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Autore: moni93    12/06/2016    1 recensioni
Asmita della Vergine, uno dei cavalieri più enigmatici di tutta la serie Lost Canvas, eppure così umano.
Seguite anche voi come il bambino smarrito lungo la via della vita, sia infine riuscito a trovare l'illuminazione, la risposta che ha sempre bramato o, almeno, uno squarcio di essa. Con fatica e sacrifici, ma anche con il sostegno della sua dea e di un inaspettato amico. Una storia che parla di sofferenza, morte, vita e speranza. Perchè di tutto questo è composta l'esistenza umana.
Tratto dalla storia:
Che stesse sbagliando qualcosa?
Oppure era la via ad essere tanto oscura da non permettergli di andare oltre ciò che i suoi poteri gli consentivano?
Eppure, se lui era l’essere più vicino ad Athena, come poteva fallire un tale compito? Ne era forse indegno?
Si sentiva bloccato, impossibilitato a tornare indietro, così come a compiere anche solo un minuscolo passo avanti.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sorpresa, Virgo Asmita
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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SOLO ALCUNE COSE SI VEDONO CON GLI OCCHI

 

Stava meditando, la statua.

Quella minuta, fragile bambola umana, che doveva essere un bambino. Somigliava più ad un Buddha in ceramica, tuttavia, uno dei tanti che si trovavano in quella camera spoglia, fatta di pietra e fango. Era di un materiale debole, la statua, che si può facilmente rompere; nulla di diverso da un cuore umano. Per quanto quel bambino si sforzasse di fondersi col nulla, raggiungendo la liberazione dei sensi, essi non riuscivano mai ad abbandonarlo del tutto. Una parte della sua anima, più pesante, rimaneva aggrovigliata alla realtà, incatenata dal suolo limaccioso. Chiedere alla pietra di non essere pietra era come domandare ad un cuore di non pulsare. Desiderare l’annullamento del proprio io, allo stesso modo, corrispondeva a rinnegare ogni sentimento, ogni paura, ogni desiderio, e abbracciare unicamente il tutto; l’universo. Smettere di essere l’io e diventare il tutto, che si trovava in ogni cosa e che, al tempo stesso, racchiudeva ogni cosa. Per farlo, tuttavia, era necessario uno spirito che sapesse farsi carico della sofferenza altrui, comprendendola, ma senza lasciarsi schiacciare da essa. Ma questo la bambola, ancora non poteva comprenderlo.

Era come un bambino al quale gli erano state prescritte regole precise, ma al quale si richiedeva di romperle una ad una. La statua era venuta al mondo con uno scopo e solo a quello si doveva prodigare. Non esisteva altro, né il caldo sole né la pallida luna, né la fame né il dolore. Nulla. Per tale motivo gli dei gli avevano fatto dono di occhi che non potevano vedere, in modo tale che le mani della tentazione potessero toccarlo meno. Questo credeva. Eppure, seppur senza il senso della vista, essa avvertiva ugualmente, se non con maggiore potenza, la fragilità della vita. La brutalità con cui essa veniva elargita a tutti e, nel medesimo istante, la dolcezza con cui essa privava ogni cosa del suo tocco.

La sua mente subiva ciò che lo sguardo non poteva raggiungere e la bambola non capiva. Non si capacitava del senso di quello che gli umani chiamavano indistintamente miracolo celeste e maledizione demoniaca. Questa dualità concessa da Brahma* e Shiva*, che insieme creavano e distruggevano, non aveva alcuna logica per quel piccolo Buddha. Non comprendeva perchè lui, che si era dimostrato fin dalla più tenera età idoneo all’armatura della Vergine, non riuscisse ancora a trovare la risposta alle sue domande. E, in qualche angolo remoto della sua coscienza, iniziò a dubitare.

Che stesse sbagliando qualcosa?

Oppure era la via ad essere tanto oscura da non permettergli di andare oltre ciò che i suoi poteri gli consentivano?

Eppure, se lui era l’essere più vicino ad Athena, come poteva fallire un tale compito? Ne era forse indegno?

Si sentiva bloccato, impossibilitato a tornare indietro, così come a compiere anche solo un minuscolo passo avanti. Allora si concentrava ancor più, si allontanava quanto più poteva dal suo fisico, dai suoi desideri e bisogni. Nulla era più importante della verità che tanto agognava e che gli era così ingiustamente celata. Così facendo, tuttavia, il corpo della bambola si era fatto ancor più esile, ancor più delicato e fragile, mentre il volto non aveva più nulla di ciò che era. Una maschera severa ed imperscrutabile era il suo nuovo viso. E, piano piano, così come le sue membra, anche il suo cuore iniziò lentamente ad inaridirsi e morire. Persino le molte statue indù che gli facevano compagnia parevano rimproverare il piccolo involucro mortale.

“Devi mangiare o Hakurei si arrabbierà di nuovo.” dissero in un sussurro udibile solo alle rocce, ai loro simili.

Il cuore del bambino rispose “Non mi va... come posso mangiare, quando persone vicine e lontane a me soffrono?”.

Puntò lo sguardo vuoto dinnanzi a sé, dove un’ampia finestra si dipanava sul cielo stellato. Tuttavia, la triste bambola non riuscì a scorgerlo. Provò una fitta, all’altezza del petto, pur non spiegandosene il motivo. Credeva fosse dovuto alla sua frustrazione, a quella vetta, quel senso superiore, che vedeva sempre e solo in lontananza. Per quanto allungasse le sue mani, la bambola non riusciva mai a raggiungerla. Soffriva per questo, pur non rendendosene conto, perchè i sentimenti la stavano inesorabilmente abbandonando. Lei non lo sapeva, ma ciò che dava peso alla sua anima era una mancanza, che l’adombrava fin nelle viscere. Eppure, al tempo stesso, essa la rendeva vuota. Una bellissima bambola che non possedeva il dono della vita.

La risposta al suo dilemma, tuttavia, giunse acuta ed improvvisa alle sue spalle.

“SE NON MANGI, GIURO CHE TI PESTO!!”

Spaesata, la bionda statua voltò impercettibilmente il capo, più per educazione che per necessità o curiosità. La povera bambola non poteva vedere con i suoi occhi di ceramica, ma il suo cuore umano compensava questa sua mancanza.

“Shion, te l’avevo già spiegato, non devi disturbarmi mentre...”

Non riuscì a finire la frase, e persino i Buddha circostanti rimasero sconvolti da tale indelicatezza.

“Il maestro Hakurei si spreca ogni giorno per cucinare ad un ingrato come te, mi fai andare in bestia!!” urlò nuovamente il tibetano, con orgoglio ferito di allievo ed anche un pizzico di gelosia.

Asmita, così era stata chiamata quella peculiare creta a forma di bambino, decise allora di ripetere la sua domanda. Non seppe mai chi gli suggerì tale azione, se il Buddha che risiedeva in lui o la voce gentile della sua dea, ma dentro di sé sperava che il suo inopportuno e sincero ospite potesse trovare una risposta. Magari non sarebbe stata quella a cui tanto ambiva, ma forse sarebbe stata più interessante di quella fornitagli da quelle statue e dalle sue infinite riflessioni.

“Perchè mangiare? Perchè essere felici, se molta gente soffre e muore? Perchè vivere?”

La stanza si fece vuota, ovattata, dinnanzi a quello sfogo inaspettato. Sebbene mormorate come un mantra, in ogni parola vi erano racchiusi tutti i sentimenti che, sino ad allora, la bambola aveva tentato di reprimere in qualche angolo buio della sua coscienza.

“In fondo...” quasi gemette, quando rese concreti quei suoi pensieri “Noi siamo nati per morire.”

Shion non riusciva a comprendere a fondo il significato di quelle profonde parole. Era troppo piccolo, troppo ingenuo e vivo per capire. Un tempo, forse, avrebbe risposto diversamente alla statua. Era stato perso, una volta, smarrito nel dedalo della vita; ma questo era il passato, prima che il suo mentore gli svelasse il suo sentiero e gli aprisse la via verso il suo destino costellato da stelle, e non più da polvere e rovine. Il suo cielo era ancora buio, tuttavia ciò non significava che in quell’oscurità non potesse esserci luce. Bastava anche un fioco bagliore per rischiarare le tenebre più accecanti, questo gli aveva insegnato il suo maestro.

Shion tentò allora di comprendere meglio la bambola, per aiutarla a trovare la sua stella che, lontana, brillava per lui. Aveva soltanto bisogno di qualcuno che gli insegnasse a vedere col cuore.

“Tu non puoi vedere, vero Asmita?”

Il piccolo fantoccio annuì.

“Non vedo tramite gli occhi, ma percepisco con gli altri sensi questo mondo e...” si fermò, ponderando se la risposta che tanto agognava valesse un’esposizione tanto intima.

Qualcosa, dentro di lui, lo fece parlare.

“Riesco a vedere il dolore altrui.”

Il bambino proveniente dalle montagne del Tibet sgranò gli occhi, incredulo.

“Vedi il dolore della gente?”

“Posso vedere i ricordi, la loro storia... costituita per lo più, se non unicamente, da dolore.” specificò l’altro, facendosi poi silenzioso, in attesa.

Fu allora che il Fato rispose al Buddha.

Shion rise di gusto, mentre le ametiste incastonate nel suo volto brillavano come stelle nel firmamento. Come avrebbero fatto per secoli, per illuminare il sentiero di altre costellazioni senza cielo.

“Allora, guarda i miei, Asmita. Adesso mi concentro!” esclamò entusiasta il tibetano.

La bambola non capì.

Perchè quella risata?

Perchè voleva che vedesse?

Perchè... ?

L’immagine di un biondo bambino che correva sulle montagne sconfinate del Jamir lo colpì come un raggio di sole improvviso. Abbagliante, eppure caldo, piacevole quanto doloroso per le sue pupille non abituate alla luce. Nel tentativo istintivo di difendersi da ciò, però, la statua vide un vecchio che batteva incessante il proprio martello dorato su delle armature, mentre un piccolo umano sbirciava da una fessura sulla porta... e sognava. Lo percepiva chiaramente. Era un desiderio che traboccava da ogni fibra del suo corpo e che lo avvolgeva, facendo avvertire un moto di entusiasmo anche al centro del petto di Asmita. Una carezza improvvisa gli sfiorò la guancia, mentre il sorriso di una donna sbiadita dalle sabbie del tempo si fissava nella sua mente, come una malinconica melodia. Faceva male, eppure le lacrime che avrebbero voluto bagnargli il viso lo rendevano in qualche modo libero. Perchè quel frammento del passato sarebbe appartenuto per sempre a lui, facendo vivere in eterno sua madre nel suo cuore e nei suoi sogni. Un cielo stellato, brillante come l’illuminazione che bramava da anni, forse da secoli, gli tolse infine il fiato. Le stelle apparivano irraggiungibili a lui, distanti migliaia di migliaia di anni, eppure con la loro luce carezzarono l’intera sua anima, rendendolo partecipe dell’immensità dell’universo.

In quella vita, che durò per Asmita soltanto pochi secondi, vide il tutto celato nell’uno.

“Hai visto che bello, il mondo?”

Shion sorrideva raggiante a quel Buddha che aveva sgranato le celesti iridi vuote. Aveva proseguito con voce pacata, una tonalità che ancora non gli apparteneva, ma che presto sarebbe diventata la sua compagna fedele; fonte d’ispirazione e coraggio per le generazioni future.

“Non puoi giudicare un’opera d’arte da una semplice occhiata, così come non puoi valutare una persona dopo pochi istanti... men che meno, puoi vantarti di conoscere la vita unicamente tramite il dolore ed il rimpianto. Perchè per noi umani certi istanti, alcuni brevi ricordi e persino i sogni più irrealizzabili, valgono molto più di infiniti rammarichi e pianti. Per gli esseri umani, Asmita, l’unico senso della vita è quello di viverla, nel modo migliore possibile. E ognuno si impegna al massimo per raggiungere questo scopo; ognuno di noi.”

La bambola non rispose, troppo sconvolta.

Stava ancora vagando tra i ricordi di quel ragazzino, quell’allievo di Hakurei dell’Altare al quale non aveva mai dato troppo credito. Non lo credeva capace di poter raggiungere dei pensieri che lui, in anni di meditazione, aveva sempre mal interpretato. Eppure, in mezzo a tutta quella gioia e sofferenza, Asmita aveva scorto qualcosa. Probabilmente non aveva ancora trovato la verità che cercava... ma qualcosa dentro di lui, da qualche parte, aveva ricominciato a battere e vivere.

 

***

 

“Shion, ancora in piedi a quest’ora?”

Il cavaliere di Aries sussultò, colto in fallo. Distolse con un poco di vergogna e disappunto lo sguardo dalla volta celeste che stava ammirando, anziché dedicarsi alla riparazione delle armature danneggiate. Si concentrò dunque sulla figura che stava attraversando la sua casa con pacato rispetto. Non appena riconobbe il compagno, si scansò dalla colonna su cui poggiava la sua schiena, per avvicinarglisi.

“Asmita... tu piuttosto, cosa ci fai alla Prima Casa?”

Il biondo indiano alzò un sopracciglio, in tono quietamente divertito.

“Allora non sono il solo a rispondere ad una domanda con un’altra questione.” asserì, mentre il tibetano abbassava lo sguardo, mortificato.

Il viandante, tuttavia, non aggiunse altro.

Fece qualche altro passo, alzando lo sguardo al cielo che non poteva vedere, ma che ricordava distintamente in un altro luogo, in un altro tempo non troppo distante.

“Ti ricordi di quando mi sgridasti perchè non avevo mangiato la cena di Hakurei?”

A quelle parole le gote del ragazzo si tinsero leggermente di porpora, sentendosi colpito nel vivo, ma stavolta per nulla intenzionato a tacere.

“Te l’eri cercata: non ascoltavi mai. Non ascolti tutt’ora, a dirla tutta.” rispose, con un pizzico di severo rimprovero.

Ma Asmita lo stupì.

“Vero.” ammise, facendo una breve pausa per concedersi un lieve sorriso “Quella volta, mi mostrasti i tuoi migliori ricordi, dicendomi che certe cose, che per noi umani durano appena un battito d’ali di farfalla, hanno un valore infinitamente maggiore di certe sofferenze eterne per il genere umano.”

Si grattò il capo, l’Ariete, rammentando la sua antica ingenuità che, col passare degli anni, non si era affatto indebolita; al più era stata mal celata da una spiccata saggezza, eredita dal suo maestro. A suo dire, tuttavia, una mera imitazione di una sapienza più profonda ed alta.

“Ero solo un ragazzino... e pure parecchio sciocco.” ammise con imbarazzo, a mo’ di scusa, sentendosi come uno scolaro rimbeccato dal proprio mentore.

Proprio lui che stava cercando di rimproverare Asmita per il suo carattere.

La Vergine, però, scosse il capo, facendo danzare nella notte i biondi capelli ed i suoi pensieri più sinceri. Forse non avrebbe mai conosciuto la verità che cercava, e avrebbe continuato a vagare a tentoni come un bambino smarrito. Una parte di sé gli sussurrava che, una volta varcati i cancelli del Regno dei Morti, e solo allora, avrebbe avuto risposta ai dilemmi che affliggevano da generazioni gli eredi del grande Buddha. Eppure, questa certezza non lo infastidiva ma, anzi, lo investì con una leggera ventata di malinconia. In fondo, lui era nato per morire. Tutti loro, ed in particolare i cavalieri coinvolti nell’imminente Guerra Sacra, avrebbero presto abbandonato questo mondo. Ma ciò non significava che il viaggio avrebbe avuto termine.

Vi erano tante forze che facevano girare il mondo e la più forte tra esse era l’amore, Asmita questo l’aveva compreso molto tardi e solo dopo aver vissuto. Questo Amore, questa potenza che la dea Athena incarnava e proteggeva con tutta la sua determinazione, era persino in grado di sconfiggere la Morte. Poteva far rincontrare chiunque nei sogni, così come nei ricordi. Sia di giorno che di notte, gli esseri umani ed i defunti potevano ricongiungersi ai propri cari e continuare così a vivere, in eterno.

Era questa la vera fonte della giovinezza, alla portata di chiunque fosse in grado di vedere. Perchè solo alcune cose si vedono con gli occhi, mentre il resto è visibile con il proprio cuore. Era questa la lezione che la Vergine aveva imparato da un giovanissimo futuro Gran Sacerdote.

“No.” disse dopo una silenziosa meditazione Asmita, incamminandosi verso l’uscita di quel Tempio, per poi voltarsi un ultimo istante verso il suo interlocutore e fonte di conoscenza “È stata un’esperienza illuminante.”

Infine, il suo raro sorriso aggiunse “Grazie per avermi mostrato questa verità”.

 

In cielo c’è una stella per ognuno di noi,

sufficientemente lontana perché i nostri dolori

non possano mai offuscarla.

(Christian Bobin)

 

 

 

 

*Brahma e Shiva, divinità induiste che incarnano rispettivamente la “creazione” e la “dissoluzione” dell’universo. Insieme a Vishnu, divinità del “mantenimento”, sono le tre divinità che presiedono al mantenimento dell’ordine nell’universo.

 

 

FINE

 

 

 

ANGOLO DELL’AUTRICE:

 

Ciao a tutti! =)

Eccoci qui, con un’altra one-shot riciclata da quella che doveva essere una raccolta sui vari cavalieri della serie Lost Canvas. Per chi se la fosse persa, potete trovarne una simile su Albafica intitolata “Il ricordo più dolce”. Lo scopo era quello di scrivere una one-shot su ogni cavaliere di Athena, in cui vi era una vicenda accaduta loro da giovani ed una conclusiva, che riprendeva il discorso iniziale, ma con i protagonisti ormai adulti. Alla fine questa idea è andata accantonata, perchè non ho ricevuto ispirazione per tutti i protagonisti del fumetto, ma visto che alcune one-shot le avevo già scritte, ho pensato di pubblicarle come storie separate.

Che dire di questa fic?

Anzitutto, è la prima che scrivo su Asmita. È un personaggio che ho apprezzato davvero tanto nel Gaiden, perchè nel manga non veniva approfondito a sufficienza.

Spero di non aver scritto castronerie, specie quando parlo dei concetti del Buddhismo e della meditazione. Mi sono informata un po’ in giro, ma ho comunque il timore di aver sbagliato qualcosa. Lo scopo della fanfic non è tanto parlare di come si raggiunge il Nirvana, quanto la ricerca del senso della vita. È un argomento bello tosto, ma credo che grazie a questo personaggio sia riuscita a lanciare qualche spunto di riflessione. Almeno, lo spero. ^-^’’

Attenderò con ansia qualche parere e, in ogni caso, ringrazio tutti voi lettori per l’attenzione datami.

Un abbraccio a tutti,

 

Moni =)

   
 
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