curiosity
killed the cat
[ curiosity ⇨ noun,
cu·ri·os·i·ty ˌkyu̇r-ē-ˈä-s(ə-)tē
the desire to
learn or know more about something
or someone ]
A |
tsushi Nakajima non era
mai stato un tipo curioso — aveva sempre preso il
detto ‘la curiosità uccise il gatto’ alla lettera e, dopo maratone su
maratone
di thriller di serie B all’orfanotrofio, aveva deciso che era molto
meglio
girare al largo dai problemi che andarseli a cercare. In più gli sbirri
e gli
investigatori erano sempre quelli che ci lasciavano le penne per primi.
Certo, la sua politica era
normalmente applicata anche sul posto di lavoro,
ma negli esatti ventisette giorni in cui aveva fatto parte dell’Agenzia
il suo
lato curioso aveva iniziato a prendere il sopravvento. E, inutile a
dirsi, la
colpa era di Osamu Dazai.
Il suo capo era,
letteralmente, un punto di domanda, un enigma ancora da
svelare — o semplicemente un povero mentecatto con il pallino della
morte e
delle cose inquietanti.
Aveva fatto qualche
domanda qui e lì, tentando di essere il più discreto
possibile, tuttavia le uniche cose di cui era sicuro erano il fatto che
Dazai
avesse tentato di suicidarsi 31 volte, indossasse sempre delle bende
sotto i
vestiti e che nessuno avesse la minima idea di che cosa facesse prima
di unirsi
all’Agenzia.
Nonostante il suicidio non
fosse esattamente professionale (e, andiamo,
quale idiota avrebbe inserito nel suo curriculum il titolo ‘aspirante
suicida’?
A meno che, certo, quell’idiota non fosse Dazai) a Yokohama c’era gente
abbastanza disperata da affidarsi ad uno come lui. Non che Dazai, con
le sue
bende e il suo spoverino alla moda, non sembrasse raccomandabile, ma il
fatto
che le persone si rivolgessero ad un maniaco suicida per risolvere i
loro
problemi gli dava da pensare.
E, ancora di più, le sue
fasciature.
Atsushi aveva passato
intere giornate a lanciare sguardi indiscreti alle
braccia del suo capo e alla fine era giunto alla conclusione che
l’unico modo
per svelare l’arcano fosse parlare con il diretto interessato.
Peccato che le cose non
andassero mai come sperato.
«Bene, per oggi è tutto,
Atsushi-kun. Puoi andare» esclamò Dazai
allegramente, chiudendo uno dei pesanti registri dopo aver annotato i
risultati
degli ultimi interrogatori di un paio di tossici parenti del cugino
dello zio
di qualche agente della Port Mafia.
Era pomeriggio inoltrato e
il suo orario di lavoro non sembrava voler
finire più. Atsushi deglutì a vuoto, racimolando tutto il coraggio che
aveva
dentro di sé.
Erano soli. Ora o mai più.
«Ah, Dazai-san?» bofonchiò
Atsushi, indici uniti in un palese gesto di
imbarazzo, il peso che si spostava ripetutamente da una gamba
all’altra. Destra.
Sinistra. Destra.
«Mh?»
«I-io mi chiedevo, ecco—»
abbassò gli occhi per non incrociare lo sguardo
del suo capo, schiarendosi la gola «P-perché t-tieni sempre quelle
bende
addosso?»
Dazai batté le ciglia una,
due, tre volte, abbassando poi lo sguardo sulle
spesse fasce bianche arrotolate attorno alle sue braccia e torso, quasi
come se
le avesse viste per la prima volta in vita sua.
Poi scoppiò a ridere,
dapprima piano, poi una risata vera e propria che gli
bolliva in gola, il capo reclinato all’indietro e delle piccole rughe
di
ilarità che gli si formavano agli angoli degli occhi.
«Se ci tieni tanto a
saperlo, Atsushi-kun, perché non me le togli e ci un’occhiata
tu stesso?»
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✔ Fatto random del giorno:
un cucchiaio d’acqua contiene
un numero di atomi otto volte maggiore del
numero di cucchiai d’acqua contenuti nell’Oceano Atlantico.
A mia discolpa posso dire
che questa cosa è venuta fuori mentre mangiavo il
passato di zucchine. Cioè, se esistono ‘the Grapes of Wrath’, allora
possono
esistere anche ‘the Zucchini of Inspiration’ e, morale della favola, mi
sono
abbuffata di zucchine e poi mi sono messa a scrivere. Ha. Ha. Ha.
Sto vaneggiando.
A mia discolpa posso dire
che a. Dazai è troppo figo to handle e b. è un
oltraggio che su efp non ci sia ancora un
fandom di bsd quando su ao3 ci sono almeno duecento storie.
c. sono stanca di
fangirlare sola come un cane su bsd, ma questa è un’altra
cosa.
Anyway, questa cosa non è
niente di che, solo una breve one shit
shot (hell yeah, per 28 parole è una shot, non chiedetemi come) per
dimostrarmi
che posso e voglio scrivere qualcosa su Dazai & Co e perché sono
felicia(?)
che nello scorso episodio è comparso Fitzgerald (non chiedete, ho
un’ossessione
per i ricconi biondi, cue me).
La
storia non è intesa per essere shounen-ai, ma potete vederci comunque
quello che volete.
Bene, ora torno a starmene
da sola a casa mia (yay!) a guardare Alberto
Angela (ultrayay!).
Quanto odio stare a casa
da sola, urgh.
tangerine