“Mi aspetterai?”.
È una domanda innocente, la pronunci col sorriso da schiaffi che ti ha protetto tutta la vita.
“Starai qui dentro per quindici anni.”
Non è una risposta. O forse sì.
“Sì, ma sarò fuori in otto per il sovraffollamento, quindi...”
Otto anni. Non sembreranno tanti, se aggiungi una scrollata di spalle e continui a sorridere.
“Hai cercato di uccidere mia sorella.”
Ah, Ian. Sempre le scuse più stupide. Sempre gli occhi più belli.
Liquidi quella replica con qualche parolaccia, perché davvero non ne puoi più di questo tergiversare, di queste risposte che non sono quella che vuoi tu.
Il suono che avvisa della fine delle visite non ti ha mai dato tanto fastidio.
“Lo farai?” È l'ultima occasione per saperlo. “Mi aspetterai?”
Aspetterai queste braccia che già si sentono vuote e inutili senza te da poter stringere?
Non lo farà, ma non ha il coraggio di dirtelo, come tu non hai il coraggio di aggiungere quel pensiero.
“Menti se devi, cazzo. Otto anni sono lunghi.”
Te ne rendi conto solo ora? No, certo che no, ma ora non devi più fingere, non devi più sorridere per convincerlo a non smettere di amarti.
“Certo. Certo, aspetterò.”
Che bugiardo del cazzo. Ma glielo hai chiesto tu. Perché è meglio così. È meglio averlo sentito mentire, che dire che già non ti ama più.