Capitolo
21: I SEGRETI DEI CONDUIT
Raramente Rachel si era sentita così
impotente
di fronte a qualcuno. Con così poche parole, Wilson
l’aveva lasciata
completamente atterrita.
«I-Immortale?»
domandò a fatica, sentendosi la
gola completamente inaridita.
L’uomo annuì. «Dal
giorno in cui una delle
esplosioni colpì me e la mia squadra, non esiste ferita che
il mio corpo non
possa rimarginare. E questa ne è la prova» disse,
indicandosi l’addome ormai
intatto e pulito.
Corvina sgranò lentamente gli occhi,
mentre la
verità appariva sempre più nitida di fronte a
lei. Wilson possedeva un fattore
di guarigione. Questo avrebbe anche spiegato perché la sua
gamba fosse
completamente intatta al momento del loro incontro, nonostante Tara non
l’avesse quasi amputata.
Improvvisamente, le possibilità di
vittoria per
lei si ridussero drasticamente. Non solo Wilson era forte, non solo era
abile
con la spada, non solo era resistente, ma era anche praticamente
immortale.
Potevano ferirlo, sparargli, colpirlo con qualsiasi arma possedessero;
lui si
sarebbe sempre e comunque rialzato.
«Avete commesso
un grosso errore a mettervi sulla mia strada.»
Deathstroke sollevò una
katana, puntandola verso Rachel. «Ora anche tu ne pagherai le
conseguenze.»
La conduit gemette e tentò di rialzarsi,
ma
un’altra fitta di dolore alla tempia la costrinse a rimanere
a terra. Ormai non
riusciva più nemmeno a capire se era stato il calcio di
Slade o se erano
proprio i suoi poteri a farla star male in quel modo. Più ci
provava e più lo
trovava difficile. Non avrebbe retto ancora per molto.
Wilson fu più vicino, la lama della
katana
brillò in mezzo alle chiazze di sangue scarlatte.
Sollevò l’arma, pronto ad
abbatterla su di lei. Le rivolse un ultimo sguardo. «Addio
Rachel.»
La lama si abbassò, Rachel chiuse gli
occhi. Un
esplosione riecheggiò all’improvviso, seguita da
un verso di dolore.
Qualcuno gridò.
La corvina riaprì gli occhi con sua
enorme
sorpresa, e vide Wilson indietreggiare, allontanandosi da lei, per
accasciarsi
a terra. Alle sue spalle vide Lucas e Amalia, quest’ultima
con ancora il fucile
sollevato. «Tutto ok, Rachel?» domandò,
mentre entrambi si avvicinavano.
«S-Sì...»
biascicò Corvina, per poi sentire le
nocche di Deathstroke scrocchiare mentre stringeva con forza le spade.
Sgranò
gli occhi. «Fermi, non avvicinatev...»
Slade si rialzò di scatto, fiondandosi
sui nuovi
arrivati. Komand’r gridò di sorpresa e fece di
nuovo fuoco, ma la sua arma fu
completamente inefficacie sull’uomo. Lo colpì,
brandelli di vestiti e schizzi di
sangue provennero dal mercenario, ma lui non si fermò
ugualmente.
Mulinò una katana, tentò di
affettare la mora,
ma lei riuscì a scansarsi in tempo. La spada
tagliò in due il suo fucile e la
ragazza cadde a terra, gemendo. L’uomo sollevò le
lame, ma Lucas si frappose,
parando con il
bastone l’affondo che
avrebbe sicuramente ucciso la mora. «Sei bello tosto,
eh?» mugugnò, per la
fatica dovuta al tenere bloccate le armi dell’uomo con la sua.
Deathstroke emise un verso simile ad un ringhio
rabbioso, poi gli sferrò una ginocchiata, ma il ragazzo la
evitò saltando
all’indietro.
I
due si
osservarono a vicenda e cominciarono lentamente a camminare in
semicerchio, per
studiarsi.
«Come avrete notato, le vostre armi sono
inefficaci su di me. Ritiratevi adesso e avrete salva la
vita.»
«Ah, sta zitto!»
sbottò Lucas, partendo alla
carica.
Affondi, schivate, parate si susseguirono gli
uni dopo gli altri, in rapida sequenza. Nonostante l’enorme
abisso che separava
i loro stili di combattimento e le loro armi, Lucas vendette cara la
pelle. Non
era uno spadaccino provetto, ma non era nemmeno l’ultimo dei
fessi.
Mentre il loro scontro proseguiva e Amalia si
rimetteva faticosamente in piedi, qualcuno arrivo alle spalle di
Corvina. «Stai
bene Rachel? Sei ferita?»
La conduit si voltò di scatto,
trasalendo, poi
si tranquillizzò nel vedere Tara chinarsi accanto a lei.
«No, no...» mugugnò
a quel punto, massaggiandosi
la tempia. Fece una smorfia. «Però non riesco ad
usare i poteri...»
«Questo... sì che è
un bel problema...» osservò la
bionda, dischiudendo le labbra.
Un verso di dolore le fece voltare entrambe.
Slade era appena riuscito a colpire Lucas con un calcio
all’addome,
costringendolo a piegarsi. Abbatté una katana su di lui, il
ragazzo sollevò il
bastone per difendersi, ma la lama della spada lo tranciò di
netto a metà e gli
raggiunse il volto.
Lucas fu sbalzato all’indietro e cadde a
terra,
con tra le mani due monconi inutilizzabili e un orrenda ferita sulla
fronte,
che per poco non gli aveva strappato via perfino uno degli occhi.
Tossì,
cercando di rialzarsi, ma si
ritrovò ben
presto lo stivale di Wilson sul collo. Il mercenario lo
colpì con forza,
facendolo urlare, poi premette la suola sulla pelle.
«Sei in gamba ragazzo, ma non
abbastanza.»
Schiacciò con più forza, affondando nella carne.
Rosso cercò di gridare, ma
uscì solo un verso
soffocato. Si dimenò, colpì con le mani il piede
dell’uomo, ma le forze lo
stavano abbandonando con rapidità, non sarebbe mai riuscito
a liberarsi.
Rachel temette il peggio. Inorridì, ma
Amalia arrivò
alle spalle dell’uomo e si avventò su di lui
brandendo un coltello, impedendogli
di soffocarlo.
Il mercenario si voltò sorpreso, per poi
ritrovarsi l’arma conficcata sotto al mento.
Grugnì di dolore, poi allontanò la
ragazza con un colpo dell’elsa di una katana, come se la
ferita che lei gli
aveva appena procurato non fosse stata altro che la puntura di una
zanzara. «Mi
state davvero stancando.»
Komand’r cadde a terra una seconda volta,
procurandosi un taglio sulla guancia, ma si rimise subito in piedi,
estraendo
una pistola dalla tasca. «Crepa!»
Fece fuoco, i proiettili si abbatterono
sull’addome dell’uomo uno dietro l’altro,
con estrema precisione. Deathstroke
mugugnò e barcollò dopo ogni colpo. Amalia
svuotò l’intero caricatore, ma Wilson
continuò comunque a reggersi in piedi. Nonostante avesse la
regione toracica
grondante di sangue e un coltello conficcato fino al manico nel suo
collo, era
ancora in piedi. Scrollò la testa, stordito, poi
piazzò il suo unico occhio su
quelli della mora.
«Allora forse non ti è chiara
una cosa...»
cominciò a rantolare, rinfoderando una katana per poi
estrarre il coltello con
un gesto secco della mano. Un fiotto di sangue vermiglio si
riversò fuori dalla
ferita sul collo, ma si arrestò quasi immediatamente.
L’uomo si rigirò l’arma
tra le mani, per poi impugnarla dalla parte della lama con due sole
dita. «...
non esiste arma in grado di uccidermi!» gridò, per
poi scagliare il coltello
contro la ragazza.
Amalia sgranò gli occhi.
Cercò di schivare il
pugnale, ma questo si conficcò nella sua coscia, facendola
gridare di dolore.
La pistola le scivolò di mano e la ragazza crollò
in ginocchio, tenendosi la
gamba martoriata.
Wilson si incamminò a quel punto verso
di lei,
roteando la katana. «Non avreste dovuto
impicciarvi.»
«Vaffanculo...» gemette
Komand’r. «Tu, quella baldracca
di tua figlia e quei bastardi dei tuoi uomini...»
Deathstroke torreggiò su di lei, la lama
della
katana scintillò sotto la fioca luce della luna.
«Gli insulti non ti salveranno
la vita.»
Per tutta risposta, Amalia mostrò il
medio.
«Amalia...» mormorò
Tara, per poi alzarsi in
piedi, stringendo i pugni. «Ora basta, Wilson!»
Il mercenario si voltò verso di lei, per
poi
sgranare l’occhio. Sembrava non essersi accorto di lei fino a
quel momento.
«Tara, no...»
sussurrò Rachel. Volle alzarsi per
aiutarla, ma fu colpita da un’altra fitta di dolore alla
tempia, che la
costrinse a rimanere a terra.
«Sta tranquilla, Rachel»
rispose la bionda, con
sicurezza. «Lui non mi farà del male.»
«Terra...» disse
l’uomo, dopo un attimo di
silenzio. «... vedo... che ti sei calmata.»
«Di certo non grazie a te»
ribatté lei,
incrociando le braccia. «Lascia stare i miei amici.»
«Sono loro che per primi hanno tentato di
mettermi i bastoni tra le ruote. Io mi sto solamente
difendendo.»
«Tu
mi
hai rapita! Sei tu che hai cominciato!» esclamò
Tara, per poi osservarsi la
mano. Deglutì, poi questa cominciò a tramutarsi
lentamente in pietra. Una
lacrima le rigò la guancia. «Mi... mi hai
trasformata in un mostro...»
Slade sospirò, chiudendo
l’occhio, poi scosse
lentamente la testa. «Tu non capisci... ora potrà
sembrarti che la tua vita sia
rovinata, ma credimi, non è così. Tra qualche
tempo mi sarai grata di ciò che
ho fatto.»
«Esserti grata?!»
domandò la ragazza,
osservandolo come se provenisse da un altro pianeta. «Come
potrò mai esserti
grata per questo?! Tu mi hai ammanettata ad un tavolo, mi hai
spogliata, mi
hai... mi hai... torturata...» Si interruppe di colpo,
abbracciandosi le
spalle. Gemette, poi scosse la testa con energia, mentre altre lacrime
scendevano dai suoi occhi. «Non potrò mai esserti
grata per ciò che hai
fatto...»
«Ti sbagli. Io non ti ho fatto alcun
male.»
Wilson rinfoderò la katana, per poi avvicinarsi a lei. Le
labbra di Tara
tremolarono, ma non si mosse mentre l’uomo si faceva sempre
più vicino. «Non
sono stato io a procurarti tutte quelle ferite. È stato il
gene Conduit.»
«Il...
cosa?» domandò la bionda, dischiudendo le labbra.
Anche Corvina sgranò gli
occhi.
«Il gene Conduit. Una frazione di DNA che
non tutti
possiedono, e che consente a chi ce l’ha di trasformarsi in
conduit, come la
tua amica Rachel, o me.»
«Quindi...» biasciò
Tara, incredula. «Essere
conduit... è una questione genetica?»
«Sì. Ma il gene non
può essere trasferito con
facilità sulle persone che non lo possiedono, come te. Chi
nasce senza di esso,
muore senza di esso. Non si acquista con la crescita, non
può trasmettersi
tramite sangue, saliva o sperma, c’è bisogno di un
trapianto. Ma per fare un
trapianto, occorre un campione del gene, e per ottenerlo da un conduit
occorrono una lunga sequenza di complicati passaggi, che vanno ad agire
direttamente sul DNA della persona. Nel corso di questi mesi sono
riuscito a
raccogliere molti campioni, e in contemporanea ho cercato di
impiantarli in
persone comuni.
«Ma nessuno è mai
sopravvissuto al trasferimento.
Il gene è troppo potente. Il sistema immunitario lo
riconosce come nemico, e
cerca di aggredirlo, portando l’organismo ad autodistruggersi
e a deformarsi a
livello cellulare. La stessa cosa è successa anche a te,
Terra. Le ferite e le
abrasioni sul tuo corpo erano dovute proprio alla battaglia che stava
avvenendo
dentro di te. Non sono stato io a causarle, almeno, non direttamente.
Per tutto
il tempo io ti sono rimasto accanto, somministrandoti antibiotici,
immunosoppressori, anestetizzandoti perfino, pur di non farti provare
alcun
dolore. Non ti ho torturata.
«Ho cercato in tutti i modi di impedire
che
anche il tuo corpo implodesse. Non potevo permettere che anche tu
morissi come
gli altri pazienti. Ma tutti i miei sforzi sono stati vani. Ero ormai
convinto
che neanche tu ce l’avresti fatta, quando poi la tua amica
è arrivata e ti ha
curata. Lei, con le sue stesse mani, è riuscita ad ovviare
il problema che più
mi affliggeva, ossia la riabilitazione del paziente. E i
risultati...»
Wilson prese la mano di Tara, che ancora era
trasformata, e la costrinse a sollevarla. La osservò,
completamente ammaliato. «...
sono stati sorprendenti. Tu, Terra, sei stata la prima conduit creata
in un
laboratorio. E dopo di te, ne arriveranno molti altri. Certo, mi
serviranno dei
poteri di guarigione come quelli di Rachel, ma troverò una
soluzione. Vedrai,
bambina.» L’uomo lasciò la presa dalla
mano della ragazza, poi posarle una mano
sulla spalla. «Una nuova era sta per avere inizio. E tu sarai
il simbolo di
essa.»
La ragazza bionda tacque per quelle che parvero
eternità. Osservò Deathstroke a lungo, con aria
indecifrabile.
«Quindi... tu non volevi farmi del
male...»
mormorò.
«No, non volevo.»
«Ma mi hai trasformata in una
conduit.»
«Sì.»
Tara strinse i pugni. «Perché
lo hai fatto,
allora?»
Un altro sospiro provenne dalla maschera
dell’uomo. «Se te lo spiegassi adesso,
probabilmente non mi crederesti. Nessuno
potrebbe credermi, io stesso all’inizio ho faticato parecchio
per farlo. Sappi
solo che essere conduit è l’unico modo per
sopravvivere a ciò che deve ancora
arrivare. Anzi, a ciò che è già
arrivato. Rimani qui, con me, Terra. Sii la mia
discepola. Ti prometto che avrai ogni risposta che desideri, se sarai
paziente.»
«Non abbandonerò i miei amici
per restare con
te. Te lo puoi scordare.»
«Non essere sciocca. I tuoi amici sono
tutti
destinati a morire. Io ti sto offrendo la
possibilità...» Wilson ritrasse la
mano dalla sua spalla e gliela porse. «... di sopravvivere.
Te ne prego,
accetta la mia proposta. Non te ne pentirai.»
La neo conduit osservò quella mano, poi
Wilson,
e poi anche Rachel. La corvina era rimasta in disparte, in silenzio, ad
osservare e ad ascoltare incredula lo scambio di battute tra
l’uomo e la bionda.
Incrociò lo sguardo di Tara, le due ragazze rimasero in
silenzio, ad
osservarsi.
«Tara...» mormorò,
incapace di fare altro.
La Markov si mordicchiò un labbro, poi
si voltò
nuovamente verso l’uomo. «Grazie» disse
infine, per poi fare un passo indietro,
allontanandosi da quella mano ancora tesa verso di lei. «Ma
no grazie»
concluse, con freddezza.
Deathstroke si incupì
all’improvviso. «Terra,
ascolta...»
«No, ascolta tu!»
sbottò la ragazza, sbattendo
un piede sul suolo. «Per prima cosa, io mi chiamo Tara, non
Terra! E poi dovrei
proprio avere la sindrome di Stoccolma per decidere di rimanere con uno
psicopatico che mi ha rapita, legata ad un tavolo e trasformata in un
abominio!
Non ho la più pallida idea di cosa tu abbia in mente, ma
lascia che ti dica una
cosa: io non ho alcuna intenzione di aiutarti. Tu sei un tiranno che
gioca a
fare Dio con le persone innocenti, non ti meriti nulla, né
da me, né da
nessun’altro! Io non sono un oggetto, non sono il tuo oggetto!»
Tara allargò le braccia e
sollevò il capo,
chiudendo gli occhi. «E ora prego, uccidimi pure. Preferisco
morire piuttosto
di trascorrere un solo altro giorno con questi dannati
poteri.»
Slade abbassò lentamente la mano,
continuando ad
osservarla. «Non voglio ucciderti.»
«Ti conviene farlo, invece. Prima che io
perda
di nuovo il controllo e lo faccia a te.»
«Mi metti in una posizione
difficile.»
«Era quello il mio intento.»
L’uomo osservò la ragazza, lei
fece lo stesso.
Rimasero entrambi immobili, non mossero un muscolo. Rachel non aveva
mai visto
Tara così seria e determinata. Osservava
quell’individuo grosso il doppio di
lei senza alcun accenno di timore.
Infine, Wilson estrasse una katana. «Un
vero
peccato che debba finire in questo modo. Ma se non vuoi collaborare, io
non
posso costringerti.»
Rachel sgranò gli occhi. Non
riuscì a credere
alle proprie orecchie. Wilson... era davvero disposto ad ucciderla.
Uccidere
colei per la quale aveva scatenato tutto quel polverone.
«Vedo che hai deciso, dunque. Va avanti
allora.»
Deathstroke avvicinò la mano al volto di
Tara,
per poi scostarle una ciocca di capelli dietro all’orecchio.
«Non ti
dimenticherò, bambina.»
Sollevò la katana. Tara chinò
il capo e chiuse
gli occhi. «Garfield...» sussurrò.
«... sto arrivando.»
«Addio.»
La lama scese.
«NO!» gridò Rachel,
alzandosi in piedi, animata
all’improvviso da un’enorme quantità di
energia. Scattò verso di loro, Tara
sgranò gli occhi quando si accorse di lei. La corvina si
frappose tra loro,
spingendo Tara a terra e afferrando il polso dell’uomo con
entrambe le mani. «ORA
BASTA!»
Un enorme afflusso di potere percorse il corpo
di Rachel. L’energia nera sembrò rianimarsi tutto
ad un tratto, e cominciò ad
illuminarla.
Wilson sgranò il suo unico occhio.
«Ma cosa...»
«Rachel, ferma!»
esclamò Tara, rialzandosi. Ma
ormai era tardi.
La conduit urlò a pieni polmoni e
liberò tutta
quell’energia che stava crescendo a dismisura dentro di lei.
Percorse le sue
braccia, entrò nelle sue mani e passò dai suoi
palmi al polso di Deathstroke.
Gridò ancora più forte, i suoi occhi divennero
bianchi, per un attimo non vide
più nulla.
Sentì le urla di Slade sovrastare le
sue,
percepì entrambi i loro corpi mentre cominciavano a fremere
e ad essere colpiti
da dei forti scossoni. Rachel avvertì le ultime riserve
della sua energia
esaurirsi, poi vi fu un’esplosione.
Lei e Wilson furono divisi ed entrambi
scaraventati a terra. La corvina sbatté la schiena sul suolo
e mugugnò
infastidita. Sentì la bile salirle in gola, le venne da
vomitare. Un dolore
lancinante le attraversò tutto il corpo, si sentì
come se i suoi muscoli si
stessero atrofizzando. Ma la testa era sicuramente la parte che le
doleva di
più, le parve di avercela stretta in una morsa di ferro.
Tossì e si rialzò
faticosamente sui gomiti. Vide
Tara, la quale la osservava a sua volta, sconvolta. Vide anche Amalia e
Rosso,
con quest’ultimo che aiutava la prima a tenersi in piedi.
Erano entrambi piuttosto
malridotti e pieni di acciacchi, ma almeno erano vivi.
E poi, a distanza di diversi metri da lei...
Wilson. Questi cercava di rialzarsi, proprio come lei. Sembrava
stordito,
confuso, e anche parecchio dolorante. Scrollò il capo e si
massaggiò una
tempia, poi notò la corvina. Non appena lo fece,
sgranò l’occhio. Si passò
entrambe le mani sul petto, freneticamente, come se stesse cercando
qualcosa,
qualcosa che aveva avuto fino a quel momento e che ora sembrava
scomparso
all’improvviso.
«Ma... ma come...»
sussurrò, per la prima volta
sembrando veramente incredulo.
«Bene, bene, bene...» disse
un’altra voce,
provenendo non dal vicolo, ma da sopra le loro teste. Tutti i presenti
sollevarono lo sguardo per poi vedere un individuo sporgersi dal tetto
del
palazzo sovrastante.
Dreamer.
Egli sorrideva beffardo, lo sguardo posato su
Wilson. «Finalmente sei mio, vecchio.»
Schioccò le dita. Decine di Visionari
sbucarono
fuori all’improvviso, tutti quanti armati di fucile, disposti
alcuni accanto al
loro leader, altri sul tetto di fronte. Puntarono tutti le armi contro
l’uomo.
«Maledetto...»
rantolò il mercenario, per poi
osservare Rachel. Sembrò che stesse cercando di comunicarle
qualcosa, ma per la
corvina fu impossibile capire cosa. Poi si rialzò e
cominciò a correre verso il
fondo del vicolo. Nonostante tutto, si mosse con una
velocità quasi sovraumana.
Ma a Dreamer non piacque per niente
quell’iniziativa.
«Sparate, sparategli subito!»
I Visionari aprirono il fuoco. Il mercenario,
per quanto velocemente stesse correndo, non riuscì a
sottrarsi completamente da
quella pioggia di inferno che imperversava proprio su di lui. Alcuni
proiettili
lo colpirono ad un braccio, altri ad una gamba, altri alla schiena. Le
imbottiture militari fecero in parte il loro dovere, ma nemmeno queste
furono
sufficienti. Rachel lo vide trascinarsi dietro diverse chiazze di
sangue, ma
l’uomo non si fermò comunque. Girò
l’angolo, tenendosi un braccio e zoppicando,
quasi trascinandosi di peso, e svanì dalla visuale.
Corvina osservò a lungo il punto in cui
Wilson
era svanito. Il pensiero di inseguirlo le attraversò la
mente, poi decise di
lasciar perdere con un sospiro. Non sapeva se i suoi poteri glielo
avrebbero
concesso. Se non altro erano riusciti almeno a metterlo in fuga.
Dreamer nel frattempo saltò dal tetto ed
atterrò
in piedi nel vicolo, tenendosi il cappello calcato sulla testa per non
farlo
volare via. Fece poi scorrere lo sguardo su Rachel e i suoi amici,
soffermandosi su ciascuno di essi. «Accidenti, ve le ha
suonate di santa
ragione, eh?»
«Dove diavolo eri finito?»
rantolò la corvina,
rimettendosi in piedi, mentre Jeff si avvicinava.
«Ho perso un po’ di tempo
mentre cercavo di
radunare i miei fratelli» spiegò lui, indicando i
Visionari ancora sui tetti, i
quali avevano cominciato a muoversi. «Cercheranno Wilson. Non
andrà molto
lontano, e questa volta per davvero.»
«Come fai a dirlo?»
mugugnò Rachel, con una
smorfia. «Lo sai che possiede un fattore di guarigione,
vero?»
«Davvero? Oh...» Il sorriso si
spense dal volto
di Dreamer. «Ops... errore mio...»
La conduit lo squadrò con diffidenza.
Non
sembrava davvero sorpreso. E, comunque, quella reazione non era per
niente
quella che lei si sarebbe aspettata.
«Che cosa diavolo ti è saltato
in testa, Markov?!»
La voce di Amalia la fece trasalire e dimenticare del Visionario. Si
voltò,
verso la mora. Stava parlando con Tara, sembrava piuttosto arrabbiata.
«Volevi
davvero farti uccidere così?!»
«Fatti gli affari tuoi»
sbottò la neo conduit,
per poi incrociare le braccia e distogliere lo sguardo da lei.
«Cosa? Gli affari miei?!»
Amalia serrò la
mascella. Parve quasi volersi muovere in direzione della bionda, ma la
gamba
ferita glielo impedì. «Ci siamo fatti un culo
titanico per riuscire a trovarti
e salvarti la vita, e tu vai a chiedere a Wilson di ammazzarti?! Cosa
siamo
noi, un branco di idioti?! E mi vieni anche a dire di farmi gli affari
miei?! Bionda,
questi sono affari miei.
Anch’io ho
rischiato la vita!»
«Sta zitta!» urlò
Tara, con le lacrime agli
occhi e la voce rotta. «Tu non sai cosa sto provando! Non
puoi saperlo! Se
fossi nei miei panni, allora anche tu preferiresti morire!»
«Non dire idiozie! Io non...»
«Ehi, ehi!» esclamò
Corvina, frapponendosi tra
loro. «Dateci un taglio! Non dobbiamo litigare tra di noi!
Siamo un gruppo
unito, l’avete dimenticato?!»
«Sì, ma...»
cercò di dire Amalia, per poi venire
zittita dalla corvina.
«Niente ma! Come possiamo pretendere di
potercene
andare da questa città se vi mettete a discutere in questa
maniera per una
scemenza come questa? Amalia, tu non sai come Tara si sente, nessuno
può
saperlo, nemmeno io! E tu, Tara...» Rachel si
voltò verso di lei, puntandole
addosso il dito. «... non ho idea di cosa ti stia passando
per la mente, ma non
pensare per un solo momento che la tua vita debba essere buttata via in
questo
modo!»
Si avvicinò a lei, severa come poche
volte lo
era stata. «La tua vita vale, hai capito! Tu vali! Come pensi
che reagirebbe
Logan se ti vedesse così? Pensi che sarebbe fiero di te, se
tu decidessi di
farti ammazzare solo perché le cose vanno più
male del solito? E ti sei
dimenticata della tua famiglia? I tuoi genitori e i tuoi fratelli, come
credi
che reagirebbero loro se tu morissi così?»
Tara ammutolì. Osservò
Corvina per un breve
istante, quasi intimorita da lei, poi distolse lo sguardo imbarazzata e
annuì
lentamente. «Hai ragione... scusami...»
«Sì, ti chiedo scusa
anch’io...» mormorò Amalia,
osservando il suolo imbarazzata.
Un tenue sorriso si dipinse sul volto di Rachel.
«Bene.» Incrociò poi lo sguardo di
Lucas. Il moro la osservava sorpreso, quasi
ammirato. La corvina allargò il sorriso, poi
sollevò il pollice della mano. A
quel punto, Rosso sorrise a sua volta e rispose con un cenno del capo.
Lo sguardo di Rachel cadde poi prima sulla sua
fronte insanguinata, poi sulla gamba di Amalia. Aveva estratto il
coltello,
fortunatamente non aveva reciso nessuna arteria, ma comunque tutto quel
sangue
era parecchio preoccupante. «Ora, però,
è meglio pensare alle cose importanti.»
Per fortuna i suoi poteri si erano risvegliati,
o non sarebbe mai stata in grado di curare le ferite dei suoi amici.
Amalia la
ringraziò, Lucas tossì un paio di volte, poi
anche lui fece lo stesso.
Solamente quando ebbe finito, si rese conto che
Dreamer era rimasto un po’ troppo a lungo in silenzio. Lo
cercò con lo sguardo,
poi vide una scena che le fermò il cuore. Jeff era chino
accanto al corpo della
sua luogotenente.
Una sensazione terribilmente sgradevole
assalì la
corvina quando vide il corpo insanguinato di Jade, di cui, fino a
qualche
attimo prima, aveva scordato l’esistenza. Non si muoveva
più, non gemeva più,
non faceva più assolutamente niente. Era immobile, come una
statua.
La conduit sentì le proprie viscere
contorcersi,
quasi le venne da vomitare. Era disgustata. Ma non da quella vista,
assolutamente no. Era disgustata di sé stessa.
Jade era morta per colpa sua.
Aveva combattuto contro un avversario ben oltre
la sua portata, per la propria libertà. Pur di ottenerla,
pur di poter rivedere
sua sorella, aveva messo in gioco l’ultima cosa preziosa che
le era rimasta: la
sua vita.
E Rachel non aveva fatto nulla per aiutarla.
Aveva osservato la scena, incapace di fare altro. Aveva preferito
litigare con
i suoi poteri, anziché darsi da fare per trovare un altro
modo per rendersi
utile.
Una persona era morta di fronte ai suoi occhi.
Una persona che aveva visto le sue speranze infrangersi
all’improvviso. E lei
aveva lasciato che ciò accadesse.
Sentì una lacrima rigarle una guancia.
Stupida
ed inutile, ecco come si sentiva in quel momento.
Dreamer chiuse gli occhi di Jade con due dita.
«Riposa
in pace, sorella» disse, a bassa voce. Sembrava triste, e non
poco.
Corvina rimase immobile, ad osservarlo, incapace
di fare altro. Una mano si posò sulla sua spalla. Si
voltò e vide Lucas accanto
a lei. «Non è stata colpa tua» disse,
leggendole nel pensiero. «Jade conosceva
i rischi che correva, ha scelto lei di essere qui a combattere contro
Wilson.
L’unica cosa che possiamo fare è onorare la sua
morte.»
Rachel si pizzicò un labbro con i denti,
poi
annuì lentamente.
No, non è
vero..., avrebbe
voluto dire. L’ho
lasciata morire.
Sospirò profondamente, poi
appoggiò la testa
sulla spalla di Rosso. Lui la cinse per un fianco e la tenne stretta a
sé. Nessuno
dei due disse altro.
«Un po’ mi piaceva, alla
fine...» commentò
Amalia, osservando a sua volta il corpo di Jade.
«Non puoi fare nulla, Rachel?»
domandò Tara.
La corvina scosse lentamente la testa.
«Quando era
ancora viva, forse... ma ora...»
«Capisco.»
Scese il silenzio nel vicolo, fino a quando
Dreamer non si rialzò in piedi. Si voltò verso il
gruppo, per poi cominciare a
camminare verso di loro. Si ritrovò infine dinnanzi a Rachel
e Lucas. Notò
com’erano stretti e si lasciò scappare un sorriso.
«Fate bene a godervi la
quiete. Sono state delle ore piuttosto pesanti, queste.»
«Abbiamo finito, quindi?»
domandò Lucas, con
tono scettico.
Dreamer annuì, senza far sparire quello
strano
sorriso dal suo volto. «Sì, abbiamo finito. Di
Wilson ci occuperemo noi
Visionari. E non preoccupatevi degli Underdog rimasti, senza un capo
non
andranno lontani. Wilson era il collante che teneva unito il loro
gruppo, era
quello a cui spettava sempre l’ultima parola. Senza di lui,
saranno come pecore
senza un pastore.»
«Possiamo uscire dalla città,
quindi?» chiese
Amalia.
Un altro cenno di assenso. «Direi proprio
di sì.
Vi ringrazio infinitamente per l’aiuto. Ah, e non
preoccupatevi per Rose. Di
lei me ne occuperò sempre io. Più tardi
farò un salto al vostro magazzino per
recuperarla. Immagino che a quel punto voi non ci sarete già
più.»
«Probabile» rispose Lucas.
«In tal caso...» Jeff si
avvicinò ulteriormente
al gruppetto, porgendo la mano. Cominciò da Tara. La bionda
lo osservò piuttosto
titubante, poi accennò un sorriso e gliela strinse.
«Grazie per aver prestato un paio di
braccia in
più ai miei amici» disse, sincera.
«Prego, è stato un
piacere.»
Dreamer passò poi ad Amalia, la quale
gli
stritolò la mano di proposito solo per fargli un ultimo
dispetto. «Mi mancherà
la tua faccia da schiaffi» disse, con un ghigno.
«A me mancherà il tuo dolce
carattere. Salutami
anche il tuo fratellino.»
Toccò a Rosso, il quale la strinse con
parecchia
riluttanza. «A mai più»
sbottò.
«Arrivederci anche a te»
rispose Dreamer,
chinando il capo. «Ah, a proposito Lucas, fai qualcosa per
quella tua brutta
tosse, mi raccomando. Non vorrei mai che tu abbia qualche
malanno.»
«Non
preoccuparti, me la caverò» replicò il
moro, rivolgendogli un sorriso che sembrava
più una smorfia.
Lo sguardo di Dreamer cadde sulla mano che Lucas
teneva premuta sul fianco di Rachel. Il suo sorriso vacillò,
poi si concentrò
proprio su quest’ultima. Si piazzò di fronte a
lei, poi allargò le braccia. «Permetti,
Rachel?»
La corvina sgranò gli occhi. Si
voltò verso di
Lucas, quasi chiedendo conferma nel suo sguardo. Lui si
limitò semplicemente a
sollevare le spalle. A quel punto, Rachel sospirò e
andò ad abbracciare il
Visionario. Si sentì tremendamente
impacciata. Per fortuna, non durò molto.
«Grazie dell’aiuto»
disse infine il Visionario,
una volta separato da lei.
«Ma non ho fatto nulla di che, alla
fine...»
rispose lei, imbarazzata.
«Credimi. Hai fatto molto di
più di quanto avrei
mai potuto immaginare.» Dreamer le diede una pacca sulla
spalla, poi si rivolse
nuovamente a tutto il gruppo. «Addio, dunque.» E
senza dire altro, si voltò e
cominciò a camminare. Fece un cenno a due Visionari che lo
avevano seguito, e
questi presero il corpo di Jade. Svanirono tutti e quattro dietro al
vicolo,
per poi non ricomparire più.
Non appena Jeff uscì dalla sua visuale,
Rachel
si lasciò scappare un profondo sospiro. Era tutto finito.
Finalmente, era tutto
finito.
Sentì qualcuno ridacchiare alle sue
spalle e si
girò, per poi vedere Tara e Amalia entrambe con il capo
piegato e una mano di
fronte alla bocca. Arrossì contro il proprio volere.
«Che cavolo avete da
ridere?!»
«Qualcuno si è preso una cotta
per Rachel...» la
schernì Tara, pronunciando quelle parole canticchiando.
«Per Rachel?»
domandò Amalia, tornando seria. «Io
credevo che Jeff fosse cotto di Rosso...»
Le tre ragazze guardarono il suddetto, il quale
sgranò gli occhi. «Ehm... co... cosa?»
Komand’r e Tara si scambiarono un rapido
sguardo
tra loro, poi entrambe scoppiarono a ridere di gusto, lasciando il moro
atterrito. «Ehi! Non è divertente! Non lo
è affatto!» Accorgendosi di come le
sue parole fossero inefficaci, si voltò verso di Rachel,
quasi disperato. «Rachel
ti prego, di a quelle galline che... oh, no! Anche tu no!»
Corvina aveva cercato in tutti i modi di
trattenersi, ma non c’era riuscita. Nel giro di poco tempo
anche lei si era
ritrovata a ridere, in maniera più leggera rispetto a quella
delle altre due
ragazza, ma comunque a ridere. Fu meraviglioso.
«Scusa
Lucas...» biascicò a fatica, a corto di fiato.
«Vi odio. Tutte e tre.»
***
Mentre tornava al magazzino in compagnia dei
suoi amici, Rachel si sentiva avvolta da un’incredibile
quantità di positività.
Non le sembrava ancora vero che tutto quanto fosse finito.
Avevano salvato Tara, il suo patto con Dreamer
si era concluso e per finire erano riusciti a sconfiggere Wilson, anche
se solo
temporaneamente, ma non le importava. Del mercenario se ne sarebbe
occupato
Jeff; lei non aveva più nulla a che vedere con quella
faccenda. Poteva
andarsene da quella città, che in pochi giorni si era
rivelata essere una
prigione ben peggiore di Empire City, ed essere libera.
Giurò a sé stessa che non
avrebbe più commesso
alcun errore. Nessun altra città l’avrebbe
più imprigionata, da quel giorno in
poi. Non lo avrebbe più permesso in alcun modo. Non sapeva
quante esplosioni ci
fossero state nel paese, non sapeva quanti conduit la attendevano fuori
dai
confini di Sub City, non era minimamente a coscienza di quali altri
pericoli
avrebbe incontrato, ma non le importava nulla. Nessuno le avrebbe di
nuovo
negato la libertà.
Ripensò a quella comunità di
cui Jade le aveva
parlato. Ricordare la Visionaria le provocò una fitta allo
stomaco, ma cercò di
ignorarla, e di concentrarsi di più su quel luogo, ammesso
che esistesse. Forse
avrebbe dovuto fare un tentativo e andare a cercarlo, in compagnia dei
suoi
amici, ovviamente. Avrebbe dovuto parlarne con loro. Certo, potevano
essere
solo favole, come già aveva pensato, ma, infondo, non
c’era molto altro da fare
per lei.
Doveva trovare una nuova casa, e quale luogo
migliore per cominciare se non proprio la California? Forse non avrebbe
trovato
ciò che cercava proprio laggiù, ma
chissà, forse qualcosa di interessante
sarebbe comunque successo.
«Ehi, Rosso, che
c’è?» domandò Amalia
all’improvviso, osservando il moro che per tutto il tempo
aveva camminato
rimanendosene in silenzio e in disparte. «Non dirmi che ce
l’hai ancora con noi
per la storia di prima.»
«No» sbottò lui,
anche se l’argomento parve
irritarlo leggermente. «Sono solo stanco.»
«Ormai siamo arrivati»
osservò Tara.
«Non mi riferivo a quello.» Il
ragazzo sospirò,
esausto, per poi tossire un paio di volte. Scrollò il capo
per ricomporsi, poi
proseguì: «È solo che...» Si
voltò, incrociando lo sguardo delle tre ragazze.
Diede una rapida occhiata a ciascuna di loro, per poi voltarsi e
scuotere di
nuovo il capo. «Niente, lasciamo perdere. Ecco, ci
siamo.»
Il gruppo si fermò di fronte alla
recinzione del
magazzino. Rachel rimase ad osservare Lucas, perplessa. Non ci aveva
messo
molto per capire a cosa si riferisse con quelle parole. Anche lui, come
lei,
era stanco di vivere quella vita. Anche lui sapeva che, una volta
usciti da
quella città, avrebbero dovuto ricominciare a lottare, che
quella quiete era solo
fittizia. Perché ormai era così che quel mondo
funzionava.
Ma, infondo, erano proprio quei momenti a
rendere viva Rachel. La quiete prima della tempesta era sempre quella
che le
permetteva di sperare, seppur per poco, che le cose cambiassero
davvero. Che da
quel momento in poi non sarebbe più stata costretta a
combattere.
Osservò il cielo striato di arancione,
mentre i
primi raggi dell’alba cominciavano a farsi strada tra le
tenebre della notte.
Un nuovo giorno stava per iniziare, e con esso un nuovo capitolo della
sua
vita.
Scavalcarono la recinzione e si avviarono verso
il portone. Mentre camminava, Rachel notò qualcosa cambiare
nell’espressione di
Amalia. Non era più serena, ora sembrava tesa, angosciata.
Solo in quel momento
si ricordò della discussione tra Ryan e lei.
«Ehi, non preoccuparti» le
disse, a bassa voce.
La mora trasalì, poi si voltò
verso di lei. La
osservò per un breve momento, poi sospirò.
«Come posso non preoccuparmi?»
domandò, quasi affranta. «Ryan... lui... aveva
ragione, su tutto. Mi sono
comportata malissimo con lui e con Kori... io... non ho il coraggio di
guardarlo di nuovo in faccia...»
«Tu non sei più come Ryan ti
ha dipinta, Komi»
rispose Rachel, abbozzando un sorriso. «Non so
cos’hai fatto in passato con
esattezza, ma so quello che hai fatto oggi. Hai rischiato la vita per
salvare
quella di Tara. Hai piantato un coltello nel collo di Wilson! Chi altri
può
vantarsi di aver fatto una cosa del genere?»
Amalia ridacchiò sommessamente, tenendo
lo
sguardo basso. «Non molti, immagino...»
«E poi, la cosa più importante
di tutte.» Rachel
le posò una mano sulla spalla, facendole drizzare la testa.
Allargò il sorriso,
guardandola con pura e sincera ammirazione. «Sei riuscita a
far ritornare Tara
in sé. Sei riuscita a fare una cosa in cui io ho fallito
miseramente, senza
combattere, per di più. Se tu non ci fossi stata...
probabilmente sarei morta.
Tu oggi non hai salvato solo Tara, ma hai salvato anche me. Hai
coraggio da
vendere, e sei forte. Ryan lo capirà, vedrai.
Capirà che sei cambiata e ti
perdonerà.»
Komand’r sollevò lo sguardo.
Una scintilla di
speranza si accese nei suoi occhi all’improvviso. Un sorriso
si accentuò sul
suo volto, poi ridacchiò una seconda volta.
«Cavolo, Roth, sei particolarmente
inspirata oggi, eh? Ci provi gusto a far sentire gli altri degli
stupidi con i
tuoi discorsi strappalacrime?»
«Un pochino» replicò
la corvina, con tono
divertito.
La ragazza mora ridacchiò ancora una
volta, poi
le diede un pugno scherzoso alla
spalla.
«Sei forte. Dai, andiamo.»
Si erano fermate senza nemmeno rendersene conto
ed erano state lasciate indietro da Lucas e Tara, i quali ormai erano
dal
portone. Si affrettarono a raggiungerli, poi, tutti insieme, entrarono.
«A proposito, Ryan come sta?»
domandò Tara,
sorridendo. «Devo abbracciare anche lui!»
A Rachel quasi venne da ridere sentendo
quell’affermazione. Sicuramente, il rosso sarebbe stato
più che entusiasta di
ricevere un abbraccio da lei.
«Sta bene, credo...»
borbottò Lucas, mentre si
avvicinavano all’area relax. «Quella che mi
preoccupa di più è la nostra altra
ospite...»
«Altra ospite?»
«Ora vedrai. Un tesoro di donna, davvero.
Simpatica come un coltello nel costato.»
«Quasi peggio di Amalia,
quindi» osservò la
bionda.
Lucas ridacchiò.
«Sì, diciamo di sì.»
«Vi devo ricordare che sono
qui?» domandò proprio
Amalia, incrociando le braccia.
Il gruppo si fermò di fronte alla porta
dell’area relax. Rosso posò una mano sulla
maniglia, per poi volgere uno
sguardo di sufficienza alla mora. «Tranquilla, la tua
presenza non è difficile
da notare...»
Komand’r spalancò la bocca per
rispondere, ma
qualunque cosa volesse dire le morì in gola quando il
ragazzo aprì la porta.
Sgranò gli occhi all’improvviso.
Rachel notò il repentino cambio di
espressione
di Amalia e corrucciò la fronte, poi cercò di
capire cosa le fosse preso e
anche lei guardò oltre l’ingresso della stanza.
Non appena lo fece, si sentì
morire.
Tara si posò entrambe le mani di fronte
alla
bocca, soffocando a malapena un verso inorridito.
«Mio... dio...»
sussurrò Lucas, interdetto.
Rose era ancora legata alla sua sedia, teneva il
capo chinato ed entrambi gli occhi chiusi. Un orribile squarcio ancora
macchiato di rosso le attraversava il collo, e il suo intero petto era
ricoperto da sangue rinsecchito. Perfino i suoi capelli si erano
macchiati.
Ai suoi piedi, invece, riverso in una
pozzanghera della medesima sostanza vermiglia...
Corvina sentì il proprio cervello
bloccarsi. I
suoi occhi si rifiutarono categoricamente di credere a ciò
che stavano vedendo.
Non poteva essere vero. Non poteva assolutamente essere vero. Non
poteva
esserci lui a terra, accasciato in quel modo scomposto. Non lui, non...
Amalia gridò all’improvviso,
con quanto fiato
avesse in corpo, mettendosi entrambe le mani nei capelli.
«RYAN!!!»