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Autore: Eternal Fantasy    20/08/2003    4 recensioni
Una storia di vita perduta e ritrovata nella bianca e impietosa cornice del Regno dei Ghiacci Eterni. Perché da ogni fine nasce un nuovo inizio..."
Genere: Dark, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dynast Graushella, Personaggio originale, Sherra
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una storia di vita perduta e ritrovata nella bianca e impietosa cornice del Regno dei Ghiacci Eterni. Perché da ogni fine nasce un nuovo inizio…

 

 

Il Cuore dei Ghiacci

Scritto da Eternal Fantasy

 

 

La carovana avanzava arrancando sul sentiero coperto di neve. Era solo l’inizio dell’autunno, ma lì tra i monti Kataart, vicino al Circolo Polare Artico, l’inverno regnava incontrastato tutto l’anno. La vita era difficile, ma quel clima inclemente aveva forgiato il corpo e la mente degli esseri umani che vivevano sul confine del Regno dei Ghiacci Eterni, perché quella era la volontà del loro Signore: solo chi era abbastanza forte da convivere con la sua aspra legge aveva il diritto di abitare quella terra.

La giovane donna alzò lo sguardo verso la cima della montagna: quel luogo era il più bello del mondo ai suoi occhi; non per la prima volta, desiderò vedere le meraviglie che si celavano oltre il Confine: le infinite distese polari interdette agli uomini dove vagavano le creature del Nord, i Demoni del gelo, gli Spiriti nati dal freddo… e giungere un giorno al Polo, per scorgere il favoleggiato Palazzo dei Ghiacci… la dimora del mitologico Re di quel regno, Demone potentissimo e immortale considerato dagli uomini mera leggenda… ma non da coloro che vivevano sotto la sua egida, che sentivano la sua presenza in ogni respiro di quell’aria frizzante.

La ragazza fu destata dalla sua contemplazione dal richiamo del padre:

“Hilda! Non restare indietro!”

Lo raggiunse: “Papà, andremo a Nord un giorno?”

L’uomo rise: “Più a Nord? Ancora con la tua fissazione? Oltre il Confine vivono solo gli animali selvaggi e i Demoni; non sono clienti per mercanti come noi. No, figlia” tornò serio “accontentati della compagnia dei tuoi simili. La benevolenza delle Potenze si paga sempre a caro prezzo.”

La giovane rimase colpita da quelle parole, ma nel suo cuore appassionato non si spense il desiderio, bensì avvampò più forte.

“Non pensare al Nord.”

Trasalì. Alle sue spalle si era avvicinato il nuovo elemento della carovana, che si era unito a loro nell’ultimo paese che avevano visitato: era un giovanotto allegro e spigliato, e le piaceva molto. Lui continuò con disinvoltura: “Perché piuttosto non vieni a Sud con me? Andremo via da questo freddo e ci divertiremo sotto il sole.”

Continuò a lungo a descrivere la vita nelle terre dell’estate, ma lei lo udiva senza ascoltare: la sua casa era lì e non avrebbe mai potuto andarsene.

 

La luce diminuiva lentamente a quella latitudine, dove le giornate erano brevi. Il capo-carovana diede l’ordine di fermata quando cominciarono a cadere i primi fiocchi di neve. La compagnia cominciò a disporsi per affrontare la notte e Hilda si allontanò per raccogliere un po’ di legna; al ritorno udì d’un tratto risuonare urla di spavento. Vide con orrore uomini armati che assalivano i carri, combattendo ferocemente contro suo padre e gli altri mercanti, che cadevano uno dopo l’altro davanti a quelle belve. Sua madre corse verso di lei, paralizzata al limitare della foresta di abeti; tentò di gridarle di fuggire, ma l’urlo le si mozzò in un gorgoglio soffocato, tranciato dalla spada di un brigante che le aveva tagliato la gola. L’assassino si voltò verso di lei, che si diede alla fuga, e insieme ad altri due scellerati cominciò a inseguirla.

Lei correva con tutte le sue forze, senza capire dove stava andando. Solo quando scivolò rischiando di cadere malamente si rese conto di aver raggiunto il ghiacciaio. Si guardò alle spalle e vide che i malviventi stavano per raggiungerla, sulle facce crudeli un ghigno famelico e malvagio che la riempì di terrore: capì che non si sarebbero limitati a ucciderla, prima avevano in serbo per lei qualcosa di molto peggio.

Spronata dall’orrore e dal panico riprese ad arrampicarsi, si ferì le mani sul ghiaccio ma la sua disperazione era tale che non si rese neppure conto delle rosse macchie di sangue che deturpavano la purezza di quel gelido candore. Allo stremo delle forze, inciampò e cadde. Le lacrime che scorrevano copiose dai suoi occhi si congelavano sulle sue guance, tese le mani e innalzò un’implorazione: “Aiutami ti prego, salvami, e la mia vita sarà tua.”

L’eco di quella promessa non si era ancora spenta che il vento s’alzò.

I banditi erano a pochi passi, ma un turbine di neve li fece arrestare. Quando posarono gli occhi sulla loro vittima, s’immobilizzarono. Lei tentò di rimettersi a sedere, ma rialzando il volto vide davanti a sé gli zoccoli di un cavallo.

Era molto più grande della norma, con una muscolatura poderosa sotto il manto candido come la neve; la coda e la criniera erano lunghissime e folte, e sulla fronte spuntava un eburneo corno a mezzaluna affilato come un rasoio. Non era un comune cavallo: dalla bocca spuntavano lunghe zanne, e i suoi occhi brillavano di una glaciale fiamma azzurra. Lei riconobbe l’animale mitologico di cui parlavano le leggende: un Mesmerize, feroce destriero demoniaco, cavalcatura prediletta di…

Senza fiato, sollevò un altro poco lo sguardo. Lo stallone era bardato di raffinati finimenti e sulla sella sedeva un Cavaliere rivestito di un’armatura lucente e preziosamente intarsiata con fregi e simboli misteriosi, solo in parte coperta da un ampio mantello bianco, le cui eleganti pieghe venivano agitate dal vento che depositava cristalli di neve sull’orlo di pelliccia e tra le lunghe piume del cimiero. Restava immobile, ma dalla sua persona emanava un gelo che sembrava fermare il tempo stesso.

Hilda percepì il suo sguardo su di sé e tremò, sentendosi scrutare fino in fondo all’anima da quegli occhi invisibili. Egli terminò il suo esame e la sua attenzione si spostò sui tre criminali; alzò una mano, lentamente, solennemente. Lei vide la loro carne sbiancare e farsi azzurrina, sempre più lucida e trasparente. Lui strinse la mano a pugno e i corpi congelati dei tre assassini si frantumarono in una pioggia di schegge.

Tremando, si voltò verso il suo salvatore, non osando rialzare gli occhi su di lui. Egli non parlò. Con gesto altero, scosse le redini per andarsene. Mentre oltrepassava la giovane ancora inginocchiata nella neve, un morbido sussurro nel vento raggiunse le orecchie di lei:

“Rammenta la tua promessa.”

Come ridestandosi, si rialzò e si volse verso di lui: “Ti supplico, Signore, dimmi il tuo nome!”

“Il mio nome non è consono ad essere pronunciato da bocca mortale.” Una stilettata glaciale.

Dopo lunghi attimi di silenzio riprese a parlare con voce atona: “All’estremità del ghiacciaio c’è un luogo abitato dagli umani. Và, e dì loro che questo è il mio volere.”

La ragazza chinò il capo in segno d’assenso. Quando lo rialzò egli era scomparso, svanito in un turbine di neve.

 

La notte era ormai calata, ma i suoi passi erano come guidati da una forza invisibile che allontanava ogni ostacolo dal suo cammino, finché giunse al villaggio. Era un insieme di case robuste e resistenti alle intemperie; si diresse senza esitare verso quella più grande, dove si riuniva la gente alla fine della giornata. Grande fu lo stupore di tutti all’arrivo della sconosciuta; ma quando ella narrò loro la sua vicenda, su quei volti duri segnati dall’inverno perenne lo stupore venne sostituito da un’espressione di reverenziale rispetto, e nei loro occhi brillò una segreta meraviglia.

Lui non si mostrava a occhi mortali dalla notte dei tempi; ciò che era accaduto a quella giovane donna aveva sicuramente un significato che andava oltre la loro comprensione. Consapevoli di ciò che il Signore del Nord si aspettava da loro, l’accolsero nella loro comunità.

Hilda si trasferì al villaggio e tentò di lenire il dolore per la tragedia della sua famiglia; ma pochi giorni dopo qualcosa la riportò a galla: Sean, il ragazzo che si era unito alla carovana, giunse in paese. Lei gli corse incontro e quando lui la vide sul suo viso si dipinse uno stupore quasi spaventato: “Tu… come puoi essere ancora viva?”

Lei rimase perplessa dal suo atteggiamento, ma la felicità di saperlo scampato all’agguato dei banditi mise in secondo piano ogni sospetto; gli offrì di ospitarlo ed egli, notando come lei fosse oggetto di grande deferenza nel villaggio, accettò.

Il loro legame si fece sempre più stretto finché, durante la festa di mezz’inverno, resero nota la loro relazione dichiarando di volersi sposare in primavera. Hilda era convinta di aver finalmente trovato la felicità, ma le sue speranze vennero crudelmente disilluse pochi giorni dopo.

Riordinando gli effetti personali di colui che considerava il suo fidanzato, trovò un consistente numero di monete a cui lui non aveva mai fatto cenno… e, a confermare i suoi più terribili sospetti, nascosto in un sacchetto vi era il medaglione che suo padre aveva sempre portato al collo fino al giorno della sua morte. Impossibile sbagliarsi: all’interno vi era il ritratto della moglie, sua madre, macchiato di sangue.

Fu come se un velo le fosse stato tolto da davanti agli occhi: capì che l’uomo con cui divideva la sua vita aveva causato la morte dei suoi genitori. Anche lui faceva parte della banda che aveva assalito la carovana, era una spia mandata a infiltrarsi per segnalare il percorso dei mercanti e organizzare la trappola.

Fuori di sé per la rabbia e il dolore, uscì nella piazza urlando la sua verità. Sean accorse subito, la schiaffeggiò dandole della pazza, accusandola di mentire. Lei, piangendo lacrime di furia e disperazione, invocò a gran voce: “Mio Signore, ascolta la mia preghiera! Re del Nord, Cavaliere dei Ghiacci, tu che domini su queste terre, stabilisci la giustizia col tuo verdetto!”

Le nubi si addensarono celando il pallido sole, il vento di tramontana cominciò a soffiare e dal turbinare della neve emersero le sagome evanescenti di fluttuanti Spiriti elementali. Essi erano l’avanguardia del corteo che sfilò davanti agli occhi increduli degli umani: una muta di leopardi delle nevi apriva la processione, seguiti da sette cavalleggeri che reggevano sul braccio guantato sette candide civette. Seguivano sette cavalieri che reggevano lunghe lance, i cui vessilli azzurri garrivano fieri sotto le lame seghettate come arpioni. Dietro di loro avanzava un grande alce dal maestoso palco di corna; sulla sua schiena sedevano due gemelli, all’apparenza bambini di non più di dieci anni: vestivano in modo identico con tuniche dall’ampio panneggio bianco e blu, i loro occhi di un azzurro glaciale avevano lo stesso sguardo altero. L’unica cosa che li distingueva era il colore dei capelli: quello che reggeva le redini li aveva bianchi, l’altro neri. Il secondo portava l’asta di uno stendardo, sulla cui candida stoffa era ricamato in nero il simbolo del Re Supremo del Nord, l’Ha-Ou.

In perfetto silenzio, tutti i membri del corteo si disposero ordinatamente a semicerchio. I due priest gemelli, Grau e Nost, conficcarono l’asta nel centro della piazza e, come prescriveva il cerimoniale di un processo, si portarono ai due lati, attendendo l’arrivo del loro Master.

Il Re dei Ghiacci Eterni comparve. Affidò le redini del suo destriero al capitano dei suoi Cacciatori; smontò di sella e avanzò verso i mortali che assistevano come in un sogno a quello spaccato su un mondo soprannaturale. Gli abitanti del villaggio si prostrarono alla presenza del loro Sovrano, che infine si fermò in piedi davanti ai due rimasti immobili davanti a quello che, sentivano, sarebbe stato per loro l’estremo giudizio.

Egli non disse una parola. Con lentezza rituale, portò le mani ai polsi e nel silenzio si udì lo scatto metallico delle fibbie. Come comparsi dal nulla ai suoi fianchi, Grau e Nost ricevettero i guanti istoriati dell’armatura. Lui tese verso l’uomo e la donna le sue mani bianchissime dalle unghie trasparenti come ghiaccio.

“Prendete la mano che vi porgo.” Ordinò, con un tono che non poneva alternative.

Essi obbedirono.

Hilda credette di morire all’istante. Quel tocco era talmente freddo da bruciare la carne e l’anima, trapassava la sua essenza come una miriade di lame sottili, dilaniando le difese della sua mente e mettendo a nudo il suo spirito. Fu una sofferenza indicibile che le parve durare un’eternità, ma il contatto durò solo pochi istanti. Quando la giovane recuperò le proprie facoltà, vide che accanto a lei Sean era stato trasformato in una statua di ghiaccio.

Il suo giudice e carnefice allungò una mano verso il torace di quello che era stato un uomo e ne estrasse una luce che pulsava debolmente.

“La sua anima.” Mormorò per spiegarle.

“Cosa ne farai, Milord?” osò chiedere.

“Sconterà la sua pena. Vivrà, ma non potrà mai più tornare fra gli esseri umani; dovrà servirmi fino alla fine dei tempi: privo del suo corpo mortale, all’interno di un’armatura di ghiaccio, sorveglierà i confini del mio Regno.”

“Una condanna crudele.” Pensò Hilda tra sé.

“Ritieni ingiusto il mio verdetto?” domandò scrutandola nuovamente da dietro l’impenetrabile elmo.

“No. Lo ritengo spietato, ma non ingiusto. La giustizia non può essere pietosa.” Dichiarò lei, incrociando per la prima volta il suo invisibile sguardo. Le lacrime erano scomparse e i suoi occhi blu splendevano sicuri e fieri.

Egli annuì solennemente, come a rinnovare una propria decisione. Poi le voltò le spalle, rimontò in sella e scomparve insieme al suo seguito così com’erano giunti.

Hilda rimase in piedi, immobile, fissando lo sguardo in cui l’aveva visto svanire nella neve: “Rinnovo il giuramento, Mio Signore: la mia vita ti appartiene.”

 

Nelle settimane seguenti, Hilda cercò di dimenticare l’accaduto. Ma la vita aveva lasciato il suo segno dentro di lei: si rese conto di essere incinta. La prospettiva di aspettare un figlio dall’assassino della sua famiglia, dall’uomo che l’aveva ingannata e usata in modo tanto spregevole, la sprofondò nel più nero sconcerto. Fuggì dalla sua casa in preda a una folle smania; confusa e spaventata, s’inerpicò sul ghiacciaio: dove tutto era cominciato, lì sarebbe finito.

Ancora una volta si trovò ad arrancare sul ghiaccio in preda al panico, la mente annebbiata, senza rendersi conto del dolore alle mani e ai piedi scalzi, né del vento impetuoso che tormentava la sua pelle sotto gli abiti troppo leggeri. Nuovamente crollò tra la neve e levò la sua preghiera, di morte però, non di vita: “Signore, due volte già sei venuto in mio soccorso; ascolta la mia terza e ultima supplica: metti fine a questa mia vita che mi ha riservato tanti dolori in così poco tempo!”

Il vento si alzò e nel suo ruggito si udì una voce bassa e roboante come il tuono:

“Hai dunque intenzione di rinnegare la tua promessa?”

“No, Milord!” esclamò impaurita “Anzi, ti offro la mia vita con tutto il cuore!”

Non vi fu risposta, ma la sferza del vento divenne più pungente e lei ne avvertì il disappunto.

“Mostrati, ti supplico, e uccidimi! Anche la morte sarà una gioia se ricevuta da te!”

Il vento si placò e la voce divenne quasi dolce: “La morte dovrà attendere. Tu porterai a termine la gravidanza; quando la creatura che porti in grembo vedrà la luce, tu la consegnerai a me. Fatto questo, ti scioglierò dalla tua promessa e sarai libera di fare ciò che vorrai.”

Hilda restò senza parole all’udire questa condizione. Il suo animo era diviso tra il desiderio di morire e la volontà di mantenere l’impegno preso. Per obbedire avrebbe dovuto sopportare mesi d’angoscia… ma l’avrebbe fatto, decise. Glielo doveva.

Tornò al paese e la lieve brezza faceva danzare i fiocchi di neve al suo passaggio.

Nove mesi trascorrono lentamente in quella terra dove i cambiamenti seguono il ritmo delle glaciazioni; eppure, prima che i rigori dell’inverno tornassero al loro apice, l’animo della giovane donna mutò inesorabilmente. A poco a poco cominciò a pensare al figlio che le cresceva in grembo, non come al frutto del tradimento bensì come a una parte di sé stessa che poteva divenire ciò che lei non sarebbe mai stata, raggiungere vette che lei avrebbe solo sognato. Ma tutte queste speranze s’infrangevano ineluttabilmente contro la realtà: quando il bambino sarebbe nato, lei avrebbe dovuto consegnarlo nelle mani del Re dei Ghiacci Eterni e a un destino sconosciuto. Ogni giorno che passava vedeva crescere in lei la nuova vita che s’apprestava a nascere, e allo stesso modo il suo amore e il suo attaccamento ad essa. Quanto più il tempo del parto si avvicinava, più aumentava il timore di non avere la forza per mantenere la promessa fatta.

Il suo timore si rivelò fondato.

Una notte d’inizio inverno venne alla luce una bambina dai grandi occhi e dai capelli blu. Nel cielo limpido trapuntato di stelle si dipinse una spettacolare aurora boreale che trasformò la notte in giorno, con i suoi colori che sembravano scintillare il loro saluto alla neonata.

Quando sua madre la strinse tra le braccia per la prima volta, sentì il cuore spezzarsi a metà.

“Non lo farò. Non posso farlo. Perdonami, mio Signore. Non ne ho il coraggio.”

Pesanti nubi nere invasero l’aria cancellando ogni luce dal cielo. Tuoni e fulmini squarciavano l’atmosfera, rimbombando tra i monti e provocando spaventose slavine. Il vento mugghiava come impazzito, scatenando una tormenta di neve dolorosa come aghi di ghiaccio.

Le lacrime inondarono per l’ultima volta gli occhi della giovane madre: “Già due volte ho desiderato mancare alla parola data. È colpa mia, Milord, della mia debolezza. Risparmia il villaggio, ti prego. Domani avrai ciò che desideri.”

Quelle parole erano sussurrate, ma appena vennero proferite la tempesta cessò.

 

La mattina dopo Hilda tornò sul ghiacciaio. Depose la bambina, avvolta da una pesante coperta, nel luogo esatto dove aveva incontrato Lui per la prima volta. La baciò sulla fronte, le disse addio. Poi si avvicinò all’orlo del precipizio e si gettò nel gelido abbraccio dell’abisso.

Il Cavaliere dei Ghiacci Eterni ricomparve. Smontò dal suo destriero che rimase immobile ad attenderlo. Si levò i guanti dell’armatura e infine l’elmo. I raggi del sole freddo illuminarono il suo volto senza età, facendo scintillare la brina che gli imperlava eternamente i morbidi capelli neri dai riflessi blu.

Gli occhi azzurri come il ghiaccio di Dynast Graushella riflessero nelle loro infinite sfaccettature cristalline l’immagine della neonata e sulle sue labbra inflessibili si dipinse per la prima volta un sorriso. Il Re Supremo del Nord raccolse gentilmente la bambina e la cullò tra le sue braccia:

“Tu diverrai il mio general; il tuo nome è Shella.”

  
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