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Autore: JCM_    17/06/2016    17 recensioni
[Storia Interattiva. Iscrizioni aperte sino al 24/06]
Dal prologo.
« Non credere che non abbia già ponderato tale soluzione, Apollo. Il mio male non può essere guarito se non verrà estirpato alla radice. Così come quello dei miei fratelli.»
Apollo trattenne il fiato per quelli che gli parvero secoli.
Il carro bloccato, il Re del cielo costretto a letto, la sua Regina che aveva intrecciato le mani sul ventre, gli occhi colmi di preoccupazione e le spalle rigide come una leonessa che si appresta a balzare per artigliare la minaccia per i suoi cuccioli.
Poseidon e Hades che, a quanto sembrava, versavano nelle medesime condizioni del padre degli Dei.
Mille e più avvisaglie del pericolo gli inondarono la mente, un senso di vertigine che l’avrebbe fatto barcollare se non fosse stato seduto.
Lo sguardo plumbeo di suo padre non smentiva ciò che stava pensando.
Anche solo pronunciare il nome di quella creatura avrebbe fatto tremare la terra.
Era troppo.
Troppo antica, troppo potente, troppo inarrestabile. Semplicemente troppo.
Quello era l’inizio della fine.
Genere: Dark, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Prologo
 
Gli dei sono strani. Non si servono solo dei nostri vizi per flagellarci. Essi ci spingono alla rovina anche per mezzo di quanto in noi è onesto, gentile, umano, tenero.
De Profundis, Oscar Wilde.
 
 
Il lungo colonnato di marmo era immerso nel chiarore soffuso che precedeva l’Aurora, il suo candore venato di smeraldo che, fremente, attendeva d’essere illuminato. I capitelli ionici agognavano la luce per mostrare le proprie vicende immortali. Il mondo tratteneva il respiro nel crepuscolo, incerto se sperare in un nuovo giorno o se rimanere nella notte che tutti abbraccia e tutti consola.
L’intero Universo era in silenzio, le labbra tremanti, il senso d’attesa che scuoteva i cuori, ma v’era un luogo in cui la quiete trovava le porte sbarrate ed era costretta a cercare altrove il proprio angolo di infinito.
Nel palazzo del Dio del Sole sull’Olympus, distante dagli occhi mortali ancora chiusi e immersi nei sogni, non v’era posto per il riposo. Gli immortali vagheggiavano di rado nel regno di Morpheus, colmo di irti ostacoli e brame pericolose. I sogni erano per i mortali, per coloro che mutavano la loro natura, facce di un diamante che non sarebbe mai stato scomposto del tutto.
Una musica soffusa permeava l’aere, note d’arpa e violino s’intrecciavano in una melodia senza tempo che cullava senza pretese, senza domandare nulla in cambio, con l’innocenza di un infante che dona i suoi sorrisi per pura gioia di farlo.
Le Muse cantavano, componevano e benedivano i mortali sussurrando loro in ogni momento della giornata, grate dei loro ruoli, appagate per essere ancora motivo di ispirazione dopo millenni trascorsi a inventare e ad amare quei fantasiosi e instancabili esseri che erano per loro discepoli e protettori insieme.
Apollo bramava quell’attimo al mattino in cui abbandonava la sua alcova per raggiungere il carro del Sole e rimirava le sue belle adepte con la consapevolezza che l’Arte non sarebbe mai morta se a custodirla sarebbero stati i mortali.
L’odore della pergamena riportava ai tempi dell’antico splendore mentre il suono di un flauto si accompagna timido in una nenia che in pochi avrebbe compreso e amato. Una maschera impreziosita da verdi rampicanti giaceva abbandonava su un triclinio, l’ombra di una risata che si spegnava quando ci si accorgeva del bastone sapientemente posto al suo fianco. Terpsichore e Polyhymia danzavano delicate mentre un gomitolo si intrecciava tra i loro passi eleganti. Urania osservava il cielo, persa e melanconica nella contemplazione della notte che stava cedendo il passo all’alba.
Era però Calliope ad attirare in quei giorni lo sguardo del Dio, la sua bella voce a solleticargli le orecchie, le sue dita instancabili sulla tavoletta di cera ad incuriosirlo. La fanciulla, accorgendosi del suo sguardo, sollevò il capo e gli occhi cangianti si posarono su di lui. Un sorrisetto caustico le piegò le labbra rosee mentre si portava l’indice dinanzi al viso in un gesto che soleva fare quando le domandava dei suoi progetti segreti.
Sto ponderando, mio signore. Porta pazienza, sembravano esclamare i suoi occhi meravigliosi mentre una ciocca d’ebano, dispettosa, si scioglieva dalla croccia e le carezzava l’incarnato pallido. Soltanto le Parche erano a conoscenza di quanto avrebbe bramato essere lui quella ciocca.
Apollo si inchinò come ogni mattina dinanzi alle nove fanciulle, scuotendo il capo e allontanando da sé quel pensiero.
Prima il dovere e poi il piacere, predicavano i mortali.
Fece roteare le chiavi della sua Maserati rosso fiammante  mentre avanzava tra le maestose stanze del suo Palazzo, fischiettando un motivetto allegro.
Il carro del Sole, un’imponente biga di legno ricoperto da foglie d’oro modellate dalle abili mani di suo fratello Hephaestus, di notte dimorava nelle scuderie grandi quando uno stadio che circondavano il colonnato.
Apollo fece cedere i cardini ben oleati con uno schiocco più acuto della voce ed entrò nello spazio in penombra.
I suoi cinque destrieri lo attendevano inquieti e scalciavano come non mai, sollevando nugoli di polvere e sbuffando di impazienza. La vaccinazione annuale si avvicinava. Quel pensiero sfuggente causò nel Dio un moto di tremore, gli occhi cerulei resi più grandi dal ricordo e la voce esitante su una nota più acuta delle altre.
Per poco non si portò alla mano a proteggere il suo meraviglioso posteriore.
I cavalli divenivano parecchio indisponenti mentre li si vaccinava.
Non che parlasse per esperienza personale. Il Dio Apollo non era mai stato vittima degli attacchi dei suoi stalloni da guerra. Nossignore.
Apollo fu lesto a premere il pulsante e cambiare la forma da carro ad auto. Le Maserati raramente mordevano il proprio conducente. A meno che non fossero state progettate da Hephaestus. In quel caso era molto probabile che avessero una mente propria. E una davvero, davvero malvagia.
Eos stava dipingendo l’alba con le dita delicate di un’arpista, gli occhi colmi di lacrime di rugiada per il suo figlio perduto, le labbra rosee e schiuse che sorridevano ai mortali. Un chitone ionico, rosato e impreziosito da nastri d’ametista, le avvolgeva le forme morbide agitato dalla brezza che Zephyr, l’antico nemico che oramai aveva perdonato.
Apollo sorrise dinanzi a quello spettacolo e la Titanide gli rivolse un inchino cedendogli il posto come ogni mattina nella volta celeste.
Apollo guidava con maestria, la mente immersa in nuovi haiku, gli occhi rivolti al mondo mortale che si stava appena destanti, le dita affusolate, da arciere, che tamburellavano pigre sul volante. L’autoradio trasmetteva un pezzo degli anni ’80. O del 1800? Sinceramente a volte il dio faceva qualche confusione con i periodi storici.
I mortali morivano troppo in fretta.
Un attimo prima Cesare passava il Rubicone e quello dopo suo figlio Louis costruiva una residenza divina dalle ceneri di una tenuta da caccia. Aveva sempre avuto dei sogni spropositati, quel ragazzo.
Un rumore gorgogliante lo riportò con gli occhi puntati verso il basso, alla ricerca di qualche evento curioso.
Gli Oceani e i mari del mondo erano in fermento. Maremoti scuotevano le coste, il Messico quasi invisibile, le onde che erodevano gli scogli.
Poseidon doveva essere infuriato. Che i mortali non avessero rinnovato la serie di Baywatch? Che avessero ripreso ad arpionare le povere creature marine in via d’estinzione? 
Ancora immerso in quelle memorie distratte, il Dio non si accorse che la brezza aveva smesso di soffiare. Il cielo era statico come mai era avvenuto prima, nessun volatile e nessun aereo a volteggiare nel suo azzurro infinito.
L’auto collise contro un ostacolo invisibile, arrestando la sua corsa verso lo zenit, e Apollo dovette trattenere a stento un urlo di sorpresa. Il carro del Sole non si fermava. Non aveva bisogno di carburante. Non bisognava cambiare l’olio né immettere acqua nel radiatore.
Il carro era eterno e immutabile come lui.
Il Dio del Sole tentò di non farsi prendere dal panico. Quei due maledetti figli di Ares si divertivano a fare scherzi del genere. Prese un respiro profondo e ritornò padrone di se stesso. Era il mitico Dio della poesia, protettore degli arcieri e dei giovanotti. Non poteva fallire. Nessuno avrebbe potuto manomettere il suo carro.
Cercò di riportare la Maserati alla sua forma classica.
Nulla.
Il carro era bloccato nella forma di un’auto sportiva rosso fiammante e completamente inutile.
Non c’erano meccanici nel cielo.
Si morse le labbra rosse, la mente ingombra di pensieri, possibili soluzioni, casi simili. Helios non gli aveva consegnato un bugiardino quando gli aveva ceduto il carro. In quel momento Apollo avrebbe volentieri donato la sua lira per avere un foglietto illustrativo con su scritto: Cento modi per far ripartire il vostro carro del Sole. Soluzioni per principianti.
Doveva tornare sull’Olympus. Doveva cercare suo fratello Hephaestus. Suo padre. Chiunque. Tutti sarebbero accorsi in suo aiuto. Era fantastico. Chi mai avrebbe potuto negargli qualcosa?
Si trasformò in una palla di fuoco e gas e si fiondò sull’Olympus.
Le sue strade erano immerse in un clima festoso che il Dio trovò assolutamente inadeguato.
Dov’erano le lacrime per le sue sorti?
Perché i satiri non stavano suonando nenie funebri con i loro flauti?
Perché le ninfe continuavano a danzare e a ridere senza curarsi della sua infinita disperazione?
Davvero non v’era più un’anima buona e caritatevole nel mondo?
Il Dio per poco non si portò le mani tra i capelli biondi e ricci. No. Non avrebbe sacrificato la sua eterna bellezza. Sarebbe stato composto persino nel dolore. Sarebbe stato un esempio di virtù.
Un’unica anima sembrava comprendere la sua tristezza.
Lunghi capelli castani le ricadevano lungo le spalle, intrecciati quasi distrattamente come se avesse avuto altre preoccupazioni per la mente. Passeggiava immersa nei propri pensieri, lo sguardo rivolto alle splendide rose che Demeter aveva fatto crescere il giorno prima nei pressi del suo Palazzo. Ne sfiorò una azzurra con l’indice della mancina, la destra che l’abbracciava appena sotto il seno florido, il chitone azzurro come una nuvole che le arrivava sino alle caviglie mettendo in risalto le sue forme gentili.
Quando riuscì a vederla in viso, per poco non urlò la propria frustrazione.
Le Parche dovevano odiarlo.
Pelle d’alabastro e occhi ambrati come il limaccio sulle sponte del Nilo. Gote di pesca e labbra morbide come petali di rosa. Ciglia lunghe e zigomi alti che si sfioravano ad ogni battito.
In una parola: Hera.
Che disdetta.
Se suo padre fosse stato nei paraggi e avesse percepito i suoi pensieri, Apollo si sarebbe ritrovato appeso come uno stoccafisso sulla bocca del Caos per almeno tre secoli. E avrebbe dovuto ringraziare se Zeus, nella sua infinita magnanimità, gli avesse risparmiato i fulmini.
Solitamente non avrebbe mai richiesto l’aiuto della moglie di suo padre, ma quella era una situazione disperata. Inoltre la Regina non sembrava troppo felice. Forse si sarebbero potuti aiutare l’un l’altro.
« Hera, mia Regina,» esclamò con voce accorata e urgente, quasi gettandosi ai suoi piedi. Le avrebbe afferrato la veste in un antico segno di supplica se la Dea non fosse sobbalzata di scatto e non fosse arretrata di almeno tre passi mortali, quasi finendo tra i rovi.
Apollo si sarebbe offeso in un’altra occasione: intere generazioni di mortali sarebbero svenute al suo solo accenno di supplica. L’avrebbero aiutato a rialzarsi, promettendogli ausilio ed essendo persino grati di sacrificarsi al suo posto. Le ninfe delle selve sarebbero arrivate a cedergli il proprio albero se lui l’avesse domandato, quelle dei fiumi avrebbero abbandonato le acque per accorrere al suo fianco.
La Regina del Cielo, invece, lo fulminò con lo sguardo e si rassettò le vesti con tutta la dignità del suo rango, il mento alto e fiero, gli occhi assottigliati e le labbra chiuse in una linea dura e decisa, guardandosi intorno per accettarsi che nessuno l’avesse vista.
« Apollo,» esclamò la dea con tono di rimprovero sistemando la stola sulle braccia in un gesto di pudicizia che Apollo trovava quasi esagerato.
Non avrebbe mai flirtato con la moglie di suo padre. Non era di certo pazzo come qualche mortale o qualche gigante con idee di grandezza, lui. Teneva alla sua vita.
« Dov’è vostro marito?»
La Dea gli rivolse una stilettata raggelante, gli occhi castani resi più scuri dalla furia. Sembrava pronta a trasformarlo in un ratto per poi abbandonarlo tra i binari della metropolitana nell’ora di punta, fiduciosa che i treni avrebbero fatto il resto.
« Cosa vorresti insinuare, Apollo?»
La sua voce sembrava una carezza di velluto che sotto celava un pugno di ferro pronto a infrangersi sui suoi abbaglianti e splendidi denti.
La Dea era sempre molto suscettibile quando si discorreva di suo marito. O di qualsiasi altro argomento. Non era un caso che la madre Rhea l’avesse affidata alle cure di Oceanus e Tethys, dopotutto.
« No, mia signora. Nessuna insinuazione. Non fraintendete il mio interesse. Ho bisogno di discorrere con lui. È accaduta una disgrazia,» snocciolò accorato rimanendo in ginocchio e portandosi la destra al petto, gli occhi azzurri resi ancora più grandi dalle lacrime trattenute, le labbra che tremavano per l’intensità di quelle parole, il viso da eterno adolescente che mostrata tutta la disperazione delle speranze tradite e spezzate.
Avrebbe sciolto un cuore di pietra.
Neanche Hera ne fu immune.
In fondo quegli occhi erano identici a quelli di suo marito.
Lo sguardo le si addolcì e gli rivolse un cenno con le dita per farlo sollevare. Apollo si affrettò ad obbedire. Non era abituato a rimanere in ginocchio.
« Non dovrai riferire ad alcuno ciò che scorgerai, Apollo. Se oserai anche solo accennare, tuo padre ti farà rimpiangere le tue prove. Sono stata abbastanza chiara? »
Apollo annuì energicamente facendo danzare i riccioli biondi che quasi gli celarono gli occhi. Ricordava sin troppo bene le sue prove e non aveva alcuna voglia di ritornare il cicciottello Lester Papadopoulos, con l’acne e nessun potere divino. Grazie tante. L’umanità non faceva per lui. Troppi pericoli e troppe persone che lo volevano morto. 
« Dunque seguimi,» mormorò la Dea per poi volgersi verso il suo Palazzo e incominciare a camminare senza accertare che lui lo seguisse. Lo dava per scontato.
Se in un’altra occasione Apollo sarebbe rimasto offeso, in quella non lo fu.
La disgrazia del carro aveva la priorità.
L’alcova dei sovrani dell’Olympus si perdeva alla vista di mortali e immortali insieme. Avrebbe potuto ospitare Trafalgar Square e anche buona parte dell’anticamera della National Gallery.
Le pareti erano decorate con scene di banchetti e di antiche glorie mentre un odore di pioggia pulita aleggiava nell’aria.
La camera era semplice e maestosa insieme, ma lo sguardo di Apollo si soffermò sul talamo nuziale.
Il dio riusciva a scorgere a stento suo padre, disteso com’era tra le coltri, ma poteva notare che aveva abbandonato l’abito gessato per una più comoda tunica candida. Sembrava addormentato e con gli occhi chiusi non faceva neanche così paura.
Soltanto uno sciocco, però, l’avrebbe sfidato a cuor leggero notando la folgore ai piedi dell’alcova.
La Regina lo fermò con un cenno imperioso della mancina intimandogli di stare indietro mentre lei avanzava sino a sedersi sul faldistorio di diamante all’altezza del viso del marito.
« Zeus, mio amato,» mormorò con voce dolce e carezzevole sfiorandogli con la destra i capelli scuri come il cielo notturno.
Il re degli Dei spalancò gli occhi blu elettrico, vigile e pronto a scattare come se si attendesse una minaccia. Quando volse il viso verso sua moglie, l’espressione si tranquillizzò e le rivolse un sorriso. Non era il solito, aperto, scherzoso e sempre pronto a qualche battuta satirica.
Era stanco, quasi spento, come se tutta la forza del cielo fosse stata risucchiata in un buco nero lasciandogli solo l’involucro.
« Hera,» la salutò con voce roca che Apollo trovò quasi imbarazzante prima di sporgersi a sfiorarle le labbra. Il Dio del Sole stava per tossicchiare per rimarcare che sì, era ancora lì e no, per quanto potesse amare il voyerismo, non aveva alcuna voglia di scorgere suo padre in atteggiamenti intimi, quando la dea si scostò allontanando di poco il capo, scuotendo i ricci scuri.
« V’è tuo figlio Apollo che discorre di disgrazie. Posso permettergli di accomodarsi?» domandò la Regina, mettendo a tacere il verso di protesta che il dio del fulmine aveva appena emesso. Non è tempo per le smancerie, sembrava esclamare la sua postura rigida mentre ancora sfiorava i capelli e il collo di Zeus con dita delicate come le ali di una farfalla.
« Moglie, eri a conoscenza delle mie direttive,» replicò il padre degli Dei, brusco, più duro del necessario, tornando a posare le spalle nude e muscolose sui cuscini. Persino supino il dio sembrava poter sradicare un gigante dal suo trono per rigettarlo nel Tartaro. Cosa che aveva già fatto giusto un paio di volte.
« Forse Apollo può guarirti, amor mio. Consentigli udienza,» gli consigliò Hera con voce di miele, un sorriso stupendo a distenderle le labbra.
Apollo trasalì inorridito.
La sua matrigna era ancora più minacciosa quando era in compagnia di suo marito.
Il disprezzo, l’odio e la gelosia? Il dio del Sole sapeva gestire benissimo quei sentimenti.
La dolcezza, però, gli risultava ambigua quanto un’iguana che tentava di approcciarsi con la sua gamba. Cosa che, doveva ammetterlo e non a cuor leggero, gli era accaduta.
Artemis aveva strani modi di dimostrargli il suo affetto.
A volte lui flirtava con le sue Cacciatrici e lei gli aizzava strani animali contro.
Semplici schermaglie tra gemelli. Normale amministrazione divina.
« Ebbene così sia,» sospirò il padre degli Dei muovendo la destra in un pigro cenno annoiato e quasi seccato.
Apollo fu quasi offeso da quell’atteggiamento. Suo padre avrebbe dovuto accoglierlo con affetto e gioia.
Non lo giudicò aspramente soltanto perché sembrava malato.
« Hai udito tuo padre,» lo richiamò la matrigna posando i gelidi occhi scuri sulla sua figura ancora sulla soglia, in attesa di poter accomodarsi.
Apollo non se lo fece ripetere e avanzò per poi inginocchiarsi ai piedi del talamo, chinando il capo in un gesto ossequioso.
Ecco, questo era il modo di accogliere un ospite.
« Padre mio,» mormorò con il miglior tono contrito che riuscì a trovare. Non molto difficile, visto e considerato che era davvero preoccupato.
Se ripensava alla sua Maserati ferma a mezz’aria, gli si stringeva il cuore in una morsa ferina.
Cosa avrebbe pensato il suo collega, il divino Ra, che guidava il Sole contro i pericoli della Duat tutte le notti sfidando mostri e pericoli? O Tonatiuh che affascinava i popoli dall’alba dei tempi e per il quale milioni di mortali erano stati sacrificati?
No. Doveva trovare una soluzione. E doveva affrettarsi. Non avrebbe sopportavo di vivere un altro giorno senza aver condotto l’astro al suo zenit.
« Alzati, Apollo. Siediti se preferisci e parlami di questa tua disgrazia,» mormorò suo padre con voce stanca, fievole come un alito di vento nel deserto, facendolo ritornare al presente. Si accomodò su un triclinio, i gomiti poggiati sui jeans che indossava, le spalle curve e le mani intrecciate a sostenergli il mento.
Suo padre sembrava essere invecchiato di secoli. I capelli erano brizzolati più del solito e la barba sembrava una nuvola soffice. Aveva rughe intorno agli occhi che nei giorni precedenti non c’erano. Assomigliava a un patriarca che s’apprestava a lasciare le redini della propria vita in mano alla sua progenie.
Nonostante i loro trascorsi, quel pensiero lo rattristò colpendolo al cuore come una freccia mortifera.
« Padre, sarebbe meglio occuparsi delle vostre condizioni,» affermò con tatto e con tutto l’amor filiale che nutriva nei suoi riguardi.
L’aria sembrò condensarsi mentre gli occhi blu elettrico del dio del fulmine si posavano su di lui, grandi, sorpresi e incuriositi come quelli del bambino che giocava con i Cureti e correva con gli stambecchi nei boschi della Grecia.
« Le mie condizioni potranno attendere,» replicò Zeus, la voce più calma, rilassata, quasi blandita da quella gentilezza inaspettata.
« Asclepius vi guarirebbe e sarebbe discreto. Conoscete mio figlio, mio signore,» continuò imperterrito quando notò il padre scuotere il capo. Sapeva essere così testardo, come una tempesta che non interrompeva il suo corso, implacabile nella sua furia.
« Non credere che non abbia già ponderato tale soluzione, Apollo. Il mio male non può essere guarito se non verrà estirpato alla radice. Così come quello dei miei fratelli.»
Apollo trattenne il fiato per quelli che gli parvero secoli.
Il carro bloccato, il Re del cielo costretto a letto, la sua Regina che aveva intecciato le mani sul ventre, gli occhi colmi di preoccupazione e le spalle rigide come una leonessa che si appresta a balzare per artigliare la minaccia per i suoi cuccioli.
Poseidon e Hades che, a quanto sembrava, versavano nelle medesime condizioni del padre degli Dei.
Mille e più avvisaglie del pericolo gli inondarono la mente, un senso di vertigine che l’avrebbe fatto barcollare se non fosse stato seduto.
Lo sguardo plumbeo di suo padre non smentiva ciò che stava pensando.
Anche solo pronunciare il nome di quella creatura avrebbe fatto tremare la terra.
Era troppo.
Troppo antica, troppo potente, troppo inarrestabile. Semplicemente troppo.
Quello era l’inizio della fine.
 

Salve a tutti.
Benvenuti in questo nuovo progetto. Questa è la mia seconda interattiva su Percy Jackson. Spero che il prologo vi sia piaciuto e che non sia stato noioso. Apollo voleva raccontare di sé e quando prende le redini, non lo ferma più nessuno. Ci teneva a farvi sapere che le iguane e i cavalli sono pessimi, pessimi animali da compagnia.
Sono passati circa cent’anni dalle vicende del nostro Testa d’Alghe preferito. Cent’anni in cui molto è cambiato sia nel mondo che nei due Campi. Vi avverto che questa sarà una storia di guerra. Con la benedizione di Ares per i fattori violenza, sangue e turpitudine. Proprio come piace al nostro dio. Quindi non è una storia per anime delicate.
Passo a spiegarvi le regole.
 
  • Accetto semidei romani e greci dai 14 anni in su.
  • Accetto Cacciatrici di Artemis e Amazzoni.
  • Accetto un augure romano e un Oracolo di Delfi.
  • Accetto figli di Titani, Giganti, Personificazioni e di tutte le divinità che vi vengono in mente.
  • Non accetto figli di Hera/Juno, Artemis/Diana, Hestia/Vesta perché sono dee vergini.
  • Accetto figli di Athena, ma non di Minerva.
  • Accetto buoni e cattivi. Vi prego, non create soltanto eroi.
  • Non c’è un numero massimo di personaggi che potete inviarmi o che sceglierò. Dipenderà da quanto mi colpiscano e quanto siano adatti alla trama.
  • Non accetto personaggi troppo perfetti. In entrambi i sensi. Avete mai visto un eroe senza macchia e senza paura? E avete mai visto un cattivo che non abbia un lato più umano?
  • Non accetto più di due personaggi per divinità. So che siete bravissimi e so che adorate la mitologia. Il pantheon è ricchissimo.
 
Nella scheda specificate:
 
  • Nome e Cognome con eventuali vezzeggiativi
  • Età (sia attuale sia di arrivo al campo) con compleanno. Nel caso delle Cacciatrici e delle Amazzoni anche l’anno in cui sono nate e, per le prime, a che età hanno giurato fedeltà ad Artemis.
  • Città d’origine
  • Buono o cattivo
  • Greco o romano. Se è romano, specificate la Coorte e se ha qualche ruolo al suo interno.
  • Aspetto fisico e carattere. Siate dettagliati e siate creativi. Non abbiate timore di usare fogli di word per i vostri personaggi. Leggerò persino le virgole della vostra descrizione e sarò felicissima di farlo. Devono essere vostri e devono rispecchiare chi voi volete che siano.
  • Prestavolto
  • Orientamento sessuale (si accetta? L’ha già rivelato a qualcuno? Come ci convive?)
  • Background familiare prima dell’arrivo al Campo e successivo. Della serie il genitore mortale continua a vedere il vostro personaggio? È cambiato qualcosa? Oppure il personaggio vive soltanto al Campo perché orfano/odia il genitore mortale/è più sicuro per lui rimanere tutto l’anno lì? Frequenta una scuola durante l’anno?
  • Rapporto con il genitore divino
  • Debolezze e tratti di forza. Abilità sia fisiche che intellettuali.
  • Arma preferita. Potete usare anche armi tratte dalla mitologia. Se si tratta di un figlio di Hephaestus, specificate se abbia costruito qualche automa.
  • Poteri speciali che derivano dal genitore divino. Siate cauti. 
  • Difetto fatale.
  • Persone da cui potrebbe essere attratto in un’amicizia e in una relazione.
  •  Vari ed eventuali. Curiosità. Ha hobby, passioni, sogni nel cassetto, speranze per il futuro?
Non è obbligatorio, ma potete anche inserire una citazione (tratta da qualunque libro, canzone, poesia) che descriva il vostro personaggio.
Detto questo, vi lascio il mio OC:

 


Emeraude Toubia as Jessamyn Bane
17 anni.
Figlia di Ares.


Nella recensione potete scrivermi l’età, il genitore divino, buono o cattivo ed eventualmente, se l’abbia già scelto, il prestavolto. Avete una settimana di tempo per inviarmi la scheda del vostro pargolo. Le iscrizioni si chiuderanno il 24/06 alle 23:59. Per qualsiasi dubbio o perplessità, sono a vostra completa disposizione.
Baci baci,
JCM_
   
 
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