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Autore: acciosnape    31/05/2016    1 recensioni
Ricordava la figura maschile dal completo scuro, gessato, elegantissimo e probabilmente anche costosissimo seduta al fianco sinistro del letto, dove riposava un giovane Sherlock stremato dai sedativi e le mille domande che si pose e che vennero esaudite non appena la figura si alzò e si presentò.
[ Mystrade ispirata ad un roleplay. ]
INCOMPIUTA - ho deciso di riscriverla, modificandone alcuni pezzi, nome compreso e magarli darle un giusto finale. Spero di ripubblicarla presto!
Genere: Angst, Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Lestrade, Mycroft Holmes, Quasi tutti
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta
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File 13.

“ … tu puoi tutto, no? ”

Lestrade era un tipo sveglio, a discapito di quanto pensassero le persone e difatti, non passò inosservata la stanchezza che in quell'ultimo periodo accompagnava Mycroft: qualche antidolorifico in più e movimenti impercettibilmente svogliati; anche il sonno era particolarmente irrequieto, ma si premurò comunque di chiedergli il minimo indispensabile, deducendo soltanto quel mal di testa un po' troppo persistente.
La presenza del fratello in casa, sicuramente non poté giovare più di tanto alla sua salute, considerando il suo comportamento scapestrato: l'incendio doloso causato da un esperimento uscito malissimo al 221b di Baker Street gli era costato infatti una denuncia – subito ritirata grazie a Lestrade stesso ed uno schiaffone dritto in volto da Mrs. Hudson (come biasimarla?).
Tutta questa rabbia aveva un nome: John Watson. Sherlock non prese poi così bene la presenza di Mary Morstan nella vita del medico, i conseguenti sentimenti e le decisioni prese, e questo si ripercosse in modo tutt'altro che positivo in ogni suo esperimento.
Mycroft stesso gli impose di passare qualche giorno in casa sua – in casa loro –, in modo da averlo sempre sotto gli occhi, con la certezza che non riprendesse cattive abitudini da cui, con molta fatica, erano riusciti a tirarlo fuori; era risaputo, ormai che il controllo era una delle sue migliori armi, e non si sorprese più di tanto in quei giorni, a vederlo soltanto la sera in camera da letto, e andava bene così, poiché sapeva di essere secondo al fratello.

*

« Ho bisogno di un t
é e di una dormita. »
La voce pigra di Mycroft proveniva dalla poltrona in cui aveva preso posizione e voltandosi, Lestrade lo vide massaggiarsi urgentemente la fronte: non aveva nemmeno la voglia di prendere il portatile e controllare le mail, come era suo solito fare una volta terminata la cena – probabilmente Anthea avrebbe avuto doppiamente da fare quella sera.
Greg dal canto suo non poté che dedurre ancora una volta una lunghissima e pesante giornata e, posando il documento che stava leggendo, lo guardò, corrucciando l'espressione.

« Posso sapere cos'è successo? – chiese con tono docile, avvicinandosi – Non voglio sapere cose che non mi riguardano, voglio solo sapere come stai, fisicamente; ultimamente sei sempre svogliato e insomma... non è da te. »
« Sto bene, Gregory. – sospirò appena, rimettendosi in una posizione composta – Sono solo stanco. »
Evitò di guardare il compagno in volto, guardandosi per diversi istanti la mano destra e Gregory seguì con lo sguardo ogni sua mossa, cercando di leggere come meglio poté quel “sto bene”, palesemente campato in aria.
« D'accordo. – si arrese, restando fermo per diverso tempo e schiarì appena la voce – Lo sai, che se hai bisogno di me sono qui, no? »
« Perché dovrei, aver bisogno? »
Mycroft dalla sua posizione alzò lo sguardo, incatenandolo a quello dello yarder restando in silenzio, osservandone solo l'espressione; anche per lui, quella relazione, quelle premure erano nuove, pensò Gregory col senno di poi, non se la prese più di tanto per quella domanda, che suonava molto di più come affermazione: avevano bisogno di molta pazienza.
« Perché sono il tuo compagno. »
Restò immobile sulla poltrona, continuando ad osservare la sua figura, fin quando non prese un respiro e si alzò, distogliendo quasi a forza lo sguardo da quello di Greg.
« Voglio stare da solo adesso, Gregory. Per un po'. Scusami. »

*

« Devo parlarti, fratello. »
Esordì, entrando nella stanza in cui il minore era ospite, lontano dagli occhi e dalle orecchie di Gregory, ormai dormiente. Sherlock gli lanciò un'occhiata torva, sentendosi completamente invaso nei suoi spazi; Mycroft restò in piedi per qualche istante di fronte alla porta chiusa alle sue spalle, sedendosi poi sull'unica poltrona della stanza.
Sherlock chiuse il portatile, osservando il maggiore socchiudendo gli occhi, cercando di fare ciò che meglio gli riusciva: dedurre. Ma con Mycroft era difficile, se non addirittura impossibile.
Silenzio, muscoli del viso e del corpo troppo rigidi, pause verbali non programmate: preoccupazione.
« Non riesco a capire i tuoi silenzi. Parla. »
Probabilmente gli costò molto ammetterlo, ma l'espressione seria del maggiore fece capire che non era il momento di competere con le solite, stupide gare di furbizia.
Inumidì le labbra con la punta della lingua, ponderando attentamente alle parole da esporgli.
« Oggi ho dovuto interrompere una conferenza, i motivi sono stati problemi di vista, udito e tatto. È durato molto poco, all'incirca un minuto. Non voglio apparire preoccupato, ma sai a che sintomi corrispondono. – fece una pausa, sentendo a malapena il respiro del fratello minore – Non è la prima volta che capita, ma le altre volte non ho mai dovuto interrompermi. »
Silenzio, muscoli del viso e del corpo troppo rigidi, pause verbali non programmate: preoccupazione.
« Mycroft. – lo interruppe, nascondendo preoccupazione – Vai –.»
« Non posso. – fece una smorfia – Nel mio lavoro ogni visita medica viene annotata, non vorrei che annotassero anche questa cosa da poco, così che arrivi alle orecchie di Gregory e possa chiedermi altre dieci volte cosa ho che non va. »
« John, pur non essendo uno specialista, è comunque un dottore. Pensaci. »
Quanto gli era costato a Sherlock, tirare in ballo John in quel momento? Non volle pensarci più di tanto, concentrandosi su quanto grave fosse ciò che stava capitando al fratello.
Quanto invece erano vere le parole del fratellino? John Watson era da sempre un ottimo dottore, sprecato per le cliniche ed ambulatori da quattro soldi in cui era solito farsi assumere.
In un fascicolo nel suo studio, Mycroft aveva un vasto curriculum sulle capacità del Dottore e pur di non far sapere al mondo intero della propria situazione, Mycroft Holmes era disposto ad abbassarsi al livello del Dottor Watson, piombando nell'appartamento di Mary Morstan il giorno dopo, minacciando entrambi di non farne parola con nessuno.

*

« Sei uno straccio. »
Alzò per diversi istanti lo sguardo visibilmente infastidito verso la voce di Lestrade, seduto accanto a lui sul divano in pelle, forzando un sorriso sarcastico e passandosi per l'ennesima volta una mano sul viso.
Non gli faceva poi così piacere nascondere quel tipo di informazioni a Gregory, ma in quei pochi mesi di convivenza, aveva forse capito cosa fosse conveniente dire e cosa no, anche sui gravi problemi di salute.
« Grazie per avermelo fatto notare. Ho voglia di brandy, ne vuoi? »
Mentre provò a far leva sulle braccia per alzarsi, Lestrade lo anticipò, poggiandogli delicatamente una mano sulla spalla, invitandolo a non alzarsi inutilmente.
Quest'ultimo doveva ancora imparare a tenere a freno quella sua premurosità che il più delle volte mostrava senza nemmeno volerlo.
Andò dalla vetrinetta, prendendo ormai per abitudine due bicchieri in cui versò il liquido ambrato, per poi passarglielo e riprendere posizione sul divano. Mycroft afferrò pigramente il bicchiere, portandoselo alla bocca, finendo in un sol sorso il brandy, lasciando Greg con un'espressione pressapoco scettica.
« Gregory. – sospirò, evitando ancora quello sguardo che l'Ispettore cercava quasi disperatamente – Ho solo avuto una giornata pesante a lavoro. Non è sempre facile muovere le pedine. »
« Non sono stupido, sai? »
Ed era vero, non era stupido.
Solo, non riusciva a comprendere il perché di quel silenzio; in fondo era della salute che si stava parlando, non di lavoro o missioni segrete.
Mycroft, come Greg immaginò, sviò il discorso con il tono di chi non ammetteva repliche e si alzò, nascondendo lo sforzo e si diresse verso la camera da letto.
« Ti amo, Mycroft. Buonanotte. »
Lasciò sfuggire Gregory, una volta presa posizione in quello che era diventato il suo posto, ricevendo un'occhiata torva dal compagno; ma lentamente si avvicinò in silenzio, fino a toccarlo con tutto il corpo, sfiorandogli uno zigomo con la mano, fin quando non posò le labbra sulle sue, provando a rassicurarlo come meglio poté. Era questo che facevano le persone comuni, no?
« Lo so. – sospirò coprendosi, e trovando una posizione migliore per entrambi – Anche io, nonostante creda di non esserne in grado. »

*

Nei giorni seguenti le condizioni di Mycroft non cambiarono poi molto, anzi: a volte rientrava ad orari davvero improponibili e la sola e unica voglia di Gregory era quella di vederlo riposare; vi fu una sera in cui arrivò a malapena al letto, in cui si costrinse ad appoggiarsi di tanto in tanto al muro del corridoio, e non passò inosservato agli occhi di Lestrade, che ormai era tranquillo solamente quando Mycroft si trovava tra le sue braccia sotto le lenzuola, e poteva controllarlo personalmente per qualche istante senza premurarsi di nasconderlo.
Si chiese perfino se avesse fatto dei controlli in ospedale, dal suo medico o da qualcuno con uno straccio di qualifica in grado di tirarlo fuori dallo stato in cui si trovava.

*


Ci sono possibilità di non vederti uno straccio questa sera?
SMS da Gregory – 09.29
Gregory, da qualche tempo a questa parte, soffro di una forte emicrania.
SMS da Mycroft – 11.06
Ci voleva così tanto a dirmelo?
SMS da Gregory – 11.07
Non era rilevante.
SMS da Mycroft – 11.26
E il motivo è? Immagino sia perfettamente normale rientrare in casa ad orari impossibili e nelle tue condizioni. Non sono stupido, te lo ripeto.
SMS da Gregory – 11.32

*


La sua giornata era iniziata male, ed aveva quasi paura di sapere coma sarebbe continuata; le risposte del suo Consulente Investigativo sul caso a cui stavano lavorando non arrivarono e quei silenzi per niente da lui per un caso da 7, non fecero che dargli la conferma di quanto stava pensando e ripensando da giorni. Era il re della pazienza, e a New Scotland Yard lo sapevano tutti... peccato che l'avesse persa tutta in una giornata.
Dulcis in fundo, il superiore gli rese il tutto ancora più un inferno per via delle lamentele ricevute dai sottoposti novellini. Insomma, non era colpa sua se era circondato da un branco di incapaci. E una volta fuori dall'ufficio dell'idiota del superiore, salì in macchina prendendo malamente il cellulare dalla tasca.
Te lo chiedo una sola volta. Dove accidenti sei adesso?
SMS da Gregory – 18.02

Per la prima volta da quando era diventato “il freddo e calcolatore Mr Holmes”, “il Grande Fratello che aveva occhi e orecchie ovunque”, non sapeva più come tenere lontano Gregory da quanto gli stava succedendo, e il non sapere lo mandava in paranoia. Immaginò, dedusse la giornata di Lestrade soltanto tramite quel messaggio, capendo che non poteva più nascondere come avrebbe dovuto e soprattutto voluto quella situazione a Gregory.
Prese diversi minuti prima di rispondere; poche parole, ma concise.
Sono in clinica. Ho fatto una TAC.
SMS da Mycroft – 18.25
E..?
SMS da Gregory – 18.48
Neoplasia T3.
SMS da Mycroft – 18.49
In parole da comuni, di cosa si tratta?
SMS da Gregory – 18.52

Nessuna risposta.
Improvvisamente sentì un peso sulle spalle, sul cuore e un groppo in gola che non riuscì a togliersi nemmeno fumando in meno di tre minuti una sigaretta e anzi, non faceva che aumentare.
Amava quando Mycroft mostrava tutto il suo intelletto, ma odiava quando lo faceva con lui, usando terminologie spaventose e a lui sconosciute, come in quel momento.
Era già sulla via della clinica e non si premurò neppure di chiedere quale fosse, perché le persone come Mycroft non potevano permettersi il “lusso” della via pubblica, agendo all'oscuro di tutto e tutti. Soltanto una volta gli permise di sapere quale fosse ed era lì che era diretto. Non tardò ad arrivare e grazie al distintivo riuscì ad entrare senza problemi.
Il peso non faceva che aumentare passo dopo passo mentre raggiungeva il reparto neurologico e ad aspettarlo fuori dal reparto c'era l'assistente personale del politico, che questa volta non stava digitando sul Blackberry; nessuno dei due proferì parola e la donna lo accompagnò soltanto nella hall del reparto.
Prima che formulasse anche solo un pensiero di senso compiuto, la figura scura del minore degli Holmes si mosse, seduto sulla poltrona in cui era.
« Tumore al lobo temporale di terzo stadio. »
Silenzio.
Greg mancarono sia il respiro che le forze, e dovette reggersi con forza alla prima superficie rigida disponibile; quella sorta di apnea durò più del dovuto, tanto che prese un rumoroso respiro, prima di proferire, finalmente parola, accompagnato da un sorriso più che sarcastico.
« Bugiardi. – scosse la testa – mi state prendendo per il culo tutti e due. »
Il suo sguardo, infine si posò sulla figura di Mycroft, in disperata ricerca di una qualsiasi smentita, dalla quale però non ricevette nulla, neppure il suo sguardo.
Perfino il Dottor Watson li raggiunse, e poco dopo si ritrovò a parlare con l'Ispettore fuori sul balcone del reparto, mentre quest'ultimo fumò l'ennesima sigaretta e vista la gravità della situazione, questa volta il Dottore tenne per sé il fatto che se avesse continuato così, i suoi polmoni ne avrebbero sicuramente risentito.
Raschiò la voce, prima di parlare ed ottenne l'attenzione di Greg: ammise di essere stato proprio lui a consigliargli uno specialista, raccontandogli anche le molteplici storie che Mycroft aveva fatto al riguardo e anche i rischi che comportava ogni azione scelta, le minacce che non mancarono, se soltanto gli fosse scappata una singola parola e al suo riavvicinamento con Sherlock, il quale li raggiunse, facendo soltanto cenno a Lestrade di entrare.
Rimase in piedi di fronte a Mycroft, prendendo posto molto lentamente al suo fianco, parlando poi con un fil di voce, nonostante fossero completamente soli.
« Guarisci. – cercò silenziosamente la sua mano – tu puoi tutto, no? – lo guardò con un'espressione più che distrutta – Quindi guarisci. Ti prego. »
« Santo cielo. Non sei sensato. »
Parlò, per la prima volta dall'arrivo dello yarder, come se lo avesse destato dal suo Mind Palace per l'ennesima volta; il tono era lo stesso, composto e deciso. A stento probabilmente capiva cosa provasse Gregory in quegli instanti e finalmente voltò il capo, guardandolo.
Avvicinò la mano a quella del compagno e lentamente la strinse, distogliendo poi lo sguardo.
« Non vedo – ammutolì per un attimo, cercando le parole adatte massaggiandosi la fronte –, non vedo molto bene alla mia destra. »
Sentire quella terribile conferma dalla voce del suo Holmes, lo rese tremendamente reale e fece male, peggio delle sparatorie in cui talvolta era protagonista. Lasciò la mano di Mycroft alzandosi e prese posto dall'altro lato della poltrona.
« È un incubo, non è vero? Insomma – »
E la sua voce si ruppe senza poterlo controllare; prese un respiro profondo, riprendendo il controllo delle emozioni.
« Perché non me ne hai parlato subito, dall'inizio? Cristo, Mycroft, mi sarei preso cura di te, come hai fatto tu con me e – »
« Perché era troppo, per te. – lo guardò, interrompendolo – E infatti lo è, a stento trattieni le lacrime. »
Questa volta fu Greg a distogliere lo sguardo e prese un altro respiro: non avrebbe permesso alle lacrime di rigargli il viso, non in quel momento.
I dottori non tardarono ad arrivare con fogli per un immediato ricovero, e le varie terapie, di cui ne richiese una copia anche l'Ispettore.
La posizione lavorativa di Mycroft era molto influente anche in ambito clinico, poiché tutti stavano alle sue regole, e infatti Lestrade poté restare fino a tarda ora, in quella che era diventata la stanza di Mycroft.


*

Una, due, tre sigarette: una dietro l'altra, come se ogni tiro potesse ostruire anche i pensieri, oltre che il respiro affannato ed i polmoni, carichi di fumo, smog e agenti chimici respirati in anni ed anni di servizio.
Uno, due, tre bicchieri di brandy: uno dietro l'altro, come se l'alcool potesse cancellare quel che è stato, riportarlo da lui, sano.
Il liquido scendeva e bruciava, così come il suo cuore, che in quel momento avrebbe preferito strapparselo dal petto e chiuderlo in una cassetta, a chiave.
Strinse gli occhi ricacciando a forza le lacrime da dove erano venute e decise di abbandonare quel freddo di dicembre, rientrando nella loro stanza, ora colma di solitudine: Mycroft non era in una suite da qualche parte nel mondo a causa dei comizi politici, Mycroft si trovava in una stanza d'ospedale.
Stentava ancora a crederci, nonostante tutto, nonostante le cartelle cliniche lette e le parole dei medici e sperò si trattasse di uno stupido incubo, ma vedendo il vuoto del lato del letto l'indomani, capì quanto fosse reale. Meccanicamente si alzò e si preparò, senza nemmeno toccar cibo, né tanto meno avvisare i domestici; erano furbi, quelli, probabilmente sapevano più di quanto sapesse Lestrade stesso.
In ufficio e sulle scena del crimine di quel pomeriggio, nessuno osò rivolgergli la parola, se non per estrema necessità, ed una volta concluso il turno, si diresse in clinica, e così furono le giornate a venire, che non fecero che peggiorare.
   
 
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