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Autore: edoardo811    28/05/2016    4 recensioni
Il mondo è finito. Come reagiresti se sentissi tu queste parole? Come reagiresti se potessi accertarti con i tuoi stessi occhi che queste parole sono vere?
Questo è ciò con cui Rachel è costretta a convivere ogni giorno. Quando vede la gente morire di fame per strada, quando vede l'ennesima banda di tagliagole generare il caos, quando è costretta a combattere fino allo stremo per la propria vita e per quella delle poche persone care che le sono rimaste.
Per quanto tempo può la volontà di una persona riuscire a resistere alle crudeltà che la vita riserva?
Si dice che l'ultima candela sia sempre quella che impiega più tempo a spegnersi, ma cosa potrebbe accadere quando anche la speranza cessa di esistere?
Rachel con i suoi poteri potrebbe distruggere l'intero creato. Che cosa se ne farà?
Li userà per aiutare il mondo... o per aiutare semplicemente sé stessa?
Genere: Angst, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Raven, Red X, Robin, Slade
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'InFAMOUS: The Series'
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Capitolo 21: I SEGRETI DEI CONDUIT

 

 

 

Raramente Rachel si era sentita così impotente di fronte a qualcuno. Con così poche parole, Wilson l’aveva lasciata completamente atterrita.

«I-Immortale?» domandò a fatica, sentendosi la gola completamente inaridita.

L’uomo annuì. «Dal giorno in cui una delle esplosioni colpì me e la mia squadra, non esiste ferita che il mio corpo non possa rimarginare. E questa ne è la prova» disse, indicandosi l’addome ormai intatto e pulito.

Corvina sgranò lentamente gli occhi, mentre la verità appariva sempre più nitida di fronte a lei. Wilson possedeva un fattore di guarigione. Questo avrebbe anche spiegato perché la sua gamba fosse completamente intatta al momento del loro incontro, nonostante Tara non l’avesse quasi amputata.

Improvvisamente, le possibilità di vittoria per lei si ridussero drasticamente. Non solo Wilson era forte, non solo era abile con la spada, non solo era resistente, ma era anche praticamente immortale. Potevano ferirlo, sparargli, colpirlo con qualsiasi arma possedessero; lui si sarebbe sempre e comunque rialzato.

«Avete commesso  un grosso errore a mettervi sulla mia strada.» Deathstroke sollevò una katana, puntandola verso Rachel. «Ora anche tu ne pagherai le conseguenze.»

La conduit gemette e tentò di rialzarsi, ma un’altra fitta di dolore alla tempia la costrinse a rimanere a terra. Ormai non riusciva più nemmeno a capire se era stato il calcio di Slade o se erano proprio i suoi poteri a farla star male in quel modo. Più ci provava e più lo trovava difficile. Non avrebbe retto ancora per molto.

Wilson fu più vicino, la lama della katana brillò in mezzo alle chiazze di sangue scarlatte. Sollevò l’arma, pronto ad abbatterla su di lei. Le rivolse un ultimo sguardo. «Addio Rachel.»

La lama si abbassò, Rachel chiuse gli occhi. Un esplosione riecheggiò all’improvviso, seguita da un verso di dolore.

Qualcuno gridò.

La corvina riaprì gli occhi con sua enorme sorpresa, e vide Wilson indietreggiare, allontanandosi da lei, per accasciarsi a terra. Alle sue spalle vide Lucas e Amalia, quest’ultima con ancora il fucile sollevato. «Tutto ok, Rachel?» domandò, mentre entrambi si avvicinavano.

«S-Sì...» biascicò Corvina, per poi sentire le nocche di Deathstroke scrocchiare mentre stringeva con forza le spade. Sgranò gli occhi. «Fermi, non avvicinatev...»

Slade si rialzò di scatto, fiondandosi sui nuovi arrivati. Komand’r gridò di sorpresa e fece di nuovo fuoco, ma la sua arma fu completamente inefficacie sull’uomo. Lo colpì, brandelli di vestiti e schizzi di sangue provennero dal mercenario, ma lui non si fermò ugualmente.

Mulinò una katana, tentò di affettare la mora, ma lei riuscì a scansarsi in tempo. La spada tagliò in due il suo fucile e la ragazza cadde a terra, gemendo. L’uomo sollevò le lame, ma Lucas si frappose, parando  con il bastone l’affondo che avrebbe sicuramente ucciso la mora. «Sei bello tosto, eh?» mugugnò, per la fatica dovuta al tenere bloccate le armi dell’uomo con la sua.

Deathstroke emise un verso simile ad un ringhio rabbioso, poi gli sferrò una ginocchiata, ma il ragazzo la evitò saltando all’indietro.

 I due si osservarono a vicenda e cominciarono lentamente a camminare in semicerchio, per studiarsi.

«Come avrete notato, le vostre armi sono inefficaci su di me. Ritiratevi adesso e avrete salva la vita.»

«Ah, sta zitto!» sbottò Lucas, partendo alla carica.

Affondi, schivate, parate si susseguirono gli uni dopo gli altri, in rapida sequenza. Nonostante l’enorme abisso che separava i loro stili di combattimento e le loro armi, Lucas vendette cara la pelle. Non era uno spadaccino provetto, ma non era nemmeno l’ultimo dei fessi.

Mentre il loro scontro proseguiva e Amalia si rimetteva faticosamente in piedi, qualcuno arrivo alle spalle di Corvina. «Stai bene Rachel? Sei ferita?»

La conduit si voltò di scatto, trasalendo, poi si tranquillizzò nel vedere Tara chinarsi accanto a lei.

«No, no...» mugugnò a quel punto, massaggiandosi la tempia. Fece una smorfia. «Però non riesco ad usare i poteri...»

«Questo... sì che è un bel problema...» osservò la bionda, dischiudendo le labbra.

Un verso di dolore le fece voltare entrambe. Slade era appena riuscito a colpire Lucas con un calcio all’addome, costringendolo a piegarsi. Abbatté una katana su di lui, il ragazzo sollevò il bastone per difendersi, ma la lama della spada lo tranciò di netto a metà e gli raggiunse il volto.

Lucas fu sbalzato all’indietro e cadde a terra, con tra le mani due monconi inutilizzabili e un orrenda ferita sulla fronte, che per poco non gli aveva strappato via perfino uno degli occhi. Tossì, cercando di rialzarsi, ma  si ritrovò ben presto lo stivale di Wilson sul collo. Il mercenario lo colpì con forza, facendolo urlare, poi premette la suola sulla pelle.

«Sei in gamba ragazzo, ma non abbastanza.» Schiacciò con più forza, affondando nella carne.

Rosso cercò di gridare, ma uscì solo un verso soffocato. Si dimenò, colpì con le mani il piede dell’uomo, ma le forze lo stavano abbandonando con rapidità, non sarebbe mai riuscito a liberarsi.

Rachel temette il peggio. Inorridì, ma Amalia arrivò alle spalle dell’uomo e si avventò su di lui brandendo un coltello, impedendogli di soffocarlo.

Il mercenario si voltò sorpreso, per poi ritrovarsi l’arma conficcata sotto al mento. Grugnì di dolore, poi allontanò la ragazza con un colpo dell’elsa di una katana, come se la ferita che lei gli aveva appena procurato non fosse stata altro che la puntura di una zanzara. «Mi state davvero stancando.»

Komand’r cadde a terra una seconda volta, procurandosi un taglio sulla guancia, ma si rimise subito in piedi, estraendo una pistola dalla tasca. «Crepa!»

Fece fuoco, i proiettili si abbatterono sull’addome dell’uomo uno dietro l’altro, con estrema precisione. Deathstroke mugugnò e barcollò dopo ogni colpo. Amalia svuotò l’intero caricatore, ma Wilson continuò comunque a reggersi in piedi. Nonostante avesse la regione toracica grondante di sangue e un coltello conficcato fino al manico nel suo collo, era ancora in piedi. Scrollò la testa, stordito, poi piazzò il suo unico occhio su quelli della mora.

«Allora forse non ti è chiara una cosa...» cominciò a rantolare, rinfoderando una katana per poi estrarre il coltello con un gesto secco della mano. Un fiotto di sangue vermiglio si riversò fuori dalla ferita sul collo, ma si arrestò quasi immediatamente. L’uomo si rigirò l’arma tra le mani, per poi impugnarla dalla parte della lama con due sole dita. «... non esiste arma in grado di uccidermi!» gridò, per poi scagliare il coltello contro la ragazza.

Amalia sgranò gli occhi. Cercò di schivare il pugnale, ma questo si conficcò nella sua coscia, facendola gridare di dolore. La pistola le scivolò di mano e la ragazza crollò in ginocchio, tenendosi la gamba martoriata.

Wilson si incamminò a quel punto verso di lei, roteando la katana. «Non avreste dovuto impicciarvi.»

«Vaffanculo...» gemette Komand’r. «Tu, quella baldracca di tua figlia e quei bastardi dei tuoi uomini...»

Deathstroke torreggiò su di lei, la lama della katana scintillò sotto la fioca luce della luna. «Gli insulti non ti salveranno la vita.»

Per tutta risposta, Amalia mostrò il medio.

«Amalia...» mormorò Tara, per poi alzarsi in piedi, stringendo i pugni. «Ora basta, Wilson!»

Il mercenario si voltò verso di lei, per poi sgranare l’occhio. Sembrava non essersi accorto di lei fino a quel momento.

«Tara, no...» sussurrò Rachel. Volle alzarsi per aiutarla, ma fu colpita da un’altra fitta di dolore alla tempia, che la costrinse a rimanere a terra.

«Sta tranquilla, Rachel» rispose la bionda, con sicurezza. «Lui non mi farà del male.»

«Terra...» disse l’uomo, dopo un attimo di silenzio. «... vedo... che ti sei calmata.»

«Di certo non grazie a te» ribatté lei, incrociando le braccia. «Lascia stare i miei amici.»

«Sono loro che per primi hanno tentato di mettermi i bastoni tra le ruote. Io mi sto solamente difendendo.»

 «Tu mi hai rapita! Sei tu che hai cominciato!» esclamò Tara, per poi osservarsi la mano. Deglutì, poi questa cominciò a tramutarsi lentamente in pietra. Una lacrima le rigò la guancia. «Mi... mi hai trasformata in un mostro...»

Slade sospirò, chiudendo l’occhio, poi scosse lentamente la testa. «Tu non capisci... ora potrà sembrarti che la tua vita sia rovinata, ma credimi, non è così. Tra qualche tempo mi sarai grata di ciò che ho fatto.»

«Esserti grata?!» domandò la ragazza, osservandolo come se provenisse da un altro pianeta. «Come potrò mai esserti grata per questo?! Tu mi hai ammanettata ad un tavolo, mi hai spogliata, mi hai... mi hai... torturata...» Si interruppe di colpo, abbracciandosi le spalle. Gemette, poi scosse la testa con energia, mentre altre lacrime scendevano dai suoi occhi. «Non potrò mai esserti grata per ciò che hai fatto...»

«Ti sbagli. Io non ti ho fatto alcun male.» Wilson rinfoderò la katana, per poi avvicinarsi a lei. Le labbra di Tara tremolarono, ma non si mosse mentre l’uomo si faceva sempre più vicino. «Non sono stato io a procurarti tutte quelle ferite. È stato il gene Conduit.»

 «Il... cosa?» domandò la bionda, dischiudendo le labbra. Anche Corvina sgranò gli occhi.

«Il gene Conduit. Una frazione di DNA che non tutti possiedono, e che consente a chi ce l’ha di trasformarsi in conduit, come la tua amica Rachel, o me.»

«Quindi...» biasciò Tara, incredula. «Essere conduit... è una questione genetica?»

«Sì. Ma il gene non può essere trasferito con facilità sulle persone che non lo possiedono, come te. Chi nasce senza di esso, muore senza di esso. Non si acquista con la crescita, non può trasmettersi tramite sangue, saliva o sperma, c’è bisogno di un trapianto. Ma per fare un trapianto, occorre un campione del gene, e per ottenerlo da un conduit occorrono una lunga sequenza di complicati passaggi, che vanno ad agire direttamente sul DNA della persona. Nel corso di questi mesi sono riuscito a raccogliere molti campioni, e in contemporanea ho cercato di impiantarli in persone comuni.

«Ma nessuno è mai sopravvissuto al trasferimento. Il gene è troppo potente. Il sistema immunitario lo riconosce come nemico, e cerca di aggredirlo, portando l’organismo ad autodistruggersi e a deformarsi a livello cellulare. La stessa cosa è successa anche a te, Terra. Le ferite e le abrasioni sul tuo corpo erano dovute proprio alla battaglia che stava avvenendo dentro di te. Non sono stato io a causarle, almeno, non direttamente. Per tutto il tempo io ti sono rimasto accanto, somministrandoti antibiotici, immunosoppressori, anestetizzandoti perfino, pur di non farti provare alcun dolore. Non ti ho torturata.

«Ho cercato in tutti i modi di impedire che anche il tuo corpo implodesse. Non potevo permettere che anche tu morissi come gli altri pazienti. Ma tutti i miei sforzi sono stati vani. Ero ormai convinto che neanche tu ce l’avresti fatta, quando poi la tua amica è arrivata e ti ha curata. Lei, con le sue stesse mani, è riuscita ad ovviare il problema che più mi affliggeva, ossia la riabilitazione del paziente. E i risultati...»

Wilson prese la mano di Tara, che ancora era trasformata, e la costrinse a sollevarla. La osservò, completamente ammaliato. «... sono stati sorprendenti. Tu, Terra, sei stata la prima conduit creata in un laboratorio. E dopo di te, ne arriveranno molti altri. Certo, mi serviranno dei poteri di guarigione come quelli di Rachel, ma troverò una soluzione. Vedrai, bambina.» L’uomo lasciò la presa dalla mano della ragazza, poi posarle una mano sulla spalla. «Una nuova era sta per avere inizio. E tu sarai il simbolo di essa.»

La ragazza bionda tacque per quelle che parvero eternità. Osservò Deathstroke a lungo, con aria indecifrabile.

«Quindi... tu non volevi farmi del male...» mormorò.

«No, non volevo.»

«Ma mi hai trasformata in una conduit.»

«Sì.»

Tara strinse i pugni. «Perché lo hai fatto, allora?»

Un altro sospiro provenne dalla maschera dell’uomo. «Se te lo spiegassi adesso, probabilmente non mi crederesti. Nessuno potrebbe credermi, io stesso all’inizio ho faticato parecchio per farlo. Sappi solo che essere conduit è l’unico modo per sopravvivere a ciò che deve ancora arrivare. Anzi, a ciò che è già arrivato. Rimani qui, con me, Terra. Sii la mia discepola. Ti prometto che avrai ogni risposta che desideri, se sarai paziente.»

«Non abbandonerò i miei amici per restare con te. Te lo puoi scordare.»

«Non essere sciocca. I tuoi amici sono tutti destinati a morire. Io ti sto offrendo la possibilità...» Wilson ritrasse la mano dalla sua spalla e gliela porse. «... di sopravvivere. Te ne prego, accetta la mia proposta. Non te ne pentirai.»

La neo conduit osservò quella mano, poi Wilson, e poi anche Rachel. La corvina era rimasta in disparte, in silenzio, ad osservare e ad ascoltare incredula lo scambio di battute tra l’uomo e la bionda. Incrociò lo sguardo di Tara, le due ragazze rimasero in silenzio, ad osservarsi.

«Tara...» mormorò, incapace di fare altro.

La Markov si mordicchiò un labbro, poi si voltò nuovamente verso l’uomo. «Grazie» disse infine, per poi fare un passo indietro, allontanandosi da quella mano ancora tesa verso di lei. «Ma no grazie» concluse, con freddezza.

Deathstroke si incupì all’improvviso. «Terra, ascolta...»

«No, ascolta tu!» sbottò la ragazza, sbattendo un piede sul suolo. «Per prima cosa, io mi chiamo Tara, non Terra! E poi dovrei proprio avere la sindrome di Stoccolma per decidere di rimanere con uno psicopatico che mi ha rapita, legata ad un tavolo e trasformata in un abominio! Non ho la più pallida idea di cosa tu abbia in mente, ma lascia che ti dica una cosa: io non ho alcuna intenzione di aiutarti. Tu sei un tiranno che gioca a fare Dio con le persone innocenti, non ti meriti nulla, né da me, né da nessun’altro! Io non sono un oggetto, non sono il tuo oggetto!»

Tara allargò le braccia e sollevò il capo, chiudendo gli occhi. «E ora prego, uccidimi pure. Preferisco morire piuttosto di trascorrere un solo altro giorno con questi dannati poteri.»

Slade abbassò lentamente la mano, continuando ad osservarla. «Non voglio ucciderti.»

«Ti conviene farlo, invece. Prima che io perda di nuovo il controllo e lo faccia a te.»

«Mi metti in una posizione difficile.»

«Era quello il mio intento.»

L’uomo osservò la ragazza, lei fece lo stesso. Rimasero entrambi immobili, non mossero un muscolo. Rachel non aveva mai visto Tara così seria e determinata. Osservava quell’individuo grosso il doppio di lei senza alcun accenno di timore.

Infine, Wilson estrasse una katana. «Un vero peccato che debba finire in questo modo. Ma se non vuoi collaborare, io non posso costringerti.»

Rachel sgranò gli occhi. Non riuscì a credere alle proprie orecchie. Wilson... era davvero disposto ad ucciderla. Uccidere colei per la quale aveva scatenato tutto quel polverone.

«Vedo che hai deciso, dunque. Va avanti allora.»

Deathstroke avvicinò la mano al volto di Tara, per poi scostarle una ciocca di capelli dietro all’orecchio. «Non ti dimenticherò, bambina.»

Sollevò la katana. Tara chinò il capo e chiuse gli occhi. «Garfield...» sussurrò. «... sto arrivando.»

«Addio.»

La lama scese.

«NO!» gridò Rachel, alzandosi in piedi, animata all’improvviso da un’enorme quantità di energia. Scattò verso di loro, Tara sgranò gli occhi quando si accorse di lei. La corvina si frappose tra loro, spingendo Tara a terra e afferrando il polso dell’uomo con entrambe le mani. «ORA BASTA!»

Un enorme afflusso di potere percorse il corpo di Rachel. L’energia nera sembrò rianimarsi tutto ad un tratto, e cominciò ad illuminarla.

Wilson sgranò il suo unico occhio. «Ma cosa...»

«Rachel, ferma!» esclamò Tara, rialzandosi. Ma ormai era tardi.

La conduit urlò a pieni polmoni e liberò tutta quell’energia che stava crescendo a dismisura dentro di lei. Percorse le sue braccia, entrò nelle sue mani e passò dai suoi palmi al polso di Deathstroke. Gridò ancora più forte, i suoi occhi divennero bianchi, per un attimo non vide più nulla.

Sentì le urla di Slade sovrastare le sue, percepì entrambi i loro corpi mentre cominciavano a fremere e ad essere colpiti da dei forti scossoni. Rachel avvertì le ultime riserve della sua energia esaurirsi, poi vi fu un’esplosione.

Lei e Wilson furono divisi ed entrambi scaraventati a terra. La corvina sbatté la schiena sul suolo e mugugnò infastidita. Sentì la bile salirle in gola, le venne da vomitare. Un dolore lancinante le attraversò tutto il corpo, si sentì come se i suoi muscoli si stessero atrofizzando. Ma la testa era sicuramente la parte che le doleva di più, le parve di avercela stretta in una morsa di ferro.

Tossì e si rialzò faticosamente sui gomiti. Vide Tara, la quale la osservava a sua volta, sconvolta. Vide anche Amalia e Rosso, con quest’ultimo che aiutava la prima a tenersi in piedi. Erano entrambi piuttosto malridotti e pieni di acciacchi, ma almeno erano vivi.

E poi, a distanza di diversi metri da lei... Wilson. Questi cercava di rialzarsi, proprio come lei. Sembrava stordito, confuso, e anche parecchio dolorante. Scrollò il capo e si massaggiò una tempia, poi notò la corvina. Non appena lo fece, sgranò l’occhio. Si passò entrambe le mani sul petto, freneticamente, come se stesse cercando qualcosa, qualcosa che aveva avuto fino a quel momento e che ora sembrava scomparso all’improvviso.

«Ma... ma come...» sussurrò, per la prima volta sembrando veramente incredulo.

«Bene, bene, bene...» disse un’altra voce, provenendo non dal vicolo, ma da sopra le loro teste. Tutti i presenti sollevarono lo sguardo per poi vedere un individuo sporgersi dal tetto del palazzo sovrastante.

Dreamer.

Egli sorrideva beffardo, lo sguardo posato su Wilson. «Finalmente sei mio, vecchio.»

Schioccò le dita. Decine di Visionari sbucarono fuori all’improvviso, tutti quanti armati di fucile, disposti alcuni accanto al loro leader, altri sul tetto di fronte. Puntarono tutti le armi contro l’uomo.

«Maledetto...» rantolò il mercenario, per poi osservare Rachel. Sembrò che stesse cercando di comunicarle qualcosa, ma per la corvina fu impossibile capire cosa. Poi si rialzò e cominciò a correre verso il fondo del vicolo. Nonostante tutto, si mosse con una velocità quasi sovraumana.

Ma a Dreamer non piacque per niente quell’iniziativa. «Sparate, sparategli subito!»

I Visionari aprirono il fuoco. Il mercenario, per quanto velocemente stesse correndo, non riuscì a sottrarsi completamente da quella pioggia di inferno che imperversava proprio su di lui. Alcuni proiettili lo colpirono ad un braccio, altri ad una gamba, altri alla schiena. Le imbottiture militari fecero in parte il loro dovere, ma nemmeno queste furono sufficienti. Rachel lo vide trascinarsi dietro diverse chiazze di sangue, ma l’uomo non si fermò comunque. Girò l’angolo, tenendosi un braccio e zoppicando, quasi trascinandosi di peso, e svanì dalla visuale.

Corvina osservò a lungo il punto in cui Wilson era svanito. Il pensiero di inseguirlo le attraversò la mente, poi decise di lasciar perdere con un sospiro. Non sapeva se i suoi poteri glielo avrebbero concesso. Se non altro erano riusciti almeno a metterlo in fuga.

Dreamer nel frattempo saltò dal tetto ed atterrò in piedi nel vicolo, tenendosi il cappello calcato sulla testa per non farlo volare via. Fece poi scorrere lo sguardo su Rachel e i suoi amici, soffermandosi su ciascuno di essi. «Accidenti, ve le ha suonate di santa ragione, eh?»

«Dove diavolo eri finito?» rantolò la corvina, rimettendosi in piedi, mentre Jeff si avvicinava.

«Ho perso un po’ di tempo mentre cercavo di radunare i miei fratelli» spiegò lui, indicando i Visionari ancora sui tetti, i quali avevano cominciato a muoversi. «Cercheranno Wilson. Non andrà molto lontano, e questa volta per davvero.»

«Come fai a dirlo?» mugugnò Rachel, con una smorfia. «Lo sai che possiede un fattore di guarigione, vero?»

«Davvero? Oh...» Il sorriso si spense dal volto di Dreamer. «Ops... errore mio...»

La conduit lo squadrò con diffidenza. Non sembrava davvero sorpreso. E, comunque, quella reazione non era per niente quella che lei si sarebbe aspettata.

«Che cosa diavolo ti è saltato in testa, Markov?!» La voce di Amalia la fece trasalire e dimenticare del Visionario. Si voltò, verso la mora. Stava parlando con Tara, sembrava piuttosto arrabbiata. «Volevi davvero farti uccidere così?!»

«Fatti gli affari tuoi» sbottò la neo conduit, per poi incrociare le braccia e distogliere lo sguardo da lei.

«Cosa? Gli affari miei?!» Amalia serrò la mascella. Parve quasi volersi muovere in direzione della bionda, ma la gamba ferita glielo impedì. «Ci siamo fatti un culo titanico per riuscire a trovarti e salvarti la vita, e tu vai a chiedere a Wilson di ammazzarti?! Cosa siamo noi, un branco di idioti?! E mi vieni anche a dire di farmi gli affari miei?! Bionda, questi sono affari miei. Anch’io ho rischiato la vita!»

«Sta zitta!» urlò Tara, con le lacrime agli occhi e la voce rotta. «Tu non sai cosa sto provando! Non puoi saperlo! Se fossi nei miei panni, allora anche tu preferiresti morire!»

«Non dire idiozie! Io non...»

«Ehi, ehi!» esclamò Corvina, frapponendosi tra loro. «Dateci un taglio! Non dobbiamo litigare tra di noi! Siamo un gruppo unito, l’avete dimenticato?!»

«Sì, ma...» cercò di dire Amalia, per poi venire zittita dalla corvina.

«Niente ma! Come possiamo pretendere di potercene andare da questa città se vi mettete a discutere in questa maniera per una scemenza come questa? Amalia, tu non sai come Tara si sente, nessuno può saperlo, nemmeno io! E tu, Tara...» Rachel si voltò verso di lei, puntandole addosso il dito. «... non ho idea di cosa ti stia passando per la mente, ma non pensare per un solo momento che la tua vita debba essere buttata via in questo modo!»

Si avvicinò a lei, severa come poche volte lo era stata. «La tua vita vale, hai capito! Tu vali! Come pensi che reagirebbe Logan se ti vedesse così? Pensi che sarebbe fiero di te, se tu decidessi di farti ammazzare solo perché le cose vanno più male del solito? E ti sei dimenticata della tua famiglia? I tuoi genitori e i tuoi fratelli, come credi che reagirebbero loro se tu morissi così?»

Tara ammutolì. Osservò Corvina per un breve istante, quasi intimorita da lei, poi distolse lo sguardo imbarazzata e annuì lentamente. «Hai ragione... scusami...»

«Sì, ti chiedo scusa anch’io...» mormorò Amalia, osservando il suolo imbarazzata.

Un tenue sorriso si dipinse sul volto di Rachel. «Bene.» Incrociò poi lo sguardo di Lucas. Il moro la osservava sorpreso, quasi ammirato. La corvina allargò il sorriso, poi sollevò il pollice della mano. A quel punto, Rosso sorrise a sua volta e rispose con un cenno del capo.

Lo sguardo di Rachel cadde poi prima sulla sua fronte insanguinata, poi sulla gamba di Amalia. Aveva estratto il coltello, fortunatamente non aveva reciso nessuna arteria, ma comunque tutto quel sangue era parecchio preoccupante. «Ora, però, è meglio pensare alle cose importanti.»

Per fortuna i suoi poteri si erano risvegliati, o non sarebbe mai stata in grado di curare le ferite dei suoi amici. Amalia la ringraziò, Lucas tossì un paio di volte, poi anche lui fece lo stesso.

Solamente quando ebbe finito, si rese conto che Dreamer era rimasto un po’ troppo a lungo in silenzio. Lo cercò con lo sguardo, poi vide una scena che le fermò il cuore. Jeff era chino accanto al corpo della sua luogotenente.

Una sensazione terribilmente sgradevole assalì la corvina quando vide il corpo insanguinato di Jade, di cui, fino a qualche attimo prima, aveva scordato l’esistenza. Non si muoveva più, non gemeva più, non faceva più assolutamente niente. Era immobile, come una statua.

La conduit sentì le proprie viscere contorcersi, quasi le venne da vomitare. Era disgustata. Ma non da quella vista, assolutamente no. Era disgustata di sé stessa.

Jade era morta per colpa sua.

Aveva combattuto contro un avversario ben oltre la sua portata, per la propria libertà. Pur di ottenerla, pur di poter rivedere sua sorella, aveva messo in gioco l’ultima cosa preziosa che le era rimasta: la sua vita.

E Rachel non aveva fatto nulla per aiutarla. Aveva osservato la scena, incapace di fare altro. Aveva preferito litigare con i suoi poteri, anziché darsi da fare per trovare un altro modo per rendersi utile.

Una persona era morta di fronte ai suoi occhi. Una persona che aveva visto le sue speranze infrangersi all’improvviso. E lei aveva lasciato che ciò accadesse.

Sentì una lacrima rigarle una guancia. Stupida ed inutile, ecco come si sentiva in quel momento.

Dreamer chiuse gli occhi di Jade con due dita. «Riposa in pace, sorella» disse, a bassa voce. Sembrava triste, e non poco.

Corvina rimase immobile, ad osservarlo, incapace di fare altro. Una mano si posò sulla sua spalla. Si voltò e vide Lucas accanto a lei. «Non è stata colpa tua» disse, leggendole nel pensiero. «Jade conosceva i rischi che correva, ha scelto lei di essere qui a combattere contro Wilson. L’unica cosa che possiamo fare è onorare la sua morte.»

Rachel si pizzicò un labbro con i denti, poi annuì lentamente.

No, non è vero..., avrebbe voluto dire. L’ho lasciata morire.

Sospirò profondamente, poi appoggiò la testa sulla spalla di Rosso. Lui la cinse per un fianco e la tenne stretta a sé. Nessuno dei due disse altro.

«Un po’ mi piaceva, alla fine...» commentò Amalia, osservando a sua volta il corpo di Jade.

«Non puoi fare nulla, Rachel?» domandò Tara.

La corvina scosse lentamente la testa. «Quando era ancora viva, forse... ma ora...»

«Capisco.»

Scese il silenzio nel vicolo, fino a quando Dreamer non si rialzò in piedi. Si voltò verso il gruppo, per poi cominciare a camminare verso di loro. Si ritrovò infine dinnanzi a Rachel e Lucas. Notò com’erano stretti e si lasciò scappare un sorriso. «Fate bene a godervi la quiete. Sono state delle ore piuttosto pesanti, queste.»

«Abbiamo finito, quindi?» domandò Lucas, con tono scettico.

Dreamer annuì, senza far sparire quello strano sorriso dal suo volto. «Sì, abbiamo finito. Di Wilson ci occuperemo noi Visionari. E non preoccupatevi degli Underdog rimasti, senza un capo non andranno lontani. Wilson era il collante che teneva unito il loro gruppo, era quello a cui spettava sempre l’ultima parola. Senza di lui, saranno come pecore senza un pastore.»

«Possiamo uscire dalla città, quindi?» chiese Amalia.

Un altro cenno di assenso. «Direi proprio di sì. Vi ringrazio infinitamente per l’aiuto. Ah, e non preoccupatevi per Rose. Di lei me ne occuperò sempre io. Più tardi farò un salto al vostro magazzino per recuperarla. Immagino che a quel punto voi non ci sarete già più.»

«Probabile» rispose Lucas.

«In tal caso...» Jeff si avvicinò ulteriormente al gruppetto, porgendo la mano. Cominciò da Tara. La bionda lo osservò piuttosto titubante, poi accennò un sorriso e gliela strinse.

«Grazie per aver prestato un paio di braccia in più ai miei amici» disse, sincera.

«Prego, è stato un piacere.»

Dreamer passò poi ad Amalia, la quale gli stritolò la mano di proposito solo per fargli un ultimo dispetto. «Mi mancherà la tua faccia da schiaffi» disse, con un ghigno.

«A me mancherà il tuo dolce carattere. Salutami anche il tuo fratellino.»

Toccò a Rosso, il quale la strinse con parecchia riluttanza. «A mai più» sbottò.

«Arrivederci anche a te» rispose Dreamer, chinando il capo. «Ah, a proposito Lucas, fai qualcosa per quella tua brutta tosse, mi raccomando. Non vorrei mai che tu abbia qualche malanno.»

 «Non preoccuparti, me la caverò» replicò il moro, rivolgendogli un sorriso che sembrava più una smorfia.

Lo sguardo di Dreamer cadde sulla mano che Lucas teneva premuta sul fianco di Rachel. Il suo sorriso vacillò, poi si concentrò proprio su quest’ultima. Si piazzò di fronte a lei, poi allargò le braccia. «Permetti, Rachel?»

La corvina sgranò gli occhi. Si voltò verso di Lucas, quasi chiedendo conferma nel suo sguardo. Lui si limitò semplicemente a sollevare le spalle. A quel punto, Rachel sospirò e andò ad abbracciare il Visionario. Si sentì tremendamente  impacciata. Per fortuna, non durò molto.

«Grazie dell’aiuto» disse infine il Visionario, una volta separato da lei.

«Ma non ho fatto nulla di che, alla fine...» rispose lei, imbarazzata.

«Credimi. Hai fatto molto di più di quanto avrei mai potuto immaginare.» Dreamer le diede una pacca sulla spalla, poi si rivolse nuovamente a tutto il gruppo. «Addio, dunque.» E senza dire altro, si voltò e cominciò a camminare. Fece un cenno a due Visionari che lo avevano seguito, e questi presero il corpo di Jade. Svanirono tutti e quattro dietro al vicolo, per poi non ricomparire più.

Non appena Jeff uscì dalla sua visuale, Rachel si lasciò scappare un profondo sospiro. Era tutto finito. Finalmente, era tutto finito.

Sentì qualcuno ridacchiare alle sue spalle e si girò, per poi vedere Tara e Amalia entrambe con il capo piegato e una mano di fronte alla bocca. Arrossì contro il proprio volere. «Che cavolo avete da ridere?!»

«Qualcuno si è preso una cotta per Rachel...» la schernì Tara, pronunciando quelle parole canticchiando.

«Per Rachel?» domandò Amalia, tornando seria. «Io credevo che Jeff fosse cotto di Rosso...»

Le tre ragazze guardarono il suddetto, il quale sgranò gli occhi. «Ehm... co... cosa?»

Komand’r e Tara si scambiarono un rapido sguardo tra loro, poi entrambe scoppiarono a ridere di gusto, lasciando il moro atterrito. «Ehi! Non è divertente! Non lo è affatto!» Accorgendosi di come le sue parole fossero inefficaci, si voltò verso di Rachel, quasi disperato. «Rachel ti prego, di a quelle galline che... oh, no! Anche tu no!»

Corvina aveva cercato in tutti i modi di trattenersi, ma non c’era riuscita. Nel giro di poco tempo anche lei si era ritrovata a ridere, in maniera più leggera rispetto a quella delle altre due ragazza, ma comunque a ridere. Fu meraviglioso.

 «Scusa Lucas...» biascicò a fatica, a corto di fiato.

«Vi odio. Tutte e tre.»

 

***

 

Mentre tornava al magazzino in compagnia dei suoi amici, Rachel si sentiva avvolta da un’incredibile quantità di positività. Non le sembrava ancora vero che tutto quanto fosse finito.

Avevano salvato Tara, il suo patto con Dreamer si era concluso e per finire erano riusciti a sconfiggere Wilson, anche se solo temporaneamente, ma non le importava. Del mercenario se ne sarebbe occupato Jeff; lei non aveva più nulla a che vedere con quella faccenda. Poteva andarsene da quella città, che in pochi giorni si era rivelata essere una prigione ben peggiore di Empire City, ed essere libera.

Giurò a sé stessa che non avrebbe più commesso alcun errore. Nessun altra città l’avrebbe più imprigionata, da quel giorno in poi. Non lo avrebbe più permesso in alcun modo. Non sapeva quante esplosioni ci fossero state nel paese, non sapeva quanti conduit la attendevano fuori dai confini di Sub City, non era minimamente a coscienza di quali altri pericoli avrebbe incontrato, ma non le importava nulla. Nessuno le avrebbe di nuovo negato la libertà.

Ripensò a quella comunità di cui Jade le aveva parlato. Ricordare la Visionaria le provocò una fitta allo stomaco, ma cercò di ignorarla, e di concentrarsi di più su quel luogo, ammesso che esistesse. Forse avrebbe dovuto fare un tentativo e andare a cercarlo, in compagnia dei suoi amici, ovviamente. Avrebbe dovuto parlarne con loro. Certo, potevano essere solo favole, come già aveva pensato, ma, infondo, non c’era molto altro da fare per lei.

Doveva trovare una nuova casa, e quale luogo migliore per cominciare se non proprio la California? Forse non avrebbe trovato ciò che cercava proprio laggiù, ma chissà, forse qualcosa di interessante sarebbe comunque successo.

«Ehi, Rosso, che c’è?» domandò Amalia all’improvviso, osservando il moro che per tutto il tempo aveva camminato rimanendosene in silenzio e in disparte. «Non dirmi che ce l’hai ancora con noi per la storia di prima.»

«No» sbottò lui, anche se l’argomento parve irritarlo leggermente. «Sono solo stanco.»

«Ormai siamo arrivati» osservò Tara.

«Non mi riferivo a quello.» Il ragazzo sospirò, esausto, per poi tossire un paio di volte. Scrollò il capo per ricomporsi, poi proseguì: «È solo che...» Si voltò, incrociando lo sguardo delle tre ragazze. Diede una rapida occhiata a ciascuna di loro, per poi voltarsi e scuotere di nuovo il capo. «Niente, lasciamo perdere. Ecco, ci siamo.»

Il gruppo si fermò di fronte alla recinzione del magazzino. Rachel rimase ad osservare Lucas, perplessa. Non ci aveva messo molto per capire a cosa si riferisse con quelle parole. Anche lui, come lei, era stanco di vivere quella vita. Anche lui sapeva che, una volta usciti da quella città, avrebbero dovuto ricominciare a lottare, che quella quiete era solo fittizia. Perché ormai era così che quel mondo funzionava.

Ma, infondo, erano proprio quei momenti a rendere viva Rachel. La quiete prima della tempesta era sempre quella che le permetteva di sperare, seppur per poco, che le cose cambiassero davvero. Che da quel momento in poi non sarebbe più stata costretta a combattere.

Osservò il cielo striato di arancione, mentre i primi raggi dell’alba cominciavano a farsi strada tra le tenebre della notte. Un nuovo giorno stava per iniziare, e con esso un nuovo capitolo della sua vita.

Scavalcarono la recinzione e si avviarono verso il portone. Mentre camminava, Rachel notò qualcosa cambiare nell’espressione di Amalia. Non era più serena, ora sembrava tesa, angosciata. Solo in quel momento si ricordò della discussione tra Ryan e lei.

«Ehi, non preoccuparti» le disse, a bassa voce.

La mora trasalì, poi si voltò verso di lei. La osservò per un breve momento, poi sospirò. «Come posso non preoccuparmi?» domandò, quasi affranta. «Ryan... lui... aveva ragione, su tutto. Mi sono comportata malissimo con lui e con Kori... io... non ho il coraggio di guardarlo di nuovo in faccia...»

«Tu non sei più come Ryan ti ha dipinta, Komi» rispose Rachel, abbozzando un sorriso. «Non so cos’hai fatto in passato con esattezza, ma so quello che hai fatto oggi. Hai rischiato la vita per salvare quella di Tara. Hai piantato un coltello nel collo di Wilson! Chi altri può vantarsi di aver fatto una cosa del genere?»

Amalia ridacchiò sommessamente, tenendo lo sguardo basso. «Non molti, immagino...»

«E poi, la cosa più importante di tutte.» Rachel le posò una mano sulla spalla, facendole drizzare la testa. Allargò il sorriso, guardandola con pura e sincera ammirazione. «Sei riuscita a far ritornare Tara in sé. Sei riuscita a fare una cosa in cui io ho fallito miseramente, senza combattere, per di più. Se tu non ci fossi stata... probabilmente sarei morta. Tu oggi non hai salvato solo Tara, ma hai salvato anche me. Hai coraggio da vendere, e sei forte. Ryan lo capirà, vedrai. Capirà che sei cambiata e ti perdonerà.»

Komand’r sollevò lo sguardo. Una scintilla di speranza si accese nei suoi occhi all’improvviso. Un sorriso si accentuò sul suo volto, poi ridacchiò una seconda volta. «Cavolo, Roth, sei particolarmente inspirata oggi, eh? Ci provi gusto a far sentire gli altri degli stupidi con i tuoi discorsi strappalacrime?»

«Un pochino» replicò la corvina, con tono divertito.

La ragazza mora ridacchiò ancora una volta, poi le diede un pugno scherzoso  alla spalla. «Sei forte. Dai, andiamo.»

Si erano fermate senza nemmeno rendersene conto ed erano state lasciate indietro da Lucas e Tara, i quali ormai erano dal portone. Si affrettarono a raggiungerli, poi, tutti insieme, entrarono.

«A proposito, Ryan come sta?» domandò Tara, sorridendo. «Devo abbracciare anche lui!»

A Rachel quasi venne da ridere sentendo quell’affermazione. Sicuramente, il rosso sarebbe stato più che entusiasta di ricevere un abbraccio da lei.

«Sta bene, credo...» borbottò Lucas, mentre si avvicinavano all’area relax. «Quella che mi preoccupa di più è la nostra altra ospite...»

«Altra ospite?»

«Ora vedrai. Un tesoro di donna, davvero. Simpatica come un coltello nel costato.»

«Quasi peggio di Amalia, quindi» osservò la bionda.

Lucas ridacchiò. «Sì, diciamo di sì.»

«Vi devo ricordare che sono qui?» domandò proprio Amalia, incrociando le braccia.

Il gruppo si fermò di fronte alla porta dell’area relax. Rosso posò una mano sulla maniglia, per poi volgere uno sguardo di sufficienza alla mora. «Tranquilla, la tua presenza non è difficile da notare...»

Komand’r spalancò la bocca per rispondere, ma qualunque cosa volesse dire le morì in gola quando il ragazzo aprì la porta. Sgranò gli occhi all’improvviso.

Rachel notò il repentino cambio di espressione di Amalia e corrucciò la fronte, poi cercò di capire cosa le fosse preso e anche lei guardò oltre l’ingresso della stanza. Non appena lo fece, si sentì morire.

Tara si posò entrambe le mani di fronte alla bocca, soffocando a malapena un verso inorridito.

«Mio... dio...» sussurrò Lucas, interdetto.

Rose era ancora legata alla sua sedia, teneva il capo chinato ed entrambi gli occhi chiusi. Un orribile squarcio ancora macchiato di rosso le attraversava il collo, e il suo intero petto era ricoperto da sangue rinsecchito. Perfino i suoi capelli si erano macchiati.

Ai suoi piedi, invece, riverso in una pozzanghera della medesima sostanza vermiglia...

Corvina sentì il proprio cervello bloccarsi. I suoi occhi si rifiutarono categoricamente di credere a ciò che stavano vedendo. Non poteva essere vero. Non poteva assolutamente essere vero. Non poteva esserci lui a terra, accasciato in quel modo scomposto. Non lui, non...

Amalia gridò all’improvviso, con quanto fiato avesse in corpo, mettendosi entrambe le mani nei capelli.

«RYAN!!!»

 

 

 

 

   
 
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