Capitolo
5
Jill sedeva in cima alla
torre più alta della città di Edoras.
Quand’era piccola e
pestifera soleva fuggire da suo padre o da chi avrebbe potuto punirla
rifugiandosi in un luogo alto e isolato. Da lì avrebbe
potuto avvistare con
sufficiente preavviso il sopraggiungere del fabbro e battere in
ritirata,
sempre che qualcuno osasse raggiungerla lassù. Aveva infatti
notato già allora
come molte persone temessero le altezze elevate.
Un leggero fruscio al suo
fianco le denunciò l’arrivo di un ospite. Che
stesse anche lui fuggendo dalle
conseguenze delle sue azioni?
-
Presumo che tu abbia deciso di
arrampicarti quassù per godere della
quiete e del panorama. –
Lei sollevò le
spalle.
Anche.
I luoghi alti erano
generalmente tranquilli, l’unico rumore era il malinconico
ululare del vento.
Appoggiò la schiena con scioltezza al
palo che reggeva lo stendardo del casato di Eorl e fece
scorrere lo
sguardo sugli immensi spazi verdeggianti, fino alle montagne dalle cime
innevate. Poi spinse la sua mente ancora al di là di quelle,
diverse miglia più
a Sud, dove un’infinita distesa blu s’increspava al
sopraggiungere di
un’imbarcazione.
-
Trovo surreale il pensiero che un
luogo tanto incantevole quanto
disagevole per qualcuno possa rappresentare un valido rifugio dai
problemi. –
Le gote di Jill si
velarono per l’imbarazzo. Si sentiva esattamente come quando
era bambina ed era
quasi certa che, se si fosse guardata in quel momento allo specchio,
avrebbe
scorto la stessa monella scarmigliata e dal volto tumefatto per
l’ennesima
rissa tra ragazzini di quartiere.
-
Avete messo su un
duello… interessante. –
Ora il suo volto era
sicuramente in fiamme.
-
Sarebbe il caso ti medicassi, non
pensi? Hai riportato diversi traumi.
–
I lividi e le piccole
ferite non erano poi tanto dolorosi.
-
Anche Legolas è rimasto
ferito… in più punti. –
Quel pensiero invece sì,
faceva male. Jill sospirò, ma la morsa al suo petto non si
allentò. L’immagine
del volto di Legolas non accennava a uscire dalla sua mente. I suoi
lineamenti
distesi e il sorriso sereno sul viso tumefatto un attimo prima che
alzasse il
capo per darle un bacio. Leggero, tenero, gentile.
Quell’espressione non era
mutata nemmeno quando lei l’aveva lentamente allontanato, la
lama premuta sulla
sua gola, come se si aspettasse e accettasse la sua reazione. Ma
sicuramente
non aveva previsto quella successiva. E nemmeno lei.
Si portò le mani alla
testa, sconfortata.
“Che cosa ho fatto?”
Di preciso non lo sapeva,
ma aveva optato per la scelta più semplice e gettonata di
tutti i tempi: la
fuga.
Da bambina aveva imparato
che quando agiva d’impulso e combinava un guaio, la soluzione
migliore era
chiedere scusa. Ma qualcosa le diceva che quello non era il tipo di
pasticcio
per cui chiedere semplicemente perdono.
Scosse la testa con
forza, gli occhi serrati come se a riaprirli il mondo sarebbe stato
diverso.
Invece era tutto esattamente com’era qualche istante prima:
Aragorn se ne stava
ancora tranquillamente appollaiato al suo fianco con lo sguardo perso
sull’orizzonte e lei era ancora una ragazzina sporca,
arruffata e ferita in
seguito a una zuffa tra compagni.
-
Immagino non sia facile per te,
Jill. –
Lei strabuzzò gli occhi,
fissando lo sguardo sul Ramingo che ancora osservava le montagne. O
forse
qualcosa al di là di esse.
-
Sei cresciuta tra uomini, si vede.
Sei forte, coraggiosa e orgogliosa tanto
quanto me, Legolas e Gimli. – sorrise tra sé
– Ti ho persino sentita ruttare
come il nostro amico Nano! –
Lei abbassò un poco lo
sguardo, insicura se dovesse sentirsi orgogliosa o imbarazzata.
-
Ma non sei un uomo… Sei
una donna. – si voltò a guardarla – Una
splendida e fiera donna. Con i suoi desideri, le sue
curiosità, i suoi
sentimenti… Che sfortunatamente non sempre riescono a
trovare la comprensione e
lo spazio che meritano in questa realtà fatta di uomini.
–
Sospirò.
-
Purtroppo viviamo in un mondo
difficile, pieno di pregiudizi e
principi che spesso ci imbrigliano, condizionando e limitando le nostre
scelte.
So bene – sorrise tristemente – quanto possa esser
frustrante. Credimi, vorrei
tanto poterti aiutare, poterti spiegare ciò che non ti
è chiaro di questo
mondo, di te e di quello che senti. E vorrei farlo con le parole
giuste, quelle
che meriti di sentire. Disgraziatamente temo di cavarmela meglio su un
campo di
battaglia che in questo ambito. –
Sembrava costernato e
Jill lo guardò perplessa.
-
Ma vorrei non dimenticassi mai,
Jill, che, indipendentemente da quello
che potranno dirti, non vi è nulla di sbagliato
nell’assecondare i propri desideri e sentimenti, anche se non
siamo certi di
dove ci condurranno. Il nostro dovere in questo mondo,
d’altronde, non è vivere
secondo i dettami imposti da antiche convenzioni né di
seguire il percorso
tracciatoci da qualcun altro. Il nostro unico obbligo
è quello verso noi
stessi.
Sii dunque sempre fedele innanzitutto a te
stessa, scegli la tua strada sapendo di esser padrona delle tue gambe e
non
rinunciare a nulla di
ciò che
potrebbe renderti felice solo perché qualcuno potrebbe
giudicarti o perché
potresti commettere un passo falso.
Chi tenta, giorno per giorno, di raggiungere i
propri obiettivi sicuramente ogni tanto sbaglierà e
cadrà, ma avrà sempre la
possibilità di rialzarsi e ricominciare ad avanzare per
giungere alla propria
meta. Mentre chi si lascia scoraggiare resterà sempre in
piedi, fermo e
avvilito in compagnia dei rimpianti. –
Jill annuì,
abbracciandosi le ginocchia. Aveva l’impressione che Aragorn
non alludesse
solamente a quanto successo in quel granaio. D’altro canto si
rendeva conto che
non poteva restare nascosta lassù per sempre. Prima o poi
avrebbe dovuto
scendere e affrontare Legolas.
Sospirò, frustrata.
“Sì, ma come? Dovrei
presentarmi alla porta del suo alloggio per dirgli… cosa esattamente?”
Esordire con la storia
del bacio era impensabile, solo l’idea le faceva prendere
fuoco le gote. Aveva
bisogno di una scusa, o meglio di un valido diversivo.
Il Ramingo tirò fuori un
vasetto dalla cintola.
-
Questo unguento dovrebbe aiutare a
rimarginare in fretta le ferite e
lenire i dolori delle contusioni. Potrebbe essere utile anche a
Legolas. –
Lei lo prese tra le mani,
sbigottita. Aragorn le fece un cenno di saluto col capo e si
calò giù per la
torre.
Jill lo guardò
allontanarsi, piegando la bocca in una smorfia.
“Quel maledetto Ramingo non
me la racconta giusta: che mi abbia letto nel pensiero?”
Osservò il piccolo
contenitore e la sua espressione si addolcì.
“Fa sempre il modesto, ma
se la cava piuttosto bene con le parole.”
Gimli scosse il capo ed
emise una nuvola di fumo.
Orecchie a Punta era
ridotto peggio di quando erano usciti dalle miniere di Moria, dopo aver
visto
Gandalf precipitare in quel baratro. Si era appena allontanato dalla
stanza
dell’Elfo, lasciandolo seduto di fronte la finestra, lo
sguardo rivolto
all’esterno che fissava il vuoto anziché il
panorama.
-
Ah, le donne… -
bofonchiò.
Non che Jill fosse esattamente come
le altre donne.
Ancora una volta si
meravigliò del sentimento di compassione che provava nei
confronti dell’arciere.
Legolas era, inutile negarlo, non solo un guerriero micidiale e un
compagno coraggioso
e leale, ma anche un principe fiero e giudizioso.
“Vorrei ben vedere, con
tremila anni di esperienza…”
Eppure tutta la sua
abilità e maturità pareva essersi volatilizzata
di fronte a quella fanciulla.
E come poteva essere
altrimenti? Lei era qualcosa di totalmente nuovo per lui: una guerriera
in
grado di tenergli testa, un caratterino focoso facilmente suscettibile,
uno
spirito libero che seguiva solo il suo istinto e perciò
totalmente
imprevedibile. Ed era bella. Bella in un modo che non aveva nulla a che
fare
con lo splendore etereo delle fanciulle di razza Elfica: la pelle
ambrata, i
capelli infuocati, i tratti esotici, gli occhi penetranti, il corpo
sinuoso e
scattante come i felini di montagna.
Jill era dotata di un
fascino eccentrico ma indubbio, era una di quelle donne sicure e
indipendenti
che avrebbero potuto far perdere la testa a qualunque uomo. Tuttavia
lei non ne
era minimamente consapevole.
“Né di quanto sia
attraente. Né di quanto il principe sia attratto da
lei.”
Sorrise, scuotendo la
testa: quella ragazza era più ottusa di un Nano.
Jill fece leva sulle
braccia, issandosi sulla finestra e ritrovandosi a pochi centimetri dal
volto
di Legolas.
“Sta diventando una
scomoda abitudine.” pensò arrossendo e
distogliendo in fretta lo sguardo.
-
Presumo che entrare dalla porta
sarebbe stato troppo ordinario. –
commentò l’Elfo.
“ Disse colui che
s’intrufolò nello stesso modo nella stanza di una
convalescente sconosciuta.”
“ Già allora non riuscivo
a starti lontano troppo a lungo.” le rispose ironicamente.
Jill si voltò pronta a rispondere
a tono al suo sarcasmo, ma un sorriso gentile la dissuase. Fece
scorrere lo
sguardo su quel volto senza età, dai lineamenti delicati ma
virili, ora
leggermente deturpati dai segni del loro duello.
“La mia
Corsara…”
Quanta dolcezza e
amarezza gli provocò quel pensiero.
Distogliendo lo sguardo
dal suo, Jill si sedette sul davanzale della finestra di fronte a lui.
La vide
armeggiare per estrarre un vasetto in terracotta. Lo schiuse e vi
immerse un
indice, estraendo un po’ di quel preparato pastoso e
dall’odore pungente.
“Aragorn mi ha detto che
questo prodotto aiuta a rimarginare le ferite…”
Il suo tono era fermo, ma
la sua mano tremava in maniera impercettibile e quel dettaglio lo fece
sospirare.
“Ti fa molto male?” lo
guardò lei, allungando l’indice verso il suo
volto. Lui le si avvicinò
leggermente, permettendole di spalmare l’unguento sul suo
zigomo.
“No… non è poi così
doloroso.”
Corrugò la fronte,
spostando una ciocca di capelli dalla propria fronte col dorso della
mano.
Inutilmente, poiché questa le ricadde sul naso.
Soffiò nel tentativo di
scostarla, ma un’altra s’aggiunse alla prima.
Frustrata, stava per usare le
dita impiastricciate d’unguento, quando Legolas
allungò una mano e le spostò la
ciocca dietro l’orecchio.
Un gesto gentile eseguito
con estrema naturalezza, ma che la fece rabbrividire. La mano
dell’Elfo indugiò
dietro il suo orecchio e lei abbassò lo sguardo, conscia che
quegli occhi
azzurri stavano cercando i suoi.
Strinse con forza il
vasetto di terracotta e inspirò a fondo, tentando di
concentrarsi sulle parole
anziché sui battiti assordanti del suo cuore.
“Legolas, non so bene
cosa stia succedendo.”
“Vuoi che te lo spieghi
io?”
Non c’era ironia nel suo
tono, sembrava piuttosto una carezza.
Jill non rispose, lo
sguardo che studiava con attenzione il contenuto del piccolo recipiente
stretto
dalle sue mani appoggiate sul grembo. L’unguento stava
lentamente mutando
colore, osservò, forse per l’esposizione
all’aria.
I secondi passavano,
insopportabilmente lunghi ma non abbastanza da farle venire in mente
qualcosa
di sufficientemente sensato da esser formulato.
Poi le dita di Legolas
scivolarono da dietro l’orecchio lungo la sua mandibola, fino
a fermarsi sotto
il suo mento e alzarlo, incrociando il suo sguardo.
Il suo primo istinto fu
di abbracciarla. Voleva stringerla forte tra le sue braccia, baciarla
con
trasporto fino a farsi sanguinare di nuovo il labbro e dirle che
l’amava e
desiderava con ogni fibra del suo corpo. Ma non lo fece.
“Tengo molto a te, Jill.”
disse invece.
“Anch’io tengo a te.”
“Tengo molto anche ad
Aragorn e a quel testone di un Nano.” le sorrise
“Ma il modo in cui tengo a te
è diverso. Nei tuoi confronti provo dell’affetto
di natura diversa rispetto a
quello che potrei mai nutrire verso di loro.”
“Ah, certo non mi aspetto
di vederti baciare Gimli!”
La Corsara arrossì
violentemente, resasi conto troppo tardi dell’allusione fatta
a quanto successo
nel granaio. Legolas soppresse una risata: credeva di esser impacciato
in campo
sentimentale, ma lei superava di gran lunga il suo livello.
“No” le rispose in tono
divertito “troppa barba, non credo potrebbe esser altrettanto
piacevole.”
“Lo…” esitò lei, abbassando
di nuovo lo sguardo “Lo è stato?”
“Sì.” inclinò lui il capo
per incrociare nuovamente i suoi occhi “È stato
uno dei momenti più piacevoli
della mia vita.”
“Hai vissuto moltissimi
anni…” protestò lei.
“Parecchi, in effetti.
Eppure non ho mai incontrato qualcuno come te.”
“Impulsiva?”
“Importante.”
Lei corrugò la fronte.
“Per me tu sei
importante, unica e insostituibile, così come
l’affetto che provo per te.”
Jill pareva turbata.
“Anche tu sei importante
per me… Ma non sono sicura di cosa provo.”
Alzò lo sguardo, più fiduciosa
ma al tempo stesso costernata.
“Mi dispiace, io non mi
sono mai trovata in situazioni del genere, non sono mai stata baciata…” disse
arrossendo appena “ Non
so cosa si fa in questi casi, o meglio, ne ho una vaga idea. Ma non so
cosa
voglia fare io… con… con
te…”
“Non desidero che tu
faccia nulla di più di ciò che senti affine a te
stessa.” le sorrise.
“ E tu? Tu, Legolas…”
tremava impercettibilmente “Tu cosa vorresti fare?”
“Se me lo permetterai” le
sorrise dolcemente “ vorrei starti vicino.”
“In…” arrossì lei
“In che
senso… vicino?”
“Nel modo che risulterà
più spontaneo e congeniale a entrambi. In ogni
caso” abbassò le mani cingendo
quelle di lei con le sue “io sarò sempre dalla tua
parte. Qualsiasi decisione
tu prenda, in qualsiasi modo si evolva il nostro rapporto, io
sarò sempre tuo
amico e alleato.”
Fece scorrere lo sguardo
sul suo volto: l’unguento era stato assorbito in fretta e uno
degli ematomi
sembrava già sbiadire. Osservò la sua espressione
calma in cui scorgeva un velo
d’apprensione.
Aveva imparato a
conoscere il principe di Bosco Atro quel tanto da presumere che quelle
parole
dette con disinvoltura fossero state in realtà attentamente
soppesate,
probabilmente per non turbarla.
Lei, che aveva trascorso
tutta la sua vita a contatto con gli uomini, conosceva
l’amicizia, il
cameratismo, il rispetto e la lealtà, ma era totalmente
ignorante riguardo al
tipo di sentimento che sentiva frullare nel suo stomaco come ali di
farfalle e
che percepiva nello sguardo e nel tocco gentile di lui. E
l’Elfo doveva averlo
capito.
Aprì una mano
intrecciando le dita con le sue.
“Grazie, Legolas.”
Per averla compresa. Per
non averla messa in difficoltà con termini e richieste che
non sarebbe stata in
grado di metabolizzare e gestire. Per averle detto che lei è
importante. Per
averla lasciata libera di scegliere, quando e come desiderava.
“Libera…”
Le tornarono alla mente
le parole di Aragorn e improvvisamente i dubbi e le inquietudini che
l’avevano
tormentata nel regno di Lorien le parvero insignificanti.
“A chi importa se lui è
un Elfo e io un Umana? Se lui è un principe e io una
Corsara?”
Alle tradizioni, forse.
Sicuramente a tutti coloro che si ammantavano di pregiudizi e facili
sentenze.
Ma lei era una Corsara, una
fuorilegge per definizione, una donna che solo brandendo la sua spada e
navigando su un’imbarcazione piena zeppa di uomini rudi
già sfidava tutti i tabù
e i pregiudizi dei regni della Terra di
Mezzo. Dunque non sarebbe stata certo lei a porsi dei limiti riguardo a
chi e
come volesse accanto a sé.
E se Legolas l’accettava
per quel che era, Umana e canaglia irrequieta, se capiva e rispettava i
suoi
desideri e le sue necessità senza imporle nulla, lasciandola
libera… Se qualsiasi
scelta lei avesse
preso lui non avrebbe smesso di credere in lei abbastanza da restare
dalla sua
parte…
“Restiamo vicini, allora,
Legolas…”
Con un sospiro, lui
avvolse la vita stretta di lei, sperando che quel “restiamo
vicini” fosse per
sempre.
Un paio di tonfi alla porta
interruppero il loro abbraccio.
-
Scusa se interrompo il tuo momento
di depressione solitario, ma siamo
attesi da Gandalf e re Theoden nella sala del trono. –
Jill si scostò
velocemente, leggermente stralunata, come se si fosse appena destata.
-
Credo che verrà servita
anche la cena. Vedrai che a stomaco pieno ti
sentirai meglio e i tuoi drammi ti sembreranno delle inezie! –
Legolas trattenne a
stento una risata per le parole che, dal punto di vista del Nano,
avrebbero
dovuto rincuorarlo e invece avevano avuto l’effetto di
imbarazzare nuovamente
la Corsara.
“Sarà meglio che non mi
veda uscire dalla tua stanza.”
“Concordo.”
Lei si voltò per uscire
dalla finestra, quando si voltò appena.
“Ci… ci vediamo là
allora.”
Legolas annuì e lei si
calò giù con un balzo agile e silenzioso.
Jill strinse i pugni con
forza nell’ascoltare la carneficina che le truppe di Saruman
stavano
perpetrando nei villaggi di Roharn.
-
Questo è solo un
assaggio del terrore che Saruman scatenerà. Sarà
sempre più spietato perché ora è
spinto dalla paura di Sauron. –
L’Occhio comparve
improvvisamente nella mente della Corsara, che
s’affrettò a scacciare quel
terribile ricordo.
“Sauron…”
Aveva percepito con
estrema chiarezza la sua potenza e malvagità,
così come aveva sentito il
sussurro velenoso dell’Anello. Sperò che Frodo
stesse bene. Per quanto “bene”
fosse un termine che mal calzava alla situazione in cui si era cacciato
l’Hobbit per tentare di salvare tutti loro.
-
Monta a cavallo e affrontalo.
– Gandalf allungò una mano per afferrare
il bracciolo del seggio del re, parlando in tono inflessibile
– Allontanalo
dalle donne e dai bambini. Devi combattere! –
-
Hai duemila bravi soldati che vanno
a nord mentre parliamo. – aggiunse
Aragorn tirando una boccata di fumo dalla sua pipa – Eomer ti
è fedele. I suoi
uomini torneranno e combatteranno per il loro re. –
-
Saranno a trecento leghe da qui
ormai. – proruppe il sovrano,
alzandosi – Eomer non può più aiutarci.
–
Gandalf si alzò con
decisione, tuttavia Theoden proseguì, perentorio.
-
Lo so cosa vuoi da me –
disse rivolto allo stregone – ma non arrecherò
ulteriore morte al mio popolo. Non rischierò una guerra
aperta. –
-
La guerra aperta incombe
– commentò in tono pacato il Ramingo –
che tu
la rischi o no. –
-
Se ricordo bene, Theoden,
non Aragorn, è il re di Roharn. –
Jill si appoggiò
nervosamente alla parete, le braccia conserte e il volto accigliato di
fronte
all’ottusità del sovrano. Che intenzioni aveva
quel maledetto re? Contrastare
l’offensiva di Saruman barricato nella città di
Edoras?
“Figuriamoci, i suoi
fabbricati non hanno resistito al duello tra me e Legolas!”
Un leggero ghigno sul
volto dell’Elfo le fece comprendere che lui aveva captato i
suoi pensieri.
Gimli ruttò per poi
pulirsi la birra dalla bocca alla bene e meglio. Jill
incrociò il suo sguardo e
annuì: sicuramente nessuno di loro sarebbe fuggito di fronte
alla spietatezza
di quel folle sanguinario.
Si portò una mano alla
gola, sfiorando la cicatrice liscia e pallida.
-
Allora qual è la
decisione del re? –
Jill armeggiava col suo
leggero bagaglio, la mente persa in foschi pensieri.
Non che lei avesse un
ruolo tale in quella faccenda da poter contestare le decisioni di un re
o di
proporre delle valide alternative, ma quel che s’apprestavano
a fare andava
contro la sua natura.
“Chiuderci in un fosso
come conigli in una tana! Io sono
una Corsara,
maledizione!” tirò con
forza la cinghia della sua sacca “Io non fuggo
di fronte al pericolo, l’affronto a viso aperto. E se anche
dovessi battere in
ritirata, sicuramente non sarebbe in un buco
tra le montagne!”
Ma non era solo questo.
C’era qualcosa che la turbava, come un cattivo presentimento.
D’altronde era
vissuta a Isengard abbastanza da conoscere lo Stregone Bianco quel
tanto da
aspettarsi una spiacevole sorpresa da parte sua.
Si sedette sul letto,
pensierosa.
“Saruman è tremendamente
intelligente e calcolatore, non può non aver previsto che
Theoden avrebbe
ripiegato in quella fortezza che, lei stessa si ricordava di averlo
letto
durante il suo apprendistato, si era più volte rivelata
inespugnabile. Dunque
avrà sicuramente un piano…”
E sicuramente quella
serpe di Vermilinguo sarebbe stato prodigo di consigli, dopo essersi a
lungo
infiltrato nella casa reale, avendo accesso alla loro documentazione,
ascoltando e osservando tutto quello che veniva discusso e girovagando
liberamente per tutte le valli del regno. Grima doveva
sapere quali fossero i punti deboli del popolo di Roharn e
li avrebbe certamente sfruttati, così come aveva fatto con
il suo sovrano.
Sospirò, sconfortata:
avvertiva il pericolo e lo scontro farsi sempre più
incalzanti, eppure Gandalf
stava per partire.
“Di nuovo…”
La Compagnia aveva appena
ritrovato un suo componente che già doveva salutarlo. Capiva
la necessità che
fosse lui a partire alla ricerca di Eomer e dei suoi cavalieri: la
velocità e
la resistenza di Ombromanto sarebbero stati cruciali.
“Ma non mi piace… Non mi
piace che la Compagnia si disgreghi, abbiamo già visto
quanto sia controproducente.
Ma soprattutto non mi piace separarmi di nuovo da
lui…”
-
Il tuo pensiero mi commuove,
piccola Jill. –
Lei balzò su dal letto.
-
Deduco che fossi profondamente
assorta. –
“Deduci piuttosto che si
usa bussare alle porte per una ragione.” si
indispettì lei.
-
Ma io ho
bussato – le
sorrise lui paziente – Ben tre volte. Non ricevendo risposta
mi sono permesso
di fare da me. –
Lei fece una smorfia e si
rimise a sedere.
-
Cos’è che
occupa tanto i tuoi pensieri, mia cara? –
“Ho una spiacevole
sensazione. Per la decisione presa dal re, per quello che nemmeno
riesco a
immaginare Saruman abbia in serbo per tutti noi.”
abbassò il capo “Perché ci
stai lasciando, di nuovo…”
Lo stregone sorrise
benevolo, sedendosi accanto a lei.
-
Quel “ci stai
lasciando” suona come un “mi stai
abbandonando”. – disse
calmo – Capisco che tu ti senta turbata da tutto
ciò e condivido la tua
inquietudine. Vorrei poter restare con te, Jill. So che quanto ti sto
dicendo
suona poco più che parole al vento, ma credimi: potessi
controllare il tempo
vorrei tornare a quando scorrazzavamo per la Terra di Mezzo, come
apprendista e
maestro. Ho molta nostalgia di quei giorni sereni e di quella acerba
Jill. –
“Non è che io sia
cresciuta poi molto…” arrossì
lievemente lei.
-
Al contrario, mia cara. Giorno dopo
giorno maturi e apprendi
tantissimo: sia sul mondo che ti circonda che su di te. E io vedo quanti progressi hai fatto e
quanti, enormi, ancora farai. –
Lei storse la bocca in
una smorfia.
“Progressi…”
si schernì da sola “Diciamocelo, senza di te e
tutto il
resto della Compagnia io non sarei in grado di combinare poi
molto.”
Gandalf scosse la testa.
-
Ti sottovaluti. –
“Lo sai che non sono un
tipo modesto.”
-
Questo lo so bene, mia piccola
spaccona! – le diede un leggero
buffetto – Ti sottovaluti perché non ti conosci
abbastanza bene, non riesci
ancora ad essere sufficientemente obiettiva. Al contrario io vedo la forza che
c’è in te. – le
accarezzò i capelli – Né io,
né Aragorn, Gimli o Legolas abbiamo intenzione di
separarci da te. Ma ti assicuro che, anche nella peggiore delle
evenienze, tu
non avresti nulla da temere, perché il tuo potere
è ben più forte del vigore
con cui reggi la tua spada. –
“Le mie braccia e le mie
gambe sono quanto mi restano, da quando Saruman mi ha fatto tagliare le
corde
vocali da quel lurido verme…
Sai bene
che senza la mia voce non posso usare la magia, se non per banali
trucchetti.
L’incantesimo che ho effettuato a Moria sulla tomba del
cugino di Gimli mi
aveva prosciugata di tutte le mie energie e fatto salire la febbre. Mi
hanno
mutilata per rendermi inoffensiva, no? Beh, ci sono riusciti!”
-
Non è proprio
così. La tua
menomazione rappresenta un ostacolo, non un impedimento assoluto.
– parlò lo
stregone in tono fermo.
“Tu stesso mi hai
insegnato l’importanza della parola: è chiamando
una cosa col suo nome che le
diamo forma nella mente ed è così che gli
stregoni invocano la magia e compiono
i sortilegi.”
-
Quel che dici è vero,
mia cara. Eppure – le sorrise – sono persuaso
del fatto che anche se subissi una grave lesione io non cesserei di
essere ciò
che sono, un emissario di Valinor. –
“Già… e io la figlia di
un fabbro.”
Gandalf non rispose,
limitandosi a sorridere. Jill aveva imparato a riconoscere quel
particolare
gesto: il modo in cui lo stregone sorrideva con la bocca e con gli
occhi,
fissando il suo sguardo penetrante negli occhi del suo interlocutore
era la sua
personale maniera di lasciare intendere che vi fossero dei sottointesi.
Tendenzialmente, però, si era anche abituata al fatto che
tali allusioni
fossero impossibili da decifrare.
“Vi è qualcosa di
perverso nel tuo accennare a informazioni che puntualmente decidi di
tenere per
te, lo sai, vero?”
Gandalf rise di gusto,
arruffandole leggermente i capelli.
-
Tornerò presto, piccola
Jill. –
“Non ti vedo molto
preoccupato.”
-
E perché dovrei?
– le sorrise lui – So che lascio questa gente in
ottime mani. –
“Spero che le mie si
dimostrino forti abbastanza in caso di un assedio.”
-
Lo saranno. Ricordati, mia cara,
che la vera forza non sta nel vigore
del braccio, ma nel coraggio del cuore e nella perseveranza di intenti.
–
“Con quelli non si
abbattono molti nemici, temo.” protestò con una
smorfia “Da quel che so io, il
valore di un guerriero si misura in nobili gesta solo nelle
ballate.”
-
Forse. – sorrise di nuovo
enigmatico lui – Eppure io credo che quando
tutto questo sarà finito e
ricorderemo
questi giorni, parleremo del coraggioso Boromir rammentandone la forza
e il
valore non per via dei nemici che ha sconfitto, ma per gli amici che ha
protetto. –
L’Elfo lo salutò, in toni
un po’ più ossequiosi di quelli precedentemente
usati dalla Corsara.
-
Mi auguro che ci ricongiungeremo
presto, Mithrandir.
Sii prudente. –
-
Anche tu, principe. – gli
sorrise enigmatico – Anche tu. –
Legolas aggrottò la
fronte, captando il tono ambiguo dello stregone. Ma Gandalf
girò sui tacchi,
incamminandosi verso il proprio alloggio senza dargli il tempo di
interrogarlo
su quella insinuazione.
In effetti vi erano
diversi nuovi e interessanti sviluppi per cui sarebbe volentieri
rimasto
anziché partire alla ricerca di Eomer.
Sorrise tra sé,
assaporando quella solleticante curiosità. Gli ingranaggi
erano stati messi in
moto, ne avvertiva il ticchettio farsi più serrato man mano
che gli eventi si
susseguivano. Le carte in tavola erano ormai quasi tutte scoperte e chi
era in
grado di leggerle avrebbe potuto prevedere parte di ciò che
sarebbe accaduto da
lì in avanti. Tuttavia vi erano ancora figure celate ai suoi
occhi e una
variabile che avrebbe potuto rimescolare tutte le carte.
“ La capacità di scegliere:
la più grande virtù di
qualsiasi essere umano… ma al contempo la più
terribile delle maledizioni.”
Eppure qualcosa, forse
l’istinto o magari la fede, gli diceva che, alla fine,
sarebbe andato tutto per
il meglio. Gettò un’ultima occhiata
all’Elfo alle sue spalle, il cui sguardo
aveva indugiato sulla porta della stanza di Jill per poi allontanarsi
insieme
ai suoi passi, e sorrise.
“ Sì, andrà tutto bene.”
pensò cominciando a canticchiare un motivetto tra
sé e sé.
-
Legolas
Verdefoglia, a
lungo nella foresta
Hai vissuto con gioia. Guardati dall’Onda!
Se il gabbiano odi gridar sulla sponda,
Il tuo cuor più non riposerà nella foresta.* –
Continua…
Nota dell’autrice:
* I fan di Tolkien che
hanno letto “Il Signore degli Anelli” ricorderanno
forse questa citazione: si
tratta di uno dei messaggi che dama Galadriel affida a Gandalf,
profezie di ciò
che il futuro riservava ai membri della Compagnia dell’Anello.
Monalisasmile