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Autore: Ambaraba    22/06/2016    2 recensioni
Cosa accadrebbe se i personaggi che ben conosciamo si muovessero in un mondo in cui non ci sono creature a cui dare la caccia, ma ugualmente pericolose? E se gli angeli fossero robot? E se i fratelli Winchester fossero i capi di un manipolo di esseri umani che lottano per la libertà e Metatron fosse l'artefice di una dittatura in un mondo futuristico?
E se qualcuno, caduto dal cielo per sbaglio, venisse a salvarli?
(Piccola rivisitazione fantascientifica sulla nona stagione.)
Genere: Azione, Guerra, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Gadreel, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro, Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 8 - Destiel

    Cari lettori e care lettrici,
questa volta l
'aggiornamento con i nuovi capitoli arriva un pochino in ritardo rispetto al solito... Vi chiedo scusa! Quest'ultima settimana è stata densa di avvenimenti – e non sono stati tutti piacevoli, purtroppo. Per questa ragione non ho avuto né il tempo – né lo stato d'animo giusto, - per poter scrivere.
    Tuttavia, leggere le bellissime recensioni che avete lasciato a questa storia mi ha spinto a riprenderla al pi
ù presto, per non deludere l'affetto e la partecipazione con cui la state seguendo e che ancora, lo ammetto, mi sorprende. Riprenderò a lavorarci con il ritmo consueto, per ringraziarvi dell'attenzione che le state dedicando :)
    Da ultimo, vorrei approfittare di questo spazio per salutare e incoraggiare tutti coloro che in questo periodo sono sotto esame e cercano un po
' di svago leggendo/scrivendo le ff qui sul sito... Se state leggendo questa, vi faccio un enorme in bocca al lupo ;) Spero di farvi una buona compagnia tra una prova e l'altra...!
Detto questo, vi auguro buona lettura e ci sentiamo alla prossima!
    A. ;)

CAPITOLO OTTO.


    Le stelle lampeggiano come piccoli cuori pulsanti.
Castiel ama la sala del Planetario. Lo adora, con tutto sé stesso – nonostante Dean si ostini a mettere in dubbio questa sua capacità. Ma Castiel ama, si arrabbia e a volte soffre... Come tutti. Ed è per questo che osserva gli astri, quando qualcosa non va.
Loro, almeno, non lo giudicano.
    Prima o poi se ne farà una ragione. Già...
Sono le parole che l'andoride ha detto a Sam, prima di andarsene, per confortarlo. Ma, in verità, lui stesso non riesce a crederci fino in fondo.
Ci sono cose su cui Dean non cambierà mai idea: Castiel lo conosce troppo bene per potersi illudere del contrario. Vorrebbe possedere la chiave, riuscire a rapportarsi con Dean come se appartenessero alla stessa specie... Dirgli che lo ama senza doversi sentire, poi, costantemente sotto esame. Ma non accadrà mai.
    Perché uno è figlio della natura e l'altro della tecnica: e sembra che non vi sia alcuna possibilità di un futuro comune, tra creature tanto differenti.


    Un estraneo.
È tanto, troppo tempo che Dean non si guarda allo specchio. E ora, a distanza di settimane, mesi – forse anni? -, quello che vede riflesso è il volto di qualcuno che non conosce.
    Con il volto ancora umido d'acqua e le mani poggiate sul bordo del lavandino, l'uomo si guarda negli occhi e si rende improvvisamente conto che una parte di sé stesso è andata perduta per sempre. Quel ragazzo buono, giocherellone, spensierato - quello che non dormiva con la pistola sotto il cuscino, quello che riusciva ad
amare, senza riserve... Non c'è più.
Dean ricorda di essere stato molto diverso, una volta... Ma è un ricordo così lontano e disgregato che sembra appartenere alla memoria di un'altra persona – sembra un sogno, l'immagine ricostruita di qualcosa che non ha vissuto, ma che gli è stato solo raccontato.
    La guerra lo ha cambiato. Soltanto ora Dean riesce a vederlo chiaramente.

Le responsabilità, le perdite, i dolori e le difficoltà... Lo hanno trasformato, segnato, rimodellato. Lo hanno schiacciato e demolito; e, anche se si è rimesso in piedi ogni volta, Dean sa che ognuno di quegli avvenimenti ha modificato la sua testa, la sua anima, il suo cuore in maniera significativa.
La violenza, la necessità di fare del male, l'istinto di sopravvivenza... Si sono insediati nel suo dna, lo hanno corrotto e irreversibilmente mutato, come dei virus. E ora... Ora, alcune parti di lui non esistono più. Si sono rotte, e non c'è verso di ripararle. E i residui di umanità che gli sono rimasti, ultimi superstiti, traballano e si logorano, un giorno alla volta - fino al momento in cui si autodistruggeranno del tutto. È questo che succede, quando sei il capo.
    L'uomo che Dean è oggi, - l'uomo che lo guarda fisso attraverso lo specchio, - è duro, sicuro di sé, forte... Una roccia. È un comandante. Anzi: è il comandante, Dean. È colui a cui tutti si rivolgono in caso di bisogno, è quello dal quale tutti si aspettano una soluzione quando le cose si mettono male. Quello che prende tutte le decisioni... Quello che non può mai mostrarsi debole, quello che non può mai esitare. Non può, non deve... Altrimenti, tutto crolla.
Dunque, non lo fa.
    Non c'è mai una tregua, per Dean. Mai un attimo per riprendere fiato; solo il tempo appena necessario per ficcare tutti i pensieri in un angolo, ingoiare la dose quotidiana di veleno, e andare avanti. A testa alta, a denti stretti... Con i pugni chiusi. Come avrebbe voluto suo padre.
Come fa un vero guerriero.
    Ma reprimere tutto questo ha un prezzo. Gli scatti di rabbia, il costante senso d'allerta e il peso delle responsabilità... Lo stanno avvelenando, a poco a poco – con una lenta e dolorosa ostinazione. E, per ogni giorno in più che passa in questo modo, Dean sente che sta perdendo sé stesso.
Forse, la sua parte migliore.
    L'immagine sul vetro è quella di un uomo dagli occhi verdi, bellissimi e fieri come quelli di un animale selvatico. È l'immagine di un uomo che ha troppa paura di perdere per poter amare... Ma che ha un bisogno lancinante, viscerale, incontenibile di essere amato. Di uscire dall'apnea, di essere libero, di poter essere anche debole, quando vuole... Di tornare ad essere umano.
    Un pensiero attraversa la mente di Dean. Un volto, due occhi azzurri... Un nome.
Lui
è la sua unica possibilità di non morire del tutto. Lui è l'unico in grado di tenere accesa quella parte di lui che vuole amare, che vuole vivere... Lui, un amore sintetico, una creatura perfetta, figlio di un mondo che sta perdendo sé stesso... Lui, Castiel.
    Dean si sente sempre diviso a metà, quando è con lui. Desideroso di amare... Ma incapace di lasciarsi andare del tutto.
Castiel è importante. Castiel è tutto ciò di cui ha bisogno, adesso.
Deve chiedergli scusa.
    Sempre che sia ancora in tempo,
pensa Dean, spazzando via col palmo della mano le goccioline di condensa sul vetro appannato.


    La sala del Planetario è immensa. È semicircolare, come un anfiteatro moderno, con grossi banchi, disposti su gradini discendenti, - che ricordano quelli di un auditorium o dell'aula di un'università – sistemati in modo da mostrare a tutti le meraviglie del cielo, replicate sui muri quando il proiettore è in funzione.
    Sul lungo tavolo in fondo alla sala è distesa una mappa del cielo luminosa, mentre uno schermo verticale mostra le immagini provenienti dall'enorme telescopio che, abilmente camuffato, attraversa metri e metri di terra fino a sbucare in superficie - ed è costantemente puntato sulle stelle. Puntato su quella purezza, quell'ordine e quella quiete che sulla Terra sono ormai andate perdute... Ma che una parte di Castiel ricorda con nostalgia e desidera ardentemente recuperare.

    Dean si ferma ad osservarlo, in silenzio, con le mani affondate nelle tasche. Sapeva di trovarlo lì.
L'uomo resta in piedi sui gradini più alti, studiando da lontano la figura chiara e snella dell'altro, seduto di spalle, appoggiato al grosso tavolo e intento a seguire, con una mano, i contorni delle galassie e delle costellazioni. Le luci sono quasi tutte spente, e quelle poche che ci sono emettono un chiarore soffuso che invita alla quiete e alla riflessione. Esse risplendono il nero profondo dei capelli di Castiel, il candore della sua pelle... E ancora una volta Dean non può fare a meno di pensare che sì... È dannatamente bello.
    Castiel è la creatura più perfetta che un uomo possa desiderare di avere accanto... E lui, come uno stupido, non fa altro che litigarci e trattarlo male. Forse è proprio per questo, pensa Dean: perché è troppo perfetto. Castiel è troppo, per uno come lui; e, ogni volta che lo guarda, Dean si rende conto di avere a che fare con una creatura immensamente superiore a lui.
    Il soldato prende un respiro. I pochi passi, i pochi gradini che li dividono, sono insormontabili... Ma deve trovare il coraggio di attraversarli. Per dimostrare a sé stesso - e a Castiel - di non essere un vigliacco.
    «Cas...»
    Castiel non ha bisogno di vederlo, per sapere che Dean è lì con lui. Lo sente sempre in anticipo, quando gli sta vicino - come un sesto senso che si attiva soltanto per lui, un istinto che riconosce solo e soltanto lui.
Castiel sentirebbe Dean anche in mezzo a mille, ad occhi chiusi... Lo ritroverebbe anche se fossero soli e persi, alla deriva tra quelle galassie di cui l'androide traccia pigramente la fisionomia con i polpastrelli.
    Il movimento delle dita si blocca, quando l'uomo chiama il suo nome. Castiel si volta.
Dean è lì, di fronte a lui, - come sbagliarsi? - ed ha in volto esattamente quell'espressione che Castiel ha immaginato, prima ancora di vederla. Lo sguardo dritto e fiero, ma il capo leggermete inclinato da un lato... E le labbra rosee, piene, - così belle e maschili, - appena appena increspate da un lieve accenno di rammarico. Dean non è lì per litigare, non è lì perche è arrabbiato... Anzi.
È molto probabile che sia lì proprio per chiedere scusa.
    «Dean.»
Questo è tutto ciò che Castiel riesce a dire. È ancora un po' offeso per la discussione che hanno avuto, ed è confuso. Molto spesso l'androide non riesce a capire ciò che l'altro pensa - e questa sua incapacità brucia, brucia come l'inferno. Castiel si sente in colpa, per questo. Vorrebbe essere umano – anche soltanto un pochino, - per poter capire meglio le sfumature dietro agli atteggiamenti dell'uomo che ama... Forse, così riuscirebbe a comprenderlo meglio. Ma i comportamenti di Dean sono così contraddittori, a volte, che Castiel dà la colpa a sé stesso perché non riesce a capirli. Pensa di non essere all'altezza, pensa che forse Dean ha ragione, che sono troppo diversi... Che una macchina non potrà mai amare, e che nessun uomo potrà mai amare una macchina. Castiel vorrebbe smentirlo, dimostrargli che si sbaglia... Ma come può riuscirci, se lui per primo è consapevole dei propri limiti? La mente e il cuore di Dean, per lui, sono un territorio selvatico, imprevedibile e misterioso... Ma, per qualche strana ragione, nessuna delle difficoltà che incontra, quando prova a dialogare con lui, sembra in grado di contrastare questa--- Questa cosa... Questo strano sentimento che lo spinge a restare accanto all'uomo, a camminare al suo fianco, sostenendolo e adoperandosi per il suo bene, senza pretendere nulla in cambio.
    Dean tiene gli occhi verdi puntati su di lui, con una dolcezza stanca che emerge soltanto in rare, rarissime occasioni. Si schiarisce leggermente la voce, in imbarazzo, prima di parlare.
    «Ho detto ai ragazzi che restano di armarsi... Questa notte andremo in missione di recupero.»
    «Ma... Avevi detto che non ce ne sarebbe stata nessuna, o sbaglio?»
La sorpresa si fa quasi tangibile, negli occhi di Castiel.
    «Ho cambiato idea.»
Dean socchiude gli occhi per un attimo, poi cerca di nuovo il contatto con lo sguardo di Castiel. Non sembra molto a suo agio, però.
    «Hai ragione tu, Cas. I tuoi compagni hanno tutto il diritto di essere salvati, perché ormai sono anche i nostri compagni... E se ho esitato a farlo, non l'ho fatto perché sono androidi o perché penso che non valga la pena recuperarli, anche se mi rendo conto di averti dato modo di pensarlo...», ammette, ancora con le mani ficcate giù nelle tasche della pesante giacca militare. «È solo che non volevo rischiare di peggiorare la situazione. Ma poi ci ho pensato bene, e ho capito che non possiamo tirarci indietro.»
    Il tono del soldato cambia. Lo sguardo fiero è quello che Castiel è abituato a conoscere e a rispettare.
    «Non importa quanti siamo: nessuno di noi può tirarsi indietro.»
Castiel non dice niente, mentre l'uomo muove un passo in avanti verso di lui, senza smettere di guardarlo negli occhi. L'androide lo osserva e basta, incapace di predire cosa farà.
Il verde profondo e cupo di Dean, così da vicino, risplende di pagliuzze dorate, e si muove inquieto sul volto dell'altro – come se volesse impararlo a memoria, come se volesse registrare ogni minimo particolare di quel viso fino a imprimerselo nell'anima... O volesse cercarne una, sotto tutti quei circuiti.
    «Se anche rimanessimo in venti, in dieci, o in cinque...» Le mani del soldato sono libere, adesso, e si intrecciano a quelle dell'androide. «Se anche rimanessimo soltanto in due... » Ora anche il suo volto è vicinissimo. Castiel è teso, il suo sistema non riesce a processare la situazione con chiarezza – Dean ha il potere di confonderlo, di stracciare i suoi pensieri e trasformarli in un unico, incomprensibile impulso – quello di unirsi a lui, di premere le labbra sulle sue e restare così per sempre. Dean lascia salire la propria mano ad accarezzargli una guancia, mentre continua a parlare.
    «... Continueremo a combattere, fino alla fine. Perché è la cosa giusta...»
Castiel vorrebbe dire qualcosa, ma le parole non gli escono. Cosa potrebbe dire, comunque? Non riesce a pensare, non riesce ad articolare neanche un suono... Tutta la sua attenzione è rivolta su quell'uomo bellissimo e tormentato che sta parlando con lui... Che sta cercando il suo affetto.
    Entrambe le mani di Dean sono posate sul suo volto. Il soldato posa la fronte contro quella dell'androide, le loro ciglia quasi si sfiorano.
    «... E io sono stato uno stronzo.»
    Per qualche istante restano così, a scrutarsi vicendevolmente il fondo dell'anima, in silenzio. Le luci fioche del Planetario brillano negli occhi verdi di Dean, che così nella penombra sembrano diventati quasi neri, e rimbalzano come piccole pietre preziose nell'azzurro liquido di Castiel. Il quale, ancora sopraffatto dalla vicinanza e dal contatto con l'altro, ha bisogno di qualche istante per riprendere il controllo di sé stesso e poter dire, finalmente, qualcosa di sensato.
    «No, non lo sei. Sei solo stanco... E io avrei dovuto portare questo peso con te, invece di aggredirti.»
    Dean sorride appena, alle parole del robot.
Castiel... Sempre così accondiscendente, sempre così pronto a perdonarlo. Sempre così dolce, con lui... Con lui che a volte meriterebbe solo schiaffi.
    «Non importa. Io sto bene,» taglia corto il soldato, senza riuscire a smettere di sorridere. La sola presenza di Castiel basta a rilassarlo, soprattutto ora che sono riusciti a riavvicinarsi e ad appianare i contrasti. «Partiremo tra poche ore... Non si aspettano una risposta in tempi così brevi. Forse, così riusciremo a prenderli di sorpresa.»
    «
D'accordo.» Castiel annuisce, senza battere ciglio. «Se pensi che sia meglio agire subito, io ci sto.»
Annuisce anche Dean, lentamente, senza mai staccarsi da lui. Resta in silenzio per un po', studiando l'espressione aperta e fiduciosa dell'altro.
    «Perché ti fidi di me,»
dice il soldato, infine. Senza il punto interrogativo, perché non è una domanda... Ma solamente una constatazione.
    «Perché mi fido di te.» Castiel ripete le sue parole, ricambiando il sorriso, e Dean si sente sprofondare. Castiel lo ama davvero, si fida totalmente di lui... Come può metterlo ancora in dubbio, dopo tutto quello che hanno passato assieme? Non può deluderlo... Dovrebbe smettere di essere così controllato nei sentimenti – smettere di avere
paura.
Fare quel piccolo, insormontabile, necessario, disperato primo passo--
    «
Cas, senti... Ogni volta che usciamo non sappiamo se torneremo indietro, perciò non voglio lasciare nulla in sospeso--»
    Prima che Castiel abbia il tempo di dire o fare nulla, Dean è su di lui. L'uomo lo schiude e lo apre e lo bacia tenendolo stretto a sé, con un trasporto e una foga che a lungo sono rimasti sopiti sotto una pesante coltre di doveri e responsabilità, ma che adesso possono sfogare liberi - alimentati e trasformati dalle fiamme della tensione e del desiderio combattuto, dei sentimenti sovrapposti.
    Entrambi si stringono forte, senza separarsi mai neanche per un solo istante - le mani di uno vicendevolmente intrecciate tra i capelli dell'altro, o perse a sfiorare i fianchi attraverso le stoffe di magliette e camicie. Restano assieme per tutto il tempo che serve, finché ogni traccia di diffidenza o conflitto si dissipa, svanisce nei movimenti e si dilata nel contatto, fino a spegnersi.  

    «Pace?»
    «Pace.»

    Quando le loro labbra si separano, l'uomo e il robot restano comunque abbracciati per un tempo infinito. Una mano di Dean è teneramente posata dietro la nuca di Castiel, mentre le mani di quest'ultimo riposano sulle spalle dell'uomo.
    Il Planetario, misterioso e sconfinato acquario di corpi celesti e chiarori intermittenti, avvolge le due creature con il confortante silenzio dello spazio siderale. Ed è in quel silenzio assoluto che Dean, finalmente, si rende conto di quanto abbia bisogno di lui. 
    Quando è arrabbiato, quando si fa trascinare dalla collera o annebbiare dalla frustrazione, Castiel è l'unica ragione per cui si sforza di essere una persona migliore. Castiel gli ricorda cosa deve essere...
    ... Un essere umano.

  
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