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Autore: babastrell    19/06/2016    1 recensioni
(Omegaverse)
Essere un Omega può essere complicato e imbarazzante. Soprattutto quando rifiuti il ruolo di sottomesso che ti vogliono imporre. Se poi sei anche una famosa popstar, diventa davvero ingestibile. È il caso di Blue, che vorrebbe essere considerato come una persona e non come un oggetto di proprietà del primo Alfa che passa.
Roy invece è un attore Alfa che per qualche strano motivo appare sempre nella sua vita nel momento sbagliato, e uno dei due finisce sempre per farsi male.
Quanto può diventare difficile restare fedeli a se stessi nonostante tutto?
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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«Ben trovati a Vite Da Milioni Di Dollari, sono Candice Miller e qui con me c’è la popstar del momento, Blue!».

La presentatrice era irritante. Aveva una voce artefatta, i capelli ossigenati e un completo verde acido di almeno due taglie troppo piccolo che le strizzava il seno rifatto. Blue sperava solo che non le saltasse un bottone e lo centrasse in fronte.

Si sistemò sulla poltroncina e sfoderò il suo sorriso più accattivante. «Grazie, Candice. È un piacere essere qui».

Un applauso registrato partì da chissà dove.

«Allora, Blue» continuò la donna. «Hai scalato le classifiche in soli tre mesi, un’assoluta rarità per un cantante Omega».

Di nuovo quelle parole. Blue le odiava. Come se ‘non sei male per essere un Omega’ fosse un complimento. Cosa si aspettavano da lui, un grazie?

«Secondo te la tua natura ha contribuito al tuo successo?».

Questa domanda non se l’aspettava. «Immagino di sì» rispose con un sorriso. «Volevo che gli altri Omega come me sapessero di poter essere più di quello che siamo sempre stati obbligati a essere. Non siamo solo i sottomessi di qualche Alfa di passaggio».

«Parlando di Omega, tu hai quasi venticinque anni ormai». Candice ridacchiò. «Non intendi sistemarti? Se resti senza marchio potrebbe diventare pericoloso per te».

«Ovviamente no» disse Blue puntando gli occhi verdi verso la telecamera. «Significherebbe tradire tutto quello in cui credo e accettare di essere un oggetto. Io non sono di proprietà di nessuno»

«Quindi non temi le conseguenze?»

«Quali conseguenze?». Il ragazzo si attorcigliò una ciocca di capelli azzurri attorno all’indice. «Non ho mai fatto del male a nessuno, pago le tasse e rispetto le regole. Vogliono venderci questa regola non scritta come una forma di protezione nei nostri confronti, ma in realtà è solo un modo per mascherare il fatto che gli Alfa non hanno l’autocontrollo necessario per tenerselo nei pantaloni». Accavallò le gambe e si sporse verso Candice. «È come se gli stupri di cui siamo vittime fossero colpa nostra perché non ci facciamo marchiare. Per quanto mi riguarda prendo gli inibitori del calore, quindi non ho bisogno di alcun Alfa».

Candice lo fissava con gli occhi sbarrati, dietro le quinte il suo agente aveva le mani nei capelli. Blue intuì di aver detto fin troppo. Sbuffando si ricompose e fece cenno a Candice di continuare con le domande. Rispose con tutte le scemenze che lei voleva sentirsi dire, pur di finire in fretta.

Quando finalmente salì sulla limousine, si sentiva stanco e frustrato.

«Cosa diavolo ti è saltato in mente? Eravate in diretta» lo apostrofò Greg, l’agente.

«Pensavo sarebbe stato interessante far sapere che l’icona pop del momento ha anche un cervello» disse Blue scrollando le spalle.

«Dovresti concentrarti sulla musica, lascia le arringhe agli avvocati e ai politici»

«Ma se non mi ha chiesto niente sulle mie canzoni! Era interessata solo a quale troglodita mi scoperà lasciandomi addosso il suo odore» sbottò Blue.

Il ragazzo chiuse la questione con un cenno secco del capo e prese fuori il cellulare per controllare le email.

Vide con la coda dell’occhio che Greg stava scuotendo la testa.

Scorse con il dito le mail dei fan, ripromettendosi di leggerle con calma una volta arrivato a casa. C’era un messaggio furioso del suo consulente d’immagine che aveva appena visto la diretta e temeva che il ragazzo si facesse dei nemici dopo quelle dichiarazioni. Blue lo cestinò senza nemmeno aprirlo.

Che senso aveva essere famoso se non poteva sfruttarlo per aiutare una categoria forzata alla sottomissione?

Rimise il telefonino in tasca e prese a rimuginare su una melodia che gli ronzava in testa da ore. Forse avrebbe potuto farla diventare il suo prossimo successo.

 

----

 

Mancava meno di una settimana ai Grammy Awards. Blue non ne aveva mai vinto uno e, visto che la giuria di esperti era composta esclusivamente da Alfa, dubitava che quello potesse essere il suo anno.

Per l’occasione, Nicki Minaj dava un party e il consulente d’immagine di Blue pensava che presentarsi potesse essere una buona mossa. Internet stava ancora impazzendo per il suo attacco del mese prima a Vite Da Milioni Di Dollari ed era il momento di mostrarsi come una normale celebrità.

In limousine Greg gli raccomandò più volte di non parlare con i giornalisti, specialmente se nominavano la trasmissione.

Il locale era gremito di persone. Probabilmente Blue era l’unico Omega presente, ma non si lasciò scoraggiare. Sedette al bancone del bar e si unì a una conversazione con un rapper di cui non ricordava il nome e un attore che non aveva mai visto. La vita mondana era così, bastava fingere di conoscersi. Del resto dubitava che quei due sapessero chi lui fosse.

Alle tre di notte la maggior parte dei presenti era ubriaca o strafatta, e anche lui si sentiva decisamente euforico dopo la settima tequila. Pensò di chiamare Greg e farsi venire a prendere prima che l’alcol gli facesse combinare qualche sciocchezza, ma qualcuno lo afferrò per i capelli e lo tirò giù da uno sgabello.

«Ehi, ma questo non sarà mica Blue?» esclamò una voce maschile.

«Ma guarda, è proprio lui» rise un’altra.

Blue cercò di alzare lo sguardo per capire chi fossero, ma il buio, le luci stroboscopiche e l’alcol rendevano tutto confuso. L’unica cosa che sapeva era che erano Alfa, lo percepiva dall’odore.

«Non era lui che diceva che non voleva farsi marchiare?» chiese ancora la prima voce.

«Direi di sì, ha detto anche qualcosa sugli inibitori di calore e sul non avere bisogno di Alfa» confermò la seconda.

Blue si sentì tirare i capelli e spingere alle spalle e qualche secondo dopo l’aria fredda della notte gli sfiorò le guance accaldate.

«Seduto!» ordinò l’uomo che lo aveva preso per i capelli, sbattendolo contro il muro.

Blue scivolò lungo la parete fino a trovarsi seduto a terra. La testa gli pulsava e in bocca sentiva il sapore del sangue.

«Trattalo bene, Louis» disse l’altro. «È così carino, non vorrai rovinarlo»

«Sei troppo gentile, Kenny» ringhiò Louis.

Il ragazzo cercò di mettere a fuoco i suoi assalitori. Riuscì solo a stabilire che erano grossi almeno il triplo di lui e che i capelli di Louis erano biondi e quelli di Kenny erano neri. La vista era sfocata e tremolante, ma non sapeva se era colpa dell’alcol o della botta. In quelle condizioni non era nemmeno in grado di muoversi, scappare era impensabile.

Kenny si accovacciò davanti a lui e gli strinse il mento nella morsa della mano destra, obbligandolo a girare la testa a destra e a sinistra per guardarlo bene. «Un musetto così adorabile» commentò. «Peccato per quella lingua velenosa».

Louis sferrò un calcio nelle costole di Blue, strappandogli un urlo. «A quella si rimedia. Bisogna solo ricordargli che gli Omega come lui servono solo a succhiare cazzi. Vedremo se poi avrà ancora voglia di dire certe cose».

Blue sbarrò gli occhi, spaventato. Cercò di divincolarsi, ma Kenny gli stringeva la mascella con una forza tale che rischiava di spezzargliela. Le sue costole scricchiolarono nel punto dove Louis lo aveva calciato. Il ragazzo strinse i denti per il dolore e si mise a scalciare e a gridare come un forsennato.

Kenny, preso alla sprovvista, allentò la presa quel tanto che bastava per permettere a Blue di liberarsi e mordergli la mano con tutte le sue forze. L’uomo lanciò un urlo lacerante.

Il ragazzo cercò di strisciare lontano da lui, ma Louis era ancora in piedi e lo fermò schiacciandogli il torace a terra con un piede.

«Non vorrai lasciare la festa così presto» disse, con un ghigno terrificante. Si chinò su di lui e gli immobilizzò le braccia dietro la schiena. «Kenny, vuoi avere tu l’onore?».

«Con vero piacere».

Louis rise. Si piegò ancora di più su Blue, avvicinandosi al suo orecchio. «Se non ricordo male, avevi detto che gli Alfa non riescono a tenerselo nei pantaloni».

Blue udì con orrore il suono distinto di un cintura che veniva slacciata. Tentò ancora di scappare, ma la presa di Louis era persino più ferrea di quella di Kenny.

Un altro colpo in testa e le orecchie cominciarono a ronzargli. Era in trappola. Un solo Omega contro due Alfa. L’oscurità cominciò a farsi più fitta. Blue pregò solo che finissero prima che lui fosse rinvenuto.

Un’ombra passò fulminea davanti ai suoi occhi e un attimo dopo Kenny era a terra, che rantolava.

La presa sulle sue braccia parve allentarsi e Louis urlò qualcosa che Blue non capì.

Poi fu come cadere nel vuoto, e Blue perse i sensi.

 

Quando riaprì gli occhi, era sdraiato supino. Gli faceva male quasi tutto, ma almeno aveva ancora i vestiti addosso.

«Ti senti bene?» chiese una voce apprensiva.

Blue guardò alla sua sinistra: a parlare era stato un ragazzo biondo che aveva al massimo un paio d’anni più di lui. Era un Alfa, ma non sembrava particolarmente alto o massiccio.

«Quei due bastardi sono scappati» disse lo sconosciuto. «Però sono riuscito a sbirciargli la carta di identità mentre erano storditi. Se vuoi fargli causa, hai anche le loro generalità». Gli porse un biglietto piegato.

Blue lo aprì. Louis Tucker e Kenneth Sullivan. Sotto i nomi c’erano indirizzi e date di nascita.

«Si erano intrufolati alla festa, probabilmente per cercare te» continuò il ragazzo. Si mise in piedi e gli tese una mano, per aiutarlo a rialzarsi. «Sono Roy Callaway».

Un attore. Blue non l’aveva nemmeno riconosciuto. «Blue Allen» rispose prendendogli la mano e mettendosi in piedi. Gli sembrava di avere la lingua di cartone.

Aveva le gambe intorpidite e tremanti. Roy, vedendolo barcollare, gli mise un braccio sotto le ascelle per sorreggerlo. «Lo so chi sei».

Blue aveva la sensazione che la sua testa fosse piena di ovatta bagnata. Le tempie gli pulsavano per l’alcol e le botte e il torace bruciava dove probabilmente si era rotto qualche costola.

«Ho chiamato il tuo agente» continuò Roy. «Il numero era sul tuo cellulare. Ti accompagno al parcheggio».

A Blue servirono tutte le sue forze per mettere un piede davanti all’altro anche aggrappandosi al suo salvatore. Voleva ringraziarlo, ma non riusciva a mettere insieme una frase. Alzò lo sguardo. Anche con la vista sfocata, si vedeva che aveva un bel profilo; aveva un buon odore, meno intenso di quello di altri Alfa; la sua presa era salda e lo faceva sentire al sicuro. Il ragazzo avrebbe tanto voluto ricordare se lo aveva mai visto in qualche film.

Greg gli apparve davanti come un miraggio. Ringraziava Roy per l’aiuto e per non aver chiamato il nove-uno-uno. Farsi ricoverare dopo una festa una settimana prima dei Grammy non sarebbe stata una bella pubblicità. Roy annuiva e diceva che sperava solo che Blue si rimettesse e che era stato fortunato che le sue grida fossero state sentite da lui e non da qualcun altro.

Fortunato. Sicuramente lo era stato. Blue voleva dire qualcosa, anche solo un grazie, ma la lingua gli si stava impastando in bocca. L’odore di Roy sembrò farsi più forte nelle sue narici.

Si divincolò dal suo braccio e gli afferrò la camicia, tirandolo verso di sé. Quando le loro labbra si toccarono, udì Roy emettere un verso di sorpresa. Un secondo dopo Blue si staccò e sgattaiolò nella limousine.

Greg e Roy si scambiarono ancora qualche parola che alle sue orecchie giunsero come mugolii soffocati, poi l’agente salì a sua volta.

Blue non sentì né i suoi rimproveri né le sue parole di sollievo. Gli sembrò di svenire di nuovo, poi si addormentò come un sasso.

 

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Un paio di settimane dopo, Blue stava meglio. Aveva ancora il torace fasciato e tre punti di sutura sulla nuca, ma riusciva a stare in piedi e aveva anche abbozzato due canzoni per il suo prossimo album.

Si era perso i Grammy Awards, ma come previsto non aveva vinto. Il suo avvocato lo chiamò quella mattina per informarlo che la causa che aveva mosso contro Louis Tucker e Kenneth Sullivan al tribunale Alfa/Omega era a un passo dal lasciarli entrambi sulla strada. Su Twitter i fan gli chiedevano aggiornamenti continui sulle sue condizioni; lui non riusciva a rispondere a tutti, sperava che un post unico in cui assicurava di stare bene sarebbe bastato.

Purtroppo, la salute era l’ultimo dei suoi problemi. Non importava quanto lo negasse, quanto postasse la verità su qualsiasi social network o quanto cercasse di fare finta di non saperne nulla, sul tavolino del salotto c’era ancora il numero di Lingua Lunga uscito la mattina dopo la festa. In copertina, a segnare la sua condanna, una foto nitidissima di Blue ubriaco e pieno di tumefazioni, avvinghiato a Roy Callaway. Il titolo annunciava ‘Ha ceduto!’.

Già durante la sua convalescenza il suo cellulare, la casella email e i social network erano impazziti; le riviste scandalistiche e i talk show continuavano a fare congetture. Qualche idiota aveva messo il suo numero online un’altra volta e perfetti sconosciuti continuavano a chiamarlo.

«Non berrò mai più niente, neanche le bibite zuccherate, solo acqua!» esclamò stizzito alla ventesima telefonata.

Stava per afferrare il telefono e dirne quattro a chiunque fosse dall’altra parte, ma qualcuno suonò alla porta e lo distrasse. Il telefono smise di suonare.

Blue si avvicinò guardingo alla porta e guardò dallo spioncino: sul patio c’era un tizio con un cappellino da baseball e occhiali da sole che teneva le mani in tasca. «Consegna speciale per Blue Allen»

«Andate affanculo lontano da casa mia!» gli urlò Blue di rimando. Gli mancavano solo i paparazzi che cercavano di entrargli in casa.

«Va bene, ma deluderai la stampa se scacci il tuo ragazzo».

Confuso, Blue si attaccò di nuovo allo spioncino. Il ragazzo alzò gli occhiali per farsi vedere: era Roy. «Non mi hanno seguito, se è questo che ti chiedi».

Quasi quasi avrebbe preferito i paparazzi.

«Che cosa vuoi?» chiese.

«Permetterti di dirmi grazie e mettere in chiaro un paio di cose»

«Grazie, ma non c’è niente da chiarire. Ero sbronzo e tu eri a portata di mano».

Ci fu silenzio per qualche secondo. «Se non te ne sei già reso conto, questa storia è un grosso problema anche per me».

Blue sbuffò. Non poteva dargli torto. Aprì l’uscio e lo tirò dentro, sbattendo la porta. «Ho fatto un casino, mi scuso»

«Non importa, prima o poi lo dimenticheranno». Roy chiuse le tende e si tolse gli occhiali e il cappello. «Basterà tenere un profilo basso per un po’»

«Non è presentandoti a casa mia che terrai un basso profilo». Blue si spostò in cucina. «Caffè?»

«Senza zucchero, grazie» disse Roy. «Volevo assicurarmi che stessi bene»

«Sì, sto bene». Il ragazzo versò il caffè nelle tazzine.

Sentì i passi di Roy alle sue spalle e poi una mano si posò sulla sua nuca. Blue trasalì e per poco non fece cadere tutto.

«Scusa!» esclamò Roy, dandosi un schiaffo alla mano. «Volevo vedere come erano messi i punti». Afferrò la tazza e mosse due passi indietro, imbarazzato.

«Dovrò tenerli per un mesetto» disse Blue.

Nella stanza piombò un lungo silenzio imbarazzante. Blue aprì il vaso dello zucchero e se ne versò tre cucchiaini. Sentiva la pelle formicolare nel punto dove Roy lo aveva toccato. Forse i punti l’avevano resa troppo sensibile, oppure inconsciamente era ancora sulla difensiva da quando era stato molestato.

Se non fosse stato per Roy quella sera...

Lo sbirciò di sottecchi. Dava l’idea di essere un tipo pacifico. Non tutti gli Alfa si sarebbero presi il disturbo di salvare un Omega senza aspettarsi niente in cambio, invece lui era anche venuto a controllare le sue condizioni ed era sollevato di sapere che stava bene.

Blue avrebbe voluto conoscere almeno alcuni dei film in cui aveva recitato, anche solo per avere un argomento di conversazione. Si chiese quali ruoli potesse interpretare un tipo così. Probabilmente film d’azione con scene di combattimento, visto come aveva sistemato Tucker e Sullivan. Chissà se usava la controfigura.

Forse gli stava venendo la febbre, sentiva la pelle sempre più calda. «Roy». La voce gli uscì flebile come quella di un topolino. «Mi dispiace, ma credo che mi stia venendo qualcosa». Provò a muovere un passo.

Roy si mosse rapidamente. «Oh, va bene. Aspetta, ti accompagno a letto».

Le ginocchia di Blue cedettero e il ragazzo crollò come un sacco. Prima che potesse toccare terra, qualcosa gli cinse la vita e deviò la traiettoria. Blue batté la spalla contro il pavimento, ma non si fece molto male. Roy Callaway lo aveva salvato per la seconda volta.

«Scusami...» gemette Blue.

Non riusciva ad alzarsi. Si sentiva male, come se il corpo gli stesse andando a fuoco e un campanello gli trillasse nella testa. Roy era sdraiato accanto a lui, le braccia ancora strette attorno alla sua vita. Gli annusava i capelli. Era... piacevole. Blue avrebbe dovuto sentirsi irritato o quantomeno imbarazzato da quell’intimità con una persona che conosceva a malapena, però era una sensazione talmente bella che non riusciva a muoversi. Non si ribellò nemmeno quando la stretta si fece più salda e una mano scivolò lungo il suo fianco. Girò la testa in cerca delle labbra di Roy, per un bacio bisognoso e famelico. Roy si puntellò sulle braccia per portarsi sopra di lui e abbandonò la sua bocca per scendere sul collo. Per Blue all’improvviso era come se il pavimento di marmo non fosse freddo o le costole non gli facessero male. Non percepiva niente che non fosse il ragazzo sopra di lui. Roy odorava di cuoio ed erba bagnata, l’odore lo avvolgeva e gli bruciava i polmoni facendogli contrarre lo stomaco. Socchiuse gli occhi e incontrò i suoi: erano liquidi, adoranti, feroci, le pupille erano dilatate dal desiderio.

Forse troppo dilatate. Innaturali, le iridi azzurre erano tanto sottili che quasi non si vedevano.

Blue sentì un nodo di panico serrargli la gola. Cosa cavolo stava succedendo?

Aveva passato in convalescenza due settimane, in cui aveva preso antidolorifici, antinfiammatori, analgesici e altre porcherie. Ma gli inibitori?

Calore.

Cazzo, erano anni che non andava in calore, non sapeva quanto il suo corpo avesse patito l’astinenza. In verità, non voleva neanche saperlo. Non voleva farlo con Roy o con nessun altro, non lo voleva e basta. Un’ondata di nausea gli fece girare la testa. Non voleva fare sesso, non gli piaceva, l’idea lo disgustava.

Cercò di scalciare, urlare, colpirlo, ma Roy era più forte di lui ed era completamente in balia dell’odore del suo calore. Era in trappola. Blue sentì le lacrime salirgli agli occhi per la paura e la rabbia. Nonostante tutto, il suo corpo accaldato reagiva al contatto; ogni carezza era maledettamente piacevole, ogni morso gli strappava gemiti incontrollabili e ogni bacio lo faceva fremere. Si faceva schifo, si odiava per il fatto di essere un Omega.

Tra le lacrime gli apparve, come una visione, la tazzina del caffè abbandonata sul pavimento. Quando era caduto l’aveva ancora in mano, e per fortuna non si era rotta. Blue l’afferrò e la sbatté sulla tempia di Roy con tutte le sue forze, frantumandola. Un fiotto di sangue gli bagnò la mano e l’Alfa ringhiò di dolore e arretrò. Blue si aggrappò al lavandino per rimettersi in piedi. Le ginocchia gli tremavano ancora, ma non ci fece troppo caso. Agguantò la prima cosa che gli capitò a tiro, un mattarello, e si girò per colpirlo proprio quando Roy stava tornando alla carica. L’oggetto si scontrò contro la sua mascella e il ragazzo si accasciò privo di sensi.

Blue, tremante per il calore e la paura, prese il telefono dal tavolo e si incespicò le scale più in fretta che poté, rifugiandosi in camera da letto e chiudendo a chiave. Compose il numero di Greg e gli chiese di venire ad aiutare Roy, dandogli una spegazione sommaria.

Ormai era tardi per prendere gli inibitori, avrebbe dovuto passare tutta la settimana chiuso in camera.

Faceva caldo. Blue sentiva il sudore scivolargli sotto la maglietta e il lubrificante che colava lungo le gambe e impregnava la biancheria e i pantaloni. Era sgradevole.

Prese un respiro in cerca di ossigeno e si tolse i vestiti. Tremava troppo per stare in piedi, così si lasciò cadere sul letto, calciando via le lenzuola. Non andava in calore da talmente tanto tempo che non ricordava più come ci si sentisse; voleva essere toccato, persino la sensazione del materasso contro la pelle troppo sensibile gli faceva perdere la testa.

Qualcuno prese a bussare alla porta e a chiamare il suo nome con tono preoccupato, ma la voce sembrava distante chilometri, soffocata dal sangue che tuonava nelle orecchie. Non era Roy, questo era sicuro. Lui non sarebbe stato così gentile da bussare; vedendo la porta chiusa, l’avrebbe buttata giù e l’avrebbe preso con forza, sbattendolo sulla scrivania o contro il muro, magari forzandogli il suo nodo dentro. Il pensiero gli strappò un gemito acuto e le mani corsero tra le gambe a dargli un po’ di ristoro.

Non seppe quando i colpi all’uscio cessarono. In realtà, non seppe più nulla, nemmeno che giorno fosse; il tempo trascorreva senza che lui ne avesse cognizione. Sembrava che non ci fosse modo per placare il caldo, il tremore, l’eccitazione.

Forse erano passati alcuni minuti, forse degli anni. A volte crollava addormentato e si risvegliava più voglioso che mai. Voleva di più, le mani e le dita non bastavano, continuava a desiderare... Afferrò il cellulare e scorse la lista dei contatti. Qualcuno. Chiunque.

Roy.

Perché aveva il suo numero? Forse glielo aveva inserito nel telefono al loro primo incontro, mentre era svenuto. Toccò la cornetta verde.

«Pronto?»

«Aiutami» gemette.

Pausa. «Blue?». La voce di Roy era incerta e imbarazzata. «Senti, mi dispiace per quello che...»

«Non ho bisogno di scuse del cazzo!» ringhiò Blue. «Ho bisogno di te». Riprese a toccarsi e ansimò nel telefono.

«Blue, no. Non sei in te». Dall’altra parte la voce tremò, spezzata dall’insicurezza. «Ascolta, ora riattacco»

«No! Ti prego». Blue stava per piangere. «Fa tanto male»

«Lo so, ma devi tenere duro».

Blue inarcò la schiena. «Vorrei che fossi tu a tenerlo duro per me».

Lo sentì ridere. «Devo andare, scusami»

«Roy! Per favore...». Gli rispose solo il suono della chiamata terminata.

Blue scagliò il telefono contro il muro con un mugolio furioso.

Neanche venti minuti dopo, Greg scassinò la serratura della camera e gli sequestrò il cellulare. Fortunatamente era un Beta, quindi riusciva a stare nella stanza con lui senza problemi. Almeno gli risparmiò la paternale, viste le sue condizioni.
Come l’agente se ne andò, la spirale di libido ricominciò a crivellargli il cervello senza interruzione.

 

----

 

Quando finalmente il calore si esaurì, Blue si vergognava come un ladro. La camera puzzava di sudore e sesso, il suo corpo era appiccicoso e il letto era macchiato di tinta per capelli blu e pregno di umori dall’odore pungente. Avrebbe dovuto bruciare il materasso.

Erano passati otto giorni da quando aveva picchiato un amico con un mattarello per preservarsi la verginità. E in un momento imprecisato di quegli otto giorni aveva telefonato a quello stesso amico per implorarlo di prenderlo senza pietà.

Stupido e incoerente.

Si fece una doccia, anche se non riusciva a togliersi l’odore di sesso dalla pelle, e mangiò da solo un chilo di peperoni. Infine buttò giù due pastiglie di inibitori con un bicchiere d’acqua. Giurò a se stesso che non li avrebbe mai più dimenticati, cascasse il mondo.

Greg venne a trovarlo nel primo pomeriggio.

«Finalmente ne sei uscito»

«Credevo di morire» brontolò Blue masticando un gambo di sedano.

«Non ti sembra di esagerare?»

«No».

Greg bevve un sorso di caffè e mise una mano in tasca. «Te l’ho tenuto in carica e ho deviato le chiamate. Nessuno saprà dove sei stato nell’ultima settimana» disse porgendogli il telefonino. «Si era crepato lo schermo quando l’hai buttato contro il muro, ma l’ho fatto sostituire».

«Ah, grazie». Il ragazzo diede uno sguardo veloce alle chiamate perse.

Ci fu una pausa in cui Blue spense il telefono e mangiucchiò le foglie del sedano. «Potrei avere un’idea per una canzone» disse sovrappensiero. «Sul calore». Arrossì.

Greg non si scompose. «Fammela avere, non possiamo parlarne in modo così astratto». Si alzò e si sistemò la cravatta. «Però l’idea potrebbe funzionare. In questo momento l’opinione pubblica ti vede come un provocatore, quindi puoi anche giocare su argomenti considerati tabù». Gli fece l’occhiolino e se ne andò senza salutare.

Blue restò seduto a fissare la porta. Gli stava davvero lasciando libertà di scelta? Sorrise. Per il momento era il caso di cavalcare l’onda della provocazione.

Fischiettando, si preparò un tè e si accoccolò sul divano con il taccuino e la chitarra per lavorare alla canzone. Si sentiva bene, carico e pieno di voglia di fare.

 

Last thing I remember is

The look in your eyes

As my head goes insane

No one will know, we can do it every way.

 

Blue strappò il foglio e lo gettò lontano, con le guance che andavano a fuoco. Non poteva scrivere una cosa del genere. O forse sì? Riprese in mano la matita.

 

Let’s get to it, baby, lay me on the floor

No today, no tomorrow, just give me some more

My body’s on fire

My heart’s going to explode

Touch me, fill me, give me a load

 

Sorrise. Era più divertente del previsto.

 

No, I don’t love you, I really don’t care

It’s just sex, with anyone and anywhere

My body’s screaming, killin’ me just the way I like it

It’s sinkin’ inside, claws my heart and bites it

 

Ci stava prendendo la mano. Cercava di essere più specifico possibile, senza metafore troppo complesse, descriveva solo la febbre sensuale che lo aveva divorato nell’ultima settimana. Buttò giù qualche altra riga, poi la cancellò e la riscrisse. Strappò il foglio e lo gettò alle sue spalle. Ricominciò da capo, recuperò i vecchi fogli, li modificò e più tardi li buttò via di nuovo.

 

This heat of my body is driving me mad

Knot me, baby

It’s so good to be bad

 

Avrebbe dovuto rivederla da capo, ma gli abbozzi c’erano.

Il campanello trillò, facendolo sobbalzare. Scocciato, Blue andò a controllare allo spioncino.

Maledizione, Roy Callaway.

Si era ripromesso di non rivederlo mai più, di dimenticare tutto quello che era successo.

Roy suonò ancora. «Blue?» chiamò.

Non rispose.

«Lo so che sei in casa» disse Roy. «Le serrande sono alzate».

Il ragazzo si batté una mano sulla fronte e mise la mano sulla maniglia. Si era comportato male con lui, lo aveva baciato a tradimento e trascinato in un disastro mediatico, lo aveva baciato di nuovo in preda al calore e poi gli aveva spaccato la faccia a mattarellate e dopo lo aveva chiamato quando non riusciva più a sopportare il calore. Era stato pessimo, eppure eccolo di nuovo sul suo patio, con quel sorrisetto ironico e un grosso livido sulla mascella. E probabilmente sarebbe anche stato gentile e questo avrebbe fatto stare Blue ancora peggio.

Però non meritava un trattamento simile, non poteva lasciarlo là fuori. Doveva chiarire le cose una volta per tutte e chiudere quella storia. Aprì la porta.

«Finalmente» commentò Roy con un mezzo sorriso.

Blue non riusciva a guardarlo negli occhi. «Senti, volevo scusarmi per...».

Il ragazzo alzò una mano per fermarlo. «Non dirlo neanche. Non era colpa tua, era il calore a parlare».

Con un sospiro, Blue fece un passo indietro. «Non volevo chiederti scusa solo per quello».

Roy piegò la testa di lato, interrogativo.

«Scusami per tutto. Tutto quello che è successo finora, da quel bacio alla festa in poi. Anche per la botta».

La risata di Roy gli fece alzare la testa. «Non devi chiedere perdono per niente, erano sciocchezze». Si massaggiò la mascella. «Quanto a questa, me la sono anche andata a cercare. Saresti un ottimo battitore, sai?».

Nonostante tutto, Blue si lasciò trasportare dalle risa.

«Posso entrare?» chiese infine Roy.

Blue annuì e si fece da parte. «Volevi qualcosa?»

«Solo sapere se avevi ancora intenzione di parlarmi dopo che ti ho quasi marchiato».

Il ragazzo contrasse i muscoli del collo. «Non fa niente, neanche tu eri cosciente di quello che facevi».

Roy mosse un passo verso di lui, così furono faccia a faccia. Era più alto di Blue di minimo venti centimetri. «In realtà, vorrei chiederti una cosa». Gli prese le mani. «Blue Allen, vorresti uscire con me?».

Blue sbiancò. «Come, scusa?»

«Esci con me. Voglio che tu sia il mio ragazzo»

«Ma se ci conosciamo appena!» esclamò ritraendosi.

«E allora?». Roy parlava piano, tenendo gli occhi fissi nei suoi. «Tu mi piaci. Non ti sto chiedendo di sposarmi e nessuno ci costringe a restare insieme per sempre. Senza contare che siamo stati abbastanza intimi nell’ultimo mese».

Blue avvampò. «Ecco, dimenticati qualsiasi episodio legato al mio calore! Ho ricominciato a prendere gli inibitori». Si morse la guancia. Voleva essere chiaro, ma temeva che Roy non capisse. Abbassò lo sguardo. «E poi una relazione con me sarebbe troppo strana. Vedi, io...». Si strinse nelle spalle. O la va o la spacca. «Non mi piace il sesso. Non mi interessa, anzi, la sola idea mi dà quasi la nausea. Non posso farcela, scusami» sputò tutto d’un fiato.

L’aveva detto. Per la prima volta aveva parlato della sua asessualità a qualcuno. Roy lo fissava con un’espressione indecifrabile. Blue aspettava che scoppiasse a ridere o che lo compatisse o che pensasse che ci fosse qualcosa di sbagliato in lui. Non sapeva quale delle tre opzioni lo avrebbe ferito di più.

Sentì una mano sulla spalla. «Se avessi voluto stare con te solo per il sesso, ti avrei raggiunto quando mi hai telefonato gemendo e dicendo che mi volevi».

Blue alzò la testa di scatto. Roy sorrideva.

Una morsa di rabbia gli serrò lo stomaco. «Non prendermi in giro». Si girò, dandogli le spalle, e incrociò le braccia al petto.

Lo sentì sospirare. «Certo che sei cocciuto. Io non voglio stare con te perché sei un Omega. Io non sono innamorato di un Omega, sono innamorato di Blue. Io ammiro la tua passione e la tua grinta. E se per stare con te dovrò prendere colpi di mattarello tutti i giorni, allora avrò le ossa rotte e ne sarò felice».

Tacque. Forse si aspettava una risposta, ma non la ottenne. Blue rimase immobile. Poi sentì qualcosa di caldo appoggiarsi sulle sue spalle: le braccia di Roy. Non lo stringeva, come se volesse lasciargli la possibilità di allontanarsi. Blue non lo fece. Soffocò un singhiozzo, si girò e si buttò contro Roy, lasciandosi andare in un pianto dirotto. Lui non si ritrasse, non disse nulla, lo strinse tra le braccia e gli accarezzò i capelli. Blue alzò la testa e tirò a se il viso di Roy.

Aveva ceduto. Questa volta sul serio.

 

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«Ben ritrovati a Vite Da Milioni Di Dollari, sono Candice Miller di nuovo in diretta con Blue».

Alcune cose non cambiavano mai. Candice Miller ne era un esempio. I miracoli del botox.

Blue invece si sentiva un altro. «È un piacere essere di nuovo qui» sorrise.

«Dimmi, Blue. Il tuo singolo ‘Heat’ è in cima alle classifiche. Sbaglio o avevi detto di prendere inibitori? Cosa ti ha spinto a scrivere una canzone così scandalosa?»

«Errori di calcolo» rispose Blue enigmatico. «Distrazione e problemi di memoria».

Candice alzò un sopracciglio, confusa. Il suo momento di dubbio però durò giusto il tempo di cambiare argomento. «Sembra che tu stia smentendo molte delle cose che hai detto alla tua ultima visita. A tal proposito, tutti parlano della tua relazione con Roy Callaway. Tra una canzone che parla di calore e un Alfa nella tua vita, rischi di venire considerato un ipocrita».

Blue non aspettava altro che quell’occasione. Puntò gli occhi dritti in quelli della donna. «Sai, Candice, fino a poco tempo fa odiavo essere un Omega: siamo spesso trattati come oggetti; ci considerano inferiori perché siamo più deboli e minuti; ci stereotipano come sottomessi e fragili. Credevo che per farci valere dovessimo diventare migliori degli Alfa, smettere di essere dei burattini nelle loro mani, ma mi sbagliavo. Ciò di cui abbiamo bisogno è la consapevolezza di essere importanti come persone, di valere tanto quanto chiunque altro. E anche in una relazione dobbiamo pretendere il rispetto che si deve a un compagno, senza lasciarci sottomettere». Prese un respiro profondo. «Essermi innamorato di un Alfa non mi rende un ipocrita. Non sono stato marchiato e vengo trattato come so di meritare, come un ragazzo con una dignità. Roy mi considera un suo pari, non un oggetto». Rivolse a Candice un sorriso smagliante.

Dietro le quinte, Greg alzò il pollice.

Quando poi si ritrovarono nella limousine, il cellulare di Blue squillò.

«Pronto?»

«Chi ti ha detto che sei mio pari?». La voce di Roy era secca, ma un secondo dopo soffocò una risata.

Blue ghignò. «Hai visto lo show?»

«Non mi perdo niente che ti riguardi, dovresti saperlo»

«Lo so, lo so. Come va sul set?»

«Sono in pausa, ma tra un secondo dovrò lanciarmi da un aereo e poi vedermela in un corpo a corpo con tre scagnozzi vestiti con tutine di spandex»

«Tutto da solo?»

«Certo che no. Quando starò per soccombere, la ragazzina di dieci anni che ho salvato tre scene fa accorrerà in mio aiuto rivelandomi di essere una spia russa e insieme li prenderemo a calci in culo e recupereremo la chiave per aprire la valigetta dove è chiuso un tesoro maya che in realtà è un ordigno nucleare».

Blue tamburellò con le dita sulla portiera. «Posso dirtela una cosa?»

«Spara»

«Mi sembra una gigantesca cazzata»

«Almeno qualcuno la pensa come me» ridacchiò Roy.

Anche Blue rise. «Quando torni?»

«Se tutto va bene, giovedì. In tempo per il tuo compleanno. Ora vado, la pausa è finita»

«Oh, allora ciao»

«Ti amo».

Roy riattaccò prima che Blue potesse rispondere.

Greg scosse la testa con un sorriso di compatimento.

Blue guardò fuori dal finestrino e sorrise.

  
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