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Autore: Kia85    18/06/2016    6 recensioni
A John non importava nulla di lui, era così, doveva accettarlo. E ne era tristemente consapevole ora, dopo che John era volato con quella a Montreal per registrare una nuova canzone. Senza di lui.
Doveva andare in questo modo, anche per John era iniziata una nuova fase della sua vita e non comprendeva Paul.
Prima lo avesse accettato, prima sarebbe stato meglio per il quieto vivere di tutti.
Certo, Paul poteva capire tutto questo, la voglia di John di fare qualcosa di diverso, qualcosa di nuovo. Ma… cazzo!
Poteva farla una cazzo di telefonata per il suo cazzo di compleanno!
[Buon compleanno, Paul!]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon, Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Buon compleanno, Paulie. <3

 

Give John a chance

 

La piccola Heather giocava sul pavimento con Martha, mentre Linda riposava sul divano.

Erano tornati appena il giorno prima dalla loro splendida vacanza a Corfù, e per il compleanno di Paul le due ragazze avevano organizzato una piccola festicciola solo per loro tre. O quattro, se consideravano il bambino che cresceva nella pancia di sua moglie.

Il primo figlio di Paul.

Dio, dire che fosse eccitato come un folle era limitativo.

Aveva ventisette anni ora e stava iniziando una nuova fase della sua vita. Le cose si facevano serie.

Erano finiti i tempi del cazzeggio, del passare da una donna ad un’altra. Ora le persone che contavano davvero erano tutte in quella casa con lui.

O quasi.

Insomma, la nuova fase della sua vita prevedeva inevitabilmente la fine di quella precedente, con tutti gli strascichi che comportava. E in effetti era così. Se da una parte scoppiava dalla felicità di diventare padre, dall’altra sentiva di stare per cadere in un abisso oscuro da cui non vedeva via d’uscita.

Era la fine dei Beatles, la fine di quegli anni magici e pazzi, davvero pazzi, ma che Paul non avrebbe mai cambiato per nient’altro al mondo.

Era la fine della loro amicizia, prima che collaborazione, quattro ragazzi di Liverpool che si erano ritrovati come per magia, come se le loro strade si fossero incrociate davvero grazie al destino o fato o come cazzo si voleva chiamare.

Era la fine di John e di tutto quello che avessero condiviso. Amicizia, amore, quello che era, insomma. Non era certo neanche lui, non era sicuro se e quando fosse finita l’amicizia, e quando fosse iniziato l’amore.

Sapeva solo che fosse complesso. Era tutto insieme, John. Gli aveva sempre suscitato un mix assurdo di emozioni a cui Paul aveva cercato di dare un ordine. Tuttavia, accorgendosi di non riuscirci, alla fine aveva deciso di prenderlo così com’era. Gli importava solo avere John e che John lo ricambiasse, in qualunque cosa fossero finiti insieme.

E ora invece, a John non importava più niente di lui. Era un pensiero che lo deprimeva a morte. Quasi gli piaceva crogiolarsi nella sua convinzione, piangersi addosso sul fatto che John non lo volesse più. Se non altro aveva un motivo per stare male e giustificare le cazzate che diceva e faceva.

Linda cercava di consolarlo come poteva, assicurandogli che non fosse assolutamente così, che a John importasse ancora di lui, nonostante si stesse allontanando da Paul. Dopotutto, era sempre il suo migliore amico, non avrebbe mai potuto rinunciare definitivamente a lui.

E invece sì, Paul ne era certo. Quel John con cui doveva avere a che fare ultimamente era una persona molto diversa da quella che conosceva lui. Sì, aveva ancora quei tratti caratteristici che Paul amava, quei difetti che lo rendevano sempre il suo John, eppure era cambiato. Come se fossero stati tutti mischiati e ordinati in modo diverso. E ora, in questo modo, John non stava più bene lì dove era sempre appartenuto. Tra le braccia di Paul. Stava scivolando tra le sue dita e Paul non poteva fare niente per fermarlo.

Ci aveva provato, ma era inevitabile. E Paul era stanco, così stanco che non aveva più neanche la voglia di provarci. Che senso aveva sbatterci ancora la testa, rischiando di farsi male, in modo molto serio stavolta? Lui era già ferito, in fondo. Non poteva rischiare di peggiorare, aveva una famiglia a cui badare. E se quella famiglia non riusciva a salvarlo totalmente, poteva almeno dargli la forza di sopravvivere.

A John non importava nulla di lui, era così, doveva accettarlo. E ne era tristemente consapevole ora, dopo che John era volato con quella a Montreal per registrare una nuova canzone. Senza di lui.

Doveva andare in questo modo, anche per John era iniziata una nuova fase della sua vita e non comprendeva Paul.

Prima lo avesse accettato, prima sarebbe stato meglio per il quieto vivere di tutti.

Certo, Paul poteva capire tutto questo, la voglia di John di fare qualcosa di diverso, qualcosa di nuovo. Ma… cazzo!

Poteva farla una cazzo di telefonata per il suo cazzo di compleanno! Era anche tornato prima a Londra, con la speranza di riuscire a vederlo. O almeno sentire la sua voce.

Fanculo.

Non gli sembrava chiedere troppo. Quanto sforzo ci voleva per alzare il fottuto telefono e dirgli, “Ehi, Paul, qui tutto a posto. E comunque, buon compleanno, amico.”

Neanche questo.

Paul sbuffò. Linda cercò di dirgli che c’era ancora tempo affinché John si facesse sentire, ma ormai il suo pensiero lo aveva innervosito e ora Paul non riusciva nemmeno a stare seduto accanto a sua moglie per guardare quel cazzo di film. 

Bastardo di un John. Sempre colpa sua.

Si alzò per andare in cucina a trovare qualcosa in cui annegare i suoi dispiaceri. Se lo meritava, dannazione. Cercò e trovò il whisky più forte che aveva, versandosene una generosa quantità e cominciando a berlo a grandi sorsi.

Il liquore bruciò in gola e lungo il petto. Gli sembrò di andare a fuoco, e per un istante solo dimenticò qualunque problema, troppo sopraffatto dalla sensazione di essere quasi… felice. Ma poi i pensieri tornarono immediatamente e senza esitare, bevve un altro sorso per non dar loro neanche il tempo di riappropriarsi di lui.

“Cazzo, sì!”

Si passò un mano sul viso, lasciando che poi sbattesse contro il tavolo.

Dio, aveva voglia di urlare, aveva voglia di andare da John e urlargli contro tutto quello che pensasse di lui, quanto lo stesse facendo sentire isolato, escluso, umiliato… abbandonato.

Ma poi, come per magia (perché tutto quello che aveva riguardato John nella sua vita era accaduto per magia, ne era certo), qualcuno bussò la porta.

E stupidamente Paul sperò che fosse lui, mentre i suoi passi lo conducevano in fretta ad aprire la porta. Stupidamente sperò di vedere John di fronte a lui e stupidamente gli parse di vederlo davvero.

“John?”

“Ehi, Macca.”

Fanculo, non poteva avere le allucinazioni, vero? Era colpa del dannato whisky? Da quando sentiva le voci?

Eppure sembrava davvero John, gli stessi occhiali, i capelli che molte volte Paul aveva stretto tra le sue dita, e le labbra stese in un sorriso lieve, labbra che ancor più spesso avevano incontrato quelle di Paul.

Paul rabbrividì mentre una serie di immagini si riversavano violentemente nella sua mente, stringendo il suo cuore, e decise di avanzare e avvicinarsi a John, socchiudendo la porta alle spalle.

“Sei… sei davvero tu?”

“Sì, certo. E togliti quella faccia che sembra tu abbia visto un fantasma.”

John rise divertito e questo sembrò confermare a Paul che fosse proprio lui. E immediatamente Paul sentì la rabbia ribollire in lui, più del dovuto. Cazzo aveva da ridere, quando Paul era stato in ansia tutto il giorno, aspettando come un idiota una sua visita o una sua telefonata, prima di essere assalito dalla delusione e dalla tristezza?

“Oh, beh, quasi no? Non eri a che-cazzo-ne-so-io con la tua dolce metà?”

John fece quel ghigno che Paul conosceva molto bene, quel ghigno che significava che avesse guardato bene dentro Paul e avesse capito tutto, tanto per cambiare.

“Qualcuno è geloso, vedo.”

“Geloso un cazzo, John. Io-”

Ma non fece in tempo a continuare poiché la porta dietro di sé cigolò appena, segno che sua moglie li avesse appena raggiunti. Paul non ebbe bisogno di voltarsi, per sapere che fosse proprio lei, e mantenne lo sguardo fisso su John, per paura che potesse sparire se avesse distolto un attimo l’attenzione.

“John, che piacere.”

John la salutò con un sorriso e un cenno della mano, prima che il suo sguardo scivolasse verso il basso, sul ventre gonfio della donna. Paul se ne accorse e notò anche come la sua espressione divenne in qualche modo malinconica.

“Vuoi entrare? È rimasta un po’ di torta.”

“No, grazie. Devo scappare. Sono passato solo per fare gli auguri al nostro Paul e per dargli il mio regalo.”

“Oh, e di cosa si tratta?” domandò la donna, incuriosita, avvicinandosi a Paul e prendendolo sotto braccio.

John rimase un attimo in silenzio, guardando prima Linda e poi Paul.

“Quella canzone, quella che ho registrato qualche giorno fa con Yoko. Give peace a chance, ce l’hai presente?”

“Sì.” sospirò Paul, trattenendosi prima di aggiungere purtroppo.

“Vedi, Paul, l’ho registrata a nome nostro.”

Paul batté le palpebre. Tutto si aspettava di sentire, meno che questo. Davvero.

“Cosa?”

“Sì, Lennon/McCartney. Era così, vero? Prima.”

John lo guardò, attento, e forse anche un po’ a disagio, percependo come Paul lo stesse studiando scrupolosamente con i suoi grandi occhi, alla ricerca di qualcosa, forse un segnale che John lo stesse solo prendendo in giro, diabolicamente.

“Perché?”

“Per ringraziarti di avermi aiutato con quella canzone, sai, The ballad of... ”

“Non dovevi farlo.” lo interruppe Paul, “Per me è stato un piacere. Non mi dovevi niente. Dico sul serio.”

“Anche io dico sul serio. E non l’ho fatto perché dovevo, ma perché ci tenevo.”

“Ed è stato un gesto molto carino, vero, Paul?” s’intromise Linda, accarezzandogli il braccio e guardandolo dolcemente, “Sapevo che saresti venuto, alla fine.”

Sembrava tanto una mamma che incoraggiava il suo bambino a fare pace con il suo migliore amico dopo aver litigato per uno stupido dispetto.

Paul annuì vagamente, fissando John con uno sguardo serio e anche piuttosto perplesso. Che cazzo combinava John?

“Linda, tesoro, entra in casa, ti raggiungo tra un istante, vuoi?”

“Sì, certo, caro. Buonanotte, John. Porta i miei saluti a Yoko.”

“Sì, grazie. Buonanotte.”

La porta tornò a chiudersi, e solo allora Paul riprese a parlare.

“Allora, John, sei davvero passato solo per dirmi questa cosa? Perché faccio molta fatica a crederci, sai.”

“Ehi, dov’è finita la gelosia di prima?”

“John!”

John sospirò, “Quanto sei idiota, Paul. Lo sai, mi sono liberato solo poco fa da alcuni impegni per quella canzone che abbiamo registrato a Montreal e ho pensato: ‘devo proprio passare da quel coglione di Macca, altrimenti inizierà a pensare che mi sia dimenticato di lui e del suo compleanno.’”

Paul aggrottò la fronte, mentre un lieve senso di colpa si impossessava di lui, placando lentamente la sua rabbia e la sua gelosia.

“E’ così, Paul?”

“No, io non-“

John scoppiò a ridere, “Ma vai a cagare, Paul, te lo si leggeva proprio in faccia quando hai aperto la porta.”

“E anche se fosse? E poi scusa, ma c’era bisogno di scavalcare ancora il cancello? Non potevi suonare come fanno tutte le persone normali? O forse volevi rompermi qualche altra finestra?”

John ridacchiò fra sé, battendo poi le ciglia in modo assolutamente innocente e, dannazione!, adorabile, “No no, niente di tutto questo. Sono un bravo ragazzo ora. E non potevo rischiare di vedermi rifiutato l’accesso. Ti pare?”

“Non è detto che l’avrei rifiutato.”

“Ad ogni modo, che gusto c’era altrimenti? Lo sai che scalerei qualunque montagna per raggiungere la mia principessa.”

Paul arrossì lievemente, colto alla sprovvista, e ringraziò che fosse già buio così John non poteva notarlo. Anche se dubitava fortemente che gli sarebbe servita la luce per accorgersene. John lo conosceva così a fondo che probabilmente aveva giù intuito che fosse arrossito solo dal modo in cui Paul aveva trattenuto il fiato.

Paul decise che la cosa migliore da fare era andare avanti come se John non avesse detto nulla.

“Allora era davvero quello il regalo?”

Nah, quello era per tenere buona mammina.” esclamò John, con un vago gesto della mano.

Paul storse la bocca, guardandolo con rimprovero, quasi a dirgli di stare attento a ciò che diceva, ma John sorrideva, di quel sorriso che faceva sciogliere sempre il cuore di Paul, e Paul si ritrovò a ricambiarlo.

“Allora quale sarebbe il mio regalo di compleanno? Me ne merito uno serio, sai.”

John lo guardò nervosamente, abbassando gli occhi solo per un istante. Paul aggrottò la fronte e fece per aprire bocca e chiedergli che succede, quando John alzò di colpo la testa, lo afferrò con una mano sulla camicia e lo attirò a sé, prima di baciarlo.

Un casto, troppo breve bacio sulle labbra. Finì prima ancora che Paul potesse rendersene conto.

Prima che potesse goderlo.

“Sarebbe questo.” sospirò John sulla bocca ancora aperta di Paul.

A malincuore Paul si accorse che John si fosse già allontanato da lui.

Come? Tutto qui?

E senza neanche accorgersene, allungò le mani per afferrare la maglietta di John sui fianchi e riportarlo contro di sé.

Non pensò molto alla sua famiglia, a Linda che era dentro casa e avrebbe potuto vederli in qualunque momento, non pensò al bambino che cresceva dentro di lei, suo figlio.

Non pensò a nulla di tutto ciò quando baciò di nuovo John, dopotutto era il suo fottuto compleanno e aveva tutto il diritto di prendersi quello che desiderava.

E lui voleva John.

Così lo baciò, e lo baciò come se quello fosse l’ultimo giorno della sua vita, come se fossero le uniche due persone al mondo.

E dio, questo era proprio ciò di cui aveva bisogno: avere John in questo modo, sentirlo rispondere al bacio come se fossero ancora due ragazzini ad Amburgo, troppo arrapati per tenere le mani e le bocche al proprio posto.

Questo valeva più di qualunque parola che John potesse rivolgergli, qualunque ti amo o ci sarò per sempre o nonostante tutto non ti dimenticherò mai.

Questo era John, il suo John.

Con un tuffo al cuore sentì le mani di John coprire le sue guance e di riflesso strinse le sue dita sui fianchi di John, tenendolo vicino a sé. Poi si allontanò da lui, e appoggiò la fronte a quella di John, gli occhi ancora chiusi per cercare di imprimere a fondo nella mente e nel suo cuore quel momento.

“Era questo, John. Questo!”

John sorrise facendo sfiorare i loro nasi, mentre la sua mano regalava la più dolce delle carezze ai capelli lunghi di Paul.

“Buon compleanno, Paulie, e cento di questi giorni.”

Paul annuì, sussurrando un impercettibile grazie. E poi John scivolò davvero via dalle sue dita, voltandosi per andarsene, e Paul lo seguì con lo sguardo, sospirando tristemente.

“E se devi proprio prenderti un sbronza per colpa mia, almeno cambia whisky.”

John si arrampicò sul cancello e lo guardò un’ultima volta, sorridendo e passandosi la lingua sulle labbra.

“Questo fa veramente cagare.”

 

Note dell’autrice: ebbene, tanti auguri al nostro lovvetto, al dolcettino più dolcetto che ci sia. X3

Ahah, auguri fluff all’uomo del fluff. <3

Giustamente, io gli dedico una mezza angst, e va bene, che bestia. >_< Questo passava in convento. Accontentati, Paul, e non fare il prezioso.

Detto ciò, mi sono documentata un pochino su quel periodo, quindi giugno 1969. Paul è tornato a Londra da Corfù il giorno prima del suo compleanno, mentre John a inizio giugno era in Canada per registrare quella canzone, e il 23 giugno era in Galles con Julian, quindi spero che una capatina a Londra intorno al 18 l’abbia fatta. :3

Il riferimento a John che scavalca il cancello… allora, che dire, ho cercato un po’ su quando possa essere avvenuto effettivamente, ma alcuni dicono gennaio 69, altri 70… non si capisce. Per me dalle foto è il 1969, però sai mai. Comunque nella storia ho assunto che fosse il 69. ;)

E ora basta con questo inutile sproloquio, e grazie mille ad Anya per l’aiuto e la correzione e per tutto il resto. <3

E grazie a Paola, Claudia, Martina e Chiara per l’incoraggiamento. <3

A mercoledì con il nuovo capitolo del sequel. Giuro che è quasi finito. Ahhh!

kia

 

 

   
 
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