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Autore: Penny Hollings    22/06/2016    1 recensioni
[Destiel]
“Oh,” una voce alle sue spalle lo coglie di sorpresa. Settant'anni nel ghiaccio si fanno sentire, pensa tra sé e sé mentre si volta, cercando di non far caso alla pozza di caffè ai propri piedi e finalmente nota l'uomo in piedi dietro il divano di camoscio bianco. Ha un leggero sorriso sulle labbra, le spalle rilassate e l'atteggiamento di uno che vuole rendersi il più innocuo possibile.
“Anche Captain Ameirca impreca,” il sorriso si allarga appena e Dean se ne ritrova uno simile sulla faccia più per abitudine che per sincero divertimento.
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L'agente Kushnic, nome in codice Black Wings, ha un solo obiettivo in mente e Captain America é solo un'altra pedina.
Dean Winchester ha passato la vita a fare la pedina nelle guerre degli altri e forse é arrivato il momento di smetterla.
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Note: uhm, spiegare cosa mi sia passato per la testa quando ho pensato di scrivere questa cosa è difficile, ma in ogni caso penso che un 50% della colpa vada imputata alla svergognata quantità di cibo ingerito quella sera e l'altra metà alla quantità di tempo libero che mi sono improvvisamente ritrovata tra le mani. 
quello e il fatto che finalmente ho una tastiera funzionante. 
In ogni caso, andando al sodo, sè, è una cross over con Captain America perchè sì perchè no? e anche perchè mi andava. Questa storia però non è SPN e non è CA, è un po' di tutto e di più. 
Spero che vi piaccia perchè mi sono divertita parecchio anche solo a pensare ai personaggi e spero, ma non ci credo troppo, di riuscire a scriverlo come me lo vedo in testa. 

-avvertimenti, trigger warning e semafori verranno aggiunti a mano a mano nelle note iniziali.

 

Capitolo 1:
Il mio cuore si spezza, le mie mani tremano.

 

 

 

 

 

In piedi di fronte alle ampie finestre che si affacciano sulla città, Dean Winchester fa vagare lo sguardo. Nella mano destra tiene una tazza di caffè – vero caffè – mentre la sinistra è chiusa, stretta fino a fare male, nella tasca del pigiama di flanella che ha trovato sul letto ieri sera.

Sente le unghie che affondano nella carne, giusto quanto basta per ancorarlo a questo momento, perché il silenzio non si porti via tutto lasciandolo alla deriva. È la prima volta che lo lasciano da solo da quando si è risvegliato e se il chiacchiericcio è a momenti fastidioso, il silenzio non ha portato il sollievo che si aspettava.

Gli occhi corrono lungo la linea dell'orizzonte, inseguendo immagini, ricordi che sembrano sfuggirgli tra le luci che si spengono adesso che si fa giorno. Non è così che se la ricorda, New York, ma deve anche ammettere che non l'ha mai vista da così in alto. Vorrebbe riuscire a distogliere lo sguardo, voltarsi e smettere di fissare un mondo che non gli appartiene, ma che lo reclama a mani tese.

Probabilmente rompere la vetrata a mani nude non gli farebbe guadagnare punti con il terapista della AV, né con lo S.H.I.E.L.D. che già lo tiene col guinzaglio corto.

 

“Si goda la vacanza, capitano,” gli ha detto l'autista che lo ha accompagnato fino alla Torre. E poi fino alla porta dell'appartamento quando gli è stato chiaro che Dean con quel rettangolo di plastica blu e grigio non sapeva che farci.

 

Dean aveva sorriso, come aveva fatto per l'ennesima volta in quella foto a Coney Island, col bambino in braccio e la folla che lo fissava accalcata dietro al fotografo. “Grazie,” aveva risposto, sempre gentile, come gli aveva insegnato sua madre.

 

La presa sulla tazza si fa più stretta al pensiero di Mary Winchester e di quella piccola lapide che fin'ora Dean ha visto solo in una foto ingiallita. Piccola e insignificante, tutto quello che Mary Winchester non era mai stata in tutta la propria vita. Anche in quelle ultime settimane, quando Dean l'aveva vista spegnersi a poco a poco, sempre più fragile mentre scompariva tra le lenzuola di lino bianco dell'ospedale, Mary Winchester era rimasta la solida roccia a cui Dean si era sempre aggrappato. Eppure tutto quello che rimane di Mary è una piccola lapide come tante altre, mentre Captain America – Dean Winchester, il ragazzino asmatico venuto dal Kansas – ha una fottutissima esposizione permanente allo Smithsonian.

La tazza si disintegra sotto la pressione sovrumana delle proprie dita e il caffè bollente che si è appena versato gli finisce addosso, ciliegina sula torta di una mattinata esaltante.

 

“Porca puttana,” si lascia scappare a denti stretti, guardando con sgomento la macchia marrone allargarsi sui propri pantaloni e i frammenti della tazza sparsi sul pavimento come frammenti di un'esplosione.

 

“Oh,” una voce alle sue spalle lo coglie di sorpresa. Settant'anni nel ghiaccio si fanno sentire, pensa tra sé e sé mentre si volta, cercando di non far caso alla pozza di caffè ai propri piedi e finalmente nota l'uomo in piedi dietro il divano di camoscio bianco. Ha un leggero sorriso sulle labbra, le spalle rilassate e l'atteggiamento di uno che vuole rendersi il più innocuo possibile.

 

“Anche Captain Ameirca impreca,” il sorriso si allarga appena e Dean se ne ritrova uno simile sulla faccia più per abitudine che per sincero divertimento.

 

“Mi spiace essere quello che riporta l'idolo alle sue umili origini,” l'intruso si lascia scappare una risata, niente più che un soffio d'aria. Si fissano per un momento ed è difficile per Dean trattenersi dall'essere apertamente ostile, Captain America non è mai di cattivo umore quando c'è qualcuno a guardare.

 

“Sopravviverò,” scuote le spalle come se veramente non fosse importante e Dean si morde la lingua prima di lasciarsi sfuggire una replica pungente. L'uomo – agente? – si muove con una grazia che suggerirebbe la disciplina di una prima ballerina o di un assassino particolarmente letale, ma la linea delle sue spalle è ancora rilassata, le braccia molli lungo i fianchi e gli occhi fissi sulla pozza di caffè.

 

“Sono l'agente Castiel Krushnic, 0076. Se vuole andare a cambiarsi, capitano, qui posso pensarci io.”

 

Dean non ha ancora aperto l'armadio pieno di vestiti pre-approvati in carta bollata da in un ufficio qualunque della Torre per farlo sentire a casa. Come questo appartamento, arredato come una di quelle case della New York bene negli anni Quaranta, in cui non ha mai messo piede. Quando ha visto il divano ha pensato a quell'ammasso di molle verde marcio che lui e Sammy avevano trascinato in casa. Ha pensato a sua madre, a quelle sere in cui si sedeva su quei cuscini pieni di bozzi, mentre Sam e Dean cercavano di starle il più vicino possibile, per non perdere neanche una parola delle storie incredibili che Mary era solita raccontare. Non si è ancora seduto sul divano, il manuale del televisore è ancora sul tavolo da pranzo insieme a quello dell'aria condizionata, della jacuzzi e della maggior parte delle diavolerie che ci sono in cucina. Quando si è svegliato il caffè era già pronto.

 

“Posso suggerire una doccia, capitano,” senza cerimonie, l'agente Krushnic si china ai suoi piedi, iniziando a raccogliere i cocci a mani nude. Krushnic sembra non prestargli attenzione, o almeno non il tipo di attenzione che si presta a una pistola carica. In ginocchio, apparentemente distratto, Krushnic si è reso un bersaglio anche troppo facile e Dean vorrebbe dirgli, - vorrebbe gridargli – che sa che cosa sta facendo e che settant'anni nel ghiaccio lo avranno reso un obsoleto miracolo, ma di certo non lo hanno reso stupido. Eppure questa farsa funziona, Dean sente la tensione scivolargli via di dosso e per lo stesso motivo viene colto da un bruciante imbarazzo.

Krushnic sembra non accorgersi del conflitto che si sta facendo spazio nella mente del capitano, o semplicemente sceglie di ignorare quella scintilla di aggressività che gli si è accesa nello sguardo.

 

“Ha forse bisogno che le mostri il funzionamento della doccia, capitano?” Krusnich alza appena lo sguardo, rimanendo chino sul caffè versato, sulle labbra ha un sorriso di scherno che sembra premere tutti i bottoni sbagliati nella mente già confusa di Dean Winchester. All'improvviso Dean si sente bruciare per tutt'altri motivi.

 

“No, grazie,” risponde, cercando di ricordare com'era che riusciva a convincere tutte quelle ragazze nelle sale da ballo a guardarlo per più di un minuto, e provando a sorridere con altrettanto intento. “E mi chiami Dean, non sono più il capitano di nessuno da molto tempo.”

 

 

 

 

 

 

 

Krushnic ha pronta un'altra tazza di caffè quando Dean esce finalmente dalla propria stanza. Di fianco alla tazza c'è un piatto con uva strapazzate, bacon e toast, già imburrato.

 

“Si sieda, Dean,” Krushnic è già seduto, di fronte a sé ha una tazza di caffè, ma niente colazione da campioni. Ha ancora quel mezzo sorriso sulle labbra, ma ha assunto una sfumatura quasi accomodante, senza cadere nell'accondiscendente. “Abbiamo molto di cui parlare.”

 

Dopo la doccia Dean si è seduto ai piedi del letto e ha trovato che le lenzuola erano morbide come se le aspettava e che quella sensazione sotto le proprie dita era sbagliata proprio come se l'era immaginata. L'ultimo letto in cui aveva dormito aveva lenzuola così ruvide che uno ci si sarebbe potuto fare la barba. Aprire l'armadio era diventato improvvisamente fuori discussione.

Due settimane dopo aver visto il mondo oscurarsi e dopo aver sentito il freddo farsi strada così nel profondo che era impossibile sbagliarsi sul come esattamente sarebbe finita questo giro di giostra, Dean si ritrova nella cucina di un appartamento al chi-se-lo-ricorda piano di un grattacelo con indosso una maglietta blu macchiata di caffè e un paio di pantaloni verde acqua che gli hanno dato quando è stato dimesso dall'ospedale.

 

“Grazie,” mormora sedendosi e Krushnic lo degna appena di un cenno con la testa.

 

Le uova sono spumose, il bacon croccante e i toast appena scuriti e improvvisamente Dean si sente lo stomaco aprirsi, per la prima volta da settimane prova quel leggero fastidio che viene con la sensazione di avere fame e la certezza di non doversi dire forse domani.

Senza riguardo per le maniere che sua madre con tanta fatica ha cercato di inculcargli – scusa, mamma – si getta di gusto sul piatto. Se Krushnic ha qualcosa in contrario non lo mostra, ma a questo punto Dean è certo che ci siano molte altre cose nascoste dietro quel sorriso.

 

“Ho pensato che potremmo andare a fare una passeggiata, prendere una boccata d'aria fresca potrebbe farle bene... ” Krushnic si acciglia appena, prima che un sorriso appena più ampio e divertito si faccia strada. “Non ha impegni, vero, Capitano?”

 

Facendo sfoggio di tutti e novantotto i propri anni, con la bocca ancora piena, Dean sorride.

 

 

 

 

 

Prima del siero Dean aveva dovuto convivere con la consapevolezza che era solo per un vile e stanco scherzo della natura se ogni mattina continuava si ritrovava ad aprire gli occhi sul soffitto grigio e marcio del loro misero appartamento. Tutti nell'isolato sapevano di Dean Winchester, il povero Dean Winchester che non ne voleva sapere di morire. Nonostante la guerra fosse ancora lontana, Dio era giù morto per quanto lo riguardava. Dean era sempre stato troppo orgoglioso per dare agli occhi pietosi puntati su di lui – e su Sammy – la soddisfazione di vederlo abbassare la testa e darsi per vinto.

Poi c'era stato Captain America e, non c'era neanche bisogno di dirlo, la perfezione era parte del contratto. Era molto più facile far credere al mondo di poter sostenere il suo peso quando non c'erano buchi da nascondere nelle camicie e nei giorni peggiori bastava nascondere il viso dietro una maschera a stelle e strisce.

Sammy sarebbe stato così orgoglioso.

Dopo anni passati a cercare di non far vedere agli altri tutte quelle sfumature, tutti quelle crepe, nascoste ad arte sotto strati e strati di patriottismo e propaganda, c'è una certa soddisfazione nell'uscire di casa senza preoccuparsi di quanti occhi avrebbe avuto puntati addosso.

 

“La notizia non è stata ancora divulgata,” Krushnic cammina appena un passo più avanti, guidando la loro piccola spedizione. “Lo S.H.I.E.L.D. sta cercando i canali giusti, il momento giusto.”

 

Dean si lascia scappare una risata. “Vuoi dire che stanno aspettando di vedere se ho ancora tutti i giovedì.”

 

C'è qualcosa di soddisfacente nel sentire l'agente Krushnic ridere mentre gli lancia un'occhiata che dice molto di più di qualsiasi altra espressione abbia assunto fino a quel momento. Probabilmente l'agente Krushnic è la versione per adulti disfunzionali e con forza sovrumana di una babysitter, ma dopo la sfilza di agenti che si sono presentati al suo capezzale nelle due settimane passate in ospedale, Dean realizza che poteva essergli andata molto peggio.

 

“Quindi quale grave crimine ha commesso per ritrovarsi a fare la badante, ag-... ”

 

“Mi chiami Castiel, e io la vedo più come una meritata vacanza.”

 

Mentre sono seduti su una panchina in un parco che Dean non ricorda, con un hot-dog ciascuno e una bottiglia di birra a separarli, Dean non trova proprio niente da ridire.

 


se siete arrivati fin qui vi meritate un bel grazie e una pacca sulla spalla.
spero di rivedervi la prossima volta,
Penny.

 

   
 
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