IL VOLO DEL FALCO
Era molto tempo che Riza non vedeva la sua vecchia
casa.
Aveva sempre evitato di tornarci.
Allora perché quel giorno si trovava lì?
Riza era seduta sul davanzale della finestra. Era
abbastanza grande da potercisi sedere comodamente, inoltre, se si chiudevano le
tende, si creava uno spazio isolato, in cui nessuno poteva vederla.
Guardava dalla finestra il paesaggio estivo.
Le foglie degli alberi frusciavano mosse da una
leggera brezza, il cielo era blu, senza una nuvola, il sole splendeva e faceva
brillare il verde dei prati.
Era una giornata bellissima, ma a Riza metteva
tristezza.
Perché lei era dietro un vetro. Tutto quello che c’era
all’esterno lo vedeva filtrato da una barriera. Una barriera trasparente, ma
pur sempre qualcosa che la separava dal resto.
Dall’altra parte era c’erano quelle pesanti tende
color porpora. Polverose, vecchie.
Anche lei si sentiva vecchia, nonostante avesse solo
sedici anni. Sentiva come se quella casa avesse assorbito tutta la sua
giovinezza.
Riza sapeva che presto l’avrebbero demolita, così era
andata per vederla un’ultima volta.
Quando suo padre era morto, non aveva voluto tenere
quella casa. L’aveva venduta e non si era più interessata a lei.
Il nuovo proprietario non vi era andato ad abitare e
l’aveva lasciata abbandonata per anni, finché aveva deciso di demolirla. Ormai
era vecchia e ristrutturarla avrebbe costato troppo. Meglio vendere il terreno.
Riza si trovava davanti all’ingresso. Sul muro c’erano
vistose crepe, il vialetto era pieno di erbacce. E pensare che suo padre era
così rigoroso riguardo alla cura del giardino!
Si chinò a raccogliere un ciottolo.
Era liscio e levigato. Se lo passò da una mano
all’altra, giocandoci soprappensiero.
Riza vide due figure uscire in giardino.
Una era suo padre. Curvo, con i capelli biondi striati
di grigio, lunghi e scarmigliati.
L’altra era quella del suo giovane allievo, Roy.
A lei Roy piaceva molto. Non per l’aspetto fisico, ma
per quell’aura di giovinezza che emanava. Perché i suoi occhi sembravano dire
che niente al mondo poteva fermarlo, che tutto era possibile per lui.
Era qualcosa che Riza avrebbe tanto voluto provare.
Ma era schiacciata.
In quel momento Roy alzò lo sguardo e la vide seduta
alla finestra.
Le sorrise.
Riza arrossì e distolse lo sguardo.
Stingendo il sasso nella mano Riza si decise ad
entrare.
Salì i gradini fino al portone.
Sperò che non si aprisse, che fosse chiuso a chiave.
Sperò di avere una scusa per andarsene.
Invece il pesante portone di quercia si aprì cigolando
quando lei lo spinse.
Entrò.
L’ingresso non era cambiato. Lo stesso tappeto spesso
a coprire il parquet, la stessa tappezzeria rossa, gli stessi tavoli antichi
con sopra i grandi vasi.
L’unica differenza era lo spesso strato di polvere che
attutiva i suoi passi.
Riza ebbe un brivido. Le sembrò che la casa le stesse
dando il bentornato.
All’improvviso qualcosa attirò l’attenzione di Riza.
Vide un falco che volava alto nel cielo.
Si stagliava scuro contro l’azzurro, le ali
spalancate, dritto verso la sua meta.
Com’era bello!
Riza avrebbe voluto essere quel falco.
Avrebbe voluto uno scopo nella sua vita.
Non aveva voluto diventare un’alchimista. Suo padre
era un alchimista, lei non lo sarebbe stata.
Ma lei non aveva una meta, un obiettivo.
Si sentiva vuota. Un guscio vuoto chiuso in un altro
guscio. Quella vecchia casa morta.
Continuò a fissare il falco che volava verso
l’orizzonte, si protese verso di lui …
Le tende vennero aperte all’improvviso.
- Hei, Riza!- la salutò Roy.
Riza salì le scale, facendo attenzione alle vecchie
assi di legno. Qualcuna poteva essere marcita.
Attraverso le stanze buie. Le persiane erano chiuse,
ma poiché mancavano alcune assi, la luce esterna filtrava tagliando l’oscurità
delle stanze come delle lame.
Arrivò alla finestra dove si sedeva sempre a pensare.
Le tende erano ancora li, sebbene lacere e consumate
dalle tarme. I vetri erano sporchi e opachi.
Quei vetri. Per tanto tempo non era riuscita a
guardare il mondo di fuori se non attraverso la loro trasparenza.
La sua immagine riflessa la fissava.Non assomigliava
alla Riza del presente, ma a quella del passato.
Alla prigioniera di quella casa.
Con il sasso che aveva in mano Riza infranse l’altra
Riza. Il vetro andò in frantumi con un rumore secco, cristallino. Frammenti
luminosi si sparsero tutto intorno.
Riza continuò a rompere il vetro. Ancora e ancora,
finché le sue mani non sanguinarono ferite dalle schegge.
Allora si inginocchiò e pianse.
Come non era mai riuscita a fare.
Poi si rialzò.
Le cose erano cambiate da quando aveva sedici anni.
Ora aveva uno scopo.
Avrebbe reso il mondo migliore di come era adesso.
Avrebbe usato tutti i suoi errori come insegnamento
per il futuro.
Amestris sarebbe diventato uno stato più giusto, uno
stato in cui le future generazioni avrebbero potuto vivere in pace, senza più
guerre.
E non sarebbe stata sola.
C’era Roy con lei.
Come
quel falco, ora anche lei poteva volare.