Buon compleanno, Paulie. <3
Give John a
chance
La piccola
Heather giocava sul pavimento con Martha, mentre Linda riposava sul divano.
Erano
tornati appena il giorno prima dalla loro splendida vacanza a Corfù, e per il
compleanno di Paul le due ragazze avevano organizzato una piccola festicciola
solo per loro tre. O quattro, se consideravano
il bambino che cresceva nella pancia di sua moglie.
Il primo
figlio di Paul.
Dio, dire
che fosse eccitato come un folle era limitativo.
Aveva
ventisette anni ora e stava iniziando una nuova fase della sua vita. Le cose si
facevano serie.
Erano finiti
i tempi del cazzeggio, del passare da una donna ad un’altra. Ora le persone che
contavano davvero erano tutte in quella casa con lui.
O quasi.
Insomma, la
nuova fase della sua vita prevedeva inevitabilmente la fine di quella
precedente, con tutti gli strascichi che comportava. E in effetti era così. Se
da una parte scoppiava dalla felicità di diventare padre, dall’altra sentiva di
stare per cadere in un abisso oscuro da cui non vedeva via d’uscita.
Era la fine
dei Beatles, la fine di quegli anni magici e pazzi, davvero pazzi, ma che Paul
non avrebbe mai cambiato per nient’altro al mondo.
Era la fine
della loro amicizia, prima che collaborazione, quattro ragazzi di Liverpool che
si erano ritrovati come per magia, come se le loro strade si fossero incrociate
davvero grazie al destino o fato o come cazzo si voleva chiamare.
Era la fine
di John e di tutto quello che avessero condiviso. Amicizia, amore, quello che
era, insomma. Non era certo neanche lui, non era sicuro se e quando fosse
finita l’amicizia, e quando fosse iniziato l’amore.
Sapeva solo
che fosse complesso. Era tutto insieme, John. Gli aveva sempre suscitato un mix
assurdo di emozioni a cui Paul aveva cercato di dare un ordine. Tuttavia, accorgendosi
di non riuscirci, alla fine aveva deciso di prenderlo così com’era. Gli
importava solo avere John e che John lo ricambiasse, in qualunque cosa fossero
finiti insieme.
E ora
invece, a John non importava più niente di lui. Era un pensiero che lo
deprimeva a morte. Quasi gli piaceva crogiolarsi nella sua convinzione,
piangersi addosso sul fatto che John non lo volesse più. Se non altro aveva un
motivo per stare male e giustificare le cazzate che diceva e faceva.
Linda
cercava di consolarlo come poteva, assicurandogli che non fosse assolutamente
così, che a John importasse ancora di lui, nonostante si stesse allontanando da
Paul. Dopotutto, era sempre il suo migliore amico, non avrebbe mai potuto
rinunciare definitivamente a lui.
E invece sì,
Paul ne era certo. Quel John con cui doveva avere a che fare ultimamente era
una persona molto diversa da quella che conosceva lui. Sì, aveva ancora quei
tratti caratteristici che Paul amava, quei difetti che lo
rendevano sempre il suo John, eppure era cambiato. Come se fossero stati tutti
mischiati e ordinati in modo diverso. E ora, in questo modo, John non stava più
bene lì dove era sempre appartenuto. Tra le braccia di Paul. Stava scivolando
tra le sue dita e Paul non poteva fare niente per fermarlo.
Ci aveva
provato, ma era inevitabile. E Paul era stanco, così stanco che non aveva più
neanche la voglia di provarci. Che senso aveva sbatterci ancora la testa,
rischiando di farsi male, in modo molto serio stavolta? Lui era già ferito, in
fondo. Non poteva rischiare di peggiorare, aveva una famiglia a cui badare. E
se quella famiglia non riusciva a salvarlo totalmente, poteva almeno dargli la
forza di sopravvivere.
A John non
importava nulla di lui, era così, doveva accettarlo. E ne era tristemente
consapevole ora, dopo che John era volato con quella a Montreal per registrare una nuova canzone. Senza di lui.
Doveva andare
in questo modo, anche per John era iniziata una nuova fase della sua vita e non
comprendeva Paul.
Prima lo
avesse accettato, prima sarebbe stato meglio per il quieto vivere di tutti.
Certo, Paul
poteva capire tutto questo, la voglia di John di fare qualcosa di diverso,
qualcosa di nuovo. Ma… cazzo!
Poteva farla
una cazzo di telefonata per il suo cazzo di compleanno! Era anche tornato prima
a Londra, con la speranza di riuscire a vederlo. O almeno sentire la sua voce.
Fanculo.
Non gli
sembrava chiedere troppo. Quanto sforzo ci voleva per alzare il fottuto
telefono e dirgli, “Ehi, Paul, qui tutto a posto. E comunque, buon compleanno,
amico.”
Neanche
questo.
Paul sbuffò.
Linda cercò di dirgli che c’era ancora tempo affinché John si facesse sentire,
ma ormai il suo pensiero lo aveva innervosito e ora Paul non riusciva nemmeno a
stare seduto accanto a sua moglie per guardare quel cazzo di film.
Bastardo di
un John. Sempre colpa sua.
Si alzò per
andare in cucina a trovare qualcosa in cui annegare i suoi dispiaceri. Se lo
meritava, dannazione. Cercò e trovò il whisky più forte che aveva, versandosene
una generosa quantità e cominciando a berlo a grandi sorsi.
Il liquore
bruciò in gola e lungo il petto. Gli sembrò di andare a fuoco, e per un istante
solo dimenticò qualunque problema, troppo sopraffatto dalla sensazione di
essere quasi… felice. Ma poi i pensieri tornarono immediatamente e senza esitare,
bevve un altro sorso per non dar loro neanche il tempo di riappropriarsi di
lui.
“Cazzo, sì!”
Si passò un
mano sul viso, lasciando che poi sbattesse contro il tavolo.
Dio, aveva
voglia di urlare, aveva voglia di andare da John e urlargli contro tutto quello
che pensasse di lui, quanto lo stesse facendo sentire isolato, escluso,
umiliato… abbandonato.
Ma poi, come
per magia (perché tutto quello che aveva riguardato John nella sua vita era
accaduto per magia, ne era certo), qualcuno bussò la porta.
E stupidamente
Paul sperò che fosse lui, mentre i suoi passi lo conducevano in fretta ad
aprire la porta. Stupidamente sperò di vedere John di fronte a lui e
stupidamente gli parse di vederlo davvero.
“John?”
“Ehi,
Macca.”
Fanculo, non
poteva avere le allucinazioni, vero? Era colpa del dannato whisky? Da quando
sentiva le voci?
Eppure
sembrava davvero John, gli stessi occhiali, i
capelli che molte volte Paul aveva stretto tra le sue dita, e le labbra stese
in un sorriso lieve, labbra che ancor più spesso avevano incontrato quelle di
Paul.
Paul
rabbrividì mentre una serie di immagini si riversavano violentemente nella sua
mente, stringendo il suo cuore, e decise di avanzare e avvicinarsi a John,
socchiudendo la porta alle spalle.
“Sei… sei
davvero tu?”
“Sì, certo.
E togliti quella faccia che sembra tu abbia visto un fantasma.”
John rise
divertito e questo sembrò confermare a Paul che fosse proprio lui. E
immediatamente Paul sentì la rabbia ribollire in lui, più del dovuto. Cazzo
aveva da ridere, quando Paul era stato in ansia tutto il giorno, aspettando
come un idiota una sua visita o una sua telefonata, prima di essere assalito
dalla delusione e dalla tristezza?
“Oh, beh,
quasi no? Non eri a che-cazzo-ne-so-io con la tua dolce metà?”
John fece
quel ghigno che Paul conosceva molto bene, quel ghigno che significava che
avesse guardato bene dentro Paul e avesse capito tutto, tanto per cambiare.
“Qualcuno è
geloso, vedo.”
“Geloso un
cazzo, John. Io-”
Ma non fece
in tempo a continuare poiché la porta dietro di sé cigolò appena, segno che sua
moglie li avesse appena raggiunti. Paul non ebbe bisogno di voltarsi, per
sapere che fosse proprio lei, e mantenne lo sguardo fisso su John, per paura
che potesse sparire se avesse distolto un attimo l’attenzione.
“John, che
piacere.”
John la
salutò con un sorriso e un cenno della mano, prima che il suo sguardo
scivolasse verso il basso, sul ventre gonfio della donna. Paul se ne accorse e
notò anche come la sua espressione divenne in qualche modo malinconica.
“Vuoi
entrare? È rimasta un po’ di torta.”
“No, grazie.
Devo scappare. Sono passato solo per fare gli auguri al nostro Paul e per
dargli il mio regalo.”
“Oh, e di cosa si tratta?” domandò la donna, incuriosita,
avvicinandosi a Paul e prendendolo sotto braccio.
John rimase
un attimo in silenzio, guardando prima Linda e poi Paul.
“Quella
canzone, quella che ho registrato qualche giorno fa con Yoko. Give peace a chance,
ce l’hai presente?”
“Sì.”
sospirò Paul, trattenendosi prima di aggiungere purtroppo.
“Vedi, Paul,
l’ho registrata a nome nostro.”
Paul batté
le palpebre. Tutto si aspettava di sentire, meno che questo. Davvero.
“Cosa?”
“Sì,
Lennon/McCartney. Era così, vero? Prima.”
John lo
guardò, attento, e forse anche un po’ a disagio, percependo come Paul lo stesse
studiando scrupolosamente con i suoi grandi occhi, alla ricerca di qualcosa,
forse un segnale che John lo stesse solo prendendo in giro, diabolicamente.
“Perché?”
“Per
ringraziarti di avermi aiutato con quella canzone, sai, The ballad of... ”
“Non dovevi
farlo.” lo interruppe Paul, “Per me è stato un piacere. Non mi dovevi niente.
Dico sul serio.”
“Anche io dico
sul serio. E non l’ho fatto perché dovevo, ma perché ci tenevo.”
“Ed è stato
un gesto molto carino, vero, Paul?” s’intromise Linda, accarezzandogli il braccio
e guardandolo dolcemente, “Sapevo che saresti venuto, alla fine.”
Sembrava
tanto una mamma che incoraggiava il suo bambino a fare pace con il suo migliore
amico dopo aver litigato per uno stupido dispetto.
Paul annuì
vagamente, fissando John con uno sguardo serio e anche piuttosto perplesso. Che
cazzo combinava John?
“Linda,
tesoro, entra in casa, ti raggiungo tra un istante, vuoi?”
“Sì, certo,
caro. Buonanotte, John. Porta i miei saluti a Yoko.”
“Sì, grazie.
Buonanotte.”
La porta
tornò a chiudersi, e solo allora Paul riprese a parlare.
“Allora, John,
sei davvero passato solo per dirmi questa cosa? Perché faccio molta fatica a
crederci, sai.”
“Ehi, dov’è
finita la gelosia di prima?”
“John!”
John
sospirò, “Quanto sei idiota, Paul. Lo sai, mi sono liberato solo poco fa da
alcuni impegni per quella canzone che abbiamo registrato a Montreal e ho
pensato: ‘devo proprio passare da quel coglione di Macca, altrimenti inizierà a
pensare che mi sia dimenticato di lui e del suo compleanno.’”
Paul
aggrottò la fronte, mentre un lieve senso di colpa si impossessava di lui,
placando lentamente la sua rabbia e la sua gelosia.
“E’ così,
Paul?”
“No, io
non-“
John scoppiò
a ridere, “Ma vai a cagare, Paul, te lo si leggeva proprio in faccia quando hai
aperto la porta.”
“E anche se
fosse? E poi scusa, ma c’era bisogno di scavalcare ancora il cancello? Non
potevi suonare come fanno tutte le persone normali? O forse volevi rompermi
qualche altra finestra?”
John
ridacchiò fra sé, battendo poi le ciglia in modo assolutamente innocente e, dannazione!, adorabile, “No no, niente
di tutto questo. Sono un bravo ragazzo ora. E non potevo rischiare di vedermi
rifiutato l’accesso. Ti pare?”
“Non è detto
che l’avrei rifiutato.”
“Ad ogni
modo, che gusto c’era altrimenti? Lo sai che scalerei qualunque montagna per
raggiungere la mia principessa.”
Paul arrossì
lievemente, colto alla sprovvista, e ringraziò che fosse già buio così John non
poteva notarlo. Anche se dubitava fortemente che gli sarebbe servita la luce
per accorgersene. John lo conosceva così a fondo che probabilmente aveva giù
intuito che fosse arrossito solo dal modo in cui Paul aveva trattenuto il
fiato.
Paul decise
che la cosa migliore da fare era andare avanti come se John non avesse detto
nulla.
“Allora era
davvero quello il regalo?”
“Nah, quello era per tenere buona mammina.” esclamò John,
con un vago gesto della mano.
Paul storse
la bocca, guardandolo con rimprovero, quasi a dirgli di stare attento a ciò che
diceva, ma John sorrideva, di quel sorriso che faceva sciogliere sempre il
cuore di Paul, e Paul si ritrovò a ricambiarlo.
“Allora
quale sarebbe il mio regalo di compleanno? Me ne merito uno serio, sai.”
John lo
guardò nervosamente, abbassando gli occhi solo per un istante. Paul aggrottò la
fronte e fece per aprire bocca e chiedergli che
succede, quando John alzò di colpo la testa, lo afferrò con una mano sulla
camicia e lo attirò a sé, prima di baciarlo.
Un casto,
troppo breve bacio sulle labbra. Finì prima ancora che Paul potesse rendersene
conto.
Prima che
potesse goderlo.
“Sarebbe
questo.” sospirò John sulla bocca ancora aperta di Paul.
A malincuore
Paul si accorse che John si fosse già allontanato da lui.
Come? Tutto qui?
E senza
neanche accorgersene, allungò le mani per afferrare la maglietta di John sui
fianchi e riportarlo contro di sé.
Non pensò
molto alla sua famiglia, a Linda che era dentro casa e avrebbe potuto vederli
in qualunque momento, non pensò al bambino che cresceva dentro di lei, suo
figlio.
Non pensò a
nulla di tutto ciò quando baciò di nuovo John, dopotutto era il suo fottuto compleanno e aveva tutto il
diritto di prendersi quello che desiderava.
E lui voleva
John.
Così lo
baciò, e lo baciò come se quello fosse l’ultimo giorno della sua vita, come se
fossero le uniche due persone al mondo.
E dio,
questo era proprio ciò di cui aveva bisogno: avere John in questo modo,
sentirlo rispondere al bacio come se fossero ancora due ragazzini ad Amburgo,
troppo arrapati per tenere le mani e le bocche al proprio posto.
Questo
valeva più di qualunque parola che John potesse rivolgergli, qualunque ti amo o ci sarò per sempre o nonostante
tutto non ti dimenticherò mai.
Questo era John, il suo John.
Con un tuffo
al cuore sentì le mani di John coprire le sue guance e di riflesso strinse le
sue dita sui fianchi di John, tenendolo vicino a sé. Poi si allontanò da lui, e
appoggiò la fronte a quella di John, gli occhi ancora chiusi per cercare di
imprimere a fondo nella mente e nel suo cuore quel momento.
“Era questo,
John. Questo!”
John sorrise
facendo sfiorare i loro nasi, mentre la sua mano regalava la più dolce delle
carezze ai capelli lunghi di Paul.
“Buon compleanno,
Paulie, e cento di questi giorni.”
Paul annuì,
sussurrando un impercettibile grazie.
E poi John scivolò davvero via dalle sue dita, voltandosi per andarsene, e Paul
lo seguì con lo sguardo, sospirando tristemente.
“E se devi
proprio prenderti un sbronza per colpa mia, almeno cambia whisky.”
John si
arrampicò sul cancello e lo guardò un’ultima volta, sorridendo e passandosi la
lingua sulle labbra.
“Questo fa
veramente cagare.”
Note dell’autrice: ebbene, tanti auguri al nostro lovvetto, al dolcettino più
dolcetto che ci sia. X3
Ahah,
auguri fluff all’uomo del fluff. <3
Giustamente,
io gli dedico una mezza angst, e va bene, che bestia.
>_< Questo passava in convento. Accontentati, Paul, e non fare il
prezioso.
Detto ciò, mi
sono documentata un pochino su quel periodo, quindi giugno 1969. Paul è tornato
a Londra da Corfù il giorno prima del suo compleanno, mentre John a inizio
giugno era in Canada per registrare quella canzone, e il 23 giugno era in
Galles con Julian, quindi spero che una capatina a Londra intorno al 18 l’abbia
fatta. :3
Il
riferimento a John che scavalca il cancello… allora, che dire, ho cercato un po’
su quando possa essere avvenuto effettivamente, ma alcuni dicono gennaio 69,
altri 70… non si capisce. Per me dalle foto è il 1969, però sai mai. Comunque
nella storia ho assunto che fosse il 69. ;)
E ora basta
con questo inutile sproloquio, e grazie mille ad Anya per l’aiuto e la
correzione e per tutto il resto. <3
E grazie a
Paola, Claudia, Martina e Chiara per l’incoraggiamento. <3
A mercoledì
con il nuovo capitolo del sequel. Giuro che è quasi finito. Ahhh!
kia