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Autore: xX__Eli_Sev__Xx    22/06/2016    2 recensioni
Sherlock e John nella loro ultima notte insieme.
[The Reichenbach Falls]
Genere: Angst, Drammatico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Mi fido di te
 
 
 La polizia li stava braccando.
 Dopo ciò che era accaduto a Baker Street e la loro fuga dopo l’arresto, Sherlock e John erano stati costretti a cercare un nascondiglio sicuro dove poter passare la notte, e il laboratorio del Bart’s era sembrato il luogo più adatto. Silenzioso, tranquillo, insospettabile da nessuno che non fosse Lestrade, che però li avrebbe sicuramente coperti.
 Quand’erano arrivati avevano chiesto a Molly di permette loro di rimanere lì per la notte e la patologa aveva acconsentito, assicurando loro che nessuno li avrebbe disturbati e che sarebbero stati completamente al sicuro. Poi aveva lasciato loro le chiavi e se n’era andata.
 I due, rimasti soli, si erano chiusi all’interno del laboratorio per poter passare la notte in pace, in attesa di poter uscire e tornare a casa loro, una volta che fossero stati scagionati.
 
 Il tempo passava lento.
 I minuti scorrevano con lentezza, scanditi dal ticchettio dell’orologio appeso alla parete al fondo della stanza. Il silenzio aveva avvolto ogni cosa, calando sul laboratorio come un drappo nero, a coprire tutto, soffocando ogni rumore che tentava di penetrare all’interno e rompere quella quiete.
 John era seduto su uno sgabello, le braccia conserte poggiate sul bancone, il viso affondato negli avambracci, gli occhi chiusi, per tentare di riposare dopo quella pesante giornata in cui non avevano fatto altro che correre e fuggire.
 Ad un tratto venne svegliato da un rumore improvviso, che gli fece sollevare il capo di scatto. Il suo cuore accelerò e per un momento pensò che li avessero trovati, poi sbattendo più volte le palpebre e vedendo che il laboratorio era vuoto, si tranquillizzò.
 Inspirò profondamente e si stropicciò gli occhi, tentando di capire da dover provenisse quel rumore e solo dopo qualche secondo intuì che dovesse trattarsi di Sherlock.
 A quel punto si mise in piedi e fece il giro del bancone.
 Sherlock era seduto a terra, dall’altro lato del bancone e stava giocando con la sua pallina di gomma, facendola rimbalzare sul pavimento e sul bancone di fronte a sé, per poi riprenderla al volo. Aveva lo sguardo perso nel vuoto, il viso pallido e tirato, gli occhi colmi di una preoccupazione malcelata, e sembrava che le sue mani stessero tremando, incerte per la prima volta da quando quella storia era cominciata.
 E John poteva capirlo. Quel giorno erano crollate tutte le sue certezze. Moriarty era riuscito a raggirare tutti, facendolo ricadere la colpa su di lui come se fosse un criminale, quando in realtà Sherlock non aveva fatto altro che aiutare Londra da quando era arrivato. Eppure nessuno sembrava più essere disposto a credergli.
 A parte lui, ovviamente.
 John non avrebbe mai potuto credere al fatto che fosse stato Holmes a organizzare tutto e mettere in atto quella messa in scena. Conosceva Sherlock e non avrebbe mai dubitato di lui. Anche perché l’amico non gli aveva mai dato motivo di farlo.
 Tuttavia, la sua fiducia non era stata sufficiente. Nonostante il suo sostegno incondizionato, in poche ore, tutto intorno a Sherlock era crollato come un castello di carte sotto il peso delle bugie di Jim Moriarty.
 E adesso anche Sherlock stava crollando. Era evidente che fosse così.
 Da quando avevano incontrato Jim, a casa di Kitty Riley, e il piano della donna era stato svelato, Sherlock non aveva più proferito parola. Era rimasto nel più completo silenzio, lo sguardo sempre puntato altrove per non dover incontrare il suo.
 John sapeva quanto tutta quella faccenda lo avesse sconvolto, perciò non aveva insistito perché parlasse con lui e si confidasse: lo aveva semplicemente seguito, sperando che se avesse avuto bisogno di lui glielo avrebbe fatto sapere.
 In quel momento, però, il medico non poteva più ignorare quel comportamento. Era evidente che Holmes fosse sconvolto e che avesse bisogno di aiuto. Perciò John si avvicinò e prese al volo la pallina prima che tornasse tra le mani di Sherlock.
 Il consulente investigativo sollevò lo sguardo su di lui, riportato alla realtà da quel gesto, la mano sospesa a mezz’aria. Per un momento sembrò perplesso, come se solo in quel momento si fosse accorto della presenza di John al suo fianco.
 John accennò un sorriso, poi si mosse e andò a inginocchiarsi di fronte a lui, tra le sue gambe, porgendogli nuovamente la palla.
 Sherlock sospirò e la riprese, rigirandosela nella mano. Osservò John per un lungo istante, poi abbassò lo sguardo, poggiando nuovamente il capo al bancone ed esalando un lungo respiro.
 «C’è qualcosa che ti turba.» sussurrò John, rompendo il silenzio che ancora li avvolgeva.
 Sherlock riportò lo sguardo su di lui, incrociando i suoi occhi. «Forse il fatto che siamo braccati dalla polizia e che tutti mi credano un criminale a causa di Moriarty?» chiese, acido. «Questo mi turba parecchio, considerando che sono innocente.»
 Watson scosse il capo. «Non è solo questo. C’è qualcos’altro. Lo so.» affermò, sicuro di sé. Poi sospirò. «Dimmi qual è il problema, Sherlock. Voglio aiutarti.»
 «Non c’è niente, John.» replicò il consulente investigativo, tentando con scarsi risultati, di sembrare convincente. «E in ogni caso non credo che potresti aiutarmi.» concluse, abbassando lo sguardo.
 John vide un guizzo sul suo viso e si disse che avrebbe continuato ad insistere fino a che Sherlock non gli avesse detto cosa non gli andava. «Perché no?» chiese quindi.
 «Perché non c’è niente che tu possa fare per cambiare la situazione.» spiegò, puntando gli occhi dei suoi. «Jim mi ha incastrato e nemmeno io so cosa fare per uscire da questa situazione… senza offesa, ma non credo che potresti riuscirci tu.»
 «Non voglio risolvere questa situazione. So bene che non ci riuscirei.» replicò John. «Ma posso provare a farti stare meglio, se me lo permetti.»
 «Se riuscissi a incastrare Moriarty e mandarlo in prigione, credo che mi sentirei molto meglio.» dichiarò il consulente investigativo in tono sarcastico.
 «Pensavo a qualcos’altro.» ribatté John.
 Sherlock aggrottò le sopracciglia.
 «Chiudi gli occhi.» disse il dottore.
 L’altro protestò, sempre più perplesso. «John, cosa…?»
 «Fidati di me.» insistette John. «Ti chiedo solo di fidarti. Ti prego.»
 «Mi fido di te.» replicò il consulente investigativo.
 «Allora chiudi gli occhi.» ripeté e questa volta, dopo un momento di immobilita, Sherlock eseguì senza protestare. A quel punto John si mosse in avanti, chiuse gli occhi e, sollevando il volto dell’amico con due dita, lo baciò sulle labbra.
 Sherlock inspirò profondamente, irrigidendosi per la sorpresa, ma tenne gli occhi chiusi.
 Dopo qualche secondo, con un leggero schiocco, il bacio si interruppe.
 John si allontanò e aprì gli occhi, incontrando quelli di Sherlock, che lo stava osservando con sguardo confuso.
 «Perché l’hai fatto?» domandò Holmes in un sussurro.
 «Perché lo volevo.»
 «Tu non sei gay.» replicò Sherlock. «La tua è una contraddizione.»
 «Sei tu la mia più grande contraddizione, Sherlock Holmes.»
 Sherlock non poté fare a meno di sorridere.
 E John pensò che fosse il sorriso più dolce, sincero e bellissimo che Sherlock gli avesse mai rivolto. Sorrise a sua volta, prendendole mani dell’amico tra le sue e avvicinandosi ancora. Poggiò i palmi contro i suoi e intrecciò le loro dita. «Mi permetterai di aiutarti a stare meglio, Sherlock?» sussurrò, il viso sempre più vicino al suo, agganciando al suo sguardo.
 Sherlock esitò. Sospirò, poi annuì, senza staccare gli occhi dai suoi.
 John a quel punto si mosse in avanti e lo baciò nuovamente. E questa volta non si limitò ad accarezzare le labbra dell’amico con le proprie, ma approfondì il bacio, dischiudendo le labbra, permettendo alle loro lingue di sfiorarsi e giocare l’una con l’altra. Raddrizzò la schiena e si spostò in avanti, avvicinando il suo corpo a quello di Holmes, circondandogli il collo con le braccia per tirarlo verso di sé.
 E in quel momento capì che sarebbe stato disposto a dare tutto sé stesso a Sherlock, se fosse servito a farlo stare meglio. E Sherlock avrebbe fatto lo stesso per lui, ne era certo. Perché anche lui era la grande contraddizione di Sherlock Holmes.
 
 Sherlock ansimò nella bocca di John, mordendogli il labbro inferiore e poggiandogli le mani sui fianchi. Si abbandonò a quel contatto, dimenticando, per un momento, tutto il resto. Dimenticò Moriarty, l’arresto, la paura, l’imminente resa dei conti fra lui e Jim…
 In quel momento c’erano soltanto lui e John, le loro labbra, i loro corpi e le loro anime. Nient’alto aveva importanza.
 Con tutto ciò che era successo, doveva ammettere, aveva sperato in un qualsiasi contatto umano e anche se non aveva avuto il coraggio di chiedere aiuto, sperava che John avrebbe capito. Sperava che sarebbe accorso in suo aiuto, intuendo che il suo comportamento non era nient’altro che un grido di disperazione.
 E infatti così era stato.
 John aumentò la presa intorno al suo collo, tirando il suo corpo verso di lui, e ben presto entrambi si ritrovarono sdraiati a terra, John sulla schiena e Sherlock sopra di lui, il petto poggiato contro il suo. I loro corpi si accarezzarono dolcemente, aderendo l’uno all’altro alla perfezione.
 Sherlock gemette, stringendo le braccia intorno al corpo di John. Gli sembrava di non riuscire a essergli abbastanza vicino, come se quel contatto non fosse abbastanza profondo per colmare il vuoto che sentiva dentro in quel momento. Avrebbe voluto di più, avrebbe voluto concedersi completamente a John. Lo voleva da così tanto tempo che non riusciva a ricordare un momento della sua vita in cui non l’avesse desiderato, quasi la sua vita fosse cominciata nell’istante in cui John Watson aveva iniziato a farne parte.
 Quando le mani di John salirono alla sua camicia, però, Sherlock si rese conto che non avrebbe potuto spingersi così oltre. Non poteva e non voleva fare una cosa del genere a John, soprattutto sapendo come quella storia sarebbe andata a finire. Perciò sollevò una mano e circondò il polso di John con le dita, bloccando.
 «Aspetta.» soffiò sulle sue labbra.
 «Che succede?» chiese John, aggrottando le sopracciglia. «Hai cambiato idea?»
 «No, è che…» esitò, sospirando e chiudendo gli occhi. Quando li riaprì, dopo un momento, incontrò quelli di John, colmi di domande e confusione. «John, io… io non sono quello che pensi.»
 «Ma cosa stai dicendo?» domandò il dottore. «Sì, che lo sei.» disse con voce ferma e convinta. «Tu sei Sherlock Holmes. Sei Sherlock. Il mio Sherlock. E so esattamente chi sei. Ti conosco.» sollevò una mano e gli accarezzò il viso, percorrendogli lo zigomo con il pollice.
 «Non completamente.» replicò Sherlock, mestamente.
 John sorrise. «Ti conosco quanto basta.»
 Sherlock sospirò, poi riprese. «Poco fa mi hai chiesto di fidarmi di te e io l’ho fatto.» disse, sperando di spingerlo a dargli ascolto. «Adesso sono io a chiedertelo: fidati di me, John. Ti prego, non costringermi ad andare oltre.»
 
 John vide gli occhi di Sherlock scintillare sotto la luce delle lampade. Non l’aveva mai visto così preoccupato e tormentato. Non aveva mai visto tanta preoccupazione nei suoi occhi. E fu proprio questo a spingerlo ad annuire.
 «Mi fido di te.» sussurrò, accarezzandogli la schiena e il viso.
 Sherlock sembrò più sollevato. «Grazie.» mormorò in risposta, accarezzando i fianchi di John. «E non solo per questo, ma anche per quello che hai fatto per me.»
 «Non ho fatto niente.» affermò il medico.
 «Non è vero. Hai fatto molto.» rispose il consulente investigativo. Sospirò. «Voglio che tu sappia che ti sarò sempre grato per ogni cosa e che, qualsiasi cosa accada, tu sei la cosa che più conta per me.» si schiarì la voce. «E che nulla di tutto questo è colpa tua.»
 John aggrottò le sopracciglia, confuso. Quelle parole erano alquanto strane. Anche per qualcuno come Sherlock Holmes, che non si poteva propriamente definire come una persona nella norma.
 «Ho l’impressione che tu mi stia dicendo addio. E non mi piace.» affermò il dottore, poi vedendo che Sherlock aveva abbassato il capo, lo fece voltare verso di sé, poggiandogli una mano sulla guancia. «Tu sai che tutto questo si risolverà per il meglio, vero? Che andrà tutto bene e che qualsiasi cosa accadrà io sarò sempre qui?»
 Sherlock lo osservò per un lungo istante, poi accennò un sorriso triste e annuì. «Certo.»
 «Devi avere fiducia.» disse John. «E devi essere forte.»
 «Lo sarò se lo sarai anche tu.» mormorò il consulente investigativo, chiudendo una mano intorno alla sua camicia, quasi volesse aggrapparvisi per non sprofondare nel baratro oscuro che stava tentando di inghiottirlo. «E se continuerai a fidarti di me.»
 «Sarò forte.» promise John. «E mi fiderò sempre di te.» concluse, poi si mosse in avanti e lo baciò nuovamente sulla bocca, intrappolando le sue labbra tra le proprie, sperando di allontanare almeno per un po’, i demoni che gli avevano attanagliato il cuore.
 
 Ma non fu facile.
 Dopo quella notte – passata dormendo abbracciati sul pavimento del laboratorio, beandosi del calore dei loro corpi a contatto – dopo essersi svegliato completamente solo e dopo aver assistito al suicidio di Sherlock senza poter far nulla per impedirlo, essere forte non fu per niente facile.
 Fidarsi, al contrario, fu semplice. Fin troppo semplice.
 Perché John sapeva la verità.
 John sapeva che Sherlock non gli aveva mentito.
 John sapeva che Sherlock era sempre stato sincero. Su tutto.
 John sapeva che Sherlock era onesto. E buono.
 John sapeva che Sherlock – il suo Sherlock – non gli avrebbe mai fatto una cosa del genere se non fosse stato costretto.
 Perché John si fidava di Sherlock e avrebbe continuato a farlo. Sempre e comunque, anche se il mondo gli avesse detto – gridato il contrario. Perché soltanto lui aveva conosciuto il vero Sherlock e nessun’altro avrebbe potuto capire.
 
 «Una volta mi hai detto che non eri un eroe. E c’erano volte in cui credevo che nemmeno fossi umano… ma lascia che ti dica una cosa: tu eri l’uomo migliore… l’essere umano più… umano, che io abbia mai incontrato. E nessuno mi convincerà che mi hai mentito. E… io… ero così solo, e ti devo così tanto…» disse di fronte alla sua tomba, il giorno del suo funerale, completamente solo e con il cuore spezzato. Un sospiro tremante lasciò le sue labbra. «Per favore, c’è un’ultima cosa… un ultimo miracolo, Sherlock… per me. Non… essere… morto… Potresti farlo per me? Ti prego. Ti prego, smettila con tutto questo. Ok?» poi si avvicinò, poggiò una mano sulla lapide e sospirò, osservando le lettere del suo nome per l’ultima volta. A quel punto si chinò leggermente e, come se gli stesse parlando a fior di labbra, come la loro ultima notte insieme, sussurrò un ultimo «Mi fido di te.»
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti. Rieccomi qui, a sorpresa con un’altra one-shot, questa volta una rivisitazione di The Reichenbach Falls. So che probabilmente non ha molto senso, ma mi ronzava in testa già da un po’ e ho deciso di buttarla giù…
Spero che vi piaccia.
A presto, Eli♥
 
 
  
 
 
 
 
 
   
 
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