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Autore: Miriana Kuntz    08/06/2016    0 recensioni
Una storia SOLAMENTE ispirata al telefilm the 100. Anni dopo i fatti avvenuti, con personaggi diversi.
"Mai abitante del cielo, o della Terra si era guardato dentro, come avevano fatto quelle due in quel momento, infinitamente sotto la pelle, promettendosi senza parole un eterno amore."
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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150 anni dopo una guerra nucleare che ha devastato la terra gli ultimi essere umani andarono a vivere in stazioni spaziali in orbita intorno alla terra.  Molto tempo prima gli umani sopravvissuti avevano tentato una spedizione. Li chiamavano i cento, ragazzi in debito con la legge spediti sulla Terra per assicurare il suo nuovo utilizzo. Si racconta di grandi battaglie e grandi amori tra coloro che ormai erano estranei alla Terra e tra chi ormai ne era il nuovo possessore. Nessuno ne ebbe più traccia, e coloro che rimasero nelle stazioni spaziali andarono avanti con la propria vita, più in là, col passare del tempo tutti dimenticarono la Terra e quei cento che coraggiosamente o  sfortunatamente, avevano fatto parte della spedizione.
Tutti dimenticarono, tutti, almeno, fino a quel momento.
 
Il comandante Airon convocò l’intero gruppo che abitava le stazioni orbitali. Aveva la faccia scura, come quella di uno che sta per dire una cosa complessa.
-Miei cari, vi ho convocato qui, per parlarvi di un fatto assai importante. Voi tutti ricorderete i cento,no?-
Tutte le persone accorse avevano gli occhi puntati nel vuoto.
-Come sapete i nostri antenati non hanno trascritto i risultati della spedizione, e dopo così tanti anni siamo ancora in dubbio sul rinnovamento della Terra, abbiamo così pensato di fare un sorteggio e…-
-tra chi?- chiese uno tra la folla
-Che io sappia i cento erano formati da ragazzi giovani, perché cambiare la storia d’altronde?-
Così dicendo il comandante Airon strofinò le sue mani con vigore, sulla sua faccia esplose un sorriso arcigno.
-Sono i nostri figli comandante!- disse un uomo facendosi avanti
-Certo che sono i nostri figli, ma d’altronde sono giovani, non hanno ancora fatto nulla della loro vita, chi potrebbe piangere la loro mancanza? Un marito? Dei figli? E poi, animo, la spedizione sarà un successo, diventeranno degli eroi-
-Dei genitori comandante, noi sentiremmo la loro perdita-
-Ci si abitua a tutto, mi creda!-
Dall’orbita spaziale n°1, quella riservata alla classe alta, fece ingresso una sorta di computer volante, dal display sarebbero comparsi i nomi degli adolescenti reclutati per la spedizione.
Dereck, Tim, Rob, Lena, Mason,  Rebecca  e altri, fino a raggiungere il numero cento.
I ragazzi tremavano di paura, avevano sempre sentito parlare di questa leggenda, ma non pensavano potesse ricapitare.
La navetta fu preparata all’istante, le famiglie ebbero giusto il tempo di un bacio, e i loro figli furono già preparati ed equipaggiati per questo folle viaggio. Tra i numerosi viveri e munizioni corse a nascondersi una persona. Una ragazza, o almeno così sembrava. Aveva una spada allacciata alla gamba, lo sguardo severo, quasi concentrato. Mentre i cento avrebbero voluto nascondersi, quella strana ragazza stava facendo di tutto per essere a bordo. Uno dei ragazzi la vide, e le fece cenno di scendere. Chiunque avrebbe pensato che fosse matta a voler partecipare ad una cosi assurda spedizione. Ma la giovane fece cenno di stare zitto, e si nascose dietro i grossi barili contenenti armi.
La navetta prese quota velocemente, e in meno di due ore i cento arrivarono sulla Terra. L’atterraggio previsto sul monte Weather stavolta andò a buon fine. Su questa montagna di terra si trovava un rifugio di mattoni, alcune provviste di cibo e altri medicamenti, o meglio era ciò che nella prima spedizione avrebbero trovato i cento. Non appena i ragazzi toccarono terra la nave riprese quota tornando alla base nello spazio.
-Cazzo ci hanno davvero lasciati qui..- disse Tim, uno dei tanti
-Che ti aspettavi?- chiese la ragazza sconosciuta facendosi avanti
-Hai un gran fegato ragazza, il tuo nome non era apparso sul display, a quest’ora potresti essere nel tuo letto.-
-chi ti dice che io ne abbia uno?-
-ah… fa come ti pare!-
 
La ragazza, chiamata da molti nello spazio kuntz, aveva scelto di partecipare alla spedizione per un motivo preciso. Aveva sempre osservato Rob da lontano, ma non aveva mai avuto l’occasione di conoscerla. Conosceva a memoria ogni sua smorfia di dolore o gioia. Aveva contato più volte i suoi sospiri, si era domandata per tanto tempo quale bellezza nascondessero i suoi occhi blu, ma non aveva mai trovato una vera risposta. Kuntz era lì per proteggere Rob? Probabile. Come può una sconosciuta mettere a repentaglio la sua vita per un’altra, se le due non si sono mai neppure guardate negli occhi? Tuttavia l’amore rende pezzi, e talvolta ciechi.
Sulla Terra erano cambiate molte cose, faceva presto buio, e la notte sembrava durare almeno il doppio, in quanto alla luce del sole, era così calda da pungere la pelle. La vegetazione sembrava sparita, al suo posto lungo la strada si trovavano degli strani piazzamenti d’erba con su delle cose tonde, simile a frutti. L’aria era pesante, quasi si faceva fatica nel respirarla. I palazzi ormai vuoti, tombe di cadaveri diventati polvere facevano quasi paura visti da lontano. Il sole li toccava così forte quasi a disintegrarli, e il buio li rendeva così spaventosi, come abissi di mattoni.
-Si dice che i Cento incontrarono una strana popolazione qui sulla terra, come saranno?-
-Non accadrà anche a noi, diamine, qui non c’è più nessuno, riesco a sentire persino l’eco della mia cazzo di voce!-
-Sono d’accordo- disse Lena, una giovane dai capelli rossi e spettinati.
I cento si aggrupparono intorno al monte Weather, quasi come formiche spaventate, tutti tranne uno.
Rob rimase in disparte, con le ginocchia piegate, e la testa a fargli da cuscino.
-Io-o-o- balbettò kuntz avvicinandosi
Rob alzò il capo di scatto sentendo un mormorìo.
-Ciao, tu sei quella strana che ha deciso di partire nonostante non fosse stata scelta , non è così?
-Si, sono io.. in realtà ho un motivo bello grosso per essere qui..-
-Qual è? Dai dimmi.- chiese Rob.
I suoi occhi erano così grandi, che a confronto l’oceano sarebbe stato il contorno di un bicchiere.
Kuntz stava per trovare una risposta valida, quando su tutto il monte Weather esplose un frastuono assordante. In lontananza una nuvola di fumo denso, il cielo sembrò quasi esplodere in mille pezzi aranciati.
-E’ lava!- disse Kuntz alzandosi subito in piedi. Prese immediatamente Rob per mano trascinandola quasi di forza.
-Dobbiamo scappare, è lava ragazzi, dobbiamo salire più che possiamo, il monte non basta-
 
I cento iniziarono a correre velocemente. Il monte era ad un’ altitudine non sufficiente per ripararsi da quell’eruzione improvvisa. Più in là, ce n’era uno alto almeno il triplo, ed era lì che i ragazzi erano diretti. Nessuno fu lasciato indietro, tutti e cento ed uno, raggiunsero la vetta. Non prima che Kuntz per portare in fretta Rob in vetta non cadesse su un masso appuntito.
Lì sotto si raccolse un mare di fuoco. Il monte Weather fu quasi sommerso, e insieme a lui le eventuali scorte o medicamenti.
-Dobbiamo metterci in contatto con la base, prima che venga giorno, questo è solo uno dei tanti cambiamenti subiti dalla Terra, non possiamo sapere quali altri ci siano, potremmo morire tutti prima che faccia  giorno.- Disse Tim iniziando a contattare la base.
I computer sembravano spenti, quasi come rotti.
-Non funzionano i nostri orologi trasmittenti, deve esserci qualcosa che li disturba..- Disse Rob
-Tempesta elettromagnetica?- chiese Tim
-Potrebbe essere- rispose la giovane.
 
I cento sotto un cielo scuro come l’antro di un lupo feroce, si disposero in modo da farsi scudo gli uni agli altri.
-Sei ferita..- disse Rob puntando gli occhi sulla gamba di Kuntz
-E’ solo un graffio..-
-Lascia che ti curi..-
Le mani di Rob erano così morbide, che mai tocco avrebbe fatto più bene di quello. Quante volte Kuntz le aveva osservate. Mani intente a gesticolare, dita arricciate nei capelli, mani morbide come velluto accarezzare l’aria, mani dentro, fuori la sua testa. Aveva immaginato almeno un milione di volte che quelle mani avessero accarezzato la sua pelle in un modo così gentile e sacro.
-Allora me lo dici perché sei qui?- chiese la giovane mentre medicava con un pezzo di stoffa la gamba insanguinata
-Io-o..- balbettò Kuntz.. –Sei tu.-
-Io? Ci conosciamo?- chiese Rob sbalordita
-Non prima d’oggi, ma possiamo farlo se ne hai voglia..-
-Stiamo già parlando mi pare. Vedrai che farà meno male così.-
-Aveva smesso di far male appena hai posato il tuo sguardo sulla ferita.-
-Cosa sai di me straniera?- chiese rob sorridendo
-Almeno un milione di cose, ma non pensare che io ti abbia spiata, oh, forse lo ammetto, qualche volta l’ho fatto, ma mai per darti fastidio. So che ti piace la musica, e che a volte non pensi neppure che gli altri ti stiano ascoltando mentre canti, so che a volte ti metti in disparte, perché preferisci restare in silenzio, so che a volte perdi la strada per arrivare  a casa, ma che poi la ritrovi sempre, so che detesti il tuo nome, che fingi di essere sempre la più forte, mentre vorresti per una volta abbandonarti all’amore.-
-Io non so niente di te..- rispose Rob abbassando lo sguardo
-Solo perché tu pensi di non saperle, questo lo senti?-
La giovane prese la mano di Rob e la posò sul suo cuore. Il battito divenne cosi furioso che anche ad occhio nudo lo si sarebbe potuto vedere.
-Lo sento. –
-Adesso sai ciò che è giusto che tu sappia, non serve più nulla.-
Le due si misero a dormire l’una accanto all’altra. I loro respiri divennero cosi all’unisono che nessuno avrebbe potuto distinguerle. Rob aveva il capo posato sul suo petto, Kuntz una mano a cingerle la fronte, quasi a proteggerla anche nel sonno.
Kuntz l’amava, l’aveva sempre fatto. Da quando erano bambine, non aveva mai avuto il coraggio di conoscerla, provava una sorta di reverenza verso quell’essere che lei considerava speciale. L’aveva amata quando aveva perso il suo primo dente, quando imparò a stare sui pattini, quando quella volta uscì per strada in camicia da notte, quando aveva sbagliato, e quando invece aveva fatto la cosa giusta. Kuntz aveva seguito tutta la sua vita a distanza, l’aveva tenuta d’occhio per proteggerla in qualsiasi momento, il suo cuore impazziva d’amore, ma non si era mai sentita abbastanza per possederla del tutto.
 
Al risveglio i cento non avevano ancora contattato la base, ed essa sembrava essersi scordata di quei ragazzi in pericolo. Il comandante Airon aveva sempre avuto una sorta di disprezzo verso i giovani, probabilmente aveva solo trovato il modo giusto per disfarsene.
-Dobbiamo arrangiarci da noi, se vogliamo tornare a casa.- Dissero alcuni gridando nella folla
 
-Prima di andare ho una cosa per te..- disse Rob al suo risveglio
-Cosa?-
-La leggenda racconta di due sfortunate amanti.. Clarke e Lexa. Non ne so molto, ma mi pare di aver capito che una persona importante indossasse una cosa, forse portava fortuna, insomma, avvicinati.-
Rob con le mani pregne di inchiostro nero fece uno strano disegno sulla faccia della ragazza. Una sorta di maschera nera, sconosciuta al popolo del cielo.
-Ti proteggerà.-
-Come io proteggo te.- Rispose Kuntz accarezzandole il viso.
 
Mai abitante del cielo, o della Terra si era guardato dentro, come avevano fatto quelle due in quel momento, infinitamente sotto la pelle, promettendosi senza parole un eterno amore.
  
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