Cari
lettori e care lettrici,
questa
volta l'aggiornamento
con i nuovi capitoli arriva un pochino in ritardo rispetto al
solito... Vi chiedo scusa! Quest'ultima settimana è
stata densa di avvenimenti – e non sono stati tutti piacevoli,
purtroppo. Per questa ragione non ho avuto né
il tempo – né
lo stato d'animo
giusto, - per poter scrivere.
Tuttavia,
leggere le bellissime recensioni che avete lasciato a questa storia
mi ha spinto a riprenderla al più
presto, per non deludere l'affetto
e la partecipazione con cui la state seguendo e che ancora, lo
ammetto, mi sorprende. Riprenderò a lavorarci con il ritmo consueto,
per ringraziarvi dell'attenzione che le state dedicando :)
Da
ultimo, vorrei approfittare di questo spazio per salutare e
incoraggiare tutti coloro che in questo periodo sono sotto esame e
cercano un po'
di svago leggendo/scrivendo le ff qui sul sito... Se state leggendo
questa, vi faccio un enorme in bocca al lupo ;) Spero di farvi una
buona compagnia tra una prova e l'altra...!
Detto
questo, vi auguro buona lettura e ci sentiamo alla prossima!
A. ;)
CAPITOLO OTTO.
Le
stelle lampeggiano come piccoli cuori pulsanti.
Castiel
ama la sala del Planetario. Lo adora, con tutto sé
stesso – nonostante Dean si ostini a mettere in dubbio questa sua
capacità. Ma Castiel ama, si arrabbia e a volte soffre... Come
tutti. Ed è per questo che
osserva gli astri, quando qualcosa non va.
Loro,
almeno, non lo giudicano.
Prima
o poi se ne farà una ragione. Già...
Sono
le parole che l'andoride ha
detto a Sam, prima di andarsene, per confortarlo. Ma, in verità, lui
stesso non riesce a crederci fino in fondo.
Ci
sono cose su cui Dean non cambierà mai idea: Castiel lo conosce
troppo bene per potersi illudere del contrario. Vorrebbe
possedere la chiave, riuscire a rapportarsi con Dean come se
appartenessero alla stessa specie... Dirgli che lo ama senza doversi
sentire, poi, costantemente sotto esame. Ma non accadrà mai.
Perché
uno è figlio della natura e l'altro della tecnica: e sembra che non
vi sia alcuna possibilità di un futuro comune, tra creature tanto
differenti.
Un
estraneo.
È
tanto, troppo tempo che Dean non si guarda allo specchio. E ora, a
distanza di settimane, mesi – forse
anni? -, quello che vede
riflesso è il volto di qualcuno che non conosce.
Con
il volto ancora umido d'acqua e le mani poggiate sul bordo del lavandino,
l'uomo si guarda negli occhi e si rende improvvisamente conto che una
parte di sé stesso è andata perduta per sempre. Quel ragazzo buono,
giocherellone, spensierato - quello che non dormiva con la pistola
sotto il cuscino, quello che riusciva ad amare,
senza riserve... Non c'è
più.
Dean
ricorda di essere stato molto diverso, una volta... Ma è un ricordo
così lontano e disgregato che sembra appartenere alla memoria di
un'altra persona – sembra un sogno, l'immagine ricostruita di
qualcosa che non ha vissuto, ma che gli è stato solo raccontato.
La
guerra lo ha cambiato. Soltanto ora Dean riesce a vederlo
chiaramente.
Le
responsabilità, le perdite, i dolori e le difficoltà... Lo hanno
trasformato, segnato, rimodellato. Lo hanno schiacciato e demolito;
e, anche se si è rimesso in piedi ogni volta, Dean sa che
ognuno di quegli avvenimenti ha modificato la sua testa, la sua
anima, il suo cuore in maniera significativa.
La
violenza, la necessità di fare del male, l'istinto di
sopravvivenza... Si sono insediati nel suo dna, lo hanno corrotto e
irreversibilmente mutato, come dei virus. E ora... Ora, alcune parti
di lui non esistono più. Si sono rotte, e non c'è verso di
ripararle. E i residui di umanità che gli sono rimasti, ultimi
superstiti, traballano e si logorano, un giorno alla volta - fino al
momento in cui si autodistruggeranno del tutto. È questo che
succede, quando sei il capo.
L'uomo
che Dean è oggi, - l'uomo che lo guarda fisso attraverso lo
specchio, - è duro, sicuro di sé, forte... Una roccia. È un
comandante. Anzi: è il comandante, Dean. È colui a cui tutti
si rivolgono in caso di bisogno, è quello dal quale tutti si
aspettano una soluzione quando le cose si mettono male. Quello che
prende tutte le decisioni... Quello che non può mai mostrarsi
debole, quello che non può mai esitare. Non può, non deve...
Altrimenti, tutto crolla.
Dunque,
non lo fa.
Non
c'è mai una tregua, per Dean. Mai un attimo per riprendere fiato;
solo il tempo appena necessario per ficcare tutti i pensieri in un
angolo, ingoiare la dose quotidiana di veleno, e andare avanti. A
testa alta, a denti stretti... Con i pugni chiusi. Come avrebbe
voluto suo padre.
Come
fa un vero guerriero.
Ma
reprimere tutto questo ha un prezzo. Gli scatti di rabbia, il
costante senso d'allerta e il peso delle responsabilità... Lo stanno
avvelenando, a poco a poco – con una lenta e dolorosa ostinazione.
E, per ogni giorno in più che passa in questo modo, Dean sente che
sta perdendo sé stesso.
Forse,
la sua parte migliore.
L'immagine
sul vetro è quella di un uomo dagli occhi verdi, bellissimi e fieri
come quelli di un animale selvatico. È l'immagine di un uomo che ha
troppa paura di perdere
per poter amare... Ma che ha un bisogno lancinante, viscerale,
incontenibile di essere amato. Di uscire dall'apnea, di essere
libero, di poter essere anche debole, quando vuole... Di tornare ad
essere umano.
Un
pensiero attraversa la mente di Dean. Un volto, due occhi azzurri...
Un nome.
Lui
è
la sua unica possibilità di non morire del tutto. Lui
è
l'unico
in grado di tenere accesa quella parte di lui che vuole amare, che
vuole vivere... Lui,
un amore sintetico, una creatura perfetta, figlio di un mondo che sta
perdendo sé
stesso... Lui,
Castiel.
Dean
si sente sempre diviso a metà, quando è con lui. Desideroso di
amare... Ma incapace di lasciarsi andare del tutto.
Castiel
è importante. Castiel è tutto ciò di cui ha bisogno, adesso.
Deve
chiedergli scusa.
Sempre
che sia ancora in tempo, pensa
Dean, spazzando via col palmo della mano le goccioline di condensa
sul vetro appannato.
La
sala del Planetario è immensa. È
semicircolare, come un anfiteatro moderno, con grossi banchi,
disposti su gradini discendenti, - che ricordano quelli di un
auditorium o dell'aula di un'università – sistemati in modo da
mostrare a tutti le meraviglie del cielo, replicate sui muri quando
il proiettore è in funzione.
Sul
lungo tavolo in fondo alla sala è distesa una mappa del cielo
luminosa, mentre uno schermo verticale mostra le immagini provenienti
dall'enorme telescopio che, abilmente camuffato, attraversa metri e
metri di terra fino a sbucare in superficie - ed è costantemente
puntato sulle stelle. Puntato su quella purezza, quell'ordine e
quella quiete che sulla Terra sono ormai andate perdute... Ma che una
parte di Castiel ricorda con nostalgia e desidera ardentemente
recuperare.
Dean
si ferma ad osservarlo, in silenzio, con le mani affondate nelle
tasche. Sapeva di trovarlo lì.
L'uomo
resta in piedi sui gradini più alti, studiando da lontano la figura
chiara e snella dell'altro, seduto di spalle, appoggiato al grosso
tavolo e intento a seguire, con una mano, i contorni delle galassie e
delle costellazioni. Le luci sono quasi tutte spente, e quelle poche
che ci sono emettono un chiarore soffuso che invita alla quiete e
alla riflessione. Esse risplendono il nero profondo dei capelli di
Castiel, il candore della sua pelle... E ancora una volta Dean non
può fare a meno di pensare che sì... È dannatamente bello.
Castiel
è la creatura più perfetta che un uomo possa desiderare di avere
accanto... E lui, come uno stupido, non fa altro che litigarci e
trattarlo male. Forse è proprio per questo, pensa Dean: perché è
troppo perfetto. Castiel è troppo, per uno come lui; e, ogni
volta che lo guarda, Dean si rende conto di avere a che fare con una
creatura immensamente superiore a lui.
Il
soldato prende un respiro. I pochi passi, i pochi gradini che li
dividono, sono insormontabili... Ma deve trovare il coraggio di
attraversarli. Per dimostrare a sé stesso - e a Castiel - di non
essere un vigliacco.
«Cas...»
Castiel
non ha bisogno di vederlo, per sapere che Dean è lì con lui. Lo
sente sempre in anticipo, quando gli sta vicino - come un sesto
senso che si attiva soltanto per lui, un istinto che riconosce
solo e soltanto lui.
Castiel
sentirebbe Dean anche in mezzo a mille, ad occhi chiusi... Lo
ritroverebbe anche se fossero soli e persi, alla deriva tra quelle
galassie di cui l'androide traccia pigramente la fisionomia con i
polpastrelli.
Il
movimento delle dita si blocca, quando l'uomo chiama il suo nome.
Castiel si volta.
Dean
è lì, di fronte a lui, - come sbagliarsi? - ed ha in volto
esattamente quell'espressione che Castiel ha immaginato, prima ancora
di vederla. Lo sguardo dritto e fiero, ma il capo leggermete
inclinato da un lato... E le labbra rosee, piene, - così belle e
maschili, - appena appena increspate da un lieve accenno di
rammarico. Dean non è lì per litigare, non è lì perche è
arrabbiato... Anzi.
È
molto probabile che sia lì proprio per chiedere scusa.
«Dean.»
Questo
è tutto ciò che Castiel riesce a dire. È ancora un po' offeso per
la discussione che hanno avuto, ed è confuso. Molto spesso
l'androide non riesce a capire ciò che l'altro pensa - e questa sua
incapacità brucia, brucia come l'inferno. Castiel si sente in colpa,
per questo. Vorrebbe essere umano – anche soltanto un pochino, -
per poter capire meglio le sfumature dietro agli atteggiamenti
dell'uomo che ama... Forse, così riuscirebbe a comprenderlo meglio.
Ma i comportamenti di Dean sono così contraddittori, a volte, che
Castiel dà la colpa a sé stesso perché non riesce a capirli. Pensa
di non essere all'altezza, pensa che forse Dean ha ragione, che sono
troppo diversi... Che una macchina non potrà mai amare, e che nessun
uomo potrà mai amare una macchina. Castiel vorrebbe smentirlo,
dimostrargli che si sbaglia... Ma come può riuscirci, se lui per
primo è consapevole dei propri limiti? La mente e il cuore di Dean,
per lui, sono un territorio selvatico, imprevedibile e misterioso...
Ma, per qualche strana ragione, nessuna delle difficoltà che
incontra, quando prova a dialogare con lui, sembra in grado di
contrastare questa--- Questa cosa... Questo strano sentimento
che lo spinge a restare accanto all'uomo, a camminare al suo
fianco, sostenendolo e adoperandosi per il suo bene, senza pretendere
nulla in cambio.
Dean
tiene gli occhi verdi puntati su di lui, con una dolcezza stanca che
emerge soltanto in rare, rarissime occasioni. Si schiarisce
leggermente la voce, in imbarazzo, prima di parlare.
«Ho
detto ai ragazzi che restano di armarsi... Questa notte andremo in
missione di recupero.»
«Ma...
Avevi detto che non ce ne sarebbe stata nessuna, o sbaglio?» La sorpresa si fa quasi tangibile, negli occhi di
Castiel.
«Ho
cambiato idea.»
Dean
socchiude gli occhi per un attimo, poi cerca di nuovo il contatto con
lo sguardo di Castiel. Non sembra molto a suo agio, però.
«Hai
ragione tu, Cas. I tuoi compagni hanno tutto il diritto di essere
salvati, perché ormai sono anche i nostri compagni... E se ho
esitato a farlo, non l'ho fatto perché sono androidi o perché penso
che non valga la pena recuperarli, anche se mi rendo conto di averti
dato modo di pensarlo...», ammette, ancora con le mani ficcate giù
nelle tasche della pesante giacca militare. «È solo che non volevo
rischiare di peggiorare la situazione. Ma poi ci ho pensato bene, e
ho capito che non possiamo tirarci indietro.»
Il
tono del soldato cambia. Lo sguardo fiero è quello che Castiel è
abituato a conoscere e a rispettare.
«Non
importa quanti siamo: nessuno di noi può tirarsi indietro.»
Castiel
non dice niente, mentre l'uomo muove un passo in avanti verso di lui,
senza smettere di guardarlo negli occhi. L'androide
lo osserva e basta, incapace di predire cosa farà.
Il
verde profondo e cupo di Dean, così da vicino, risplende di
pagliuzze dorate, e si muove inquieto sul volto dell'altro – come
se volesse impararlo a memoria, come se volesse registrare ogni
minimo particolare di quel viso fino a imprimerselo nell'anima...
O volesse cercarne una, sotto tutti quei circuiti.
«Se
anche rimanessimo in venti, in dieci, o in cinque...» Le mani del
soldato sono libere, adesso, e si intrecciano a quelle dell'androide.
«Se anche rimanessimo soltanto in due... » Ora anche il suo
volto è vicinissimo. Castiel è teso, il suo sistema non riesce a
processare la situazione con chiarezza – Dean ha il potere di
confonderlo, di stracciare i suoi pensieri e trasformarli in un
unico, incomprensibile impulso – quello di unirsi a lui, di
premere le labbra sulle sue e restare così per sempre. Dean lascia
salire la propria mano ad accarezzargli una guancia, mentre continua
a parlare.
«...
Continueremo a combattere, fino alla fine. Perché è la cosa
giusta...»
Castiel
vorrebbe dire qualcosa, ma le parole non gli escono. Cosa potrebbe
dire, comunque? Non riesce a pensare, non riesce ad articolare
neanche un suono... Tutta la sua attenzione è
rivolta su quell'uomo bellissimo e tormentato che sta parlando con
lui... Che sta cercando il suo affetto.
Entrambe
le mani di Dean sono posate sul suo volto. Il soldato posa la fronte
contro quella dell'androide, le loro ciglia quasi si sfiorano.
«...
E io sono stato uno stronzo.»
Per
qualche istante restano così, a scrutarsi vicendevolmente il fondo
dell'anima, in silenzio. Le luci fioche del Planetario brillano negli
occhi verdi di Dean, che così nella penombra sembrano diventati
quasi neri, e rimbalzano come piccole pietre preziose nell'azzurro
liquido di Castiel. Il quale, ancora sopraffatto dalla vicinanza e
dal contatto con l'altro, ha
bisogno di qualche istante per riprendere il controllo di sé
stesso e poter dire, finalmente, qualcosa di sensato.
«No,
non lo sei. Sei solo stanco... E io avrei dovuto portare questo peso
con te, invece di aggredirti.»
Dean
sorride appena, alle parole del robot. Castiel...
Sempre così accondiscendente, sempre così pronto a perdonarlo.
Sempre così dolce, con lui... Con lui che a volte meriterebbe solo
schiaffi.
«Non
importa. Io sto bene,» taglia corto il soldato, senza riuscire a
smettere di sorridere. La sola presenza di Castiel basta a
rilassarlo, soprattutto ora che sono riusciti a riavvicinarsi e ad
appianare i contrasti. «Partiremo tra poche ore... Non si
aspettano una risposta in tempi così brevi. Forse, così riusciremo a
prenderli di sorpresa.»
«D'accordo.»
Castiel annuisce, senza battere ciglio. «Se pensi che sia meglio
agire subito, io ci sto.»
Annuisce
anche Dean, lentamente, senza mai staccarsi da lui. Resta in silenzio
per un po', studiando l'espressione aperta e fiduciosa dell'altro.
«Perché
ti fidi di me,» dice il soldato,
infine. Senza il punto interrogativo, perché
non è una domanda... Ma solamente
una constatazione.
«Perché
mi fido di te.» Castiel ripete le sue parole, ricambiando il
sorriso, e Dean si sente sprofondare. Castiel lo ama davvero, si fida
totalmente di lui... Come può metterlo ancora in dubbio, dopo tutto
quello che hanno passato assieme? Non può deluderlo... Dovrebbe
smettere di essere così controllato nei sentimenti – smettere di
avere paura.
Fare quel piccolo, insormontabile, necessario, disperato primo passo--
«Cas,
senti... Ogni volta che
usciamo non sappiamo se torneremo indietro, perciò non voglio
lasciare nulla in sospeso--»
Prima
che Castiel abbia il tempo di dire o fare nulla, Dean è su di lui.
L'uomo lo schiude e lo apre e lo bacia tenendolo stretto a sé, con
un trasporto e una foga che a lungo sono rimasti sopiti sotto una
pesante coltre di doveri e responsabilità, ma che adesso possono
sfogare liberi - alimentati e trasformati dalle fiamme della tensione
e del desiderio combattuto, dei sentimenti sovrapposti.
Entrambi
si stringono forte, senza separarsi mai neanche per un solo istante -
le mani di uno vicendevolmente intrecciate tra i capelli dell'altro,
o perse a sfiorare i fianchi attraverso le stoffe di magliette e
camicie. Restano assieme per tutto il tempo che serve, finché ogni
traccia di diffidenza o conflitto si dissipa, svanisce nei movimenti
e si dilata nel contatto, fino a spegnersi.
«Pace?»
«Pace.»
Quando
le loro labbra si separano, l'uomo
e il robot restano comunque abbracciati per un tempo infinito. Una
mano di Dean è teneramente posata
dietro la nuca di Castiel, mentre le mani di quest'ultimo
riposano sulle spalle dell'uomo.
Il
Planetario, misterioso e sconfinato acquario di corpi celesti e
chiarori intermittenti, avvolge le due creature con il confortante
silenzio dello spazio siderale. Ed
è in quel silenzio assoluto
che Dean, finalmente, si rende conto di quanto abbia bisogno di lui.
Quando
è arrabbiato, quando si fa
trascinare dalla collera o annebbiare dalla frustrazione, Castiel è
l'unica ragione per cui si
sforza di essere una persona migliore. Castiel
gli ricorda cosa deve essere...
... Un essere umano.