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Autore: bloop    09/06/2016    2 recensioni
Cosa succede quando Roma incontra la Romagna? E quando un turista - prendiamone ad esempio uno qualunque, chiassoso ed espansivo - si prende una cotta per una barista, ma ha solo tre settimane di tempo a disposizione da trascorrere con la sua bella?
Aggiungiamoci una piccola migliore amica intenzionata ad evitare cuori spezzati, un silenzioso migliore amico che non riesce a stare zitto davanti ad un'ingiustizia, un ragazzo fin troppo socievole e innamorato e concludiamo con una coppia di gemelli eterozigoti dotati di lingua pungente.
Ventuno cappuccini del buongiorno al Bagno Girasole basteranno ad intrecciare tutte queste vite? Scommetto che avete già intuito la risposta.
«È carino».
«Ninì...»
«Sì?»
«Vacci piano».
«Non vado proprio da nessuna parte, sto solo dicendo che è carino. Non ho intenzione di farci cose né di innamorarmi o di sposarlo o...»
Genere: Commedia, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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- Come ti sconvolgo la vita in tre settimane -

 

13. Giorno undicesimo







Quel 15 di agosto una leggera coltre di nuvole offuscava il cielo su Cesenatico, ma Anita non si lasciò illudere ed indossò un paio di shorts di jeans e una canottiera bianca, si guardò allo specchio e sospirò. Erano solo le sette e trenta della mattina, aveva dormito poco per chiacchierare con Agnese e raccontarsi per filo e per segno quello che era successo la sera precedente ad entrambe, ma il lavoro la chiamava e lei non si lasciò spaventare da un paio di nuvole fuggiasche. Uscì dalla sua stanza e si avvicinò alla porta socchiusa di quella della madre per avvisarla che usciva, così bussò leggermente e non ricevendo risposta l'aprì. Sua madre dormiva beatamente con la guancia appoggiata al petto nudo del suo compagno, entrambi ignari del fatto che la figlia maggiore fosse lì, ai piedi del letto, a guardarli oltraggiata. L'unica cosa che avrebbe potuto rovinare ancora di più quella giornata era proprio l'aver visto quei due sotto lo stesso lenzuolo, evidentemente nudi. Piegò le labbra in una smorfia al sapore di delusione e lasciò quella casa che cominciava a sentire stretta, con l'aria viziata e quell'uomo che passava sempre più tempo lì. Si sistemò la borsa in spalla e si incamminò a testa bassa lungo il marciapiede diretta al Bagno Girasole, dove avrebbe passato la giornata in compagnia degli ordini e delle battutine di Michele, che certo non gliene avrebbe risparmiata una.
Prima di entrare in servizio prese il cellulare dalla borsa e digitò velocemente sul touchpad "Passi a fare un saluto oggi?" e lo spedì a Sebastiano, trattenendo un sorriso. Non sapeva nemmeno lei come si sarebbe dovuta comportare dopo quello che si erano detti meno di dodici ore prima, ma sapeva solo che aveva una voglia incredibile di stare con lui e aveva una proposta da fargli.
«Sbrigati, Anita!» la riprese Michele, uscendo dal bar reggendo una pila di tovaglie di stoffa che usavano solo in quella occasione. La ragazza sospirò e si infilò dietro al bancone, nascose la borsa in un armadietto e raggiunse il collega per sistemare i tavoli per la colazione.
«Stamattina sembri più fatta del solito, che ti è successo?» le chiese con un tono misto fra il divertito e il premuroso. Lei raddrizzò le spalle e lo guardò accigliata, mentre cercava di decifrare quella domanda.
«Niente che ti riguardi, sto bene» rispose solo, tornando ad apparecchiare.


Per Elia Bracaglia Ferragosto significava una sola cosa: «Gavettoni!»
E fu proprio questo ciò che gridò entrando con Sebastiano nella stanza del bed and breakfast condivisa da Tommaso e Leonardo; non fece in tempo ad alzare le bottiglietta  per sferrare il primo attacco della giornata, che fu investito da una pioggia d'acqua gassata direttamente sui riccioli biondi.
«Eccoti accontentato» rispose Leonardo con un sorriso sornione, ancora in mutande. Dalla sua postazione sul letto era riuscito a godersi senza perdersi nulla il momento in cui Elia aveva aperto la porta e Tommaso, in piedi su una sedia proprio accanto ad essa, gli aveva fatto una doccia di Ferrarelle. Ovvero il momento in cui la lotta sarebbe cominciata: a quell'azione seguirono alcuni brevissimi istanti di quiete e sconcerto, mentre Elia tratteneva il fiato, poi il finimondo: al di là del buon senso e del regolamento dell'alloggio - che, insomma, non diceva nulla a proposito delle battaglie a colpi di gavettone, ma era sottinteso che non fossero ben accette nelle camere - diverse bottiglie vennero svuotate; Elia colpiva Tommaso, che, per par condicio, anziché limitarsi a vessare il migliore amico coinvolse nella lotta anche Leonardo, il quale di certo non si tirò indietro. Gridarono, risero, si gettarono addosso tutte le loro munizioni, per poi accasciarsi ognuno sul proprio posto a riprendere fiato. Fu più o meno in quel momento che Elia si accorse di qualcosa di strano; «Fermi tutti! Non è giusto!» gridò, lo sguardo che saettava verso la porta.
La risata di Tommaso si spense lentamente sulle sue labbra, poi imitò il gesto dell'altro ragazzo e comprese al volo la sua lamentela: Sebastiano se ne stava in piedi sulla soglia, appoggiato allo stipite della porta, con il telefono in mano e un sorrisetto ebete in viso, interamente asciutto. E Tommaso avrebbe anche potuto accettarlo se solo lui fosse stato intento a riprendere la scena per poi umiliare pubblicamente Elia pubblicando su YouTube il video che immortalava la sua misera sconfitta, ma non era quello il caso: Sebastiano stava infatti leggendo un sms.
«Che razza di merda!» protestò a sua volta, battendo un pugno sulla propria coscia. «Castelli, che cazzo fai?» Non poteva preferire davvero una ragazza - perché era certo si trattasse di lei -all'umiliazione di Elia!
Fu solo in quel momento che il biondino si rese conto di quello che si era perso, troppo impegnato a gongolare per quel messaggio di Anita; soprattutto, però, quello che fu chiaro al ragazzo era quello che i suoi amici avrebbero fatto a lui, che non aveva partecipato alla lotta.
«Che vuoi fa', Villa?» balbettò, già pronto a scappare.
A quel punto nel piccolo bed and breakfast si verificò qualcosa che nessuno avrebbe mai potuto immaginare: Villa scattò in piedi e raggiunse l'amico a grandi passi, gli prese il telefonino dalle mani e se ne tornò a sedere sul suo letto; Sebastiano rimase a bocca aperta a fissare Tommaso che spegneva il cellulare.
«Che cazzo fai?» chiese con tono alterato «Non ho risposto ad Anita, che cazzo fai!» ringhiò, ma l'altro non si lasciò impressionare e scrollò le spalle.
«Oggi non si parla di ragazze, intesi?» e guardò prima Sebastiano, poi Elia ed infine Leonardo, che zitto zitto stava analizzando la situazione e valutando un modo per aiutare Castelli.
«Ma li mortacci tua, Villa! Fammi rispondere alla mia ragazza» si lagnò Sebastiano, lasciandosi cadere sul letto di Leo e guardando l'altro amico con occhi da cane bastonato.
«Come scusa?», Tommaso lo fissò allibito. Cosa aveva appena detto? Come aveva definito Anita?
«Ma li mort-»
«Quello l'ho capito, pezzo di idiota! Come l'hai chiamata?»
A quel punto Sebastiano prima sbiancò, poi divenne rosso come un pomodoro maturo e boccheggiò, l'elettroencefalogramma completamente piatto e il cuore a mille.
«La mia ragazza» confessò, abbassando la testa e aspettandosi prese in giro, risate e battute. Invece ci fu un attimo di silenzio, poi Tommaso si alzò, si avvicinò al letto, gli restituì il cellulare e si accasciò al suo fianco.
«Sono l'unico sfigato qui dentro!»
Tutti risero e nell’aria tornò a respirarsi la serenità e la spensieratezza di chi si gode la vita per quella che è, senza malumori e senza pretese.
Leonardo si alzò dal letto e allungò le braccia verso l’alto per stirare la schiena, poi raccolse una maglietta dal pavimento e la gettò sulla valigia.
«Che famo? La spiaggia ci aspetta!» esclamò guardando i suoi amici. Durante quella vacanza chiunque aveva notato il cambiamento di Leo, non era più così silenzioso, faceva battute, prendeva l’iniziativa e leggeva solo in compagnia di Agnese. Forse era proprio lei ad aver cambiato il ragazzo e Tommaso ne era sicuro al cento per cento. Si chiedeva se quel nuovo Leo sarebbe sparito alla stessa velocità con cui era arrivato, al loro rientro a Roma, così non si fece pregare un secondo e scattò in piedi.
«Il bagno è mio!» gridò, per poi pescare un paio di bermuda da spiaggia dalla sua valigia ed uscì in corridoio, sperando che Betta non si fosse già chiusa dentro.
Tra risate e schiamazzi arrivarono al Girasole non più tardi di un’ora dopo e Sebastiano di precipitò al bar, sperando di riuscire a rubare qualche istante alla sua barista preferita, mentre il resto della comitiva si dirigeva automaticamente all’ombrellone, organizzando già il da farsi per combattere il caldo di quel sereno Ferragosto.
Quando Anita tornò dietro il bancone reggeva un vassoio talmente pieno di tazze e piattini che non si accorse del ragazzo seduto sullo sgabello ad osservarla.
«Ti disturbo?» le chiese all’improvviso, facendola così sobbalzare e arrossire.
«Ciao!» lo salutò, appoggiando il vassoio e cominciando a mettere le tazzine nel cestello della lavapiatti, «Cosa posso darti per colazione?»
Sebastiano finse di pensarci su, poi sorrise apertamente e «Un bacio» rispose solo.
Anita si morse il labbro inferiore, intenerita dall’irriverenza e dalla sfacciataggine di quel ragazzo. Il suo ragazzo. Per questo non poteva certo negargli quel suo piccolo desiderio, quindi uscì da dietro il bancone e lentamente si avvicinò a lui, che le porse una mano sorridendo. Cercando di non farsi prendere dal panico Anita l’afferrò e fece gli ultimi passi che li separavano, poi rimase a fissarsi la punta delle sue Superga azzurre, rossa come pomodoro e con il cuore a mille.
Sebastiano a quel punto si alzò e le accarezzò dolcemente una guancia, le sollevò il viso e fece incontrare le loro labbra in un tenero bacio privo di secondi fini.
Fu più o meno nel momento in cui le mani del ragazzo decisero che, sì, era consentito loro di intrufolarsi almeno un pochino sotto la maglietta leggera di lei, che un colpo di tosse li ridestò. Anita si separò all’istante, arrossendo e già pronta a riprendere il lavoro in risposta all’ammonimento di Michele. Si sorprese dunque quando il suo sguardo incontrò l’espressione provocatoria di Elisabetta, in piedi ad un paio di passi da loro.
«Tre cappuccini e una centrifuga rossa, grazie» disse, per poi girare sui tacchi -be’, sulle infradito- e dirigersi ancheggiando al tavolino che il resto della compagnia aveva occupato. Mentre Anita arrossiva per l’imbarazzo, sentì qualche strano pensiero pungerle un angolo della mente: non che le interessasse, ma quella ragazza sembrava davvero avercela con lei. Gli sguardi gelidi e gli atteggiamenti che variavano dal vagamente passivo aggressivo all’apertamente ostile ne erano un chiaro segnale. Si chiese il perché, ma si rispose che non le importava di piacere ad Elisabetta.
«La solita stronza» commentò Sebastiano, contrariato, «E’ la principessina più viziata del cosmo»
Anita accennò un sorriso, suo malgrado colpita da quella nuova provocazione. Possibile che nessuno approvasse la loro relazione?
«Di certo rientra tra le prime dieci» rispose, accennando poi una risatina, «Ma in questo caso devo assecondarla» spiegò, indicando Michele ed i clienti con un cenno del capo; «Devo proprio...»
Sebastiano si morse il labbro inferiore distrattamente ed annuì. Aveva notato il leggero cambiamento nell’atteggiamento di Anita e questo non poteva che essere causato dall’antipatica interruzione da parte dell’altra ragazza. Aveva voglia di fare un sacco di cose, chiederle spiegazioni, dirle di non preoccuparsi, riempirla di baci per distrarla e farle ritrovare il sorriso, ma si limitò ad annuire e premere le labbra sulle sue per un solo istante.
«Sarò qui in giro tutto il giorno» le disse con un sorriso.
Oh anche io, pensò lei con amarezza, a lavorare.
«Stasera c’è il karaoke» rispose in tono mesto, ciò significava che… «Non me ne andrò prima di mezzanotte»
Quell’informazione parve animare la speranza di Sebastiano, «Ma è fantastico!»
Anita si accigliò, confusa da quella reazione, poi rise.
«Mica tanto. Sarò distrutta a fine giornata»
«Oh no, non quello!», il ragazzo arrossì di fronte al fraintendimento, «Ora so cosa faremo stasera!»
 
«Col cazzo»
«Eddai, Villa!»
«Castelli, non passerò il Ferragosto a fare la serenata alla tua amichetta. Stasera usciamo, stasera io trombo»
Sebastiano roteò gli occhi a quella risposta, mentre Elisabetta si premurava di commentare: «Sarebbe anche ora, ne hai veramente bisogno»
Tommaso le rivolse un’occhiataccia, poi optò per astenersi da un’ulteriore replica.
«Però non posso dargli torto» aggiunse lei, voltandosi verso il biondo, «Sai che palle il karaoke con i turisti? Capisco che gli ormoni ti abbiano dato alla testa, ma devi toglierti questo chiodo fisso. tra una settimana ce ne andremo da qui e tu cosa farai con la tua...ragazza?»
Sebastiano si corrucciò. Non è che la consapevolezza di dover ripartire non l’avesse mai sfiorato, ma non voleva passare il tempo a pensarci rovinandosi quello che aveva a disposizione da passare con Ninì. Avrebbero trovato una soluzione, non era così complicato tenersi in contatto nell’era della tecnologia.
«Perché devi essere sempre così stronza?»
«Sì, infatti» intervenne Tommaso «Chiamalo scemo: noi uomini abbiamo dei bisogni, almeno lui li soddisfa. Questo qui, il nuovo frate domenicano San Leonardo da Ostia, ha praticamente preso i voti, quell’altro è diventato un maniaco della forma fisica e io non...»
«Non trovi nessuno con cui trombare, abbiamo capito» sbuffò Betta, «Ti sei mai chiesto se forse il problema non sia tu? Chi vuoi che ci stia con un morto di fame come te?»
lui stirò un sorrisetto insolente.
«Tu, se non fossi mia sorella»
Elisabetta lo fissò impassibile per qualche istante, tramando nella testa chissà quale perfida risposta, ma alla fine si congedò con un sonoro vaffanculo mentre si alzava per andarsene.
Leonardo colse al volo l’occasione per sgusciare via ed intrufolarsi nel bar senza che Sebastiano lo notasse. Aveva bisogno di chiedere ad Anita una cosa importante, non voleva doverlo fare davanti a terzi.
Quando entrò si appurò che non ci fosse Michele nei paraggi e si avvicinò al bancone con le mani sprofondate nelle tasche dei suoi bermuda.
«Ciao» disse, cercando di sovrastare il rumore del frullatore con cui Anita stava lavorando. La ragazza lo guardò incuriosita, poi sorrise gentilmente.
«Ciao! Dimmi tutto»
Leonardo la guardò negli occhi, poi arrossì leggermente sperando di non essere notato e prese a fissarsi la punta dei piedi.
«Mi chiedevo...Agnese a che ora torna?» farfugliò, avvertendo subito uno strano sfarfallio alla bocca dello stomaco. Anita sorrise intenerita e spense il frullatore, versandone il contenuto in un bicchiere.
«Di solito rimangono fuori fino a sera, ma quest’anno non lo so. Se vuoi ti do il suo numero, così lo chiedi direttamente a lei»
Il ragazzo sobbalzò appena, poi si grattò la nuca guardandosi in giro. Era il caso di accettare l’offerta? Agnese come avrebbe reagito? L’avrebbe preso per uno stalker? Non voleva spaventarla, voleva vederla. Come un flash gli vennero in mente le parole di Betta: fra una settimana ce ne andiamo. Non poteva lasciarsi scappare questa occasione, così annuì e si sforzò di cacciare via l’imbarazzo.
«Se non è un problema. Voglio dire, non vorrei che mi prendesse per un maniaco o per un pazzo o un pervertito, ecco», cominciò a gesticolare facendo ridere la sua interlocutrice, che senza aggiungere altro prese un tovagliolino e la penna, poi scrisse velocemente il numero e glielo porse sorridendo con complicità.
«Non puoi fare altro che migliorarle la giornata, fidati» gli confessò.
Leonardo annuì e guardò quel pezzetto di carta: gli sembrava incredibile pensare che fosse stato così semplice.
«Be’, allora grazie! Ci vediamo più tardi» si congedò in fretta da Anita ed uscì dal bar con il cuore che batteva all’impazzata e i muscoli tesi.
Quando tornò dagli altri, tutti lo stavano fissando con fare inquisitorio.
«Dove sei stato?» chiese subito Tommaso, ansioso di sapere se davvero lui era l’unico a non essersi trovato una vittima durante la vacanza. Leonardo si sedette sul lettino vicino a Sebastiano e afferrò lo zaino, per poi aprire la tasca più piccola e tirarne fuori il cellulare.
«Ho recuperato il numero di Agnese» confessò dopo un paio di interminabili secondi di silenzio. Elia, Tommaso e Sebastiano risero, poi l’ultimo si mise a sedere e gli diede una leggera spallata.
«La prossima volta impari a non comprarti uno smartphone» lo prese in giro Tommaso, accennando al vecchio Nokia 3230 che l’altro teneva in mano.
«O a non chiedere agli amici» aggiunse Elia «Noi abbiamo il numero delle ragazze»
Leonardo fece spallucce e digitò il numero sul suo vecchio telefono dell’anteguerra.
«Se avessi comprato lo smartphone non sarei venuto in vacanza. Il telefono serve per telefonare e mandare messaggi e questo lo fa perfettamente come i vostri» spiegò.
Leonardo era sempre stato così: non amava spendere, perché sapeva quanta fatica e quanto lavoro ci volessero per guadagnarli; preferiva non far mancare niente alle sue sorelle e accontentarsi di poco.
Sebastiano sorrise e gli diede una pacca sulla spalla. Lo capiva, sapeva perfettamente cosa provasse in quel momento, la voglia che aveva di vederla, il bisogno di sentire la sua voce, la sua risata, di parlare con lei o rimanere in silenzio a guardare le stelle. Erano entrambi sulla stessa barca che nel giro di sette giorni sarebbe salpata dal porto di Cesenatico per far ritorno nella Capitale.
Così, mentre uno si allontana a testa bassa con la scusa di una passeggiata, l'altro cercò di distrarre il resto della compagnia proponendo una nuotata: «Così nessuno deve restare a far compagnia a Leo, una volta tanto».
 
Nel frattempo, settanta chilometri più a sud, poco distante dal confine tra Emilia-Romagna e Marche,in un borgo di trecentotredici abitanti effettivi, più quattro ospiti nei giorni di festa comandata, Agnese sedeva sul prato nel minuscolo giardino di casa dei nonni materni. Di fronte a lei, suo cugino Mario, undici anni entro un paio di mesi, cercava di indovinare quale carta lei avesse pescato dal mazzo con scarsissimi risultati.
«No? Uffa. Allora... sei di picche!»
«Nemmeno. Prova ancora, su» lo incoraggiò lei, lasciando vagare lo sguardo lungo le pareti di mattoni della casa e poi, ancora più su, nel cielo terso.
Frontino era il comune più piccolo della provincia di Pesaro Urbino, un borgo che si sviluppava praticamente in linea retta entro le mura di cinta tra le colline del Montefeltro. Vi abitavano qualcosa come duecento vecchietti, settanta adulti e quaranta tra bambini e adolescenti. Le era sempre piaciuto molto quel luogo, al contrario di sua sorella Alice che, ogni anno, prendeva le visite ai nonni come la più terribile punizione mai impostale. Quella mattina, però, nel partire era stata presa da una strana malinconia che aveva cercato di ignorare fino a quel momento, ma che ora, con l'aggiunta della noia, era diventata davvero insopportabile.
«Senti, Mario» sbottò d'un tratto Alice, mentre stesa sull'erba sollevava gli occhiali da sole sulla testa; «perché non torni da zio Luca a farti spiegare il trucco? Perché, palesemente, non funziona così».
Quelle parole parvero ferire il ragazzino nell'orgoglio, perché si alzò a testa bassa dal prato e si allontanò trascinando i piedi. «Finalmente!» esultò Alice sotto voce, salvo poi voltarsi a controllare la reazione di sua sorella, aspettandosi qualche rimprovero contrariato che non arrivò. Agnese continuava a guardarsi attorno con aria svagata, del tutto assente.
Alice sogghignò di soddisfazione per quella piccola fortuna - l'ultima cosa di cui aveva voglia erano i rimbrottii di quella lagna - e tornò ad abbassarsi gli occhiali sul viso, rotolando a pancia in giù.
«Hey, Bella Addormentata, ti sta suonando il telefono».
Agnese fu costretta a riscuotersi e raccolse il cellulare dalla coperta su cui era seduta, ma quando vide un numero sconosciuto comparire sullo schermo fu quasi tentata di non rispondere. Nonostante il suo primo pensiero, si alzò e si allontanò di qualche passo dalla sorella, non tanto per non disturbarla, ma perché sapeva che Alice aveva le orecchie che captavano qualsiasi segnale e la bocca decisamente larga. Si appoggiò al muretto che circondava il piccolo pozzo circolare e rispose con un filo di voce, titubante.
«Pronto?»
Dall'altro capo del telefono ci fu un colpo di tosse, poi una risatina nervosa.
«Hey, sono Leo. Agne?»
La ragazza avvertì un senso di calore salire dal petto fino alla fronte e per un attimo ringraziò di essersi allontanata da Alice. Solo dopo qualche secondo di silenzio si ricordò della persona che gli stava parlando.
«Ciao!» lo salutò con tono decisamente squillante, non potendo fare a meno di sorridere, «Come stai?», si mordicchiò il labbro inferiore sorridendo spensierata, mentre si preparava mentalmente a sentire la voce calda di Leonardo.
Ci fu un altro colpo di tosse, poi finalmente il ragazzo mise insieme una frase di senso compiuto e rispose «Sto bene! Ti...ti pensavo» confessò imbarazzato ma sincero.
Agnese non riuscì a trattenere il sorriso, che le allargò le labbra fino a fargliele quasi sparire. Cosa avrebbe dovuto rispondere? Aveva un fiume di cose da dirgli, ma era il caso? E se lui si fosse spaventato? Dopo qualche istante di silenzio decise che ormai il danno era fatto e che tanto valeva buttarsi, così raccolse tutto il suo coraggio e sussurrò un «Anche io» che suonava più come una rivelazione a se stessa che non a lui.
Nel momento stesso in cui riattaccò, Leonardo sentì una sensazione mista fra la nostalgia di lei e la felicità. Sospirò spensierato e raggiunse i suoi amici, che nel frattempo avevano preso un tavolo per il pranzo. Il bagno era affollatissimo e ancora prima di sedersi notò lo sconforto di Sebastiano, che faceva vagare lo sguardo sulla gente, poi verso il bar, poi di nuovo tutto intorno; era sconsolato e agitato al tempo stesso, voleva passare del tempo con Anita, scambiare due parole con lei, magari -anzi, sicuramente- baciarla per ore. Si armò di pazienza e comprensione e prese posto accanto all'amico, appoggiandogli la mano sulla spalla. Gli altri parlavano tra di loro, progettavano la serata, facevano previsioni del tempo totalmente a caso, ma Sebastiano e Leonardo rimanevano in silenzio, persi nei propri sentimenti negativi o positivi che fossero. Il sorriso del biondo si allargava ogni volta che scorgeva Anita tra i clienti, poi spariva alla stessa velocità quando lei tornava spedita dentro il locale.
«Non ha nemmeno un attimo per fare due chiacchiere?» chiese Leonardo in tono mesto, con rispetto e riservatezza. L'amico scrollò il capo e prese a fissarsi le mani incrociate sul tavolo.
«Non lo so, non ho nemmeno provato»
«Allora dovresti, Castelli. Magari non ora, ma dopo il pranzo» lo incoraggiò, prendendo poi a scrutare il menù di festa offerto dal Bagno Girasole.
E così verso le quattro del pomeriggio Sebastiano risalì dalla riva e raggiunse il bar, dove trovo Anita in compagnia di Giovanni. Ridevano spensierati e questo lo fece innervosire, perché lui aveva resistito e si era costretto a non disturbarla per tutto il pomeriggio e invece a quanto pareva non l'avrebbe interrotta. Prese un bel respiro profondo ed entrò nel bar, sperando di attirare l'attenzione della ragazza ma senza sembrare invadente.
«Seba, ciao!» lo accolse lei, andandogli incontro. Solo quando si trovò ad un passo da lui arrossì vistosamente e si sistemò i capelli dietro l'orecchio, guardandosi i piedi. Aveva agito d'istinto, ma dall'espressione di Sebastiano pensò che forse avrebbe dovuto aspettare che lui la salutasse e non il contrario.
«Ciao» la salutò, colmando la distanza che c'era tra di loro e posando una mano sul fianco della ragazza. Lanciò una breve occhiata a Giovanni, che rimaneva seduto al bancone e li osservava come se nulla fosse, poi le accarezzò dolcemente una guancia ed aspettò che lei lo guardasse. Quando lei finalmente alzò lo sguardo trovò il sorriso allegro del ragazzo e non riuscì a trattenersi dal ricambiare.
«Com'è andata la giornata?» le chiese, concentrandosi per non spostare la sua attenzione sulle labbra della ragazza, colorate di rosso per l'occasione. Dio, quanto avrebbe voluto baciarla!
«Non ne posso più», ridacchiò, «Troppa, troppa gente» continuò, poi appoggiò una mano sull'avambraccio del ragazzo e accarezzò la sua pelle con il pollice.
«Sei impegnata anche adesso?», la guardò intensamente, sperando in una risposta negativa.
«Appena rientra Michele dalla pausa è il mio turno. Ho un'oretta libera» disse, sorridendo poi apertamente nel vedere Sebastiano drizzare le spalle.
«Dici che posso rubarti?», la fece avvicinare di un altro passo e fece sfiorare le punte dei loro nasi. Anita arrossì vistosamente e annuì, poi circondò il collo del ragazzo con le braccia. Era una situazione surreale, sentiva di essere osservata ma comunque non riusciva a focalizzarsi su qualcosa che non fosse Sebastiano.
Il ragazzo, animato dalla stessa sensazione, non riuscì a trattenersi e la baciò teneramente, aspettando che lei ricambiasse. Il bacio che ricevette in risposta fu uno dei più dolci e belli della sua vita e questo gli fece completamente dimenticare di Giovanni, afferrò Anita per entrambi i fianchi e se la tirò contro, sorridendo sulle sue labbra.
«Andateci piano voi due» disse Michele, entrando nel bar. La ragazza balzò indietro e si sistemò i capelli, poi guardò il collega e annuì leggermente.
«Hai finito la pausa? Vado io allora», si tolse il grembiule e andò a riporlo dietro al bancone, poi raggiunse di nuovo Sebastiano e sorrise dolcemente.
«Annamo!», la prese per mano e la trascinò letteralmente fuori, poi lungo la passerella fino alla riva. Solo una volta raggiunto il bagno-asciuga rallentò il passo e abbracciò i fianchi della ragazza, facendola avvicinare; camminarono fino alla fila di scogli, poi Anita si liberò dalla stretta di Sebastiano e lo prese per mano, arrampicandosi con cautela sulle prime rocce lisce.
Sebastiano la seguiva stando attento a dove metteva i piedi lei e imitandola in ogni movimento, cercando di non lasciarsi confondere dalle gambe scoperte che era costretto a guardare per non infilarsi in un buco. La ragazza prese posto sull’ultimo scoglio e lo guardò dal basso, finché anche lui non prese posto accanto a lei, con un braccio dietro la sua schiena e il mento sulla sua spalla. Sarebbe rimasto così per ore, ma sapeva che non ne avevano a disposizione, quindi strofinò leggermente la punta del naso sulla guancia di Anita, che arrossì e si voltò verso di lui. Il ragazzo gioì interiormente per aver raggiunto il suo obiettivo e la baciò con dolcezza, aspettando con il cuore a mille che lei rispondesse al bacio. Appoggiò una mano sul ginocchio della ragazza e accarezzò la sua pelle con il pollice, sentendola rabbrividire al tocco.
«Stasera ti va di vederci?» sussurrò, sfiorando ancora le labbra di Sebastiano con le sue.
«Ti passo a prendere a mezzanotte?», le lasciò un bacio appena accennato sul labbro inferiore. Anita annuì e posò la sua bocca su quella del ragazzo, ripristinando quel contatto che le faceva venire le farfalle allo stomaco.
 
Quella sera la combriccola aveva in programma di uscire, dopo aver cenato nel ristorante suggerito da Anita, e spostarsi al molo, dove si trovava una delle discoteche più frequentate della città. Tommaso non stava più nella pelle, sperava di trovarsi una ragazza e sfogare le sue voglie represse, mentre Sebastiano e Leonardo non erano dello stesso umore: Sebastiano era contrariato dal fatto che così avrebbe perso del tempo che doveva trascorrere con Anita; Leonardo, invece, non aveva una gran voglia di uscire, ma sarebbe più volentieri rimasto in camera a parlare al telefono con Agnese, da poco tornata dalla gita fuoriporta. Tuttavia nessuno dei due oppose resistenza quando raggiunsero l’affollato ingresso della discoteca, pagarono il biglietto e si addentrarono nella ressa, facendosi largo fra i ballerini improvvisati e quelli che erano già ubriachi a mezzanotte meno venti. Elia si avvicinò al bancone ed ordinò da bere per tutti, porgendo i drink ai loro amici a mano a mano che il barman li preparava; poi circondò con un braccio i fianchi di Elisabetta e la trascinò verso la pista da ballo, ridendo sguaiatamente dell’espressione contrariata della ragazza. Non aveva dato il minimo segnale di sdegno nei confronti delle attenzioni del biondo, motivo per cui lui non si lasciò nemmeno sfiorare dal pensiero che a lei non andasse di ballare.
Tommaso si lanciò in pista poco lontano da Elia ed Elisabetta -per non perderli di vista, aveva detto-, mentre Leonardo e Sebastiano cominciarono a vagare in cerca di un posto dove sedersi, che trovarono all’esterno del locale, in un giardinetto arredato con eleganti poltrone in vimini bianche e nere.
«Ricordami perché siamo qui» gridò Sebastiano, cercando di sovrastare la musica decisamente troppo alta.
Leonardo sbuffò un sorriso ironico, «Perché siamo due buoni amici», sorseggiò il suo drink e storse il naso, «C’è del succo d’ananas, qui dentro»
Sebastiano rise forte e gli passò il suo bicchiere, «Questo dovrebbe piacerti»
Due ore e venti minuti più tardi, Sebastiano prese il cellulare e cercò il numero di Anita, «Fanculo, io vado da lei», guardò Leonardo, che fissava le stelle -sempre se riusciva a vederle- e tamburellava il ritmo della canzone sulle ginocchia.
«Pensi che Agnese stia dormendo? Ho voglia di vederla» biascicò, mezzo addormentato. Sebastiano sorrise apertamente, si alzò e diede una pacca sulla spalla dell’amico.
«Annamo!»
Rientrando nel locale trovarono Tommaso avvinghiato ad una ragazza che gli stava facendo un succhiotto sul collo; Leonardo si avvicinò a lui e gli disse qualcosa all’orecchio, poi aspettò un suo cenno e si incamminò verso l’uscita, seguito a ruota da Sebastiano.
Quando furono abbastanza lontani dalla confusione, entrambi presero i cellulari e si spostarono l’uno dall’altro per avere chissà quale privacy.
Anita rispose subito con voce squillante, «Seba! Dove sei finito?»
Il ragazzo sgranò gli occhi e si scompigliò il ciuffo: si era completamente dimenticato che le aveva detto che sarebbe andato a prenderla.
«Io...Tommaso ci ha trascinati in discoteca, ma io e Leo siamo usciti. Sei libera? Posso vederti?», incrociò le dita e si morse il labbro inferiore, aspettando che la ragazza rispondesse.
«Non lo so, è tardissimo e domani devo lavorare» mormorò lei.
Il ragazzo sospirò e si insultò mentalmente per aver sprecato un’occasione d’oro come quella che aveva avuto. Ormai i giorni che avevano a disposizione si potevano contare sulle dita di una mano e lui era stato così imbecille da perderne uno.
«Sono un coglione, mi dispiace» disse, fermandosi a guardare le barche d’epoca ormeggiate nel canale.
Anita ridacchiò, poi sospirò, «Ti ricordi come arrivare a casa mia?» sussurrò, per poi mordersi il labbro inferiore.
«Sì, ovvio! Cioè, non proprio. Rimani al telefono, così mi guidi», cominciò a camminare più svelto, passò accanto a Leonardo e gli fece un cenno con la mano, poi tornò a descrivere alla ragazza tutto quello che vedeva.
Leonardo passeggiava lungo il canale, ormai solo, mentre aspettava che Agnese lo raggiungesse. Era stata categorica: l’avrebbe raggiunto in dieci minuti. Ne erano già passati venticinque e lui stava già pensando di tornare all’albergo e mettersi a dormire, ma poi…
«Leo!», la sentì chiamare, allora si voltò di scatto e la vide correre verso di lui. Sorrise apertamente e fece qualche passo verso di lei, finché non furono vicini.
«Ciao» la salutò «Scusami, è davvero tardi, ma avevo voglia di vederti» ammise, grattandosi la nuca in imbarazzo. Aveva agito d’istinto, come molte volte non aveva fatto e poi se ne era pentito, ma questa volta non si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione di essere felice, di dare tutto se stesso ad una persona che sapeva non l’avrebbe gettato via come un voglio di carta scarabocchiato.
Agnese arrossì e si mordicchiò il labbro inferiore, poi guardò la punta delle sue scarpe e mormorò «Anche io avevo voglia di vederti» confessò e in quel momento realizzò che era vero, aveva passato la giornata a pensare a lui, specialmente dopo la sua telefonata.
Leonardo allora sorrise e le circondò le spalle con un braccio, «Com’è andata la gita di famiglia?» le chiese, incamminandosi lungo il canale. Ora che era lì con lei si sentiva rilassato, non avvertiva più il senso di inadeguatezza che aveva provato poco prima in discoteca. Sapeva di essere al posto giusto e con la persona giusta.
Agnese dal canto suo non riusciva a credere di essere davvero sgattaiolata fuori di casa, come un ladro, correndo poi a perdifiato fino al centro della città, come se sua madre -o peggio ancora sua sorella- l’avessero potuta seguire.
«E’ andata bene! Però faceva troppo caldo e io dovevo anche studiare, quindi diciamo che in realtà è stato uno strazio», sbuffò per spostare una ciocca di capelli dagli occhi e si voltò a guardare Leonardo. Era più alto di lei di almeno una testa, guardava dritto davanti a sé e sorrideva; non riusciva a non trovarlo attraente, il naso a punta, le ciglia lunghe che facevano risaltare ancora di più gli occhi scuri e quel sorriso mozzafiato che la faceva arrossire sempre. Quando lui la sorprese a fissarlo, lei neanche se ne accorse e continuò a studiare i dettagli del suo viso, la barba folta ma non troppo lunga, gli zigomi pronunciati, le labbra apparentemente perfette e vicine... Fu più o meno a quel punto che Agnese si risvegliò e si accorse che si erano fermati davanti all’ingresso del municipio ed erano pericolosamente vicini. Arrossì, ma non riuscì a trattenere un piccolo sorriso malandrino, che fece sorridere anche Leonardo.
«Scusami» mormorò, più imbarazzata che mai per essere stata beccata, ma incredibilmente a suo agio lì con lui. Non si era mai sentita così, nemmeno con Davide. Anzi, probabilmente Davide l’avrebbe già schernita, invece Leonardo no, non aveva ancora detto niente, ma si era semplicemente limitato a sorridere e accarezzarle la guancia in un tocco leggero, studiato, quasi timoroso. Agnese avvampò e sentì il labbro inferiore tremare leggermente, poi in un batter d’occhio il labbro smise di tremare, bloccato dal delicato bacio di Leonardo. Ci furono attimi di sospensione, nessuno dei due accennava a fare niente, ma ben presto lui le circondò la vita con entrambe le braccia e la fece avvicinare di un passo, sempre mantenendo il contatto fra le loro labbra. Agnese era impietrita, come una scultura di ghiaccio, ma tutt’altro che fredda: sentiva un enorme calore salire dallo stomaco fino ai polmoni, dove sembrava bruciare, poi su fino alle orecchie e agli occhi, che chiuse lentamente. Allacciò le braccia al collo del ragazzo e si alzò leggermente in punta di piedi, per poi accennare ad un piccolo bacio. Leonardo aveva il cuore che gli stava esplodendo nel petto, martellava frenetico come un pazzo. La voleva, desiderava quel bacio da primo giorno in cui l’aveva vista sorridere e finalmente ce l’aveva lì. Non c’era più la paura della lontananza, non c’era più la consapevolezza che non si sarebbero visti per molto tempo, se non addirittura per sempre. C’era lei, i suoi fianchi stretti tenuti fermi dalle sue mani grandi, le sue braccia esili intorno al suo collo e quelle labbra così dolci e morbide che non avrebbe mai dimenticato. La baciò con trasporto, come due innamorati costretti a stare lontani per molto tempo e che finalmente si ritrovano, lì, sul marciapiede, come due vecchi amici che si fermano a chiacchierare.
Rimasero lì finché il sole non fece capolino sulla linea del mare, colorando il cielo e il mare di mille sfumature di rosa e arancione; a quel punto Leonardo prese Agnese per mano e si incamminò verso casa di lei, così che i suoi genitori non si accorgessero che la figlia maggiore non era in casa. Fecero la strada in silenzio, ma non c’era imbarazzo tra di loro: si erano già detti tutto con quei baci lenti e dolci e le loro labbra rosse e gonfie parlavano da sé.
Arrivarono davanti al portone della palazzina in cui viveva la ragazza ed entrambi sapevano che si sarebbero visti nel giro di qualche ora giù in spiaggia, ma questo non impedì loro di scambiarsi un ultimo bacio; così Agnese posò una mano sulla guancia di Leo e fece scontrare i loro nasi, poi attese che lui la baciasse. Quando si separarono si guardarono negli occhi e sorrisero apertamente entrambi.
«A fra poco, allora» disse lui, la voce arrochita dalle ore passate in silenzio. Lei si mordicchiò il labbro inferiore -gesto che attirò subito l’attenzione del ragazzo- e annuì, poi sgattaiolò in casa come qualche sera prima, quando erano stati dannatamente vicini, ma erano stati frenati dalla paura di soffrire.
Leo la guardò sgusciare via dalle sue mani e non riuscì a trattenere un sorriso, velato dalla triste consapevolezza che Agnese sarebbe sempre stata così: gli sarebbe scivolata via come sabbia fra le dita e mancava davvero poco al momento in cui si sarebbero dovuti salutare.
 
«Credo di essere arrivato, sì. Mi vedi?», Sebastiano rivolse lo sguardo alla finestra illuminata al terzo piano, sorrise apertamente quando vide Anita affacciarsi e correre via, poi la serratura del cancello scattò e subito dopo anche quella del portone. Rimase qualche secondo a guardarsi intorno, poi prese un bel respiro profondo ed entrò nel palazzo. Non sapeva cosa aspettarsi da quell’incontro, cosa avrebbero fatto, cosa si sarebbero detti; sapeva solo che stava per rivedere Anita e che lei era la sua ragazza. Un brivido di eccitazione gli fece accelerare il passo e salì due scalini alla volta, fino ad arrivare al pianerottolo su cui lo stava aspettando lei. Si guardarono qualche istante in silenzio, poi lei si mosse sul posto e lui sorrise, si avvicinò a lei e le lasciò un piccolo bacio a fior di labbra.
«Sono decisamente arrivato» mormorò, ridacchiando poi dell’eco che si era creata nella tromba delle scale. Anita arrossì ed annuì, poi lo prese per mano e lentamente lo condusse in casa. Si guardò intorno cercando di capire che cosa avrebbero potuto fare, cosa dirgli; era la prima volta che portava un ragazzo a casa e anche se non c’era nessuno della sua famiglia si sentiva a disagio, una padrona di casa inadeguata.
«Vuoi bere qualcosa? Dovrei avere della birra e qualche liquore...», si avvicinò a grandi passi al frigorifero e lo spalancò, «Se no ho del tè freddo, acqua frizzante, succo di frutta...», si rivolse al ragazzo e lo trovò a guardarsi intorno, studiando il piccolo appartamento con un sorriso appena accennato sulle labbra; allora prese una bottiglia di birra, l’aprì e si avvicinò a Sebastiano, porgendogli la bibita.
Lui la guardò e sorrise apertamente, prese la birra e ne bevve un sorso, «Hai una casa molto bella! E piena di libri» constatò, continuando a guardarsi intorno.
Anita annuì e si sistemò i capelli da una parte, «Sì, ci piace leggere. Vieni, mettiamoci sul divano», si incamminò verso l’ampio salotto e spostò gli enormi cuscini che sua madre adorava per fare spazio, poi prese posto e aspettò che lui facesse la stessa cosa. Rannicchiò le gambe e appoggiò la testa allo schienale del divano, prendendosi qualche istante per osservare il profilo del ragazzo: le piaceva tutto di lui, il naso dritto, la fronte spigolosa, gli occhi chiari e le labbra sottili. Distrattamente gli sfiorò l’avambraccio con la punta delle dita e lui si voltò dalla sua parte, le sorrise e le accarezzò una guancia, poi si chinò su di lei e la baciò dolcemente. Anita avvampò e rispose al bacio con timidezza, quasi avesse paura di sembrargli troppo presa, troppo coinvolta. Quando lui interruppe il bacio, lei si sentì spaesata, come riportata ad una realtà che non le piaceva. Senza Sebastiano non le sarebbe piaciuta più nemmeno quella casa, quel divano comodo che aveva scelto con papà, prima che lui se ne andasse di casa.
«Vuoi guardare un film?» sussurrò, annebbiata dall’ansia dei ricordi e delle emozioni che le stavano facendo battere il cuore troppo velocemente. Lui scrollò il capo e la prese per mano, poi bevve un altro sorso di birra e si mise a studiare l’intreccio delle loro dita, il colore della pelle di Anita era simile a quello del caramello, un’abbronzatura leggera, appena accennata, che si sposava perfettamente con il suo, leggermente più scuro e marcato. Sorrise sovrappensiero, soppesando le parole da dire: sarebbe voluto essere sincero con lei, aprire il suo cuore e dirle tutto quello che gli passava per la testa e per il cuore, ma l’avrebbe ferita, le avrebbe fatto sentire ancora di più la lontananza. Quando alzò lo sguardo ed incontrò quello di lei, però, non riuscì a trattenersi, non fu più capace di mantenere il controllo di sé e della situazione.
«Io...» cominciò, guardandola negli occhi, poi si bloccò, guardò la bottiglia che teneva in mano e si scolò il contenuto tutto d’un fiato, sotto lo sguardo corrucciato della ragazza, che aspettava la fine della frase.
«Io ti amo, Anita» farfugliò, cercando di non sembrarle confuso o poco convinto, «Ho pensato a questo tutto il giorno. Vado fuori di testa quando ti vedo parlare con il tuo amico pompato, quel tizio che attira sempre la tua attenzione...voglio stare con te, non voglio dimenticarti quando tornerò a Roma e non voglio che tu ti dimentichi di me. Sto correndo un rischio enorme, potrei sembrare una macchina spinta a tutta velocità in una corsa scellerata verso un muro. Ma volevo che tu lo sapessi e non potevo aspettare a dirtelo, perché più si avvicina la partenza, più aumenta la certezza che entrambi soffriremo. Dovevo dirtelo subito, scusami», cercò di resistere alla tentazione di guardarla, non voleva sapere la sua risposta in un modo che non fosse tramite la sua voce. Voleva sentire la risposta e non vederla.
Anita rimase a bocca aperta, mentre fissava Sebastiano senza davvero vederlo. Non sentiva più niente, non c’era nessun rumore, nessun odore, solo il tocco delle loro mani ancora strette e l’immagine sfuocata del profilo teso del ragazzo. Non sapeva cosa fare, cosa dire, come fargli sapere che anche lei provava le stesse cose. Stavano correndo, lo sapeva, ma quel ragazzo era la cosa migliore che le fosse mai capitata negli ultimi anni e non poteva lasciare che il tempo e la paura glielo portassero via. Scattò in piedi e gli prese la bottiglia dalle mani, l’appoggiò sul tavolo da pranzo e lo fece alzare, poi lo guidò fino alla sua camera da letto, come un automa. Non sapeva cosa stava facendo né se avrebbe dovuto rispondere qualcosa, ma decise di seguire l’istinto e si voltò verso Sebastiano, che la guardava con sguardo confuso e l’espressione tesa di chi si sta pentendo di aver fatto o detto qualcosa.
«Non...» cominciò, poi lasciò la mano del ragazzo e prese a torturarsi il bordo dei pantaloncini, «E’ la prima volta che mi trovo in questa situazione» mormorò, arrossendo, «Nessuno mi ha mai detto che mi ama», lo guardò e stiracchiò un sorriso, «Non so assolutamente cosa fare, Seba» confessò «Vorrei poterti dire che ti amo anche io, ma ho paura»
Sebastiano abbassò il viso e si morse il labbro. Sentiva il bisogno di parlare con qualcuno, chiamare Leo e sfogarsi, perché era stato un coglione e aveva rovinato tutto per colpa della foga, si era fatto trasportare troppo e forse Anita non era la ragazza che avrebbe colto al volo questa occasione, forse non era folle come lui. Stava per girare i tacchi e allontanarsi da quel posto e da lei, ma poi due mani gli presero il volto e due labbra impegnarono le sue. Ci mise qualche istante a capire, poi afferrò i fianchi della ragazza e la baciò con trasporto per trasmetterle tutta la sua sofferenza.
Anita interruppe il bacio e lo abbracciò forte, poi sussurrò «Sono sfacciata se ti chiedo di passare la notte con me?»
Il ragazzo rise forte e scrollò il capo, poi le accarezzò una guancia e la guardò dritto negli occhi, «Devi fidarti di me, Ninì, perché non sono mai stato così sincero in tutta la mia vita».
Il sorriso di lei gli scaldò il cuore e lo fece arrossire come un adolescente, poi lei si allontanò e si avvicinò al letto e solo in quel momento lui si prese il lusso di guardarla: indossava dei pantaloncini così corti che avrebbero fatto girare la testa a chiunque, figuriamoci a lui, e una canottiera leggera che le lasciava una sottile fascia di pelle nuda. Tutto di lei gli piaceva e provocava una scarica di brividi che gli percorrevano la spina dorsale. Aspettò che lei si sdraiasse, poi la raggiunse, si tolse le scarpe e prese posto accanto a lei, voltato dalla sua parte. Il leggero rossore che le colorava le guance era il chiaro segno che i timori di Sebastiano erano stati del tutto infondati, che non sarebbe stato necessario allontanarsi da lei. Le accarezzò la guancia con studiata delicatezza, sfiorò le sue labbra con il pollice e la baciò con dolcezza, finché lei non ricambiò. A quel punto i sensi del ragazzo si annebbiarono, si fece perno sul braccio e si sporse su di lei, intensificando lo scambio di effusioni; la desiderava con tutto se stesso e il cuore gli martellava nel petto e gli rimbombava nelle orecchie, le accarezzò lentamente una gamba e la sentì rabbrividire. Si guardarono un istante, poi lei gli sollevò la maglietta e si perse a fissare il petto di lui che si espandeva velocemente al ritmo del suo respiro affannato. Le era già capitato di trovarsi in momenti intimi con un ragazzo, eppure con lui tutto sembrava nuovo, una scoperta dell’altro e di se stessa. Gli accarezzò il torace fino all’ombelico, ascoltando il sospiro di Sebastiano e il mugolio che uscì dalle sue labbra quando le sue dita esili raggiunsero la cintura dei suoi jeans. La guardò mentre gli slacciava i pantaloni, poi si lasciò prendere dall’eccitazione e l’aiutò ad abbassarli, li lasciò cadere fuori dal letto e si avventò su di lei, baciandole il collo e toccando la pelle liscia del suo ventre. Il desiderio era tanto ed era percepibile, impregnava l’aria e li faceva sospirare, mentre si studiavano e si preparavano a quello che sarebbe avvenuto di lì a poco. Quando la sua mano raggiunse il seno, Anita sobbalzò e arrossì di colpo, nascondendo il viso tra le mani.
«Che cosa c’è?» le chiese a bassa voce, sfiorandole la clavicola con la punta del naso, ma senza allontanare la mano dalla meta che aveva raggiunto. Anita scrollò il capo, prese un respiro profondo e tornò a guardarlo.
«Mi vergogno del mio seno» mormorò in imbarazzo. Sebastiano la guardò e sorrise, poi si mise in ginocchio e le sfilò la canottiera mantenendo il contatto dei loro occhi.
«Sei la ragazza più bella che io abbia mai visto, Ninì» le disse, abbassandosi di nuovo su di lei; le scoccò un bacio sulle labbra, poi scese lungo il collo e raggiunse il seno, lasciò un piccolo succhiotto e si concentrò su quel punto, marchiandolo e baciandolo. I gemiti di Anita si unirono al suo affanno, ad ogni tocco corrispondeva un suo brivido e questo lo portò ad un livello di eccitazione che mai aveva raggiunto in vita sua; le sfilò i pantaloncini e li lanciò via, poi le baciò la pelle fino all’ombelico e la guardò contorcersi sotto di lui. Non ci vedeva più dal desiderio, si sentiva come un toro davanti ad una bandiera rossa e lei sembrava volere la stessa cosa, mentre sospirava il suo nome. Ci volle poco perché si trovassero entrambi nudi, le loro pelli che si sfioravano, i brividi che si sincronizzavano tra di loro, i respiri affannati che si confondevano. Avevano bisogno l’una dell’altro e quella notte non si risparmiarono, fecero l’amore a lungo, donandosi vicendevolmente tutto l’affetto che provavano, poi si addormentarono l’una tra le braccia dell’altro, con il sorriso sul volto, le gambe intrecciate, i cuori che battevano insieme e due ti amo sussurrati a fior di labbra.
 


Bloop's corner:
Buon pomeriggio a chiunque sia arrivato alle note, sono Aries Pevensie :) scusate l'assenteismo, ma tra il tirocinio e gli ultimi esami non siamo mai riuscite a trovare un secondo di pace, né per scrivere né per postare, purtroppo. Ma per fortuna stamattina ho dato l'ultimo esame di questa forsennata università e quindi avrò tempo di scrivere e riprendere un po' le avventure di queste coppiette felici. Qui in Romagna fa un freddo cane, quindi niente mare per il momento! Sebastiano avrebbe certamente trovato qualcosa da fare per ingannare il tempo ;) 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Finalmente questi ragazzi si sono dati una mossa!
Buona serata, amiche :)
M

 
   
 
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