Capitolo
24: UN NUOVO INZIO... DI NUOVO
Amalia avanzò verso di loro, gli occhi
puntati
sul Visionario. Parve ignorare completamente la presenza di Rachel.
«Tu... schifoso, lurido,
bastardo» sibilò
Komand’r, parandosi di fronte a Jeff, scrutandolo con odio.
«Ho atteso questo
momento dal primo istante in cui mi sono ritrovata di fronte la tua
grossa
faccia da culo.» Sollevò la pistola,
puntandogliela al capo. «Ora sei mio.»
Joseph si tirò a sedere a stento,
appoggiandosi
contro il muro. Tossì un paio di volte, gemendo di dolore.
«Suppongo... che la
ruota giri per tutti, prima o poi...»
«Supponi bene.» Amalia
spostò la mira e fece
fuoco, colpendolo allo stomaco. L’esplosione del proiettile
fu devastante, e lo
fu ancora di più l’urlo disumano di dolore che
fece il Visionario. Joseph gettò
il capo all’indietro, premendosi una mano sulla grossa ferita
all’addome. Tossì
nuovamente, questa volta con molta più insistenza.
Piegò il capo e sputò a
terra un grumo di sangue, poi strizzò le palpebre. Si
drizzò di nuovo,
boccheggiando rumorosamente, mugugnando di dolore.
«Allora, com’è avere
un proiettile nello
stomaco? Fa male?» lo canzonò Amalia, con voce
carica di collera.
Dreamer riuscì lentamente a riprendersi.
Inspirò
ed espirò un paio di volte, poi sogghignò.
Perfino di fronte alla sua stessa
fine, trovò il coraggio di sfoderare quel maledetto ghigno.
La cosa,
naturalmente, non piacque per nulla ad Amalia. «Che hai da
sorridere, bastardo?!»
«Niente» boccheggiò
lui, senza mutare
minimamente la sua espressione. «Avanti, premi il grilletto e
facciamola
finita.»
«Con piacere.»
«Ne sei davvero sicura,
Amalia?» si intromise
all’improvviso Rachel, osservandola severa in volto. Non
aveva alcuna
intenzione di impedire alla mora di fare ciò che voleva
fare, voleva solamente
sapere la risposta a quella domanda. «Sei disposta... ad
abbassarti al suo
livello? Lo sai che... uccidendolo, lui non
tornerà?»
Komand’r chiuse le palpebre, sospirando.
Si
voltò verso di lei, guardandola dritta negli occhi. Ora non
sembrava più
arrabbiata, non con lei, almeno. Era solamente, profondamente, triste.
«Lo so.
Ma non mi importa. Questo bastardo non merita di vivere, e io non ho
paura di
sporcarmi le mani. Questa storia deve avere una fine e quella fine
voglio
sancirla io.»
«D’accordo» convenne
Rachel, con un cenno del
capo. «È una tua scelta, dopotutto.»
«Solo una cosa»
borbottò Dreamer, acquistando
l’attenzione di entrambe. «Prima di andare, volevo
solo... fare un’ultima
domanda a Rachel.»
Amalia scoccò un’occhiata alla
corvina,
inarcando un sopracciglio. Rachel, la prima ad essere stupita,
annuì con
incertezza. «Cosa vuoi?»
Jeff ridacchiò sommessamente, come se la
cosa lo
avesse fatto profondamente felice. Come se, anche in quel momento, la
situazione fosse in mano sua. «Dimmi, cara Rachel, sei
consapevole del fatto
che...» sollevò lo sguardo, piazzandolo sulle
pupille di lei. Quell’occhiata
improvvisa la fece trasalire. «... tutto ciò che
è successo fino ad oggi a te,
ai tuoi amici, tutto quello per cui sei stata costretta a combattere...
è stato
proprio per causa tua?»
Corvina dischiuse le labbra, colta in
contropiede da quell’affermazione. «Co...
cosa?»
Un’altra risata provenne dalla gola di
Jeff. «Dovresti...
vedere la tua espressione.»
«Basta giochetti, bastardo!»
esclamò Amalia,
sferrandogli un calcio e colpendolo proprio all’addome.
Dreamer si piegò in
due, facendo un verso soffocato. Sputò altro sangue, ma la
risatina non ci mise
molto a tornare.
«I tuoi... poteri, Rachel...»
ansimò ancora lui,
cercando di risollevarsi. «I tuoi poteri... e di conseguenza
tu... siete la
causa di tutto.»
Joseph riuscì a guardare di nuovo Rachel
negli
occhi. «A causa... dei tuoi poteri... hai portato molta
cattiva gente sulle tue
tracce. Me incluso. E i tuoi amici, standoti vicino... sono rimasti
coinvolti.
Se tu... non avessi avuto i tuoi poteri, noi non... ci saremmo mai
incontrati.
E non avresti mai avuto a che fare con Deathstroke... e i suoi segugi.
«Tara non sarebbe stata rapita... Ryan
non
sarebbe morto... nessuno dei tuoi amici si sarebbe fatto del male.
Per... tutto
questo tempo, tu hai... hai combattuto a testa alta le disgrazie che...
che ti
sono capitate, tuttavia eri inconsapevole del ...del fatto che la
calamita che
attraeva queste su di te... eri proprio tu.
«Più resterai accanto ai tuoi
amici... più loro
saranno in pericolo. Non faranno altro che... trasformarsi in vittime
innocenti, continuando ad avere a... a che fare con te. Per te la
felicità è...
essere sempre in compagnia delle persone che ami... vivere serena
insieme a
loro... beh, sappi che... che fino a quando avrai i tuoi poteri... non
riuscirai mai, mai, a
raggiungerla.»
Dreamer chiuse gli occhi, sorridendo
un’ultima
volta. «Mi avete sconfitto... io sto... per morire... ma se
non altro... me ne
andrò senza alcun rimpianto. Tu, voi,
invece... continuerete a vivere nel lutto... nell’angoscia...
nella sofferenza.
Perciò, dimmi, cara Rachel...» Il Visionario
riaprì gli occhi di scatto. «...
chi ha vinto, oggi? Voi due? Io non... credo proprio.»
Per tutto il tempo, Rachel era rimasta ad
ascoltarlo come in trance. Ogni frase, ogni parola, ogni sillaba erano
state
come uno schiaffo. Nonostante fossero usciti dalla bocca di un pazzo,
nonostante
questo pazzo fosse ad un passo da quel baratro oscuro che era la morte,
nonostante tutto, l’avevano lasciata atterrita. E la cosa
peggiore di tutte...
era che erano vere.
Lei, o meglio, i suoi poteri, ma sì,
comunque
lei, era la causa di tutto quanto. Il rapimento di Tara, la morte di
Ryan, i
proiettili che si era beccata Amalia, perfino la pugnalata che si era
preso
Lucas al braccio erano avvenuti a causa sua. Indirettamente, certo, ma
comunque
era stata lei a dare origine a tutto.
Dreamer l’aveva fatta rapire
perché lei era la
Demone di Empire City e si era ritrovata nel pieno mezzo di una
battaglia tra
bande. Se non avesse avuto i poteri, probabilmente la guerra tra gli
Underdog e
i Visionari non l’avrebbe nemmeno sfiorata. Probabilmente
nemmeno sarebbe mai arrivata
a Sub City!
Nessuno l’avrebbe cercata, nessuno le
avrebbe
parlato, nessuno l’avrebbe notata. Nessuno avrebbe sofferto
per causa sua, nessuno
di sarebbe fatto del male.
Per tutto quel tempo lei aveva agito con il solo
e unico scopo di proteggere sé stessa e i suoi amici, quando
in realtà... i
suoi amici andavano protetti proprio da lei. O meglio, da tutte quelle
persone
spietate che si sarebbero messe sulle sue tracce.
«Hai finito adesso, checca?» Il
tono di voce
scocciato di Amalia la riportò alla realtà. La
mora osservava con sguardo truce
il Visionario, e non Rachel, come se tutte quelle parole le fossero
scivolate
addosso senza nemmeno toccarla.
«Sì, ho finito.»
«Bene.» Komand’r
sollevò la pistola. «Mi
divertirò un mondo a dare il tuo cadavere in pasto ai
cani.»
Dreamer aprì la bocca per replicare, ma
da essa
non poté uscire alcun suono. Amalia premette il grilletto,
aprendogli un buco
in piena fronte. Schizzi di sangue e sostanze organiche non meglio
definite
imbrattarono il muro alle sue spalle, dopodiché il
Visionario si riversò sul
suolo, con ancora la bocca aperta e gli occhi spalancati.
Accadde tutto in un lampo. Prima era lì,
ora non
c’era più.
La sua morte fu molto meno spettacolare di
quanto ci si sarebbe potuti aspettare, dopo tutto ciò che
lui aveva fatto e
causato.
Vedere il suo corpo privo di vita lasciò
un
profondo senso di vuoto e amarezza dentro di Rachel. Fino a quel
momento non
aveva voluto altro che vedere il Visionario venire punito per
ciò che aveva
fatto, ma adesso, alla luce di tutto ciò che egli aveva
detto, tutto quello non
le faceva né caldo né freddo. La morte di Joseph
non cambiò nulla.
Perché il problema, alla fine, non era
lui. Era
lei.
Non seppe dire quanto tempo passò ad
osservare
quel corpo privo di vita riverso sul suolo. Probabilmente sarebbe
rimasta lì
per delle ore, se solo Amalia non avesse rotto il silenzio
all’improvviso.
«Non sono mai...»
cominciò a dire, con un filo
di voce. «... nemmeno riuscita a dirgli perché mi
sono comportata così con lui,
in passato...»
Rachel trasalì. Batté le
palpebre un paio di
volte, confusa. «Di... di chi parli?»
«Ryan» sussurrò
ancora Komand’r, per poi chinare
il capo. «È morto... odiandomi fino alla fine...
senza nemmeno sapere... il
perché del mio comportamento...»
Singhiozzò, stringendo i pugni. «Io non... non
mi aspettavo certo che mi perdonasse... però... era giusto
che sapesse. Glielo
dovevo... era... la minima cosa che potevo fare per fargli capire che
mi
dispiaceva... che mi dispiaceva davvero. Non l’ho mai detto a
nessuno... né a
Kori, né ai miei genitori... volevo... dirlo almeno a
lui...»
Corvina dischiuse le labbra. Amalia
continuò a
parlare, senza che lei dicesse nulla.
«È che... io... io sono... e
Kori, lei era...
era così... così bella, e io non... non riuscivo
ad accettarlo, e...» La mora
si interruppe di colpo, singhiozzando nuovamente. Drizzò lo
sguardo, osservando
Rachel con i suoi occhi viola prossimi alle lacrime, colmi di
disperazione. «Cosa
c’è di sbagliato in me?! Perché proprio
io?! Perché proprio per... per Kori...?»
Ci volle diverso tempo, prima che Rachel
riuscisse a capire di cosa diamine stesse parlando la mora. E quando
capì, in
parte si pentì di averlo fatto.
Eppure... ora le fu tutto chiaro. Il suo strano
comportamento così poco femminile, il modo che aveva di
rispondere a Lucas e
alle provocazioni, il modo con cui si era sempre approcciata a Tara...
le
parole di Dreamer quando lei lo aveva preso in ostaggio in quegli
stessi
sotterranei...
La storia che Ryan le aveva raccontato, lei che
evitava i suoi fratelli come la peste, i suoi profondi rimpianti nei
confronti
di Kori. Tutto combaciava.
Amalia non era semplicemente stressata. O
meglio, non solo.
«Komi...» mormorò
Rachel, incapace di fare
altro. Probabilmente lei era la prima persona in assoluto con cui la
sorella di
Ryan si era confidata. E la cosa la fece sentire profondamente a
disagio.
Per tutta risposta, Komand’r si strinse
nelle
spalle e gemette di nuovo. «Non mi bastava essere diversa,
dovevo proprio...
proprio...»
«Basta così, Komi»
pronunciò Corvina,
avvicinandosi a lei. Le posò una mano sulla spalla e
incrociò il suo sguardo. «Non
devi rimproverarti per ciò che sei. Non hai scelto tu di
essere così. È
successo e basta.»
«E... e allora... cosa dovrei
fare?» domandò la
ragazza mora, quasi supplicandola con lo sguardo. «Non posso
fare finta di
niente... ci ho già provato, e le cose non hanno fatto altro
che peggiorare.
Non posso... continuare a vivere in una menzogna...»
Corvina sospirò. «Hai
ragione... non puoi. Devi
solo imparare a conviverci. Devi... accettare la cosa... e fare
ciò che ritieni
sia giusto per te. E...» In quel momento, Rachel
realizzò che non stava
parlando solo ad Amalia. Stava parlando anche a sé stessa.
«... devi fare anche
ciò che... è corretto nei confronti degli
altri.»
Komand’r si morse un labbro, rimuginando
su
quelle parole. Infine, annuì lentamente, con un sospiro. E,
senza dire altro,
abbracciò la corvina. «Grazie, Rachel... e...
scusa, per come mi sono
comportata con te.»
«Non preoccuparti.» La conduit
ricambiò
l’abbraccio, dandole qualche pacca di incoraggiamento sulla
schiena. «Me lo
sono meritato.»
Scese il silenzio. Rimasero entrambe ferme,
abbracciate, ognuna sicuramente impegnata con i propri travagli
interiori.
«Che cavolo è successo
qui?» Una voce improvvisa
riportò entrambe le ragazze alla realtà. Si
separarono e videro due persone
avanzare verso di loro, in mezzo al marasma generale di Visionari privi
di
sensi e fori di proiettili: Lucas e Tara. Rachel non si
stupì della loro
presenza; anche loro dovevano arrivare, prima o poi.
«Ragazze! Tutto ok?»
domandò proprio la bionda,
accelerando il passo.
«Sì, stiamo bene»
rispose Amalia, voltandosi per
ripulirsi gli occhi dalle lacrime. Indicò poi Dreamer con un
cenno del capo. «A
differenza di qualcun altro.»
Tara si fermò di scatto, spalancando le
palpebre.
Parve inorridire di fronte a quella vista.
«Dannazione...»
commentò Lucas. «... mi sono
perso lo spettacolo.»
La Markov spostò lo sguardo su di lui,
osservandolo scioccata.
Rosso sollevò le spalle. «Che
c’è? Mi stava sul
culo...»
«Beh... se non altro adesso è
finita...» rispose
la bionda, lasciando perdere con un sospiro.
«Sì... sì
è così» convenne Amalia, lentamente,
per poi guardare Rachel. «È finita.»
Si allontanò dalla corvina,
avvicinandosi ai due
nuovi arrivati. Poi, con enorme stupore di Corvina,
abbracciò entrambi. Disse
loro qualcosa a bassa voce, probabilmente delle scuse. Per tutta
risposta, i
due ragazzi ricambiarono la sua stretta.
Un piccolo sorriso si accese sulle labbra della
conduit, poi realizzò che, prima di andare, doveva ancora
fare una cosa.
Distolse l’attenzione dai tre amici e si avvicinò
ad uno dei Visionari svenuti,
più precisamente, alla donna bionda.
«Svegliati» sbottò,
dandole un calcetto al
fianco. Un gemito arrivò in risposta, al che la corvina si
infuriò ancora di
più. «SVEGLIATI!» Le diede un calcio
più forte, facendola gridare e girare su
un fianco.
La Visionaria spalancò gli occhi, per
poi
osservarla quasi con timore. Rachel si inginocchiò accanto a
lei. Un po’ si sentiva
in colpa per quelle sue maniere così brusche, alla fine
anche quella donna era
stata ingannata, ma si sforzò di ignorare questi particolari
quando le spiegò
la situazione: «Avvisa i tuoi amici che Deathstroke
è morto e che per tutto
questo tempo Dreamer si è preso gioco di voi.»
«C-Cosa?» rantolò la
donna, ma Rachel si era già
rialzata.
«Hai sentito.» E senza dire
altro, la ragazza
ritornò dai suoi compagni.
Si allontanò da quel salone insieme a
loro,
augurandosi di non doverci mai più mettere piede e sperando
anche che il tempo
cancellasse i ricordi che aveva ad esso legati.
Per tutto il tempo, Rachel non fece altro che
ripensare alle parole di Dreamer, nonché a quelle che lei
stessa aveva detto ad
Amalia. Non sapeva ancora cosa fare in proposito, sapeva solo che,
qualunque
decisione avesse preso, non sarebbe più tornata indietro.
***
«Amalia e Tara?»
domandò Rachel entrando nella
sala relax con il suo zainetto.
«Stanno salutando Ryan» rispose
Lucas, ficcando
le ultime provviste che si erano salvate dall’attacco degli
UDG nel suo
borsone. La corvina lo osservò, pensierosa. Fino a quel
giorno, non aveva
desiderato altro che quel momento. Poter fare le valigie e partire da
Sub City,
insieme ai suoi nuovi amici. Ma in quel momento, alla luce di quanto
successo
recentemente... quel pensiero non la attraeva più di tanto.
Tuttavia, Rachel si mise comunque accanto al
partner per imitarlo. Afferrò il suo zainetto e lo
aprì, per poi cercare di
fare spazio tra i vestiti e infilarci in mezzo qualche barattolo.
Dopo qualche minuto, però, si
fermò, valutando
se approfittare di quel momento per dire a Lucas che cosa la stesse
tormentando. Doveva assolutamente parlare con qualcuno di
ciò che era successo
qualche ora prima con Dreamer.
Amalia era con lei quando il Visionario le aveva
detto tutte quelle cose, quindi forse era la scelta più
giusta, ma lei non
sembrava aver davvero sentito le parole che egli aveva rivolto a
Rachel. Tara,
invece... Corvina dubitava di avere con lei un rapporto abbastanza
saldo da
permetterle di confidarle una cosa del genere.
Lucas era senza ombra di dubbio la scelta
migliore.
«Ascolta, Lucas, posso... posso chiederti
una
cosa?»
Un mugugno di assenso provenne dal ragazzo,
mentre era chinato sul suo borsone. «È successo
qualcosa di grave?» domandò,
sollevando lo sguardo.
«Beh...
più o meno.»
Corvina inspirò profondamente, poi
cominciò a
spiegare. Raccontò tutto quanto, senza freni, dal momento in
cui lei e Dreamer
si erano incontrati in quel salone fino a quando lui non era spirato
dopo il
proiettile di Amalia. Non sapeva bene quale reazione aspettarsi da
Lucas una
volta che lui avesse udito tutto ciò, e quel quesito dovette
attendere un bel
po’ per trovare una risposta, visto che, per tutto il tempo,
il suo partner la
ascoltò con espressione indecifrabile.
L’unica cosa che permise a Rachel di
capire che
aveva acquistato la sua totale attenzione, fu il fatto che il moro non
scollò
più gli occhi da lei. La cosa, in parte, la fece sentire a
disagio.
Infine,
concluse il racconto. «E quindi... vorrei sentire la tua
opinione in proposito.»
«Mh...» Lucas
incrociò le braccia, sospirando
pesantemente dal naso. Distolse per un breve momento lo sguardo da lei,
per poi
chiudere gli occhi. «Ti stai facendo dei problemi per niente,
Rachel. Dreamer
era uno psicopatico, non c’è motivo per cui tu
debba essere così ossessionata
dalle sue parole. Il suo era solo un bieco tentativo di renderti
più insicura
di quanto tu non sia già. E devo dire che ci è
riuscito, a giudicare da come ti
comporti.»
«Quindi secondo te non aveva ragione,
giusto?»
Rachel non riuscì a trattenere vene di irritazione piuttosto
accentuate nel suo
tono di voce. «Secondo te, se non fossi stata una conduit, ci
avrebbero rapito
comunque, giusto? E Ryan sarebbe morto, e Tara...»
«Non sto dicendo questo» la
interruppe lui,
serio in volto. «Sto solo dicendo che Dreamer era un verme a
cui piaceva
torturare psicologicamente le persone, cosa che ha fatto anche con te.
Non devi
dargli retta, o impazzirai proprio com’è successo
a lui.»
«Sì, ma lui... aveva
comunque...»
«Dannazione, Rachel!» Lucas si
alzò in piedi di
scatto, per poco rovesciando il borsone. «Perché
diavolo hai chiesto il mio
parere se nemmeno mi stai ascoltando? Non è colpa tua!
Niente di quello che è
successo è colpa tua! Sei stata tu a chiedere a Dreamer di
rapirti? Sei stata
tu a ficcarti in mezzo a questa guerra tra bande?»
Rosso si inginocchiò di nuovo,
osservandola
dritto negli occhi. «Sei stata tu... a chiedere di diventare
una conduit?»
Rachel resse lo sguardo. Uno strano brivido le
percorse la spina dorsale. Non seppe spiegarselo.
«No...» mormorò infine,
chinando il capo. «... non ho chiesto io tutto questo... io
volevo solo...
essere felice...»
«E lo sarai.» Lucas le
posò una mano sulla
spalla. Corvina sollevò di nuovo la testa, sentì
le guance pizzicare.
«Ma come...?»
domandò. «Come farò ad esserlo...
se voi sarete in pericolo? Io... non posso reprimere i miei poteri per
sempre.
Loro usciranno nel posto sbagliato al momento sbagliato e ci metteranno
tutti
in pericolo. Io non voglio che accada. Questa volta è
toccato a Ryan, la
prossima... potrebbe toccare ad Amalia, o a Tara, o... a... a te. Io
non voglio
che qualcuno si faccia male per colpa mia.»
«E Tara, allora? Anche lei ha i poteri,
l’hai
dimenticato? Il discorso dovrebbe valere anche per lei, quindi. E poi
sono
stato io a far incazzare gli UDG la prima volta, ricordi? Quindi
è stata anche
colpa mia. Oppure...»
«Ho detto per colpa mia,
Rosso!» esclamò Rachel
all’improvviso, stringendo i pugni. «Non mi
interessa di quello che farete voi,
non mi interessa di sapere se Tara attirerà attenzioni o no
per colpa dei suoi
poteri, io sto solo dicendo che non voglio che altro sangue innocente
macchi la
mia coscienza! Ryan è
stato
abbastanza, per me, non potrei sopportare di essere la responsabile,
diretta o
meno, di un'altra morte ingiusta!
«È vero, non ho scelto io di
avere i poteri, non
ho scelto io di trovarmi in questa situazione, ma ormai è
successo! E non posso
fare finta di niente, non posso proprio! Dannazione, fino a ieri
nemmeno sapevo
di essere in grado di cancellare i poteri degli altri conduit! Il mio
corpo è
un incognita perfino per me! Non so mai cosa fare, come comportarmi,
non so mai
quando potrò davvero contare sui miei poteri oppure no!
Wilson avrebbe potuto
ucciderci tutti quanti, per colpa mia!»
«Non
posso credere a ciò che sto ascoltando»
commentò Lucas scuotendo la testa.
«E io non posso credere che la persona di
cui mi
fido di più in assoluto mi stia dicendo di ignorare
semplicemente tutto ciò che
è successo!» esclamò lei, alzandosi in
piedi.
«Quindi preferisci dare retta ad uno
psicopatico
che ormai è schiattato piuttosto che alla persona di cui ti
fidi di più in
assoluto?» Rosso la imitò, alzandosi a sua volta.
«Beh, forse sì»
replicò la corvina. «Visto che, che
ti piaccia o no, lo psicopatico aveva ragione.»
«E allora cosa vorresti fare? Vuoi
andartene?»
«Forse sì»
ripeté lei, sostenendo il suo sguardo
dal basso senza alcun timore.
Per tutta risposta, Lucas distese un braccio,
volgendolo verso la porta. «Va bene allora. Conosci la
strada.»
«Mi stai sfidando per caso?»
domandò la conduit,
serrando la mascella.
«No. Voglio solo vedere fino a che punto
può
spingersi la tua stupidità.»
Quella frase fu una pugnalata al cuore per
Rachel. E, sicuramente, fu la classica goccia che fece traboccare il
vaso. «Bene
allora. Osserva questa stupida che un tempo ti chiamava amico
allontanarsi.»
Distolse lo sguardo da lui. La vista le si
appannò e sentì gli occhi inumidirsi, e si
sentì una vera idiota per questo.
Diede le spalle all’ormai ex partner e si diresse alla porta
senza nemmeno
prendersi lo zainetto. Non si voltò, non disse una parola. E
nemmeno Lucas la
chiamò.
Anche quando uscì dalla stanza,
riuscì a
percepire gli occhi di lui piantati sulla sua schiena.
***
Faceva freddo. Tanto, tanto freddo. Si era alzato
il vento, accompagnato da una di quelle odiose brezze invernali da far
accapponare la pelle.
Rachel si strinse nella felpa e si mise il
cappuccio in testa, ma non servì a nulla. Il freddo
continuò a pungerle il volto.
Fece una smorfia e si allontanò dal
portone, dirigendosi
verso il retro del magazzino, al grosso foro nella recinzione. Non era
affatto
in vena di volare, aveva bisogno di camminare e di schiarirsi le idee.
Sentì lo stomaco in subbuglio, mentre
camminava.
Lei, quella che fino a quel giorno più di tutti aveva
premuto sul fatto che il
gruppo restasse unito, ora se ne stava andando, e nemmeno nel migliore
dei
modi.
Aveva litigato con Lucas e non aveva nemmeno
reso partecipi Tara e Amalia della sua decisione. Nemmeno si era
fermata a
salutarle, né loro, né Ryan. Provò
vergogna, imbarazzo e pensò che quella sua
scelta fosse anche piuttosto codarda. Andarsene in quel modo non era
certo il
modo migliore per aggirare i suoi problemi. Ma, come già si
era detta, non
sarebbe più tornata indietro.
Fino a quando avrebbe avuto i suoi poteri,
sarebbe stata un pericolo sia per sé stessa che per gli
altri, sia in maniera
diretta che non. Non sapeva ancora cosa fare o dove andare con
esattezza,
sapeva solo che sarebbe rimasta sola fino a quando non avrebbe trovato
una
soluzione.
Poi, forse, sarebbe ritornata. Ammesso e
concesso che sarebbe riuscita a ritrovare i suoi amici.
«Deve esserci un’altra
soluzione, Amalia» disse
una voce all’improvviso, facendola trasalire. Era quella di
Tara.
«No invece. Non
c’è.» Questa era Amalia. «Non
posso continuare in questo modo.»
Rachel si fermò. Entrambe le voci
arrivavano
proprio dal luogo in cui era diretta lei.
«Amalia, per favore...»
Corvina si avvicinò lentamente,
inarcando un sopracciglio.
Arrivò fino al bordo del magazzino, poi si sporse
leggermente dal muro. Di
fronte al foro della recinzione vide le due ragazze, una di fronte
all’altra.
Sembrava quasi che la loro discussione stesse andando avanti da un
po’. Amalia
era avvolta nel suo giaccone, e aveva il borsone a tracolla.
Posò proprio in quel momento una mano
sulla
spalla di Tara, la quale sembrava prossima alle lacrime.
«Questo non è più
posto per me, Tara. Mi dispiace. Devo... rimanere da sola... per
pensare.»
«Ti prego, Am...»
Komand’r la interruppe, abbracciandola
con
forza. Dopo un attimo di sorpresa, Tara piegò la testa e
pianse sulla sua
spalla.
«Non te ne andare...»
«Devo. È la cosa giusta da
fare. Sia per me, che
per voi.»
Rachel sgranò gli occhi. Quelle erano le
sue parole...
Amalia, no.
Anche tu no.
Naturalmente, Komand’r non la
sentì. Si separò
dall’abbraccio, sciogliendosi lentamente dalla ragazza
bionda, poi le prese il
mento. Sorrise tristemente. «Non piangere Tara.
Così rovini il tuo bel faccino.»
Tara ridacchiò tra le lacrime, dandole
una
leggera spintarella. «Dacci un taglio...»
Amalia sogghignò, tuttavia la tristezza
nel suo
sguardo era più che evidente. Si allontanò dalla
bionda di qualche passo.
«Non sei costretta a farlo»
mormorò ancora la
neo conduit. «Nessuno di noi ti giudicherà per
quello che sei, dovresti
saperlo.»
«Che intendi dire, scusa?»
domandò Komi,
sorpresa.
La ragazza bionda incrociò le braccia,
guardandola con aria di sufficienza. «Ti prego. Se vuoi posso
fare una foto al
mio sedere e regalartela direttamente, almeno non ti verrà
più il torcicollo...»
Komand’r arrossì vistosamente.
Fu una scena
quasi irreale. Rimase in silenzio per un attimo, chiaramente
imbarazzata, ma
alla fine chinò il capo e si lasciò andare in una
tenue risata. «Sono proprio
irrecuperabile, vero?»
«Un pochino, sì»
convenne Tara, ridacchiando a
sua volta.
«Beh... in tal caso, vi ringrazio per la
comprensione» proseguì Amalia, tornando seria.
«Ma tu non conosci davvero la
verità... credimi, è meglio così.
Ho... bisogno di restare da sola, per capire
che cosa voglio davvero. Mi dispiace, davvero, ma non vedo altre
soluzioni.»
La Markov non sembrava ancora molto convinta, ma
poi si limitò ad annuire. «Va bene allora... se
vuoi farlo io non posso certo
impedirtelo... sappi solo che qui avrai sempre una famiglia ad
attenderti. Spero
di rincontrarti, un giorno o l’altro.»
«Lo spero anch’io. Stammi bene,
biondina.»
«Stammi bene, Komi.»
E senza aggiungere altro, Komand’r si
voltò e cominciò
a correre. Passò oltre la recinzione e svanì
dalla visuale. Se n’era andata
anche lei.
Pochi istanti dopo, Tara piegò il capo e
cominciò a piangere di nuovo, ma questa volta, senza nessuno
in grado di
consolarla, si lasciò andare completamente. Rachel la
osservò, combattuta. Fu
quasi tentata di andare lei stessa a consolarla, ma poi ci
ripensò. Non avrebbe
dovuto assistere a quella scena, non avrebbe nemmeno dovuto trovarsi
ancora lì.
Il gruppo si era sfasciato molto più di
quanto
credesse, ed era colpa sua. Lei era l’ultima persona in grado
di consolare
Tara.
Inspirò profondamente,
ricacciò le lacrime che
erano salite durante l’addio di Amalia e si fece coraggio.
Lasciò perdere
l’idea di camminare e si trasformò.
Si allontanò dal magazzino fino a quando
questo
non diventò una macchia indistinta in mezzo alla miriade di
palazzi attorno a
lei.
***
Camminava sul marciapiede, testa bassa e
rinchiusa nel cappuccio, ignorando tutte le persone attorno a lei.
Chissà se
queste sapevano di essere libere, ormai. Di certo, lei non aveva
intenzione di
mettersi a sbandierarlo ai quattro venti.
Prima o poi i cittadini di Sub City lo avrebbero
capito, e non era nemmeno detto che se ne sarebbero andati per davvero,
con
Underdog e Visionari fuori dai piedi. Alla fine, Wilson aveva fatto un
discreto
lavoro. Sub City era una città relativamente tranquilla e
con un corpo di
sicurezza adeguato probabilmente sarebbe diventata molto più
vivibile.
Lei stessa avrebbe potuto rimanere in quella
città, se solo non avesse legato ad essa fin troppi brutti
momenti. Momenti che
non erano nemmeno poi così distanti.
Avrebbe potuto lasciare la metropoli e magari
dirigersi verso ovest, a cercare quella comunità di cui Jade
le aveva parlato,
ma c’era tempo anche per quello. Ormai poteva fare qualunque
cosa avesse
voluto, andare in qualunque luogo, senza dover tenere conto di niente e
nessuno.
Tutto era finito come era iniziato, con lei che
camminava per una città senza una meta ben precisa, da sola,
senza più un amico
e con mille rammarichi.
Se non altro, almeno, era indipendente.
L’unica
nota positiva presente in quel lunghissimo percorso solitario che era
stata la
sua vita.
Alzò lo sguardo. Il Diner era
lì, dall’altro
lato della strada, uguale a come lo aveva lasciato la prima volta che
lo aveva
visto, con Lucas, solamente due giorni prima. Sentì le
proprie viscere
contorcersi a quella vista. Non sapeva perché era tornata
proprio in quella
strada, ora che ci pensava. Aveva agito quasi in automatico, forse
perché lei e
Rosso erano capitati di fronte a quella tavola calda proprio in quella
che, di
fatto, era stata la loro ultimissima perlustrazione come partner.
Sospirò e scacciò quei
pensieri. Non c’era più
tempo per essere nostalgici.
Girò l’angolo, abbassando di
nuovo lo sguardo, e
andò a sbattere contro qualcuno. «Mi
scusi...» biascicò, indietreggiando
imbarazzata.
«Tranquilla, cose che capitano.»
Rachel sgranò gli occhi. Quella voce si
conficcò
nella sua testa come la punta di una lancia. Era da tempo che non la
sentiva,
ma non avrebbe mai potuto dimenticarla.
Sollevò lo sguardo, interdetta.
«Tu...»
sussurrò, incapace di pensare.
«Finalmente ci rincontriamo, vero
Rachel?»
domandò Dominick, sfoderando un sorrisetto arrogante da far
invidia a tutti
quelli che lei aveva visto sino a quel giorno.
«Che... che cosa vuoi da me?»
domandò ancora lei.
Indietreggiò ancora di scatto, finendo con lo sbattere
contro un altro
individuo.
«Accidenti Rachel, perché non
fai un po’ di
attenzione a dove metti i piedi?»
Corvina pietrificò. No...
anche lui no...
Si voltò, per poi sbiancare alla vista
di Kevin.
Il ragazzo sorrise, al pari del suo socio. «Come va,
bellezza?»
Per un momento Rachel non ci capì
più nulla.
Rimase imbambolata, ad osservare prima l’uno e poi
l’altro, il cervello che
rifiutava di collaborare con lei, le parole che continuavano a morirle
in gola.
Tuttavia, poi, rimase concentrata sui sorrisetti di entrambi. E a quel
punto
realizzò che era stanca di farsi prendere in giro.
La sua espressione mutò drasticamente e
strinse
i pugni, scrutando il capo della banda con odio. «Vi avverto,
esco da un momento
alquanto turbolento, quindi se non volete ritrovarvi con il sedere
preso a
calci fino al confine della città, farete meglio a dirmi che
cosa diavolo
volete da me una volta per tutte!»
«Wow, non ti ricordavo così
esplosiva, sai?»
replicò Dominick, per nulla intimorito.
Ridacchiò, poi si fece un po’ più
serio. Le posò una mano sulla spalla, per poi accennare con
il braccio al
marciapiede su cui le persone continuavano a marciare ignorandoli
completamente. «Camminiamo un po’. Vuoi?»
Rachel esitò. Non sapeva affatto cosa
stesse
succedendo, ma non le piaceva per niente. Si voltò verso di
Kevin, il quale,
senza levarsi dalla faccia il suo maledetto sorriso, la
invitò con un cenno del
capo ad accettare la proposta.
Corvina fece una smorfia, poi tornò a
guardare Dominick.
«Hai cinque minuti.»
«Me li farò bastare.»
Cominciarono a camminare. Dom e Rachel rimasero
fianco a fianco, mentre Kevin, alle loro spalle, sembrava quasi volersi
accertare che tutto quanto procedesse senza intoppi.
Arrivarono quasi all’incrocio successivo,
prima
che il castano decidesse di prendere la parola. «Innanzi
tutto, permettimi di
ringraziarti.»
«Per cosa?» Rachel
inarcò un sopracciglio,
guardandolo.
«Per esserti sbarazzata di Deathstroke e
Dreamer.»
«Ah.» La conduit
riportò lo sguardo sul
marciapiede, poi scrollò le spalle. «Non sono
stata io ad ucciderli.»
«Tu hai comunque permesso che
ciò accadesse.»
«Sì,
beh,
io non ne vado molto fiera.»
«Poco importa.» Dominick si
voltò verso di lei,
scoccandole un’occhiata complice. «Mi hai comunque
fatto un gran favore.»
«Dacci un taglio, Dominick. Chi sei
veramente?
Che cosa vuoi davvero da me?»
Lui ridacchiò. «Accidenti,
vuoi andare dritta al
punto, eh?»
«Hai ancora quattro minuti»
ribatté lei,
freddamente.
«Va bene, va bene.» Dom
alzò le mani in segno di
resa. «Ho capito. Non hai tempo da perdere.
Allora...» Il castano si fece serio
all’improvviso. Un pugno in un occhio, dopo averlo visto con
quella sua aria da
menefreghista perennemente incollata sulla faccia.
«... cosa penseresti... se ti dicessi che
posso
aiutarti con il tuo problema?»
Rachel sussultò. «Q-Quale
problema?»
«Non fare la finta tonta, Rachel. Sei
stata tu a
voler andare dritta al sodo, e io ti ho accontentata. Sai benissimo di
quale
problema sto parlando. Lo stesso problema che ti ha spinta a separarti
dai tuoi
amici.»
Lo stupore di Corvina tornò ben presto
ad essere
indignazione. Un’altra cosa di cui era stanca, era che
chiunque sembrava sapere
quasi meglio di lei cosa le stesse succedendo.
«Si può sapere come fai a
saperlo?» Rachel si
voltò verso di Kevin, per scoccargli un’occhiata
incendiaria. «Te l’ha detto
Fido?»
Per tutta risposta, il ragazzo sollevò
il dito
medio.
«No, non è stato
lui» rispose intanto Dominick,
con calma. «Ti spiegherò tutto a suo tempo, puoi
stare tranquilla, ma adesso
devi rispondere alla mia domanda.»
Rachel fece scorrere lo sguardo da Kevin a Dom,
non sapendo nemmeno più con chi dei due doveva essere
arrabbiata. «Certo, sì,
vuoi aiutarmi. Mi hai spiata per tutto questo tempo, ma vuoi aiutarmi.
Va bene.
E come vorresti fare, di grazia?»
Dominick ignorò bellamente il chiaro
sarcasmo
con cui lei pronunciò quella frase. Essendo pure lui
decisamente più alto della
ragazza, chinò il capo per osservarla meglio con i suoi
occhi castani. Non
sembrava essere mai stato così serio. «Io posso
cancellarti i poteri» disse,
tutto ad un fiato.
Un fulmine a ciel sereno. Ecco cosa sembrarono
quelle parole alle orecchie di Rachel.
«Tu... tu ne sei in grado?»
domandò lei,
sbigottita. «Ma... ma allora anche tu sei un...
un...»
Lui la zittì posandole
l’indice sulle labbra,
cosa che la scandalizzò a dir poco. Dom, invece, parve non
essere minimamente
imbarazzato. «Tu non sopporti più i tuoi poteri,
ho ragione?» proseguì,
allontanando infine il dito. «Ritieni che siano la causa di
tutto e che senza
di loro potrai finalmente vivere in pace. Vero?»
«I-Io...» Corvina
esitò. Fino ad un’ora prima
avrebbe risposto di sì senza esitazioni. Aveva tentato
perfino lei stessa di
cancellarsi i poteri, visto che, a quanto pareva, ne era capace, ma
ovviamente
non c’era riuscita. Sicuramente, le due volte che era
capitato aveva agito di
istinto, probabilmente i poteri avevano assecondato le emozioni provate
durante
l’urgenza di quei momenti e quindi avevano fatto tutto da
soli.
Di conseguenza, lei non sarebbe mai riuscita a
cancellare i poteri di sua spontanea volontà, né
a sé stessa, né a nessun
altro. Non subito, almeno. Le sarebbe servito parecchio tempo, mesi,
forse
perfino anni, per riuscire a capire come fare. Un po’ come
aveva fatto con
tutte le sue altre capacità.
Tuttavia, nonostante le si fosse appena
presentata di fronte quella possibilità che tanto cercava,
stentava a credere
che non ci fosse qualcosa di sbagliato sotto.
«Naturalmente è una tua
scelta» precisò
Dominick, abbassando le braccia e tornando serio. «Io non
voglio certo
obbligarti ad accettare.»
«Ma perché vuoi
farlo?» domandò ancora la
ragazza. «Perché vorresti... aiutarmi? Qual
è il tuo obiettivo?»
«Io
sono
solo uno spettatore» spiegò lui, abbozzando un
altro sorriso. «Non ho nessun
obiettivo in particolare. Ti ho vista nei guai, e ho deciso di
aiutarti. Tutto qui.»
«Perdonami, ma fatico a
crederci» ribatté la
corvina, con freddezza. «Nessuno fa qualcosa per qualcuno in
cambio di niente. Non
al giorno d’oggi. Tu hai un secondo fine, ne sono
sicura.»
Dopo quell’affermazione, Dominick
sospirò. «D’accordo
allora, facciamo così.» Il castano le
posò una mano sulla spalla, poi accennò con
il capo ad una macchina parcheggiata sul ciglio della strada.
«Permettimi di
darti un passaggio fino alla mia umile dimora per offrirti un
caffè. Nel
frattempo potremo discutere con più calma, e dopo potrai
decidere se accettare
o no la mia proposta. E se rifiuterai, allora ti lascerò
andare con la promessa
di non importunarti mai più. Che ne dici?»
Rachel rimase in silenzio per un istante, a
riflettere su quelle parole. Qualcosa le suggeriva di non fidarsi
davvero di
quelle parole, tuttavia lo sguardo di Dominick sembrava davvero
sincero.
«Io un caffè lo
accetterei» suggerì Kevin, alle
sue spalle. «Soprattutto quando è quel braccino
corto di fronte a te ad
offrirlo. Un’occasione più unica che
rara.»
«Così mi offendi,
Kev.»
Corvina guardò prima l’uno poi
l’altro, con un
sopracciglio sollevato. Non riusciva a capire se la loro
tranquillità fosse
reale oppure solo apparente. Il campanello di allarme nella sua mente
continuava ancora a dare dei cenni di vita, tuttavia... un
caffè poteva concederselo.
Era passata un’eternità da quando ne aveva bevuto
uno degno di questo nome.
Doveva inoltre riflettere sulla proposta di Dom.
Nonostante tutto, un po’ ne era rimasta intrigata. Essere
finalmente libera dei
suoi poteri... quasi un sogno che diventava realtà. Lei non
li aveva mai voluti
e non aveva fatto altro che generare del male con essi, a discapito di
ciò che
aveva sempre creduto. L’unico motivo per il quale era
riuscita a convivere con
loro era il pensiero di poterci fare del bene, cosa che invece si era,
sì,
avverata, ma al contrario.
E in ogni caso, se la situazione avesse
cominciato a farsi più scomoda del dovuto, non avrebbe
esitato un solo istante
ad alzare i tacchi. Dominick aveva detto che non l’avrebbe
fermata, e lei
voleva credergli. Se invece si fosse opposto, beh... allora
l’avrebbe costretta
a fare dell’altro male, questa volta intenzionale, con i suoi
poteri.
«Va bene» asserì
infine. «Andiamo pure a questa
umile dimora.»
«Ottimo» rispose il castano,
sorridendo cordiale.
«Kev, vuoi avere tu l’onore di
scarrozzarci?»
Eccomi,
eccomi, ce l’ho fatta. Incredibile ma vero.
Ok,
ammetto che è stato un capitolo un po’ troppo...
frettoloso. Ma ho tante cose
da fare, e il tempo scarseggia un pochettino ultimamente. Ho deciso di
condensare un po’ le cose. Tanto, alla fine, non
c’è più bisogno di allungare
il brodo. Sapete tutto quello che avete bisogno di sapere, e quelle
poche cose
ancora non chiare verranno chiarite nei prossimi capitoli.
Spero
che questa parte vi
sia comunque piaciuta,
personalmente, sono contento di aver finalmente fatto riapparire Kevin
e
Dominick e di aver finalmente chiarito il passato di Amalia. Ecco, a
proposito
di quest’ultima cosa... si, beh, insomma, chiunque al suo
posto avrebbe un
tantino perso la testa, no? Spero che questa rivelazione non vi abbia
scioccati
troppo.
Poi,
ammetto che forse anche Rachel ha un tantino esagerato, decidendo di
scappare,
però, siate onesti, pensavate davvero che sarebbe rimasta
fino alla fine con i
suoi amici, pur sapendo di essere una minaccia per loro? Io dico di no.
Ora
altre domande troveranno finalmente risposte. Siamo alle fasi finali
della
storia ragazzuoli miei, ormai non manca molto. Spero di riuscire a
finire per
la fine del mese prossimo, massimo massimo ad agosto.
La
verità sta per venire a galla. Stay tuned ragazzi, stay
tuned.
Alla
prossima!