Wishmaster Hill
Prologo – Sofia e il Wishmaster Hill
“Sleep don't
visit, so I choke on sun
And the days blur into one
And the backs of my eyes hum with things I've never done
Ships are launching from my chest
Some have names but most do not
If you find one, please let me know what piece I've lost…”
(Radical Face
– “Welcome home”)
Il 27
dicembre 1980 ad Hartford, Connecticut, nacque Sofia Màiri
Walker, figlia secondogenita di una famiglia
benestante di origini miste, sia scozzesi che italo-americane.
Sofia aveva
solo nove anni quando sua madre morì, lasciandola con Harold, il padre severo
ma buono e Drew, il generoso fratello maggiore che adorava con tutto sé stesso
la sorellina timida e indifesa.
Dopo il
tragico evento, i tre tornarono in Scozia e si trasferirono ad Ullapool, sperduta cittadina al nord del paese, da cui
proveniva la famiglia materna di Harold e dove egli stesso era cresciuto.
Grazie al
loro affetto, Sofia crebbe felice e si trasformò da bambina a giovane donna.
15 marzo 1996.
Quello era
un giorno che la giovane Sofia attendeva da mesi: il primo giorno nella nuova
scuola.
Avrebbe
frequentato il Wishmaster Hill, uno dei collegi di
stampo internazionale più importanti e prestigiosi della regione, che avrebbe poi
agevolato Sofia ad essere ammessa a Princeton il prestigioso college americano.
Sofia era
rimasta in lista d’attesa per un bel po’. Il secondo semestre era ormai
iniziato, ma la ragazza rimaneva fiduciosa: nella scuola che aveva frequentato
fino ad allora l’avevano istruita bene e, inoltre, i programmi delle scuole
pubbliche e private proseguivano tutti più o meno sullo stesso piano.
Il Wishmaster Hill si trovava su un’isola della Scozia
chiamata Isola di Skye, affacciata sull’oceano
Atlantico; era piuttosto lontana da Ullapool, la
cittadina dove risiedeva la famiglia Walker, situato quasi
sulla punta nord dell’isola britannica.
L’edificio
che ospitava la scuola era uno dei numerosi castelli scozzesi, ristrutturato in
tempi recenti e, un tempo, proprietà dei Gesuiti. Al giorno d’oggi, il Wishmaster aveva ancora la struttura del collegio che era
stato anni addietro, tanto che poteva permettersi di ospitare tutti i suoi
studenti. Aveva quindi un’organizzazione moderna e all’avanguardia, dove i
ragazzi potevano studiare e alloggiare.
Ore 11 del mattino, casa Walker.
“Sofia,
allora?! Non vorrai arrivare in ritardo!” Urlò Drew.
“Aspetta
Drew, un secondo e scendo!” Rispose Sofia, rivolgendosi alla porta chiusa della
sua camera, dove dall’altra parte la aspettava suo fratello.
Dopo un
minuto, Sofia spalancò la porta e uscì nel corridoio. Drew stava tamburellando
con le dita contro il muro, le chiavi della macchina in mano. Si avvicinò alla
sorella e si chinò per sollevare la sua grossa valigia.
“Accidenti, ma
cosa ci hai messo qua dentro? I sassi?!” Si lamentò, col fiato corto.
“Oh, andiamo
Drew!” Lo canzonò Sofia, dandogli uno schiaffetto amichevole sulla schiena “Con
tutta la palestra che fai!”
“Siete
pronti, voi due?” Disse una profonda voce maschile. Harold, il padre di Sofia e
Drew emerse dalla penombra che regnava perennemente nel piccolo salotto. Era un
uomo alto e grosso ma non grasso, con capelli neri brizzolati, gli occhi
spontanei e la barba. Sofia lo abbracciò forte.
Suo padre
era il direttore di un’importante industria americana di elettrodomestici,
molto conosciuta e apprezzata sul mercato mondiale; aveva sempre viaggiato
parecchio e, quando Sofia era piccola e sua madre Clelia
era ancora viva, vivevano tutti e quattro nel New England, nella villa di
famiglia, in un lussuoso quartiere residenziale di Hartford.
Quando Clelia morì a causa di un incidente stradale, qualcosa
dentro Harold si spezzò. Nel giro di pochi mesi vendette la casa in America e
decise di tornare in Scozia, terra da cui proveniva la sua famiglia materna e
per cui nutriva un affetto particolare. Al tempo, Sofia aveva nove anni e Drew
tredici.
I due
fratelli non sapevano come, ma suo padre non allentò mai le redini sul lavoro:
sebbene oltreoceano, gestiva tranquillamente i rapporti internazionali della
sua azienda. Al suo posto, in America era rimasto suo fratello minore.
“Mi raccomando,
comportati bene e studia. Se hai dimenticato qualcosa telefona: te lo spedirò
per posta. Ci vedremo quest’estate.” Disse Harold a Sofia, che stava facendo di
tutto per trattenere le lacrime. “E non ti dimenticare del tuo vecchio.”
Concluse abbozzando un sorriso.
“Non potrei
mai, papà.” Sussurrò la ragazza. Dopodiché infilò sciarpa e cappotto e uscì
nella fredda aria di marzo, mentre Drew ascoltava le ultime raccomandazioni
sulle strade da prendere.
Sola sulla verandina di legno, la ragazza sospirò forte. Il vento
scuoteva i campanelli scaccia spiriti appesi ad una trave portante, sul
soffitto. Il cielo era grigio, così come il mare solcato dalle piccole
barchette dei pescatori. I pochi arbusti sulle colline che circondavano la
cittadina come in un abbraccio, erano rinsecchiti dal freddo e dal vento.
Sofia si
strinse nel cappotto e si guardò intorno con un misto di paura e tenerezza:
aveva dei bei ricordi di quella cittadina, per quanto piccola e scarsamente
popolata. D’altronde era l’unico centro abitato importante nel giro di
centinaia di chilometri, escludendo i gruppetti di case sparsi nell’entroterra
o lungo la costa.
La sera
prima erano venuti a salutarla i suoi pochi amici coetanei in città, Lucas (in
vacanza dalluniversità), Juliet e Hannah, che le avevano dato appuntamento a Ullapool per l’estate successiva.
Quando
finalmente il fratello la raggiunse, i due salirono sulla golf nera di Drew e
partirono alla volta dell’Isola di Skye.
Durante il
lungo viaggio, che durò circa quattro ore, Sofia si fece sempre più nervosa.
Non faceva altro che tormentarsi i lunghi capelli castano scuro,
attorcigliandoli continuamente tra le dita pallide e affusolate.
Ad un certo
punto, Drew le prese il polso con la mano libera e gliela posò in grembo.
“Piantala.” Disse
semplicemente.
E Sofia
rimase ferma: le era stranamente difficile disobbedire a suo fratello.
“E se non
piacessi a nessuno?” Si preoccupò.
“Sofia, tu
sei bella, buonissima e gentile, non puoi non piacere.”
“E se in
quella scuola fossero tutti snob con la puzza sotto il naso?”
“Smettila,
lo sai che non è possibile. Non parliamo né di Oxford né di Cambridge. Troverai
dei ragazzi simpatici con cui fare amicizia, vedrai.”
Sofia si
obbligò ad esaurire le preoccupazioni, e trascorse il resto del viaggio immersa
in un silenzio carico di attesa.
Osservò
spesso di sottecchi il fratello che guidava, cercando di memorizzare ogni
dettaglio del suo viso, dalla mascella definita ma al tempo stesso elegante,
alle folte sopracciglia un po’ corrugate dalla concentrazione. In generale, i
due fratelli si assomigliavano parecchio: stessi capelli lucenti, castano scuro
e piuttosto mossi, grandi occhi scuri incorniciati da lunghe ciglia folte,
stessa pelle olivastra e stesso naso un po’ all’insù.
Sofia aveva
sempre avuto una fervida fantasia fin da bambina e, nonostante il lungo
trasloco subìto nell’infanzia, aveva sempre sognato di viaggiare per il mondo. Ok,
l’Isola di Skye era ancora in Scozia, ma per lei era
pur sempre un passo avanti.
Il suo
grande sogno “da grande”, però, era tornare in America per studiare e
stabilirsi lì. Sogno che, forse, stava per diventare realtà. Sofia aveva
studiato duro per guadagnarsi il posto al Wishmaster
Hill, che accettava solo studenti molto dotati, ma di qualunque ceto sociale
senza fare favoritismi: era la via preferenziale per qualunque college.
Mentre
pensava, Sofia si guardò intorno e pensò che il panorama delle Highlands scozzesi era veramente mozzafiato. Lande e
brughiere desolate si estendevano per miglia e miglia, alternandosi spesso a
collinette che precedevano ripide montagne grigie; il cielo era plumbeo e
soffiava un vento impetuoso dal mare. Perfino la vegetazione sembrava prona per
opporsi alle potenti raffiche, e gli unici intrepidi vegetali che crescevano
erano muschi e folti fili d’erba, verdi e rigogliosi.
Una volta
passato il ponte per Skye, Sofia si sentì molto
lontana da casa.
Verso le tre
del pomeriggio, i due fratelli giunsero a destinazione. Si erano fermati a
pranzo in una piccola osteria che aveva servito loro una buonissima steak and oyster pie (una torta
salata con manzo e frutti di mare) con la birra scura della casa, e Sofia era
ancora così sazia e insonnolita che non si era accorta subito dell’austera
imponenza della sua nuova scuola.
La scuola di
Wishmaster Hill aveva lasciato la giovane Sofia a
bocca aperta fin dalla prima volta che l’aveva vista: era tutto di pietra,
enorme, squadrato e pieno di torri; i muri e il tetto erano di pietra color
grigio scuro, mentre qualche rara pianta di edera si arrampicava sulle pareti .
Un pittoresco giardino e un cortile davano su un placido laghetto, oltre il
quale si intravedeva il mare non troppo distante: l’intera costruzione era
affacciata su un fiordo. Pareva che i Normanni avessero fondato la prima
struttura del castello intorno all’anno 1000 per proteggere le coste
occidentali della Scozia.
Il tempo era cambiato nel corso della
giornata: ora il cielo era più aperto e si intravedeva qualche timido raggio di
sole, che faceva splendere la pietra come argento. Tutto il contesto faceva
assomigliare quel castello a uno di quelli delle ballate epiche medievali, o a
quello di qualche racconto di avventura.
“Benvenuta
nella tua nuova casa. Guarda che roba… sono quasi
invidioso. Ma ci pensi a quanta gente conoscerai, Sofi?”
Disse Drew. Era emozionatissimo, anche se cercava di non darlo a vedere.
Lui non
aveva mai visto il castello, ma Sofia e suo padre erano venuti almeno tre volte
al Wishmaster Hill e conoscevano ormai la preside, la
signora McLachlan, che era rimasta impressionata
dagli ottimi voti di Sofia. Aveva detto in tono entusiasta che sarebbe stata
felicissima di accogliere una studentessa così talentuosa. Era almeno un anno
che Sofia era in lista d’attesa, e quando le era arrivata a casa la lettera del
Wishmaster Hill, aveva fatto i salti di gioia, anche
se una parte di sé era un po’ preoccupata dall’idea di andare davvero a vivere
lontana da casa.
Per quanto
fossero “solo” tre ore e mezza di macchina, agli studenti del collegio non era
permesso tornare a casa durante il semestre, se non per le feste natalizie e
casi eccezionali. Il che sarebbe significato per Sofia, trascorrere quattro
mesi lontana da Ullapool.
Drew guardò
prima il cielo, poi l’orologio e fece per accompagnarla al portone, ma Sofia
gli prese la valigia dalle mani e disse :“Credo di potercela fare da sola,
Drew, grazie. Mi sento già abbastanza in colpa per quell’infinito viaggio che
ti toccherà fare ora per avermi voluta accompagnare.”
Il ragazzo
sorrise, passandosi una mano tra i corti capelli scuri :“Ma no. Per la mia
sorellina questo e altro!”
Fu la goccia
che fece traboccare il vaso. Sofia abbassò la testa, mentre gli occhi le si
riempivano di lacrime.
Drew le fece
alzare la testa posandole un dito sotto al mento e le disse con dolcezza :“Ehi,
ehi, Sofi… Non piangere, io e papà verremo a trovarti
per Pasqua. Manca meno di un mese.”
La ragazza,
imbarazzata per quella debolezza inghiottì le lacrime e si sforzo di piegare le
labbra in un sorriso.
“Oh, bene.
Così va meglio.” Sorrise Drew, comprensivo. “Sei proprio sicura che non vuoi
che venga con te? Qui sei a posto, è tutto pagato, devi soltanto andare dalla
preside a farti assegnare la stanza.”
“No,
davvero. Se parti ora riuscirai almeno ad arrivare prima che faccia troppo
buio.” Assicurò la ragazza.
E poi, voleva
provare a cavarsela da sola: presentandosi con Drew temeva che avrebbe fatto la
figura della poppante. Il ragazzo parve leggere tra le righe perché disse che,
se si fosse sentito stanco, si sarebbe fermato a prendere un tè da qualche
parte.
“Quegli
scatoloni che avete portato tu e papà l’altra volta dovrebbero essere da
qualche parte al sicuro, vero?” Domandò Drew, prima di salire in auto.
“Sì, la
preside mi ha assicurato che quando sarei arrivata me li avrebbe fatti
recapitare subito.”
Detto
questo, Sofia gli stampò un bacio sulla guancia e trascinò la sua grossa
valigia di pelle su per le scale dell’entrata, stringendosi nel lungo cappotto
grigio sotto gli occhi attenti del fratello.
La ragazza
si voltò verso Drew e lo salutò con la mano, un sorriso incoraggiante sulle
labbra.
Il giovane
ricambiò il saluto, mise in moto e in breve sparì all’orizzonte, sollevando una
leggera nube di polvere.
Sofia rimase
a guardarlo per un po’, sperando davvero che non si stancasse troppo, poi
quando rimase definitivamente sola sospirò e bussò con poca convinzione al
robusto portone di quercia.
Pochissimi
secondi dopo, il portone si aprì con uno scricchiolio e fece capolino il volto
circospetto di un ragazzo. Era alto, magro e molto carino: aveva i capelli
biondo cenere, una spruzzata di lentiggini sul naso e sugli zigomi e gli occhi
scurissimi, magnetici. Indossava la divisa della scuola: giacca blu savoia, camicia bianca, pantaloni grigio chiaro, cravatta a
righe oblique grigie e blu savoia e scarpe nere.
“Chi sei?”
Chiese. Aveva un timbro di voce basso, quasi cavernoso.
Sofia ne fu
intimidita e le salì l’angoscia :“So-sono Sofia Walker, la nuova studentessa.” Maledizione, ma perché la
voce aveva scelto proprio quel momento per cominciare a tremare?
Il ragazzo inarcò
le sopracciglia e bofonchiò :“Ah, giusto. Ci avevano parlato del tuo arrivo… Beh, sarà meglio che entri, fa un po’ freddino. Anzi,
aspetta che ti aiuto: quella valigia sembra pesante.”
“No, no, non
c’è bisogno…” Ma prima che Sofia potesse fermarlo, il
giovane afferrò la valigia e la trascinò dentro. Sofia non ebbe che da seguirlo.
L’interno
del castello, se possibile, era ancora più bello dell’esterno: era tutto in
pietra, ricoperto di morbidi tappeti e arazzi.
Di fronte
all’ampio atrio si apriva una spaziosa e alta scalinata di marmo scuro, che
terminava con un corridoio aperto perpendicolare ad essa, in cui entrambe le
parti terminavano in un arco che conduceva nelle altre aree del collegio.
Sofia si
appoggiò al portone, guardandosi intorno: il pavimento dell’atrio era fatto di
piastrelle grigio - marroncino fregiate. Alla sua destra c’era una grossa porta
aperta e alla sua sinistra pure. Due armature tirate a lucido stavano in cima
alle scale, e davano un’aria solenne al posto. Un enorme lampadario di prezioso
cristallo illuminava a giorno l’ambiente, nonostante non mancassero numerose
torce scoppiettanti. L’arredamento in medievale si accordava alla perfezione
con l’intera struttura.
“Ti guardi
intorno, eh?” Considerò il ragazzo, con un ghigno dipinto sulle labbra.
Sofia
arrossì :“S-si, ecco…”
Lui non
smise di sorridere e disse :“Ehi, smettila di tremare. Non ti mangio mica.”
“Scusa, ora
mi riprendo.”
“E di cosa?
Comunque non mi sono ancora presentato, perdonami.” Le tese la mano “Sono
Andrew Hastings. Piacere di conoscerti.”
Sofia
sorrise e strinse la mano. Quel ragazzo sembrava un po’ sulle sue ma simpatico,
forse avrebbero potuto diventare amici. Gli domandò :“Mi sai indicare la
presidenza? Devo avvertire del mio arrivo.”
“Oh, certo,
certo. Per di qua.” Annunciò Andrew in tono scherzosamente pomposo, sollevando
la valigia e avviandosi sulla scalinata.
Sofia
sorrise e gli andò dietro.
La
presidenza era al primo piano, dopo una svariata serie di corridoi labirintici
e pieni di quadri e arazzi. La preside McLachlan era
una donna sulla cinquantina dall’aria severa. Consegnò a Sofia la chiave della
sua stanza, la numero 48. Le chiese notizie dei suoi familiari e cosa ne
pensava del castello, poi la congedò dopo poche raccomandazioni salienti.
Una volta
fuori, Sofia vide con piacere che Andrew la stava aspettando appoggiato
elegantemente al muro, la camicia fuori dai pantaloni e l’aria distratta.
Non appena
udì la porta aprirsi e richiudersi sorrise a Sofia e le domandò :“Che stanza ti
ha dato?”
“La 48.”
“Ah, sei con
Alicia ed Ella.” Sembrava contento.
Sofia alzò
le spalle :“Non lo so. Forse.”
“Sono sicuro
che vi troverete benissimo insieme. Sono simpatiche.”
Andrew
accompagnò la sua nuova amica alla torre nord, nell’ala dei dormitori femminili.
I corridoi con le stanze sembravano l’unica zona ristrutturata con un tocco più
moderno: sembrava di essere nel corridoio di un bell’hotel.
“44, 45, 46,
47… 48! Eccoti qua!” Esclamò scorrendo con gli occhi tutte le targhette
d’ottone.
Posò la
valigia in terra, accanto alla porta di legno scuro.
“Hai bisogno
di una mano per sistemarti?” Chiese gentilmente.
“No, grazie.
Sei gentile ma posso fare da sola.”
“D’accordo. Ci
vediamo più tardi, o al massimo stasera a mensa. Se non hai più bisogno di me,
io torno a vagare in giro.”
“Come mai? Non
hai lezione?”
“Quella
vecchia strega della prof mi ha sbattuto fuori. Pare che per lei la mia voce
sia troppo forte, quando chiacchiero.” Andrew fece spallucce ed estrasse una
sigaretta dal pacchetto che nascondeva nella giacca. La porto alle labbra.
“Divertiti.”
Disse tra i denti per non far cadere la cicca, e sparì.
Sofia rimase
sola, così infilò la chiave nella toppa ed entrò.
La stanza
era molto luminosa e spaziosa, ma confortevole. Al contrario di quello che la
ragazza si aspettava, la stanza non era di pietra e dall’aspetto freddo come tutte
le altre aree del castello, ma assomigliava di più al corridoio. Le pareti
erano lisce e bianche, mentre i mobili erano tutti di legno marroncino chiaro; sulla
destra, lungo la stessa parete della porta, c’era un letto singolo, mentre di
fronte alla porta si ergeva un letto a castello. Vicino alla finestra,
dall’altra parte della stanza, stava un’ampia scrivania con tre sedie e,
accanto, un divanetto azzurro dall’aria un po’ consunta ma comoda. Un grosso
armadio si trovava in posizione perpendicolare rispetto al letto singolo,
accanto a quella che doveva essere la porta del bagno.
Il letto a
castello sembrava già occupato, considerando le lenzuola ingarbugliate e la
baraonda di vestiti che vi si trovava sopra, così Sofia si sedette sul letto
singolo, perfettamente rifatto.
Nella camera
non c’era nessuno: probabilmente le due occupanti erano ancora in classe.
Dopo aver
fatto il punto della situazione, Sofia si alzò e aprì l’armadio. Anche quello
era pieno di vestiti, tra cui spiccavano almeno quattro divise della scuola.
Erano identiche a quella che portava Andrew poco prima, solo che al posto dei
pantaloni c’era una gonna a balze, sempre grigio chiaro.
Abbassando
lo sguardo, Sofia vide tre grossi cassetti. Uno doveva essere il suo.
Provò ad
aprire l’ultimo: era vuoto, ma la ragazza preferì non metterci ancora nulla.
Si avvicinò
al letto e cominciò a disfare la valigia. Mentre stava ripiegando un
maglioncino bianco, qualcuno bussò alla porta.
“Avanti.”
Disse la ragazza.
Era una
giovane donna mora. Portava un sacco pieno di libri e due divise femminili in
mano; sembrava senza fiato.
“Sei… sei tu Sofia Walker?”
Farfugliò, respirando pesantemente.
“Si.”
Rispose la ragazza.
“Oh, meno
male.” Sbuffò la donna, posando i libri a terra. “Questa è roba tua. Nel sacco
c’è l’orario dei tuoi corsi. Comincerai domani. Jonathan, il custode, dovrebbe
recapitarti gli scatoloni che hai portato l’ultima volta a breve.”
“Grazie
mille.” Sorrise Sofia, prendendo la divisa e trascinando i libri vicino al
letto.
“Prego.”
Ricambiò il sorriso l’altra. “Io sono la vicepreside, Sarah Ramsay.
Ci vedremo in giro ogni tanto. Buona permanenza, signorina Walker.”
Uscì e Sofia
rimase di nuovo sola.
Ciao a tutti, ragazzi e ragazze!
È un secolo che non pubblico niente
qui su EFP, sono letteralmente passati ANNI. Mi sembra ieri che mi sono
iscritta al sito, anche se avevo solo sedici anni e me ne sono letteralmente
innamorata.
Qualche anno fa avevo cominciato a
scrivere questa storia perché, dopo aver visto il film “Wild Child” con Emma Roberts, avevo immaginato la vita di uno
scanzonato gruppetto di amici in un collegio e, visto che sono appassionata di
Harry Potter e al momento mi trovo in UK per studio…
BAM! Ho iniziato a modificare la storia ed eccoci qua. Visto che è un progetto
che sta rinascendo daccapo, non so ancora dove mi porterà ma, ogni consiglio su
come continuare la storia è ben accetto!
Grazie infinite a chi la leggerà! =)
Chiara