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Autore: topazio    07/06/2016    7 recensioni
Le loro mani sono sporche del peccato che hanno commesso, ma non esiste rammarico, non c’è pentimento. E come può esserci perdono per coloro che non provano rimorso?
***
Sansa/Jon
Possibili Spoiler
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jon Snow, Sansa Stark
Note: What if? | Avvertimenti: Incest
- Questa storia fa parte della serie 'Sin'
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Sinners

 

 

 


 

Ho commesso il peggior peccato che uno possa commettere: non sono stato felice.

– Jorge Luis Borges

 

 

 

 

L

a luce della luna le permette di distinguere appena la scrivania in legno. Il giaciglio su cui riposa è più comodo di quanto aveva immaginato, ma gli incubi che la tormentano ogni notte non le danno tregua. Il fuoco è ormai spento da tempo, solo piccoli granelli incandescenti si scorgono nella cenere. Sansa ha osservato a lungo le fiamme, nel tentativo di addormentarsi, mentre queste si spegnevano.

Chiude gli occhi e tenta di riposare. Deve dormire. E forse ci riesce, perché quando li riapre, non nota più alcun frammento incandescente di brace nella cenere. Il buio è quasi totale, tranne per la piccola candela accesa sulla scrivania. Sansa allunga una mano nel buio. Quando questa sfiora il corpo che giace al suo fianco, Sansa si tranquillizza.

È tornato.

Si scosta sul materasso, per avvicinarsi a lui, voltandosi senza svegliarlo. È così stanco. Lui ha doveri cui adempiere. Lo comprende, ma il pensiero di dover trascorrere tutta la notte da sola non la rende serena. E lui lo sa. Per questo la lascia con Spettro. Una guardia silenziosa e protettiva,  vigile e attenta. Nell’assoluto silenzio che regna sovrano, Sansa percepisce il respiro dell’animale, che riposa sereno davanti al caminetto dove l’ha lasciato.

Il respiro regolare di Jon la culla e la tranquillizza. Gli occhi le si abituano lentamente all’oscurità. Si muove nuovamente sul giaciglio, fino a che non riesce a scorgere la figura di Jon addormentata al suo fianco. Si ritrova a sorridere al buio. Nessuno può scorgere la contentezza che prova in quel momento.

Il calore emanato dal corpo accanto a lei la tiene al caldo, un calore che non riesce ad associare alle coperte pesanti e alle pellicce. Il calore di un rifugio sicuro, il calore degli affetti creduti perduti. Gli si avvicina. E chiude nuovamente gli occhi. Magari, si ritrova a pensare, questa notte potrà riposare serena.

 

 

***

 

 

U

n urlo squarcia la tranquillità della notte. Il sonno di Jon si interrompe all’improvviso. Il pensiero corre subito a Lungo Artiglio, poggiata insieme agli abiti neri in un angolo della stanza. Nel buio quasi assoluto scorge appena la pelliccia bianca di Spettro. Sveglio, vigile. Impiega un istante per rendersi conto da dove è scaturito il grido.

Sansa si muove accanto a lui, in preda a un incubo che non sembra darle pace. Dalla sua bocca scaturiscono parole spezzate e mute suppliche. Allunga una mano verso il suo volto, e non si sorprende nel trovarlo umido a causa delle lacrime. Si agita senza tregua, senza pace.

«Sansa» la nota di preoccupazione nella voce è quasi palpabile. La scuote con delicatezza. Poi con più veemenza, nel tentativo di interrompere quella subdola tortura. «Sansa» le si avvicina e prende il volto di lei tra le mani. Le sue mani, le sue unghie artigliano il materasso con forza. Jon la scuote con più decisione, la vede inarcare la schiena e poi aprire gli occhi.

Vede lo smarrimento nel suo sguardo. Ma dura solo un istante. L’alba è ormai imminente, l’oscurità non permette loro di distinguere altro che sagome scure – la piccola candela quasi spenta non illumina che un piccolo alone attorno alla fiamma. Negli occhi di Sansa c’è stupore e confusione. Solo dopo un momento comprende. Scorge la figura di Jon chinata su di lei, inginocchiato sul giaciglio, in precario equilibrio. Il petto di lei si alza e abbassa velocemente, non riesce a respirare. Sente le lacrime scorrere senza controllo sul suo viso già bagnato.

Deglutisce a vuoto, ha la gola secca. Lascia vagare lo sguardo per la stanza, mentre cerca di regolarizzare il respiro. Spettro la guarda, gli occhi del metalupo appaiono luminosi, ma privi di minacce.

«Sansa» la voce di Jon la riscuote. Sto bene, vorrebbe dirgli. Ma sa che non è vero. Lo sanno entrambi. I capelli di lei sono sparsi sul guanciale a formare quelle che, alla luce del giorno, sarebbero apparse simili a fiamme. La preoccupazione di Jon è quasi tangibile, riusciva quasi a vederla, percepirla, nonostante il buio.

Chiude gli occhi, per calmarsi, per tentare di ricomporre un briciolo di dignità, di decenza. Ma il buio che vede attraverso le palpebre non è rassicurante, e subito si materializza davanti a lei la mano di un uomo che la afferra per i capelli. Apre gli occhi di scatto, dalle labbra esce un singhiozzo strozzato. Guarda Jon, e nel suo sguardo vede la rassicurante promessa di comprensione e gentilezza.

Non si è mai sentita autorizzata a mostrarsi debole. In tutta la sua giovane vita, Sansa Stark aveva imparato a nascondere ogni suo pensiero, ogni emozione. Celava il suo dolore, la sua rabbia, le sue paure dietro a sorrisi appena accennati, e parole gentili, prive di un sincero trasporto. Una maschera indossata così a lungo che ormai non conosce nemmeno più il suo volto.

Ma Jon la conosce, comprende il suo dolore, perché lui stesso lo prova. E con lui, Sansa sa che non servono maschere o finzioni. Non deve simulare una forza che non possiede, né una innocenza e una imperturbabilità da tempo perduta. È libera di ridere, piangere, soffrire.

È per lei una reazione pressoché naturale il gettargli le braccia al collo. Lui perde quasi l’equilibrio. La stringe con un braccio, mentre con l’altro si poggia al materasso, per evitare di caderle addosso. La sente tremare, in preda a un pianto incontrollato. La abbraccia con forza, quasi a volerla proteggere dai mostri che dominano i suoi sogni. Le passa la mano sulla schiena, compiendo piccoli movimenti circolari. Oltre la veste sottile, Jon percepisce la linea delle vertebre. Sansa rabbrividisce quando sente la mano di lui correrle lungo la schiena.

Un gesto che lui ha già compiuto, quando sporca e infreddolita era giunta al Castello Nero. Il bagno caldo aveva ridonato lucentezza ai suoi capelli, e torpore alle sue membra. Parlavano, seduti davanti al camino, con Spettro accanto a loro. Poi un movimento azzardato, una smorfia di dolore, e la preoccupazione di Jon. Sono caduta, si era giustificata. Un paio di volte. Dietro sua insistenza e con il volto velato di un rossore fuori luogo, gli aveva mostrato la schiena nuda. La pelle bianca cosparsa di graffia più o meno recenti, e molti lividi violacei. Poteva intuire l’espressione assunta da Jon, anche se non poteva vederla.

Era uscito, tornando poco dopo con un unguento che, diceva, avrebbe alleviato il dolore. Le mani di lui era calde e delicate contro la sua pelle. Non aveva fatto domande mentre carezzava i graffi e i lividi. Sentiva le dita di Jon correrle lungo la spina dorsale. Un brivido l’aveva sorpresa. Un brivido che non era dovuto al freddo o al dolore. L’aveva soppresso, stringendo con forza gli abiti al petto.  

Le dita di Jon tornano a sfiorare le vertebre di Sansa, riportandola alla realtà. Lui la sente calmarsi a poco a poco, le lacrime hanno bagnato l’incavo del collo nudo. Quando si distanziano, le prende il volto tra le mani, e con una delicatezza che non credeva più di possedere, cancella le scie delle lacrime.

La guarda, ma si allontana da lei, quasi scottato. Scende dal giaciglio che condividono dal giorno in cui lei era giunta al Castello Nero. Nonostante il buio, Jon raggiunge senza problemi la brocca piena di acqua posizionata sul tavolo. Ne versa un po’ in un calice. Guarda Sansa bere con avidità fino all’ultima goccia. Lui si siede sul letto davanti a lei.

«Grazie» il sussurro di lei è appena udibile. Gli restituisce la brocca e Jon la poggia a terra. La guarda con preoccupazione.

«Ti va di parlarne?» Sansa si limita a osservare ostinatamente a coperte rannicchiate in grembo. Jon si avvicina, il pavimento è gelido ma rimane comunque con i piedi nudi poggiati a terra.

«Sansa» lei alza lo sguardo. Scuote la testa leggermente, tentando di impedirsi di scoppiare a piangere nuovamente. Con Arya sarebbe tutto più facile, si ritrova a pensare lui. Ma, per quanto la sorella minore gli manchi, Jon non riesce a non essere felice del legame istaurato con Sansa. Un legame che – per quanto si sforzi – non riesce ad associare a quello che esiste tra fratello e sorella. Si ritrova spesso a pensare a lei, a quanto infondo le sia mancata. Al tempo sprecato quando erano piccoli e distanti.

Sansa osserva il camino spento, Spettro è tornato a riposare sdraiato a terra, ma i suoi occhi rimangono rivolti su di loro. Guarda Jon, e vede la preoccupazione sul suo volto. Abbassa lo sguardo sul petto nudo di lui. La luce lontana della candela delinea su di lui gioco di chiaro scuri che le permette di vedere tutte le insenature dei muscoli tesi e definiti.

Quando la sua mano sfiora i solchi lasciati dalle cicatrici, un brivido percorre la schiena di entrambi. Sfregi orribili, segni indelebili e dolorosi, simbolo di un tradimento più profondo di quanto lei possa immaginare. Jon rimane pietrificato da quel gesto. Una carezza leggera come il vento primaverile, e del tutto innocente, che tuttavia gli fa ribollire il sangue nelle vene. Il tocco di Sansa è leggero e delicato.

«Ho sognato che veniva a prendermi» non è necessario fare domande, Jon sa a chi si riferisce. La voce di Sansa è ridotta a un sussurro, come se gli stesse dicendo un segreto. «Sfondava la porta e mi trascinava per i capelli» le dita della sua mano continuano a sfiorare il suo petto, arrivando all’altezza del cuore. Anche lì c’è un’altra cicatrice. La più profonda, la più dolorosa. Attraverso la pelle percepisce il battito accelerato. «Gridavo» ha un tremito nella voce. «Ma non mi sentivi» alza lo sguardo. «Lo vedevo mentre si avvicinava a te. Non riuscivo a muovermi, e non riuscivo più a gridare. E poi ti colpiva. Il tuo sangue era.. era ovunque» i suoi occhi si riempio di lacrime, la sua voce si trema.

Vive nella paura, realizza Jon. Una paura paralizzante che le spezza il respiro e tormenta il suo sonno. Ramsay le ha fatto cose orribili – ha visto lui stesso i segni che le ha lasciato – e nonostante ora lui sia lontano e lei sia libera, Sansa continua a sentirsi il fiato sul collo. Negli occhi ha la stessa espressione di un animale braccato.

«Non ti toccherà mai più, te lo prometto» Jon porta una mano al volto di lei, mentre Sansa sente il battito di lui accelerare contro il palmo poggiato al petto. «Se dovesse venire a prenderti, io lo ucciderò»

Non si era accorta di essere così vicina a lui. Nel buio quasi totale, uno sfiorarsi di pelle, una distanza esile, inusuale, ma inaspettatamente piacevole. Anche se sbagliata, tremendamente sbagliata. Una vicinanza maledetta che trasforma l’innocenza di un gesto in peccato orribile.

Il silenzio è assoluto. Tutto sembra fermo, immobile. Tranne i loro cuori che battono forte, e senza sosta. È l’attimo che precede il bacio, lo sanno. Così intenso da eguagliare il bacio stesso. Ma a differenza di questo, quell’attimo è del tutto innocente. Occhi che si accarezzano senza chiudersi, labbra che si sfiorano senza toccarsi, respiri che si mescolano senza unirsi.

Del tutto innocente, sì. Fino a che quell’attimo non finisce.

Sansa non sa nemmeno chi si sia avvicinato per primo, forse lei, forse lui. Gli occhi si chiudono, e i respiri si uniscono. Uno sfiorarsi di labbra appena accennato, più lieve del soffio del vento, ma con una portata tale da ribaltare la sua concezione di giusto e sbagliato.

Si distanziano immediatamente, quasi scottati da un contatto che grida impurezza, consapevoli di quanta confusione e desiderio e timore ci sia in ogni gesto. Alla luce di quella candela lontana, riescono a scrutare l’uno il volto dell’altra.

La mano di Sansa rimane ancorata al petto nudo di lui, il suo cuore batte forte quanto il suo. I loro respiri affannati si mescolano e confondono. Gli occhi di lei sono lucidi e limpidi, ma quando Jon abbassa lo sguardo sulle sue labbra, sa di essersi tradito. Torna immediatamente a guardare gli occhi di lei.

Non gli è bastano. A nessuno dei due è bastato. Vuole di più, solo per quella notte, solo per quella volta. Per quanto tutto questo sia sbagliato, impuro, e peccaminoso, Jon desidera di più. È mia sorella. Una voce grida nella sua testa. Ma non le da ascolto, le labbra di Sansa – di sua sorella – sono più forti delle grida. E quando le si avvicina nuovamente, Sansa non si scosta.

Quello sfiorarsi di labbra diventa più possessivo, perde quell’innocenza che non ha mai posseduto, per diventare più carnale e famelico. Jon immerge le mani nei capelli di lei, morbidi e setosi. Le labbra di lei sono delicate e ne percepisce i timori, così piccola e fragile tra le sue braccia.

Un contatto malato, impuro. Ma lo desiderano, lo desiderano entrambi. Sfiorarsi, toccarsi diventa una necessità cui non riescono a dare un nome, cui non riescono a fare a meno. Vogliono di più, vogliono soddisfare un bisogno a lungo represso o che non erano consapevoli di avere.

Quando Sansa dischiude le labbra, lascia che la lingua di Jon incontri la sua. Senza pensieri, senza remore o indugi. La leggerezza di un bacio scambiato nella notte, senza conseguenze, senza promesse. Due anime sole, che cercano nell’altra un affetto dimenticato, una consolazione, una carezza gentile.

Un contatto che sanno essere sbagliato, ma che per un istante da loro tutto la pace che hanno perduto. Un contatto che sa di affetto incondizionato, di bisogno primordiale, di piacere. Una dolcezza sorprendente in un mondo di crudeltà e violenza.

Le mani di Jon sono delicate, quasi avesse paura di farle male, di spezzare un’anima che si è piagata così tante volte. Trema leggermente, forse a causa del desiderio. O del timore. Cosa stiamo facendo? Dovrebbe gridare, ma non lo fa, continua a baciarla. Perché in realtà non desidera fare altro.

La mano di Sansa sfiora i capelli di Jon, scuri, ricci. Il tocco di lui è gentile – come quello di Tyrion che non ha mai osate spingersi i limiti da lei imposti – totalmente privo della violenza che Ramsay esercitava su di lei. Non possiede la voracità di Petyr, né la possessività che il Mastino aveva impresso il quel breve bacio che le aveva rubato durante la notte delle Acque Nere. 

Quando si distanziano, Sansa si rende conto di essere quasi addosso a lui, con le braccia avvolte attorno al collo, le gambe intrecciate attorno alla sua vita. Un’intimità che non aveva mai avuto con nessuno. Jon le carezza il volto e i capelli. Le loro labbra sono schiuse e gonfie del bacio proibito che si sono appena scambiati.

Quando il sole finalmente sorge e illumina l’enorme Barriera di ghiaccio, nella torre buia dove Jon Snow riposa, una sola creatura è testimone di ciò che è avvenuto nella notte. Spettro, unico osservatore del peccato commesso, osserva in silenzio. Sempre vigile, sempre attento. Mentre il suo padrone dorme nel piccolo giaciglio, avvolgendo tra le braccia la ragazza dai capelli ramati.

La testa di Sansa rimane poggiata al petto di lui, si è lasciata cullare dal suo respiro che ha reso dolce e confortevole il sonno, come non accadeva da tempo. La braccia di Jon la avvolgono, come a proteggerla. Si svegliano con dolcezza, cullati dai raggi del sole. Quando i loro occhi si aprono, confusione è ciò che provano. Confusione mescolata al piacevole ricordo di un sogno meraviglioso. Quando i loro sguardi si incontrano, una muta domanda aleggia tra loro. Ma è proprio in quello sguardo che entrambi trovano la risposta. Basta un niente per capire tutto, solo il silenzio li avvolge.

La confusione nelle loro teste lascia spazio a una triste malinconia. Alla luce del sole, riescono a scorgere la pazzia di ciò che hanno fatto. E in silenzio contano i danni e rimuginano sulle conseguenze della loro stoltezza.

Si vestono lentamente, senza guardarsi, senza parlarsi. Perché non c’è nulla da dire, e qualunque parola risulterebbe sbagliata, fuori posto. Fuori posto, come si sentono loro. Quell’innaturale imbarazzo che si è creato rende entrambi inquieti. Un piccolo errore, un piccolo cedimento ha rovinato tutto, distruggendo il precario castello di carta che avevano costruito dopo anni di separazione.

Il silenzio che li aveva accolti e protetti nella notte, alla luce del giorno risulta pesante come un macigno. E gli occhi che nel buio si cercavano e trovavano, ora fuggivano. Si scrutavano da lontano, senza guardarsi davvero.

Jon respira a fatica, detesta quel silenzio carico di imbarazzo, che esprime solo inadeguatezza. Detesta quel silenzio cui non riesce a porre fine, e detesta sé stesso, la sua debolezza. Come ha potuto fare una cosa del genere? Come può essersi spinto tanto oltre? Teme la reazione di Sansa, teme di aver creato una rottura cui non sa come rimediare. Quella che scruta di nascosto, mentre si finge impegnato, è un’anima spezzata. Ha visto la sua fragilità, lei gliel’ha mostrata, compiendo un atto di fiducia cieca verso di lui. Si detesta, perché ha approfittato di una debolezza. Ma ciò lo fa sentire peggio è che non si sentiva così vivo da molto prima che morisse.

Si concede un istante per prendere coraggio. Poi, finalmente, si volta verso di lei.

«Sansa» la voce di Jon giunge distante e quasi sconosciuta, in essa c’è una sfumatura che lei non ha mai sentito. Preoccupazione, pensa. Pentimento, teme. Lei lo guarda, mentre finisce di intrecciare i capelli ramati. «Quello..» deglutisce, cercando parole che non trova. «Quello che è successo..» Sansa tace, in attesa. «Mi dispiace» lei trattiene il fiato. «Non avrei dovuto farlo, ho approfittato di un tuo momento di debolezza e..»

«Sei pentito?» Sansa si alza dal giaciglio. Si aggrappa a quella domanda con disperazione. Il silenzio cala su di loro nuovamente, mentre si guardano. Vede Jon esitare.

«No» le si avvicina. «Dovrei, ma non lo sono» Il suo animo è dilaniato, vede il conflitto nei suoi occhi. Lo stesso conflitto che vige in lei.

Fa un altro passo, ma non si spinge oltre. Si è già esposto abbastanza. Rimane fermo mentre la vede avanzare verso di lui. «Nemmeno io. Dovrei, ma non me ne pento»

Quando le loro labbra si incontrano nuovamente, le mani di Jon carezzano il volto di Sansa. È un bacio delicato il loro, privo di lussuria e impeto, carico però di desiderio. Lo stomaco di lei si contorce in maniera piacevole, e trema senza riuscire a controllarsi.

Si distaccano leggermente, guardandosi negli occhi come se non esistesse altro al mondo. Ma quello che si trova in quella stanza, per Sansa, è davvero tutto ciò che ha. Jon e Spettro. Il senso di protezione e sicurezza che percepisce le risulta quasi estraneo e dimenticato. Si lascia avvolgere da quell’inaspettata tranquillità, e per la prima volta da anni, può dire di essere felice.

Un’unione senza futuro, una dolce consolazione. Una felicità imperfetta, inquieta, ma assolutamente autentica. Si allontanano senza parlare, senza spiegazioni né promesse. Consapevoli che quel bacio sigilla una segreto, un peccato commesso senza rimorso, un gesto che non si ripeterà mai più, o forse mille volte ancora.

Le loro mani sono sporche del peccato che hanno commesso, ma non esiste rammarico, non c’è pentimento. E come può esserci perdono per coloro che non provano rimorso?

 

 

 

 

 

Ama, ama follemente, ama più che puoi, e se ti dicono che è peccato, ama il tuo peccato e sarai innocente.

– William Shakespeare

 

 

 

 

Una one shot senza pretese, ma che ho amato scrivere. Sansa è il mio personaggio preferito, e questa reunion con Jon mi rende molto contenta. Spero davvero che riescano a riprendersi il Nord. E, perché no, trovare la felicità l’uno nell’altra.

Mi scuso per gli eventuali errori.

Spero vi piaccia, e magari fatemi sapere.

A presto,

topazio

  
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