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Autore: Margo_Holden    29/05/2016    0 recensioni
Sheena è una pacifista, che nel giorno della scelta, deciderà di stare con gli intrepidi.
Quello che non sa, è che non ci sarà solo la lotta per rimanere nel suo nuovo mondo, ma la lotta più grande dovrà vincerla contro se stessa e i suoi sentimenti.
Dal Capitolo 17.
"Quando giunsi lì, mi sedetti sul muretto con i piedi a penzoloni. Chiusi gli occhi e allargai le braccia. E sognai di essere una bellissima aquila, che volava e spiegava le sue ali senza paura o timore, che padroneggiava alta su nel cielo, limpido e senza nubi. Andava dritta per la propria strada e non si guardava mai indietro, sapeva cacciare e badare a se stessa, mentre muoveva le ali su e giù senza badare agli altri uccelli che la guardavano intimoriti. Aprii gli occhi di scatto quando capii che avevo disegnato il profilo di Eric."
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eric, Four/Quattro (Tobias), Nuovo personaggio, Tris
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 20.




Travis Joseph Torn, fece il suo ingresso nel mio campo visivo.
Quando l’aria, la saliva e l’ossigeno tornarono alle proprie funzioni, potei finalmente buttargli le braccia al collo e abbracciarlo fino a finire l’aria appena recuperata.
Mi era mancato tutto di lui.
Dai capelli neri, agli occhi grigi fino al suo odore.
Qualcosa anche peggiore di uno schiaffo, mi arrivò in pieno viso quando la verità, quella realtà bruta e fredda, mi si presentò davanti gli occhi.
Perché mio fratello era cambiato, ma cambiato in tutto.
Gli occhi erano spenti e rabbiosi.
I capelli arruffati con l’inizio della barba sul viso.
L’odore non era più quello della prima pioggia di primavera. Era un odore acre, di sudore stantio.
Dovetti allontanarmi per non vomitare. I suoi vestiti erano sudici e la sua faccia coperta da un ghigno malefico che gli andava a distorcere la bellezza innocente.
-Cosa c’è grande S, ti spaventa quello che vedi?- mi chiese con malignità accorgendosi forse della mia faccia stupita.
Quello non era mio fratello, quello era qualcuno che assomigliava a mio fratello.
-Che cosa ne hai fatto del Travis che conoscevo io?- chiesi con le lacrime agli occhi toccandogli quella mascella ruvida per via della barba, terribilmente contratta.
-Lo hanno portato via persone come il tuo ragazzo.- rispose crudele.
Anche il tono della voce era cambiato. Adesso era diventato un uomo letale, quasi quanto Eric e non se ne accorgeva nemmeno ma anzi, si sentiva diverso anche migliore. Risi amaramente di quello spettacolo che mi trovavo di fronte, non avrei mai potuto immaginare che Travis sarebbe diventato Mr. Hyde.
-Credi di farmi male in questo modo? Non ti accorgi che facendo così fai del male solo a te stesso? A nostro padre…- ma non potei terminare la frese perché mi interruppe bruscamente.
-Non provare a nominare il nome di papà. Gli hai sputato sopra quando hai portato quell’essere all’ospedale.-
Le sue parole erano veleno puro, il suo sguardo era spietato, crudele e i suoi occhi ancora più rabbiosi.
Sentii qualcosa nascere nello stomaco, come una sorta di buco, che risaliva su e si andava ad insinuare nella mia bocca, distorcendola impercettibilmente. Poteva essere solo la pena.
 In quei giorni non aveva avuto una spalla su cui piangere, su cui lasciare andare quel dolore. Non c’era sua madre e nemmeno sua sorella, lei era troppo impegnata a fare l’egoista.
MI sentivo in colpa per quello che avevo creato. Ero stata troppo cieca da non accorgermi che anche Trav aveva perso un padre e che era solo, al contrario mio.
-Non lascerò che ti facciano del male.
Quelle parole pronunciate dalla mia bocca, sembravano più un scusa che davo a me stessa per aver creato tutto quel casino. Come se mi stessi discolpando di averlo lasciato solo, di aver scelto gli intrepidi pur sapendo che lui era da solo con nostro padre, che l’avrebbe dovuto aiutare per il resto dei suoi giorni, odiandolo qualche volta per la sua vecchiaia mentre sua figlia se ne stava con i saltatori pazzi.
In quel momento odiavo me stessa per l’egoismo di non essermi mai trovata bene tra quelle persone. Nel fare una vita dove l’unico valore da conoscere e da venerare era l’amicizia.
I suoi occhi si incastrarono nei miei e se prima c’era stupore, poi cambiarono e tornarono ad essere duri.
Potevo vedere tranquillamente i pugni contratti lungo i fianchi con le nocche bianche.
Fu proprio in quel momento che ebbi la pesante intuizione che qualcosa tra me e lui si fosse rotto.
Quel filo che condividevamo fin dalla nascita si era ormai frantumato, staccato, tagliato.
Lacrime stavano nascendo dai miei occhi, ma mi imposi di ricacciarle dentro.
Ormai Travis aveva perso tutta la fiducia nei miei confronti e nel mondo.
-Travis te lo ricordi quando da piccoli, dopo averne combinato una delle nostre, cosa ci dicevamo? Cosa dicevamo perché nessuno dei due finisse da solo nei guai? Perché oltre al compleanno, oltre ai capelli, condividevamo e condividiamo anche i guai. Ricordatelo sempre. Potrai contare sempre su di me e non è una cazzata detta al momento.
Gli dissi e quelle parole parvero ferirlo.
Non mi guardava, stava sempre con quei pugni stretti in vita e basta.
-Io sono te e tu…- provai a dire ma niente, lui sembrava non ascoltarmi.
La speranza era sempre l’ultima a morire ed infatti chi lo diceva non mentiva mai.
-…sei me.- rispose finalmente guardandomi negli occhi. Anche se erano ancora duri e cupi, l’avermi risposto, anche solo ascoltato era un buon segno.
-Purtroppo Sheena le cose sono più complicate di come sembrano.- mi disse guardando altrove.
Seguii il suo sguardo e vidi che Eric e compagni, dovevano trovarsi ancora nella mensa perché non era uscito ancora nessuno e i soldati erano fermi con le armi in mano a pattugliare il posto.
-Lo so.- risposi.
-Devo andare, mi sono avvicinato troppo.- disse e cominciò ad allontanarsi correndo.
Avrei voluto dirgli tante cose ma non potei.
Smisi di guardare l’orizzonte quando lui ormai era lontano e i miei occhi non potevano seguirlo più.
Non so cosa sarebbe successo in futuro, quale sarebbe stato il suo destino, il nostro destino, sapevo solo che avrei fatto di tutto per salvarlo e che era più al sicuro tra gli esclusi che tra i pacifici.
Decisi che se non volevo far tardi al mio primo giorno di lavoro, sarei dovuta rientrare.
Mi girai e tornai sui miei passi, dimenticandomi anche che a pochi metri avevo un ragazzo non proprio paziente e calmo.
Quando arrivai nelle vicinanze della mensa però nessuno fiatava, c’era un preoccupante silenzio, rotto avvolte dalle parole di qualcuno. Non potevo sentire cosa stesse dicendo perché ero troppo lontana. Decisi di uscire allo scoperto e di passare davanti  la vetrata che fungeva da muro della mensa.
Fu quando mi ritrovai inconsapevolmente a girare lo sguardo verso di essa, che mi accorsi a cosa era dovuto tutto quel raccapricciante silenzio.
Una fila di pacifici con gli sguardi allarmati e preoccupati, stava in pedi di fronte ad un ragazzo intrepido che li passava in rassegna con un aggeggio in mano che puntava diligentemente sui visi di ognuno di loro.
Non capivo a cosa servisse quell’aggeggio, sicuramente prodotto dagli eruditi, non l’avevo mai visto prima d’ora. Era una sorta di asticella che ogni qual volta veniva premuta si accendeva uno schermo rotondo tridimensionale  da cui apparivano poi cinque icone, che da quella distanza non potevo vedere di cosa rappresentassero.
Confusa, alzai le spalle e ricominciai a camminare, mettendo le mani nelle tasche della felpa.
A distanza di tre metri dallo spettacolo a cui avevo appena assistito, sentii bussare qualcuno da dietro la spalla. Senza pensarci, ma soprattutto ingenuamente, mi girai mancando un battito quando mi resi conto chi mi trovavo di fronte.
 
***
 
-Guarda, guarda cosa abbiamo qui! Una piccola bugiarda. Cosa ci fai da queste parti, se non sei stata reclutata per la missione?
Caroline, che si era allontanata dalla mensa, mi si stagliava di fronte con i suoi capelli biondi e i suoi occhi blu famelici ricoperti da una spessa matita nera. Il tono derisorio che aveva usato nei miei confronti, mi fece fremere di rabbia che passò subito quando mi ricordai che l’unico modo per uscire illesa da quella situazione, era quello sembrare il più possibile calma ma soprattutto indifferente alla sue false, più che veritiere, accuse.
-Correvo qui intorno e poi ho visto un camion, così sono arrivata qui per capire di chi fosse.
-Puoi chiederlo ad Eric, lui saprà confermarti quello che ho appena detto.- aggiunsi con un sorriso malefico.
Chi la fa, l’aspetti.
Ero ormai stanca di farmi deridere per l’origini da cui provenivo. A quanto pare gli unici trasfazione ben accetti erano gli Eruditi.
-Okay, mi hai convinta puoi andare.- mi rispose regalandomi un falso sorriso.
-Allora ci vediamo in giro, salutami Eric.- risposi continuando con quel gioco.
Lei però continuò a sorridere e a salutarmi con la mano sinistra e  il palmo aperto.
Prima che la situazione degenerasse e si capisse dal mio sguardo che mentivo, mi girai di spalle intenta a lasciarmi indietro quel posto.
Avevo fatto si e no duecento metri, quando sentii uno sparo da arma da fuoco provenire da dietro le mie spalle, seguito subito dopo, da urli disumani.
Mi  girai verso la direzione delle urla accorgendomi che provenivano proprio dalla mensa.
Colta da un senso di timore e preoccupazione, mi avvicinai di nuovo al posto in questione.
-Non puoi avvicinarti. E non mi interessa se ti scopi Eric!
Di nuovo quella voce stridula di Caroline, che questa volta mi aveva fermata dalle spalle.
-Che cosa era quello sparo?-  non la sentii  nemmeno e mi rivolsi con aria furibonda verso la biondina.
Il suo sguardo non era diverso dal mio, ma decise di non rispondere, ma di limitarsi a incrociare le sue braccia al petto.
Ci guardavamo con aria di sfida e nessuna delle due aveva intenzione di abbassare lo sguardo.
-Che cosa era quello sparo?- ripetei io, digrignando i denti.
Lei continuava a restare in un mutismo austero.
Allora con un sorriso beffardo mi girai e ricomincia a camminare.
-Ti ho detto che non me ne frega un cazzo se ti scopi Eric. Tu li non ci puoi andare!- mi urlò e contemporaneamente cercò di farmi cadere.
Avrei voluto picchiarla ma non potevo, perché lei era un capofazione, sarei stata cacciata se avessi fatto una cosa del genere. Lei questo lo sapeva bene. Il sorriso che mi regalava in quel momento, ne era la conferma. Ma ero più furba di lei, perché gli avevo dato modo di abbassare la guardia su di me, perché ora sembrava rilassata, sicura di se. Mi pulii i pantaloni e con uno scatto fulmineo cominciai a correre nella direzione dello sparo.
Accortasi di quello che avevo appena fatto, la biondina cominciò a corrermi dietro.
-Piccola sgualdrina impertinente! Se ti prendo di cavo gli occhi dalle orbite!
Lei continuava con il suo teatrino e io continuavo con il mio. Poi fermai la corsa quando finalmente giunsi a destinazione.
Mentre stavo riprendendo fiato e riportavo distrattamente lo sguardo oltre le spalle, l’ombra di un uomo si avvicinò a me, costringendomi a tornare dritta e rigida.
I suoi occhi verdi dello stesso colore dell’erba mi scrutavano indagatori e arcigni, mentre mi puntava il fucile lucente addosso.
-Lei non è autorizzata ad entrare. Signorina deva rimanere qui.
Quella tuta nera risuonava distorta in mezzo a quella vegetazione che vestiva i colori del giallo e dell’arancione, tipici dell’autunno inoltrato.
-Che cosa sta succedendo la dentro di così segreto perché io non possa entrarvi?
E intanto cercavo di guardare oltre le sua spalle, zampettando sul posto, mentre il soldato si muoveva al muoversi del mio corpo. Eravamo lì, che ballavamo quella strana danza e nessuno dei due sembrava cedere per primo.  Io di certo, non l’avrei fatto. Però non riuscii a vedere niente e quindi, dovetti cercare un’altra soluzione.
Mi allontanai dal soldato con le mani nelle tasche e ritornai su i miei passi.
In realtà stavo cercando di entrare da un’altra parte.
Era un passaggio segreto, una crepa nel retro della cucina che non era stata mai riparata.
Feci il giro tra le case del campo e poi, aspettando che un soldato di pattuglia girasse lo sguardo lonatno dalla mia direzione, uscii da dietro il muro di una casa e correndo furtivamente raggiunsi la cucina, adiacente alla sala della mensa.
La cusina era stata costruita con il legno di acero e lì dentro, faceva caldo sia in estate che in inverno.
Tra quelle palanche che andavano a formare i muri, uno di esse, si era purtroppo con il passare del tempo, allentata e così alzandola sgusciai all’interno di essa.
L’odore di purè di patate e di verdure grigliate, mi riempì le narici riportandomi ad un’infanzia felice, quando tutto correva leggero tra una folata di vento caldo e un gioco tutto da scoprire e da inventare.
In un attimo in quella mensa solitaria tornò il sorriso di mia madre, lo sguardo sognatore di mio fratello e il caldo abbraccio di mio padre.
Accompagnata da quel silenzio incantatore cominciai a piangere.
Quelle lacrime avevano il sapore della memoria e della mancanza, ma anche del perdono e della rabbia, per quella vita che mi aveva tolto tutto subito, quando non ero ancora pronta a farlo.
Presa da me non sentii nemmeno quando un altro sparo squarciò l’aria ma quella volte fu decisamente più forte. E poi arrivarono anche gli urli e così corsi a vedere cosa stesse succedendo.
Nascosta dietro lo spiraglio della porta la scena che mi si presentò davanti mi ridusse in poltiglia, affogandomi nella disperazione e in quella realtà che avevo distorto a causa del sentimento più nobile.

Eric impugnava una pistola.
Eric guardava gelido l’uomo disteso in terra. Come se fosse una mosca fastidiosa.
Eric era aveva ammazzato un uomo.

 

Eric


Li odiavo. Odiavo la loro incessante e impertinente bontà. I loro vestiti gialli. I loro sorrisi sempre stampati su quella faccia. Il loro essere ignavi.  
Se c’era una cosa che avevo imparato in quegli anni era che la vita non ti sorrideva mai, che la realtà era modellata non secondo il tuo volere, ma secondo il volere di qualcun altro, di qualcuno più forte e più potente di te. Certo questa cosa mi aveva da sempre infastidito e il pensiero di essere come tutti gli altri, mi faceva andare il sangue al cervello, così avevo deciso di seguire il mio lato narcisista ed eccomi qui,  a fare pulizie di primavera. 
Un altro uomo cadde come un sacco sul pavimento e altri gridolini riecheggiarono  nella stanza dal soffitto alto.
Mi voltai e rivolsi l’attenzione alla donna che in ginocchio, le stava vicino.
Piangeva sommessamente e singhiozzava come una matta disperata, mentre dentro di me una rabbia e la noia si univano e graffiavano per farsi ascoltare. Me ne volevo andare da lì, nascondere tutto a Sheena e continuare con il piano messo in atto dagli eruditi per controllare Chicago. Questo era solo il primo passo, poi sarebbe toccato agli intrepidi stessi, a quei bugiardi arrampicatori sociali degli abneganti ed infine ai cari e sinceri, candidi che forse detestavo di più, anche di questi patetici in tuta gialla.
-Allora tesoro bello, vediamo se sei o no una bugiarda.
Accesi l’orologio a prova di divergenti e lo misi sulla faccia della pacifica.
Dopo pochi secondo il giocattolino, invenzione deli eruditi, con una voce metallica restituì l’esito “Pacifica”.
-A quanto pare siamo stati sinceri, ma non così tanto da nascondere tuo marito. Portatela via!
La donna cominciò a pregare e a urlare di aver salva la vita, ma ormai era troppo tardi la decisone era stata presa. Doveva pensarci prima. Inoltre doveva servire da monito a tutti perché con Eric non si scherzava.
Improvvisamente sentii un rumore provenire da fuori, come il rumore delle pallottole volanti e al tutto si unirono poi, una serie di voce indistinte. MI guardai con Max, che nel frattempo mi rivolgeva lo sguardo con quelle pozze nere che si trovava di fronte come sorpreso e irritato allo stesso tempo. Non ci fu bisogno di parole perché entrambi, dopo aver fatto scattare la sicura, uscimmo di corsa dalla mensa.
Lo spettacolo che ci si presentò davanti gli occhi, fu sdegnoso.
Schierati come una perfetta guarnigione di soldati, gli esculi puntavano e sparavano all’impazzata proiettili con i loro fucili, mirando precisi i corpi dei soldati intrepidi, che con riluttanza gli tenevano testa.
Cercai con lo sguardo Caroline ma l’unica cosa che i miei occhi puntarono, fu una testa di capelli neri corvino e una mascella squadrata troppo simile ad una persona di mia conoscenza. Quello era il fratello di Sheena, Travis. 




Spazio Autrice
Salve a tutti come vedete non sono morta!
Finalmente sono riuscita a finire questo capitolo e ho decisamente capito, come far finire la storia.
Ve lo dico subito, preparate i fazzoletti miei care ragazze. 
Però non so se saranno dieci o meno di dieci capitoli, fatto sta che c'è ancora da scrivere.
Per oggi è tutto e se vi va, passate a leggere la mia nuova storia, tutta originale e partorita proprio dalla mia mente. La trovate sul mio profilo.
Come sempre fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo, lasciando una semplice recensione.
Adios Chicas! 






 
   
 
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