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Autore: Mikaeru    28/05/2016    0 recensioni
Una raccolta di flashfics varie su Hannibal, da varie challenge.
06. Si è perso nel bosco. Il bosco che ha un odore profondo, oscuro, che gli riempie i polmoni, che ha un silenzio denso, appiccicoso, ma che non lo soffoca. [CappuccettoRosso!AU, sort of.]
05. Willow maledì di aver deciso di portare a spasso il cane senza guinzaglio. [AU, genderswap, il primo incontro di Willow e Artemis]
04. “Sei spaventoso,” ringhiò Hannibal sul suo collo, grattando più forte coi canini sui punti sensibili che aveva già ferito. [roleplay!noncon]
“Io, mh?”, gemette Will, leccandogli le labbra, “Non tu, che volevi approfittarti di un uomo addormentato? Non tu che ti sei eccitato terribilmente quando sembravo indifeso, incapace di lottare per salvarmi?”
Genere: Angst, Fluff, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Abigail Hobbs, Hannibal Lecter, Will Graham
Note: AU, Lemon, Raccolta | Avvertimenti: Gender Bender, PWP, Violenza
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“Winston, torna qui! Winston, maledizione, torna subito qui!”
Willow maledì di aver deciso di portare a spasso il cane senza guinzaglio. Cinque minuti prima uno stupido gatto si era messo a guardare Winston da un muretto e lei, che aveva sentito odore di guai, aveva cercato di cambiare strada, ma Winston non sembrava riconoscerla più come padrona; per cui, quando il gatto era saltato giù e lo aveva graffiato, si era messo ad inseguirlo, e Willow con loro, finendo a sembrare l’illustrazione di una filastrocca per bambini – la donna che insegue il cane che insegue il gatto. Ringraziò solo che non fosse una giornata estiva particolarmente calda.
Il gatto si infilò dentro un buco nel terreno sotto un muro abbastanza grande perché anche Winston ci si infilasse, ma non abbastanza perché Willow potesse strisciarvi dentro, per cui lei si arrampicò rapida come uno scoiattolo, usando i rampicanti, dal fusto robusto, come levatura. Fece capolino nel giardino di una villa fiabesca, un contrasto così forte col resto del vicinato che quasi le fecero male gli occhi. Si domandò come non l’avesse mai vista prima – e si rese conto di averlo fatto ad alta voce, perché una voce rispose: “Forse era troppo immersa nei suoi pensieri, signorina Raperonzolo.”
La donna che aveva parlato le stava sorridendo come se non avesse importanza avere un’estranea seduta sul muretto del giardino.
“Io – stavo inseguendo il mio cane – che –”
“Ho visto, signorina, non c’è assolutamente nessun bisogno di scusarsi, non è così inusuale assistere a certi episodi coi propri animali domestici, soprattutto nel caso di un cane” le tese una mano per aiutarla a scendere, “gradisce un tè? Ne ho una teiera fresca appena fatta.”
“… oh. Sì, certo, mi farebbe piacere.”
Non prese la mano della donna, saltò giù, dritta e sicura sulle gambe. Si fece guidare dentro casa – notò Winston e il gatto giocare sul porticato come se fossero fratelli e scoccò loro un’occhiata di odio.
Era una casa antica, di legno, le ricordò quella di sua nonna – aveva cambiato un numero inverosimile di abitazioni, durante l’infanzia, ma tutte le estati trascorreva un mese in casa della sua nonna paterna, costasse quel che costasse suo padre riusciva a trovare il tempo e i mezzi per rispettare quella tradizione; anche alcuni anni dopo la morte della madre aveva continuato a portarvi Willow, per andare a pescare.
Il pavimento scricchiolava sotto i loro passi, e provò un’intensa nostalgia, dal profumo di gelsomino.
“Ha… una casa meravigliosa, complimenti,” incespicò un attimo sulla propria lingua quando la donna le allungò la sua tazza di tè fumante.”
“La ringrazio,” sorrise lei, uscendo sul porticato, invitandola a sedersi attorno al tavolino bianco immacolato, “quando l’ho acquistata era uno scheletro. Ho impiegato un paio d’anni per arrivare a questo aspetto.”
“Tutto da sola?”
“Mi piace pensare di riuscire a cavarmela da sola laddove mi sia possibile. Fortunatamente non ho dovuto apporre modifiche alla struttura, in quel caso mi sarebbe stato difficile essere indipendente, e mi avrebbe indispettita.”
Aveva un modo particolare di parlare, notò Willow sorseggiando la tazza, gli occhi incollati sull’unica macchia quasi invisibile che aveva notato ora sulla superficie del tavolino – e non era solo il vocabolario ricercato, che raramente le era capitato di incontrare, nonostante i colleghi di facoltà, ma anche il tono calmo, suadente, che le ricordava un fiume d’acqua dolce.
“Non mi capita spesso di passeggiare in questa parte del vicinato, ma sono sicura di esserci passata almeno una volta – ricordo il negozio di oggettistica che c’è qui davanti, Cose Preziose, come quello del romanzo di King.”
“Le posso assicurare che non ha nient’altro in comune, fortunatamente.”
“Oh, allora ci farò un salto, quando non ho i cani con me. Sembra vendere articoli interessanti.”
“Sarò felice di accompagnarla, se vorrà.”
C’era qualcosa, in quel sorriso lieve, che la fece arrossire inspiegabilmente, e si sentì una ragazzina sciocca. Buttò giù metà del suo tè. “Le capita spesso di invitare in casa donne sconosciute quando il loro cane le invade il giardino?”
“Purtroppo non mi era ancora accaduto un evento così interessante. Il massimo che Tobias mi abbia mai portato erano uccellini morti, non graziose signorine del suo calibro.”
Willow arrossì più violentemente, si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, ripetendo il gesto più volte. “Neppure Winston ha il vizio di entrare nelle proprietà altrui senza permesso, è un cane estremamente educato,” borbottò.
“Oh, ora che sappiamo il nome dei reciproci animali, forse sarebbe opportuno presentarci a vicenda. Artemis Lecter, molto piacere.”
“Oh, Artemis, che bel nome. Particolare.”
“La ringrazio. I miei genitori hanno sempre avuto un forte senso estetico e questo si era naturalmente riflesso anche nella scelta del mio nome.”
“Oh,” ripeté, e poi si affrettò ad aggiungere “io mi chiamo Willow Graham.”
“Ha un nome delizioso. Ricchissimo di significati. I celti utilizzavano il legno del salice per costruire strumenti musicali, lo sapeva?”
Willow si grattò la testa. “No, non ne avevo idea.”
“Lo trovo estremamente adatto a lei.”
Questa volta arrossì violentemente, la consapevolezza dello stato disastroso della sua treccia ormai completamente disfatta e i vestiti completamente inadatti (Artemis portava un abito quasi trasparente, di un materiale che sembrava nevischio tanto appariva leggero ed impalpabile) e il generale disordine della sua persona.
“Le posso offrire altro tè, signorina Graham?”
“Oh, non mi chiami a questo modo, non dopo che le sono piombata in casa così. Mi chiamo Willow.”
“Preferisco i convenevoli fino a quando non saremo più intime nella nostra relazione, le dispiace molto?”
“… oh, no, non troppo, in realtà.”
“Gradisce allora un’altra tazza, signorina Graham?”
“Se non le è di disturbo,” e si domandò perché non fosse già scappata per la vergogna e l’imbarazzo. Si alzò dalla sedia, andò a grattare l’orecchio al suo cane che ora, felice, era acciambellato in un angolo con Tobias che gli dormiva sopra. “Bravo cane, bravo bravissimo cane,” mormorò scuotendogli il muso tra le mani. Winston rispose felicemente leccandole il viso, che Willow si pulì col bordo della maglietta larghissima.
Il tintinnio delle tazze annunciò il ritorno della padrona di casa, che aveva portato anche un piattino di biscotti. “Spero le possano piacere.”
Willow ne addentò uno. “Oh! Sono deliziosi.”
“Li ho fatti stamattina,” sorrise Artemis.
“Lei è una donna piena di talenti.”
“Mai troppi.”
Willow ne inzuppò uno, poi ne mangiò altri due. Artemis scomparve di nuovo dentro casa, le appoggiò un sacchettino di pizzo davanti. “Mi permetto di offrirgliene un po’ da portare a casa, visto che sembrano essere di suo gusto.”
“… oh. Grazie – lei è incredibilmente gentile –”
“Non è niente di che, glielo assicuro. L’educazione verso gli ospiti è uno dei primi doveri dell’essere umano.”
Willow sorrise, imbarazzata ancora una volta. Qualcosa le disse che avrebbe fatto meglio ad andare via, anche solo per evitare che tutto il porticato prendesse fuoco a partire da lei.
“Io – io la ringrazio infinitamente per tutto, soprattutto il non avermi denunciata sul posto, però penso sia ora di andare.”
“Certo, certo,” Artemis si alzò, lisciandosi la gonna, “l’accompagno al cancello, se non preferisce arrampicarsi di nuovo.”
“No, no, penso che uscirò in maniera tradizionale.”
Chiamò Winston con due fischi, e lui si tirò sulle zampe di scatto, facendo cadere Tobias che rispose soffiando ed entrando in casa con aria sdegnata.
“La invito a tornare a trovarmi per esplorare il negozio,” sorrise.
“Oh, sì, certo. Le dovrò anche riportare il fazzoletto.”
“Di quello non si preoccupi, è un dono,” e le prese la mano libera, baciandole le nocche, come il gentiluomo di un film in bianco e nero. “Si senta libera di tornare quando le è più comodo.”
Willow uscì e non si voltò fino a quando non tornò a casa, per evitare di sentirsi andare a fuoco ancora di più. Il rossore non le passò per tutto il pomeriggio.
  
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