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Autore: hotaru    14/04/2009    3 recensioni
Una maledizione di primavera. Una maledizione o una liberazione? Racconto in tre capitoli di un'avventura a tre.
"-Senta... - tentò Ed, leggermente intontito dall’ingente quantità di birra che era stato costretto a mandare giù – Noi siamo venuti per un motivo ben preciso...
- Sì, lo so, lo so, ma non rimaniamo con i boccali vuoti – lo interruppe l’omone – Edmund, ti spiacerebbe rifornirci?
- Ci mancherebbe altro! – gridò l’oste da dietro il bancone, per poi ricominciare a spillare birra. Ed si chiese se quella botte, appoggiata al muro, non nascondesse in realtà un recipiente ben più grande da cui l’oste attingeva senza sosta. Forse sarebbe stato opportuno scoprirlo."
Terza classificata al contest "E' in arrivo la primavera" indetto da Hikaru_Zani
Genere: Generale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Winry Rockbell
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1° capitolo
Hirundo Veris

Hirundo veris


Nota iniziale: “Hirundo veris”, in latino, significa “rondine di primavera”.


1° capitolo


- Fratellone, cosa dobbiamo fare stavolta? - chiese la caratteristica voce infantile, resa metallica dall'armatura.
- Nulla di pericoloso, per una volta. Ma un paio di persone sono venute al Quartier Generale parlando di queste fantomatiche streghe, e qualcuno deve pur controllare - Ed si fermò, con un sospiro - E comunque non capisco perchè sia dovuta venire anche tu.
Un indifferente sorriso accolse queste parole, per poi ribattere:
- Ma come? Se hai appena detto che non c'è niente di pericoloso... e poi sarà bello fare una scampagnata tutti insieme!
- Winry, questa non è una scampagnata - rispose il ragazzo, punto sul vivo - Un sacco di missioni apparentemente semplici si sono poi rivelate decisamente sinistre, e non vedo perchè...
Non completò la frase perchè le lanciò una lunga, penetrante occhiata:
- Ma non sarà che vuoi venire perchè hai sentito la parola "streghe" e vuoi riunirti alle tue compa...
Nemmeno stavolta terminò la frase perché una chiave inglese delle più pesanti lo colpì dritto in testa.
- Concludi quello che stavi per dire, Edward Elric, e giuro che ti smonto gli automail pezzo per pezzo! - minacciò, il cacciavite già pronto nella mano destra.
- Ma sei pazza? Mi hai fatto male! - si lamentò l'alchimista.
- Beh, l'intenzione era proprio quella! - ribatté la ragazza.
Tutta quella confusione non aveva minimamente turbato Al, il quale se ne stava beatamente appoggiato al finestrino del treno, rapito nella contemplazione del paesaggio esterno.
L'inverno stava per terminare, e si vedeva. L'intero paesaggio era ancora brullo e spoglio, ma ai suoi occhi non sfuggivano quelle gemme timide sui rami degli alberi, che sarebbero senz'altro esplose nel giro di poco tempo, o gli uccellini frementi che già cominciavano a cinguettare allegri malgrado l'aria ancora fredda.
Al sapeva che nel sottosuolo i fiori di campo erano già pronti a spuntare non appena il sole si fosse fatto appena più deciso, come era a conoscenza del fatto che i numerosi animali in letargo fossero ormai prossimi al risveglio.
Come semplice anima in un'armatura non poteva certamente percepire gli odori, come di norma non riusciva a sentire il gusto del cibo, ma in quei momenti di attesa gli pareva di sentire la terra fremere, ed era come se un intenso aroma gli riempisse l'animo. Forse era semplice emozione, forse il ricordo dei profumi che aveva effettivamente sentito quando ancora possedeva un corpo umano in grado di percepirli... fatto sta che si sentiva piacevolmente su di giri, anche se su di lui tale effetto si manifestava solo con una calma e una pace interiore che lo rendevano ancora più gentile del solito.
Arrivarono presto a destinazione, e una volta usciti dalla stazione poterono notare come quel minuscolo paesino si fondesse in modo delizioso con il paesaggio attorno.
Le case avevano l'aria di funghi sparsi con mano esperta da un gigante in vena di giardinaggio, circondate da campi e boschi in abbondanza, mentre per le strade gli abitanti giravano allegramente con degli animali al proprio fianco, nella maggior parte grossi cani che seguivano fedelmente il padrone senza bisogno di guinzaglio o altre precauzioni.
I tre compagni di viaggio si fecero indicare la casa del sindaco, che si distingueva dalle altre semplicemente per un balcone in ferro battuto da cui si sarebbero potuti ammirare comodamente l'intero villaggio e la campagna circostanti.
- Però! - commentò Winry mentre entravano - Davvero un bel posto!
- All'apparenza - fece Ed sospettoso - Ne abbiamo visti altri di "bei posti" che poi si sono rivelati essere tane di orrori inimmaginabili...
- Tranquilli, miei cari - tuonò un uomo gioviale dall'aspetto robusto che, spuntato chissà come dal nulla, sembrava occupare l'intero corridoio in cui si trovavano - Questo posto è come sembra, non ve ne dovete preoccupare!
- Sarà - rispose tranquillo Ed, senza scomporsi - E lei è...
- Il sindaco di questo "bel posto", non per vantarmi - esclamò tendendo una mano grande come una pala, nella quale il palmo di Ed quasi scomparve - E questo è il mio vice.
I tre diedero un'occhiata a ciò che quel braccio tornito stava indicando, una specie di montagna scura che inizialmente era sembrata loro solo una specie di orso impagliato messo lì per decorazione. Ad un'occhiata più attenta si resero invece conto che altro non era se non un cane, un molosso gigantesco che avrebbe potuto tranquillamente atterrare Al.
- Oh, ma è splendido! – esclamò Winry, chinandosi ad accarezzare l’animale che iniziò a scodinzolare con un impeto che avrebbe smosso le foglie di un albero.
- Trovate? – fece l’omone orgoglioso, con gli occhi che brillavano – È con me da quando era un cucciolo piccolo così e poteva stare nel palmo di una mano.
- Non ho alcun dubbio… - commentò Ed, che faticava ad immaginarselo di tale misura. Secondo quel che diceva il padrone, da cucciolo doveva essere almeno un trentesimo di ciò che era adesso.
- Ma bando alle ciance! – tuonò il sindaco – Sono sicuro che avete parecchie cose da dirmi. Su, andiamo nel mio ufficio, dove parleremo con più calma.
I ragazzi, pronti a seguirlo, rimasero non poco sorpresi quando lo videro dirigersi fuori dall’edificio.  
- Mi scusi – intervenne Al – Ma non aveva detto di andare nel suo…
- Ufficio, sì – confermò il marcantonio – È qui davanti, venite.
E uscì, seguito dall’ombra docile e fedele del proprio cane.
I tre gli andarono dietro e si ritrovarono, qualche manciata di secondi dopo, di fronte ad un locale la cui insegna annunciava “Alla Quercia Stregata”.
E rimasero ulteriormente basiti quando, entrando, si resero conto di trovarsi in una taverna dove la principale attività era bere, bere e bere.
- Ho ospiti, Edmund – esordì il sindaco – Accogliamoli come si deve!
- Sissignore! – rispose pronto Edmund, che dietro al banco iniziò a stillare birra da un’enorme botte.
- Su, mi farete compagnia, spero – disse l’omone rivolgendosi a loro – Tranquilli, offro io.
Ed e Winry non osarono contraddire tanta giovialità, e si diressero verso l’enorme tavolo in quercia che il sindaco stava loro indicando, mentre Al sembrò esitare.
- Che c’è, ragazzo? – chiese il gigante – Andiamo, non fare complimenti, devi avere una sete d’inferno dentro quell’armatura!
- Beh, ecco… io veramente – cominciò Al, non sapendo bene cosa dire – Preferirei fare un giro fuori… sa, magari dare un occhio ai dintorni…
Non dovette aggiungere altro perché una gran manata lo raggiunse sulla spalla.
- Ben detto, ragazzo! Goditi la primavera, qui è un vero spettacolo! – e con ciò si diresse verso il tavolo dove Ed e Winry si erano già accomodati, seguiti a ruota dal cagnolone che si era diligentemente accucciato sul pavimento.
Mentre guadagnava la porta Al sentì qualcosa sbattere rumorosamente su una superficie di legno, e si voltò appena in tempo per vedere suo fratello mugolare disperatamente davanti a tre boccali grandi quanto la testa di un vitello, decisamente strapieni di liquido dorato.


“Fortuna che sono riuscito ad andarmene” pensò mentre si avviava lungo le vie del paese “Non avrei proprio potuto rifiutarmi di bere, e sarebbe stato un disastro far colare la birra su quei sedili di legno… tra l'altro qui si sta molto meglio”.
Già, decisamente quel posto aveva un che di tranquillo e armonico che gli faceva gustare ancora di più l’atmosfera di attesa che solitamente precedeva lo sbocciare di fiori e foglie.
Man mano che usciva dal villaggio, però, si accorgeva che l’apparente silenzio del luogo nascondeva in sottofondo un concerto incredibile di gorgheggi, trilli, acuti che si intensificavano poco alla volta.
Dopo essersi guardato un po’ intorno, Al decise che sembravano provenire da una collina appena fuori dal villaggio, e vi si diresse incuriosito.
Dopo una breve salita, si ritrovò davanti alla quercia più maestosa che avesse mai visto in vita sua, o che avrebbe mai potuto immaginare.
Rimase lì, rapito e incantato, per un tempo indefinito, circondato dai cinguettii argentini delle migliaia di uccelli di varie specie che si trovavano sui rami dell’albero. Questi ultimi, stranamente, già rigogliosi di foglie fresche e verdi.


- Ah, Graymaulkin (¹) è un gran bel posto – continuò il sindaco tracannando l’ultimo goccio dell’ennesimo boccale – Credetemi, sareste fortunati a vivere qui. Anzi, perché non vi ci trasferite?
- Senta… - tentò Ed, leggermente intontito dall’ingente quantità di birra che era stato costretto a mandare giù – Noi siamo venuti per un motivo ben preciso…
- Sì, lo so, lo so, ma non rimaniamo con i boccali vuoti – lo interruppe l’omone – Edmund, ti spiacerebbe rifornirci?
- Ci mancherebbe altro! – gridò l’oste da dietro il bancone, per poi ricominciare a spillare birra. Ed si chiese se quella botte, appoggiata al muro, non nascondesse in realtà un recipiente ben più grande da cui l’oste attingeva senza sosta. Forse sarebbe stato opportuno scoprirlo.
Quando i boccali pieni sostituirono quelli vuoti, Winry lo prese a due mani e ricominciò a bere.
- Ah, questa birra è davvero squisita! – commentò, decisamente colpita – È fresca, corposa, ma non appesantisce lo stomaco. Scivola giù che è un piacere, non smetterei mai di berne!
Ed la guardò stralunato, chiedendosi se in quegli anni lontano da Resembool gli fosse sfuggito qualcosa. Winry era sempre stata così? Sembrava davvero trovarsi a suo agio, in quel posto.
- Comunque hai ragione, ragazzo. Siete venuti per un motivo preciso, anche se io non ho idea di quale sia – riprese il sindaco.
- Eh? – chiese l’alchimista – Come sarebbe a dire che non ne ha idea? Vuol dire che non sa perché siamo qui?
L’omone si strinse nelle spalle.
- Mi hanno contattato da Central City dicendomi che degli alchimisti sarebbero venuti a fare un controllo, ma non mi hanno detto a che proposito – rispose con semplicità.
- Beh, è semplice: qualcuno è venuto al nostro Quartier Generale parlando di alcune streghe che vivrebbero qui nel vostro villaggio, e siamo venuti a controllare.
Gli occhi del sindaco luccicarono per un momento e un sorriso ironico gli animò il viso:
- Streghe? Ma pensa… scommetto che sono stati dei forestieri a venire da voi, qui nessuno farebbe mai una cosa del genere - commentò.
- Lei dice? In questo caso potrebbe trattarsi solo di una manciata di fandonie, ma è meglio controllare. Il problema è da dove cominciare. È successo qualcosa di strano, ultimamente?
- Dipende da cosa si intende per strano – rispose l’uomo, prendendo un’altra sorsata.
- Eh? Che cosa vuole dire? – domandò Ed.
Semplicemente che dipende dai punti di vista. Per me può essere perfettamente normale qualcosa che voi ritenete strano, e viceversa. Come per quel vostro amico.
Ed lo guardò, chiedendosi se gli effluvi dell’alcool non stessero cominciando ad influenzare le sue capacità mentali. Quella conversazione stava iniziando ad apparirgli un po’ particolare.
- Sta parlando di Al? – intervenne Winry, per poi indicare Ed – In realtà è suo fratello.
- Ah, sì? – commentò l’omone guardando l’Alchimista d’Acciaio con gli occhi che ridevano, luccicanti – Questo è strano. Non è da tutti avere un’armatura vuota per fratello.


Al era decisamente in estasi.
Si era seduto sotto quella quercia immensa, appoggiando la schiena metallica contro l’enorme tronco. Per un attimo aveva pensato, amareggiato, come sarebbe stato molto più bello potervi appoggiare una schiena calda e morbida, sotto la cui pelle scorresse sangue fresco e vivo.
Ma fu solo un attimo, perché l’istante dopo la sua attenzione fu attratta dalle miriadi di uccelli che sembravano aver colonizzato quel gigantesco vegetale.
Ci saranno state una cinquantina di specie diverse. Guardando tra le fronde, Al riuscì a distinguere passeri, cinciallegre, merli, tordi, picchi, tortore, usignoli, pettirossi… sembrava quasi un raduno organizzato.  
Il più giovane dei fratelli Elric se ne sarebbe rimasto lì per ore, incantato, quando ad un certo punto una voce sconosciuta giunse ad interrompere i suoi pensieri.
- Decisamente incantevole, non trovi?
Al si voltò ad osservare in viso la persona che all’improvviso era spuntata al suo fianco. Si trovò di fronte una faccia grinzosa all’inverosimile, che al tatto sarebbe forse risultata ruvida quanto la corteccia dell’albero sotto cui stava seduto.
I capelli grigi, curiosamente striati di bianco, erano raccolti in una semplice crocchia e, nell’insieme, davano a quella vecchietta un’apparenza di delicata fragilità. Allora com’era possibile che non avesse nemmeno il respiro un po’ pesante dopo la salita sulla collina?
Passò qualche istante ad osservarla, poi Al ricordò subito le buone maniere.
- Buongiorno, signora – esordì, facendo per alzarsi.
- Oh, non c’è bisogno che ti alzi in piedi – lo rassicurò la vecchia, premurosa – So per esperienza che si sta meglio con il sedere sull’erba e la schiena appoggiata ad un tronco. Fa sentire vivi, non è vero?
Al avrebbe tanto voluto rispondere di sì, ma quella domanda apparentemente innocente lo aveva scombussolato un po’ dentro: toccare l’erba, il tronco di un albero. Sentirsi vivi. Da quanto a lui non capitava più nulla di tutto questo? Da quanto non riusciva più a sentirsi vivo?
Malgrado l’elmo dell’armatura non avesse logicamente cambiato espressione, la vecchina sembrò accorgersi del turbamento del suo interlocutore, così cambiò discorso:
- E così domani è di nuovo primavera, eh? Caspita, quante ne ho viste! Tante quante questa vecchia quercia! – commentò, poggiando una mano grinzosa sulla corteccia.
Al colse la palla al balzo:
- Oh, già! Scommetto che qui questa stagione è splendida! Chissà quanti fiori!
La donna annuì:
- Effettivamente sì. Ma non è primavera se non arrivano le rondini. Sono sempre stata in disaccordo con quello sciocco proverbio. (²)
- Ah… beh, sì… forse ha ragione…
Al tornò ad osservare le fronde sopra la sua testa. Il vivace cinguettio non era affatto diminuito, anzi. Sembrava che l’intera comunità volatile si stesse esibendo in notevoli vocalizzi giusto per attirare l’attenzione.
Aveva sempre amato gli uccelli, ma in quel momento si rese conto di invidiarli non poco. Liberi, leggeri, in grado di vincere quella forza di gravità che aveva sempre costituito un’ossessione per l’essere umano.
Nel suo intimo, Al fece un sorriso amareggiato, perché in fondo tra lui e loro c’era una certa similitudine: le ossa dei volatili erano cave, ed era questo a renderli in grado di librarsi in aria. Anche il suo corpo, per ironia della sorte, era completamente cavo. Ma già solo tentare un salto significava ricadere pesantemente sul terreno, causando una specie di mini-terremoto, figurarsi qualcos’altro…
La vecchia lo guardò e sembrò indovinare i suoi pensieri, perché disse:
- Oh, ma l’importante è la leggerezza d’animo. Se ci si sente liberi, lo si è automaticamente.
Ad Al questa sembrava semplice retorica, un luogo comune trito e ritrito, ma era troppo educato per contraddire quella simpatica vecchina.
Si limitò a scrollare le spalle ferrose, commentando:
- Sarà. Ma questo non sempre cambia le cose.
- Forse a volte sì – si sentì rispondere.
Quando rialzò la testa, l’anziana donna si trovava inginocchiata accanto a lui, in mano un vasetto in vetro verde.
- Sai, ci sono giorni particolari in cui ciò che è dentro può uscire fuori, e viceversa. Basta solo un aiutino.
Al non smise di guardarla, affascinato da quel sorriso cordiale che sembrava essere stato forgiato da anni e anni di eventi imprevisti.
La vecchina aprì il barattolo e vi infilò un dito, la cui punta ne uscì colorata di verde. La appoggiò sul petto dell’armatura e iniziò a farvi un piccolo disegno.
Quando ebbe finito Al si guardò, chiedendosi il significato di quel gesto.
- Che cos’è? – chiese.
- L’aiutino di cui ti parlavo – rispose tranquilla la donna, richiudendo il barattolo e rialzandosi in piedi – Bene, io devo tornare al lavoro. Ero venuta solo a fare un salutino a mia sorella, ma è proprio ora di andare. Buona fortuna.
Al la osservò, chiedendosi di cosa stesse mai parlando. Quale sorella?
Tuttavia la vecchia signora aveva già iniziato a discendere il pendio della collina, il passo leggero e tranquillo.
L’armatura si riappoggiò al tronco della quercia, decisa a non porsi altre domande. A che sarebbe servito in una giornata bella come quella? Il sole filtrava tra i rami, disegnando giochi di luce scintillanti sul metallo, mentre un venticello delizioso faceva stormire le fronde e gli uccelli non smettevano coi loro trilli gioiosi.
L’ideale per un generoso e meritato pisolino.


Ed piombò sul suo letto con un tonfo.
Dio, quanto si sentiva male! Aveva tracannato litri su litri di birra, a stomaco vuoto e senza un attimo di sosta. Forse se fosse riuscito a rimettere qualcosa sarebbe stato meglio, ma era impensabile alzarsi da quel materasso ora che ci era finalmente arrivato.
Già Winry l’aveva praticamente portato in spalla fino a quel piccolo albergo, dato che lui non riusciva nemmeno a reggersi in piedi, e chiederle di accompagnarlo fino al bagno forse andava oltre i favori che un’amica d’infanzia è tenuta a fare. Tenendo conto che lei sembrava invece stare benissimo, dato il tono allegro con cui gli aveva augurato la buonanotte prima di dirigersi verso la propria camera. Ma cos’era quella ragazza? Si stava seriamente chiedendo se al posto di uno stomaco umano non avesse un automail…
Ed si appoggiò stancamente su una guancia, guardando fuori dalla finestra. Era ormai buio, la luce dei pochi lampioni filtrava in modo discreto nella stanza, permettendogli perlomeno di distinguere le sagome degli oggetti che aveva intorno.
“Ma dove diavolo è finito Al? Che gli sia successo qualcosa? Forse dovrei andare a cercarlo…” pensò, anche se era intimamente convinto che non potesse assolutamente trovarsi in una situazione peggiore della sua. Beato lui che, anche bevendo, avrebbe visto la birra scorrere giù senza fermarsi fastidiosamente da nessuna parte…
I pensieri dell’Alchimista d’Acciaio si stavano ormai facendo decisamente deliranti, quando la porta si aprì e una ben nota sagoma massiccia entrò nella stanza.
- Al… - mugugnò.
- Sì, sono io – rispose il fratello, che pochi secondi dopo si infilò nel letto accanto al suo, i piedi metallici penzolanti come sempre dal bordo.
Poi si voltò all’indirizzo di Ed e chiese:
- Non ti senti bene? Hai un’aria un po’ strana…
- Sto benissimo – riuscì ad articolare l’altro – Piuttosto, tu dove sei stato tutto il giorno?
- Oh, ho solo fatto una passeggiata. Sai, ho incontrato una vecchia signora molto simpatica.
- Ah, sì?
- Però era un po’ strana, perché mi ha fatto una specie di disegno sull’armatura che profuma in modo molto particolare.
Ed ebbe un momento di lucidità.
- Un cerchio alchemico? – chiese.
- No, no… - si affettò a rassicurarlo Al – Lo saprei riconoscere, non preoccuparti. È solo un disegno un po’ strano, ma non ho voglia di tirarlo via. Lo laverò domani.
- Ah, bene… - borbottò Ed, ormai al limite delle forze.
- Fratellone – sussurrò Al, in vena di un’ultima confidenza.
- Mmm? – gli rispose l’altro, le palpebre improvvisamente pesantissime.
- Sai, domani è il primo giorno di primavera.
- Ah…
- E arrivano le rondini…
Se Al gli avesse raccontato qualcos’altro, dopo quest’ultima frase, Ed non avrebbe mai saputo dirlo. Scivolò in un sonno profondo e totalizzante, più pesante di un macigno.
Normalmente era sempre vigile e attento, anche nelle ore di riposo, ma quella volta era troppo stordito per rendersi conto di ciò che accadde nel corso di quella notte.
Non si accorse che il materasso su cui era steso Al, inizialmente schiacciato dal peso non indifferente dell’armatura, ad un certo punto della notte, - forse quando il campanile del paese suonò i dodici rintocchi- si rialzò d’improvviso, come se il suo occupante si fosse repentinamente alzato. O fosse diventato magicamente più leggero.



(¹) Graymaulkin: tanto per la cronaca, è il nome del gatto delle streghe del “Macbeth” (Shakespeare)
(²) Ovviamente il proverbio “Una rondine non fa primavera”


Con questa storia mi sono classificata terza al contest “È in arrivo la primavera” di Hikaru_zani, e ne sono felicissima!
Ringrazio il giudice e faccio i miei complimenti alla seconda e alla prima classificata. Complimenti, ragazze! 
   
 
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