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Autore: Dorobestiola    17/06/2016    0 recensioni
[Ensemble Stars]Si dice che è solo per l’ultima volta, per sovrastare il freddo e la perdita [...] ma vorrebbe che i petali che sbocciano sulla sua pelle arrossata non sfioriscano prima della fine della stagione. Il ronzio della luce assorbe i rumori.
[ IzuMako | slight badwrong? | come sempre I'm sorry mom ]
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Izumi Sena, Makoto Yuuki
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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petals of dust

 

 

La penombra è soffocante, la polvere si posa sulle labbra umide di Makoto come una patina sottile della quale è difficile liberarsi. I suoi occhi bruciano mentre cercano di abituarsi alla luce della stanza, prima che una lampada troppo forte venga accesa e rivolta verso di lui, strappandogli un guaito infastidito.

È - è solo per qualche scatto. Non di più. Non di meno, aggiunge una voce fredda e cantilenante nella sua testa, non uno di meno, mentre i suoi piedi indugiano sul pavimento gelato che gli graffia leggermente le palme.

Non uno in più, non uno in meno. Izumi stringe la macchina fotografica e sta visibilmente trattenendo il respiro, soffermandosi su ogni centimetro scoperto del corpo di Makoto con uno sguardo assolutamente affamato che gli mette i brividi. Il biondo stringe le ginocchia, trattenendo a fatica le lacrime che premono dietro i suoi occhi. Sono solo scatti - e se Izumi avesse mentito? Non avrebbe mai dovuto fidarsi, neanche sotto minaccia, perché ha dovuto accettare - quando Izumi allunga una mano, Makoto chiude gli occhi quasi per riflesso, ma sta solo sistemando il fascio di luce della lampada.

« Stai tranquillo, Yuu-kun » lo sente bisbigliare, fin troppo dolce, quasi intossicante, « non potrei mai toccarti senza il tuo permesso, Yuu-kun » Makoto respira profondamente, un respiro tremante che scivola dalle sue labbra e fende la polvere che appesantisce l’aria, rendendola spessa come un sudario « potresti spostare le braccia, mentre faccio il primo scatto? »

Solo qualche scatto, Yuu-kun. Solo qualche scatto - non è diverso da quello che facevamo in passato, vero? Lo preferisci alle mie attenzioni, non è così?

Il tono di Izumi non lasciava trapelare nessuna emozione se non un’empia, pallida copia del dolore di un amante rifiutato, e Makoto aveva soppresso il suo istinto di fuggire, forzandosi ad annuire, sperando che potesse finire in fretta.

Il rumore dei flash ed il respiro di Izumi sono troppo, troppo, troppo. È appena conscio del fatto di star respirando a sua volta, mentre ogni possibile parola si blocca sulla punta della sua lingua prima di poterla lasciare. Un misto di paura e disgusto gli stringe lo stomaco e la gola, lasciando solo freddo dietro di sé. Più i flash aumentano in numero, più sembrano assordanti.

Uno per il suo viso senza espressione, uno per le cosce bianche, uno per la curva della sua schiena. Makoto sta soffocando.

« Yuu-kun, sei perfetto, Yuu-kun… » un altro flash, due, tre « puoi cambiare posa, Yuu-kun, decidi tu adesso. Non coprirti » il respiro di Izumi è troppo, troppo vicino, ed il suo calore è quasi bollente sul suo corpo freddo. Il cemento gli punge le ginocchia mentre si muove, ricacciando indietro la nausea, cercando una posa abbastanza soddisfacente da convincere Izumi a porre fine a questa tortura. Uno scatto sui segni rossi sulla pelle candida, uno sulle gambe divaricate. Makoto ha perso il conto. Forse è meglio.

« Yuu-kun » una cantilena mormorata fra la polvere e il fruscio della macchina fotografica, « Yuu-kun, sei perfetto, non muoverti… »

Izumi è troppo vicino, e quando si sposta più lontano - di appena qualche passo - per scattare da un angolo diverso, Makoto si trattiene dal sospirare di sollievo. Sembra essere ovunque, riempiendo la stanza della sua presenza, con il suo respiro, il suo calore insopportabile. La polvere nell’aria, che riluce così innocentemente dove la luce la illumina, gli impedisce di respirare come fosse pulviscolo metallico. Lo sente sospirare mentre passa in rassegna le foto scattate finora, e mugolare in approvazione scorrendo, prima di alzare nuovamente lo sguardo verso di lui. Non riesce a vedersi riflesso in quelle orbite chiare, talmente oscurate da sembrare senza fondo. Gli fanno quasi paura. La cosa che lo spaventa più di Izumi, dopo Izumi in sé, sono probabilmente quegli occhi senza espressione, morti, assurdamente scuri per essere azzurri.
« Cosa farai con quelle foto? » le parole riescono finalmente a lasciare le sue labbra, seguite da un fremito profondamente pentito. Non è sicuro di volerlo sapere davvero. Ma Izumi si limita a sorridere, quasi uno squarcio sul suo viso statuario, prima di scattare un’altra fotografia, immortalando la prima espressione di Makoto da quando si è seduto sul pavimento di cemento dello stanzino.
« Le guarderò ogni giorno. »
La sua voce è più bassa, diversa, stranamente espressiva. Makoto scivola sul fianco, cambiando nuovamente posizione, cercando di nascondere il viso (adesso leggermente arrossito, pensando ad Izumi che ogni giorno rievoca questi momenti, Izumi che farà chissà cosa con le sue foto, divertendosi con la sua debolezza) agli scatti.
« Ogni, ogni giorno, Yuu-kun. E penserò a te. »
Il suo sguardo sulla pelle è più opprimente di qualsiasi tocco, posandosi, scavando, e non lasciandogli spazio per pensare ad altro che non sia lui; schiaccia il suo torace, riempiendolo di una nausea gelida.
« Fino a quando non farà più così male. »
Makoto trattiene il respiro.
Izumi è disgustoso. Assolutamente disgustoso. Girandosi lievemente verso di lui, gli sembra di cogliere qualcosa che sembra una lacrima scendere lungo la sua guancia, ma svanisce in fretta dietro i flash e le posizioni della macchina fotografica, e con lei una minima parte del gelo nel torace di Makoto. È nauseante come provi quasi pena. È assurdo che provi qualcosa per la persona che lo ha costretto ad essere qui, senza vestiti, sul pavimento gelido dello stanzino, con il cemento che gli morde la carne, i polmoni pieni di pulviscolo e troppo freddo per riuscire a provare veramente qualcosa.
Forse potrebbe riuscire a provare ancora calore.
Forse, solo se forse –

« Yuu-kun. Abbiamo finito » la disperazione dietro il suo tono neutrale è quasi palpabile, ed inquietante « Puoi vestirti. »

Le sue ginocchia non lo reggeranno, lo sa già. Distolto lo sguardo, che ora si sofferma su una crepa nel muro, le labbra tremanti riescono a mormorare una richiesta confusa.
« Potresti… la mia camicia… è sulla sedia lì. »
Vorrebbe che andasse via, lo lasciasse solo, almeno mentre si veste. Ma lo ha già visto nudo (reprime un moto di disgusto) , dunque suppone che ormai non faccia differenza. E se attirasse l’attenzione di qualcuno? Non è una prospettiva che vuole rischiare.
Vuole davvero restare solo, nella stessa stanza di Izumi? È così assurdo. Gli gira la testa. La mano che gli porge la camicia - quasi timorosamente - viene afferrata con altrettanta titubanza, ma una presa un po’ più ferma.
« Izumi-san » vorrebbe che la sua voce fosse più convinta, « Izumi. »
Anche le labbra di Izumi tremano, adesso che riesce a vederle chiaramente. Le sue guance hanno assunto un colore rosa acceso che non gli dona granché, e negli occhi gonfi che stanno ancora osservando il suo corpo nudo, Makoto riesce finalmente a vedersi. Non vuole. Non è il momento per cadere.
Ma la mano di Izumi è calda, il suo sguardo innocente, implorante, e la sua tentazione di perdersi troppa. Ha troppo freddo per lasciar scivolare via l’opportunità.
« Yuu-kun » è un bisbiglio, e sebbene non sia meno ossessivo, meno malsano degli altri, il brivido che strappa a Makoto non è disgustato.
Le parole sono nell’aria, già sporche di polvere, prima che possa fermarle.
« Baciami » anche le labbra di Izumi sono immediatamente sulle sue, leggere come il tocco di una piuma, rimpiazzando i germogli di polvere fioriti sulla sua pelle. Sono morbide, sono tiepide, e sebbene l’altro ragazzo ancora non lo stia toccando, fa già troppo caldo per permettergli di pensare. Lo tira a sé, e Izumi si stacca, sistemandosi fra le sue gambe prima di baciarlo di nuovo, premendo il proprio corpo contro quello di Makoto, le mani ancora su suoi polsi.
« Izumi, toccami » mormora, ignorando la nota disperata della sua voce, mettendo a tacere la parte razionale del suo cervello che gli implora di fare attenzione. Il respiro di Izumi è piacevole sul suo collo mentre la sua schiena tocca il pavimento di cemento, le sue mani sui suoi fianchi sono leggere e calde, calde, calde; sciolgono il ghiaccio nel suo petto, e quando gli occhi azzurri trovano i suoi, Makoto non riesce a trattenersi dal perdervisi.
Le loro labbra si incontrano di nuovo, e per quanto sappia che dopo sarà disgustoso – che forse potrebbe pentirsene, non è abbastanza da convincerlo a staccarsi.
Le dita di Izumi sfiorano le sue cosce, premurose, leggere; Makoto reclina il capo, inspira la polvere, e si ferma nei suoi polmoni invasiva, soffocandolo.
Si dice che è solo per l’ultima volta, per sovrastare il freddo e la perdita, ma quando Izumi lo tocca, vorrebbe che i petali che sbocciano sulla sua pelle arrossata non sfioriscano prima della fine della stagione. Il ronzio della luce assorbe i rumori.

   
 
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