Una volta mi hanno detto
"vecchio, non stare qui a pensare,
non guastarti la vita a rimuginare",
ma io continuavo a lacerarmi il petto;
amico mio, quante volte avresti detto
che era meglio fare come il gatto?

Il gatto che non pensa alla famiglia,
che non pensa a un ritorno:
non ha vele ma tutto intorno
ha solo i versi che la notte gli bisbiglia;
amico mio, quante volte hai detto addio
ma quel dio non è mai stato il tuo?

E hai sempre avuto l'ombra dietro ed il violino nelle mani;
e pensi sempre un po' al domani
come pensi anche a ieri
quando tutti i tuoi pensieri
erano fatti di canzoni.
Così ogni volta che il sole cade
e si fanno rade le onde nel tuo mare,
così quando un po' di te scompare
è solo il fiume che va al mare:
non ci stare troppo male.

E per me che non ho occhi
e non ho specchi nei quali riscoprirmi
ma solo risate e paranoie da cucirmi
hai dato campane e moltissimi rintocchi
che ora ascolto per scandire a metro fisso
quel che resta per comprendere il mio abisso.

E moriranno le stagioni e tarderanno le occasioni
ma se la tua luce è troppo fine per illuminare quel confine
che serve a limitarci per poi raccoglierci e scrutarci,
tu non sprecare neanche una parola
dietro chi usa cento corde per strozzare una gola sola.

E non ci sono mai stati santi a sapere come ti chiami
ma molte foglie sui tuoi rami
che con quel loro fruscio
mi insegnano in silenzio
quello che non so io.
Così se questa vita menzognera
ci tradirà come il paradiso per chi spera,
noi viviamola tutta intera
e se arriva un'altra primavera
tu confidalo alla sera.