetto della chiesa.
- Suo
fratello aveva poi deciso di far
visita alla sua ragazza, Cristina, mentre lui,
dopo essersi goduto per un'po' il cielo stellato, era tornato a casa e, inventata una scusa per
tranquillizzare sua
madre, era andato a dormire.
- La
mattina dopo si era svegliato
presto ed aveva svolto delle commissioni per suo padre.
- Nella
tarda mattinata aveva fatto un
salto al mercato, dove
aveva incontrato
Cristina.
- Non
resistendo alla tentazione, si
era messo a prenderla in giro per essersi fatta sorprendere quella
mattina in
dolce quanto equivoca compagnia. Lei,
sicuramente non dell’umore giusto per
reggere alle provocazioni, lo
aveva mandato al diavolo senza troppi
complimenti e se ne era andata via stizzita seguita dalla governante.
- Dato
che non aveva alcuna voglia di
tornare a casa per ricevere altro lavoro da fare,
il resto del pomeriggio lo aveva passato in
giro per Firenze abbandonandosi al dolce far nulla.
- Soltanto
quando il sole iniziava a
sparire dietro la grande cupola di Santa Maria del Fiore si era deciso
a
dirigersi verso casa. Appena aveva varcato il cancello,
due guardie lo avevano bloccato,
mentre una terza gli aveva mollato un pugno
nello stomaco, facendogli
perdere i
sensi.
- Dopo
tutto era confuso: ricordava
a malapena la notte passata in una
cella di Palazzo della Signora.
- Poi
più nulla.
- Era
come se da quel momento in poi la
sua mente si rifiutasse di richiamare le memorie per
dispetto…
- O
per paura.
- Forse
quello era solo un sogno, e
tra poco si sarebbe svegliato nel suo
letto, magari con
le grida di Annetta che
sbraitava per rimettere a posto la sua
camera…
- Per
un attimo si illuse che potesse
essere davvero così.
- Dentro
di lui però continuava a crescere
una strana inquietudine, una paura insensata, insieme alla
consapevolezza che
era successo qualcosa.
- Qualcosa
che la sua mente aveva
rimosso ma che comunque sapeva.
- Qualcosa
di brutto.
- Mentre
camminava assorto nei suoi
pensieri, davanti a
lui si aprì deserta
Piazza della Signoria.
- Al
centro, oscuro e impassibile,
c’era il patibolo.
- Fu
un attimo.
- Il
ricordo lo colpì come una
frustata: la piazza gremita di gente. La voce di suo padre. Quella
lontana di
suo fratello.
- Il
vuoto.
- Il
buio.
- L’aria
gli mancò di nuovo, prese a
tossire. Iniziò a correre.
- Correva
lontano da lì nella speranza
di fuggire anche da quello che era successo.
- “No, no,
non è vero, non può essere vero,
questo deve
essere un sogno, deve
essere solo un
stupido orribile incubo!”
- Continuava
ad inciampare e a sbattere
contro muri e contro le casse.
- Sentiva
le forze scivolare via ed il
ronzio nelle orecchie aumentare fino a diventare assordante.
- Rallentò:
la vista gli si stava
offuscando.
- Era
in un vicolo.
- Forse.
- Si
sentì chiamare.
- Alzò
lo sguardo distinguendo a
malapena una figura scura nella cornice di luce di quella che doveva
essere una
finestra.
- Poi
tutto piombò nell’oscurità: si
accasciò vicino al muro come un sacco vuoto, mentre dei
passi veloci e
concitati venivano verso di lui...