°°
Just Like Fire °°
«…mi ascolti? Parlo con te! Vuoi che andiamo a giocare a baseball o no?»
Niente da fare, il suo fratellino
sembrava essersi
estraniato dal mondo circostante, perso in chissà quali
pensieri, e Michael
Connors non riusciva proprio a evitare di inquietarsi leggermente
ogniqualvolta
accadeva.
Avrebbe potuto lasciar correre se
fosse stato un bambino
qualunque, ma Zachary era precisamente l’opposto.
Se non lo si conosceva era facile
intenerirsi e, perché no,
anche meravigliarsi guardandolo: il suo albinismo parziale -causante
anche la
sua eterocromia- e la sua piccola statura lo rendevano una creatura non
solo
inconsueta, ma all’apparenza fragile e delicata, e qualunque
negoziante era
pronto a regalargli caramelle per uno dei suoi sorrisi estremamente
dolci. Lo credevano
una specie di angioletto.
Con un’attività
cerebrale fin troppo superiore alla norma.
Che faceva Dio solo sapeva cosa con
quel Piccolo Chimico che
i nonni paterni avevano regalato “al piccolo genio di
casa”.
Che quando aveva tre anni aveva dato
fuoco alla rimessa del
vicino perché il fuoco era
“tanto
carino”.
Era accaduto poco più di
due anni prima, e non era qualcosa
che Michael potesse dimenticarsi facilmente, nonostante
quell’atto fosse stato
privo di conseguenze per entrambi. No, non poteva permettersi di
lasciar
correre, neanche volendo. «Zachary!»
Quel richiamo parve riportare il
bambino alla realtà, al
punto che si degnò persino di voltarsi verso il fratello.
«No, non mi va il
baseball» disse, dimostrando di aver sentito «Forse
dopo. Adesso sto pensando».
«Mi ero accorto che stavi
pensando, e a tal proposito…a cosa
stavi pensando di preciso? Spero
che tu non ce l’abbia ancora con quel serpente del circo,
può capitare che
fuggano e mangino il cibo di uno spettatore!»
Il visetto di Zachary assunse
un’espressione neutra. «Per
colpa sua odio tutto quello che striscia» affermò
«Ma non pensavo a quello.
Lentiggine, a te è mai capitato di vedere un tizio che si
chiama Uomo Nero?»
Il diciottenne sollevò
entrambe le sopracciglia, con fare
perplesso. «Zeke, di uomini neri ormai se ne vedono tanti, in
giro…»
«Ma
no! Io non
parlavo della pelle!» disse Zachary «Uomo Nero
è il suo nome!»
«Aaah, adesso forse ho
capito. Beh…ogni tanto qualcuno lo
tira in ballo in libri e film teoricamente horror che invece in
realtà non lo
sono affatto» Michael fece spallucce «Oppure in
qualche storia de la abuelita
Isabèl« aggiunse poi «Ma
non devi credere a quel che racconta: l’Uomo Nero non porta
via i bambini
cattivi né in Argentina né in nessun altro posto.
Questo perché ovviamente,
come dovresti sapere bene anche tu, non esiste».
Zachary non rispose, limitandosi a
guardarlo con
un’espressione indecifrabile.
«Tu lo
sai che non
esiste, vero?» tornò a dire Michael.
«Quindi non lo hai mai
visto» concluse il bambino.
«Per forza di cose, abbiamo
appena stabilito che non
esiste!»
Zachary non commentò
quell’ultima affermazione, ma dopo
qualche momento si voltò a indicare la libreria.
«Mi dai l’enciclopedia?»
«Anche il
vocabolario?»
Zeke annuì, e Michael
decise di accontentarlo, dopo un breve
sospiro. Gli altri bambini di cinque anni leggevano favole illustrate,
e lui
invece cosa faceva? Leggeva l’enciclopedia, e andava a
cercare nel vocabolario
le parole che non capiva!
Si allontanò, decidendo di
salire su nella propria stanza, e
scrollò le spalle. Probabilmente anche quello faceva parte
dell’essere una
specie di piccolo prodigio. Stava di fatto che probabilmente Zachary
conoscesse
più parole di lui, dal momento che gli aveva detto di essere
arrivato a leggere
fino alla lettera “N”.
Una volta che fu sicuro di essere
rimasto solo, Zachary aprì
l’enciclopedia, andando direttamente dove aveva lasciato il
segnalibro. Aveva
visto una parola secondo lui molto interessante, che forse poteva
aiutarlo a
risolvere il suo problema attuale.
Michael poteva dire quello che
voleva, ma lui era più che
sicuro che l’Uomo Nero delle storie di nonna
Isabèl esistesse davvero. Sapeva
benissimo cosa aveva visto, ed era più che sicuro che fosse
tutto reale.
La prima notte era giunto con un
incubo.
Zeke, povero bimbo innocente, stava
sognando di saltellare
allegramente in un posto fantastico con prati verdi, lecca-lecca
giganti che
spuntavano dal terreno come fossero state piante, e piccoli putti alati
che,
insieme agli unicorni, erano i soli abitanti di quel posto. Lui era
munito di
un fucile spara arcobaleni e di una spara bolle, e stava giocando
allegramente
con gli indigeni, il tutto accompagnato da una canzone che faceva
“do you believe in magic? In a young
girl’s
heart, how the music can free her, whenever it starts!”…
Poi la musica era finita, ed erano
arrivati i serpenti, i
vermi, i bruchi, tutto quello che strisciava -e che lui dunque odiava-.
La
musica era finita, gli unicorni erano volati via insieme ai putti, e
lui era
rimasto solo a cercare di difendersi da quella grande massa strisciante
che lo
stava seppellendo, soffocandolo…
Si era svegliato, e lo
aveva visto uscire dall’armadio, per poi andare vicino al suo
letto.
Sogghignava, mostrando denti storti e occhi dorati che scintillavano
nel buio.
Zachary non aveva avuto molti dubbi
sulla sua identità, perché
sua nonna lo aveva descritto proprio in quel modo: alto, magro, naso impossibile, capelli neri, pelle grigia,
un bel po’ brutto.
L’Uomo Nero aveva
riso, mentre degli strani cavalli neri fatti di chissà cosa
gli stavano
accanto, poi era scomparso.
La seconda notte, invece,
l’Uomo Nero non aveva aspettato
neppure che si addormentasse: era uscito di nuovo
dall’armadio, e aveva
trasformato in realtà l’incubo della notte prima.
Un cobra di sabbia nera -era
sabbia, alla fine lo aveva capito- gli era strisciato nel letto, e dopo
quello
un serpente a sonagli, un mamba, un pitone e tanti altri…troppi. Lo avevano seppellito,
esattamente come nell’incubo, ma
stavolta era stato reale…orrendamente
reale.
Non gli era piaciuto.
Era ora di farla finita.
“…ottenuto dalla
coprecipitazione…co-pre-ci-pi-ta-zio-ne…sì,
sì, so cosa vuol dire…dei sali di alluminio
dell’acido naftenico e
dell’acido
palmitico” lesse in silenzio “il primo
agente di gelificazione…cosa vuol
dire ‘gelificazione’? Vocabolario!”
pensò, aprendo il volumetto “geeeee….gelificare: trasformare in gel. Va bene.
Allora: il primo agente di gelificazione utilizzato per la benzina fu
il
palmitato di sodio…i tedeschi usavano il naftenato di
alluminio per gelificare
la benzina…rispetto alla semplice benzina, presenta inoltre
il vantaggio di
essere impermeabile all’acqua. Sì! Proprio quello
che mi serve!” sorrise,
chiudendo l’enciclopedia “così
potrò di nuovo dormire in pace!”
Si alzò e uscì
di casa, diretto al capanno degli attrezzi
che ormai era diventato il suo “piccolo laboratorio
personale”: era lì che
teneva il Piccolo Chimico che gli avevano regalato i suoi nonni. Un
Piccolo
Chimico semi professionale, andava detto, tanto da potergli consentire
di
ottenere la coprecipitazione di acidi che voleva.
“Let’s practice
chemistry!” pensò
Zachary, sfregando tra loro le piccole mani candide quasi quanto i
capelli,
mentre un sorriso sornione assai preoccupante gli compariva sul visetto
da
bambolotto.
La benzina sarebbe stata
l’ultimo dei suoi problemi…avevano
due auto.
[…]
La notte era calata, e finalmente era
giunto il suo momento.
Quello era un buon periodo, per Pitch
Black: i Guardiani
avevano creduto di averlo definitivamente sconfitto alla fine dei
Secoli Bui, e
lui era stato abbastanza lungimirante da decidere di tornare a
raccogliere
potere mantenendo un basso profilo, così da ridurre al
minimo i rischi che
qualcuno si mettesse in mezzo.
Tra pochi anni avrebbe raggiunto un
livello sufficiente di
potere da attaccare i suoi principali nemici, anch’essi
indeboliti dall’aumento
progressivo di bambini sempre meno disposti a credere in qualcosa che
non
riuscivano a toccare. Era il 1999, ormai era così che girava
il mondo, specie
nelle patinate periferie americane come quella dove si era appena
recato.
Fino a due notti prima non era mai
stato in quello specifico
quartiere della periferia di Washington, impegnato a cercare altrove
della
paura più semplice da ottenere. Era arrivato lì
quasi per caso, ed era stato lì
che aveva incontrato quel bambino,
oltre agli altri.
Nella sua paura non c’era
nulla di diverso rispetto a quelle
degli altri bimbetti a cui nei secoli aveva fatto visita, non era
né più né
meno “nutriente”; a colpirlo un po’era
stato il suo aspetto.
Era un piccolo mortale, e Pitch lo
sapeva benissimo, ma era
così…bianco!
Con un occhio azzurro e
uno marrone, oltretutto. Qualche spirito avrebbe potuto tranquillamente
scambiarlo per un proprio simile, se non avesse fatto attenzione.
Non che questo lo avesse indotto a
risparmiargli alcun
incubo, se mai il contrario: la seconda notte, invece di limitarsi ad
assorbire
la paura generata da un brutto sogno, aveva addirittura agito quando il
bambino
era sveglio.
Come si chiamava?...Zachary.
Zachary Connors, se non ricordava male.
Tipico caso di minore con genitori
piuttosto assenti -e Pitch
avrebbe dovuto trovare il modo di ringraziarne la nonna che, non
volendo, gli
aveva reso un gran servizio- nonché un fratello maggiore che
voleva diventare
militare, e che dunque non avrebbe potuto seguirlo granché.
In un certo senso
era la vittima perfetta per lui, perché non aveva chi
potesse rassicurarlo, o
proteggerlo…e lui intendeva sfruttare questo il
più possibile.
Fece atterrare elegantemente i suoi
Incubi purosangue sul
vialetto di casa Connors. Avrebbe potuto entrare direttamente nella
stanza di
Zachary, che in quella stagione teneva sempre la finestra spalancata
-non che
se fosse stata chiusa gli avrebbe impedito di entrare- ma il proverbio
non
recitava forse “l’attesa del piacere è
essa stessa il piacere”?
Entrò in casa e
andò in salotto. Il fratello maggiore se ne
stava sul divano a guardare una partita di football…
«Dai! Dai
cazzo!!!...fai
punto!!!»
«Uh, che
volgarità. Meriti una punizione, ragazzo» disse
l’Uomo
Nero, consapevole di non essere visto e udito, avvicinandosi al
televisore…
«NOOOOOO!!! Merda!»
sbraitò l’americano lentigginoso
«Merda, ma
perché?!»
…per spegnerlo proprio nel
momento clou.
«Almeno impari. Ora
scusami, ma devo andare a fare visita al
tuo dolce e per nulla somigliante fratellino» disse Pitch,
dopo una breve
risatina.
Divenne un’ombra,
scivolò lungo le scale che portavano al
piano di sopra e sulle pareti dei corridoi. Entrò in camera
dei genitori, controllando
anche loro per puro sfizio e trovandoli già profondamente
addormentati. Dormivano
vicini, e il marito cingeva la moglie, visibilmente serena, con fare
protettivo.
L’Uomo Nero rimase
lì in piedi ad osservarli molto più del dovuto.
Gli ricordavano troppe cose: una vita fa, un
nome fa, lui aveva abbracciato sua moglie proprio in quel
modo.
«Questo è stato
un errore» commentò, a voce bassa quanto
seccata, prima di lasciare quella stanza più in fretta che
poteva. Meglio andare
in camera del bambino, spaventarlo ancor più rispetto alle
altre due notti, e
non tirarla più per le lunghe.
Scivolò silenziosamente
nella stanza di Zachary. Il bambino
dormiva placidamente, avvolto nel suo lenzuolo decorato con molteplici
versioni
di quel…coso giallo a
palla che la
gente chiamava “Pac-Man”, stringendosi al cuscino.
Pitch era quasi deluso che Zachary
non lo avesse di nuovo
aspettato alzato, visto e considerato che i loro
“appuntamenti”, quelle due
notti, avevano mantenuto precisamente lo stesso orario. Aveva veramente
creduto
che lo avrebbe lasciato perdere, dopo quel che era successo la notte
prima? Era
stato davvero così ingenuo?
«Alla fine è
anche comprensibile…hai solo cinque anni»
sospirò, infilandosi dentro l’armadio passando per
la fessura tra le ante «Cosa
potrei pretendere di più da un bambino, anche strano come
te?»
Lasciò che i suoi
purosangue si avvicinassero a Zachary,
pianificando di farlo svegliare da essi, aumentare la sua paura con
un’uscita
trionfale dall’armadio, e poi…farlo seppellire
nuovamente dai serpenti? Farlo inghiottire
da un pitone gigantesco? Un’idea valeva l’altra.
Maledizione, vedere i genitori
abbracciati lo aveva messo
proprio di pessimo umore.
“cosa?...”
Spiando dalla fessura, vide Zachary
rizzarsi a sedere sul
letto con la massima tranquillità. Pareva che non dormisse,
dopotutto.
Pitch sogghignò. Piccolo
sciocco, aveva forse creduto che
fingendo di dormire lui l’avrebbe risparmiato, che se ne
sarebbe andato senza
colpo ferire? Neanche a parlarne.
Aprì le ante
dell’armadio con un colpo secco e una risata. «Sei
stato proprio sciocco a-»
Non riuscì a finire la
frase, perché un composto semiliquido
gli cadde dritto sulla testa -assieme al recipiente che lo conteneva-
bagnandolo da capo a piedi. Parte gli entrò anche in bocca,
con suo sommo
disgusto: ma che roba era, benzina?!
Fece giusto in tempo a guardare il
bambino, trovandosi sotto
gli occhi la scena finale: un sorriso sornione, una piccola luce che
faceva
brillare di una luce inquietante i suoi occhi di diverso colore.
«Il fuoco è tanto
carino, vero?»
Poi la luce non illuminò
più il volto del bambino, volò e
colpirlo in pieno petto, e venne
l’Inferno.
Appena il fiammifero
-perché di questo si trattava- sfiorò
il suo corpo bagnato dal liquido, questo prese fuoco in meno di un
istante.
Pitch iniziò a correre e ad agitarsi mentre sentiva un
dolore atroce su ogni
centimetro di pelle, e l’odore disgustoso della carne
bruciata. Della sua carne bruciata!
Si lanciò fuori dalla
finestra senza essere perfettamente
conscio di quel che stava facendo, rotolandosi e contorcendosi sul
vialetto e
urlando come un ossesso, senza ottenere alcun risultato concreto:
qualunque
cosa fosse quella roba non sembrava avere voglia di smettere di
bruciare, e lui
non riusciva proprio a diventare un’ombra, al momento.
Poi i suoi occhi videro la salvezza:
un irrigatore
automatico. Con la forza della disperazione, l’Uomo Nero lo
ruppe lanciandogli
contro una lama di sabbia nera…peccato che, nonostante il
fiotto d’acqua che
gli si riversò addosso, non arrivò alcun
sollievo. Il liquido continuava a
bruciare imperterrito, sembrava aver voglia di continuare a farlo in
eterno.
«L’acqua non
funziona col napalm! L’ho
prodotto io tutto da solo, qui in bagno!» esclamò,
applaudendosi da solo e con un sorriso piuttosto dolce «sono
stato bravo, Uomo
Nero?»
Napalm?
NAPALM?!
Ma era uno
stramaledetto scherzo o cosa?!!
“O cosa”, a
quanto sembrava, perché altrimenti il fuoco si
sarebbe spento da un pezzo.
Il minimo di lucidità
ritrovato, unito all’istinto di
sopravvivenza, gli suggerì finalmente un’idea
valida, ossia spegnere il fuoco
ricoprendosi di sabbia nera. La coltre oscura lo privò
momentaneamente di vista
e udito ma, se non altro, riuscì a soffocare definitivamente
le fiamme. Nonostante
il dolore ancora acuto, Pitch si lasciò sfuggire un gemito
di sollievo
soffocato: i danni erano ingenti, ma non potevano essercene di nuovi, e
ringraziò
ogni divinità conosciuta per il suo fattore di guarigione da
essere immortale.
Emettendo faticosi respiri rauchi,
riuscì a voltare la testa
in direzione della finestra.
Quella piccola bestia di Satana -che
intanto aveva sempre
solo cinque anni- travestita da fragile esserino indifeso gli stava
ancora sorridendo.
«Se vuoi tornare per
vendicarti lo puoi fare, ma guarda che
ormai la ricetta del napalm la so bene» lo avvertì
«Quindi se vieni qui di
nuovo fallo senza serpenti e di giorno, Uomo Nero, perché io
di notte voglio
dormire tranquillo…buonanotte,
eh!»
Detto ciò, Pitch vide il
piccolo bastardo psicotico piromane
allontanarsi dalla finestra, presumibilmente per tornarsene a letto con
la
massima serenità possibile e immaginabile, mentre lui era
ancora lì a languire
nel vialetto.
“Sono stato attaccato da un
bambino di cinque anni che ha
prodotto bell’e apposta del napalm nel
bagno di casa sua” pensò, mentre le sue dita si
affondavano convulsamente nel
terreno “questa cosa non è possibile”.
Proprio in quel momento vide una
delle fate di Dentolina
volare in camera del piccolo demone albino uscito da chissà
quale bolgia
infernale e, sebbene si trattasse di una nemica, gli venne istintivo
gridarle
di fuggire. Gli usci solo un “HHHHHH!” a malapena
udibile.
“Devo farmi portare via di
qui” pensò, modificando
parzialmente due dei suoi Incubi in modo che potessero sollevarlo con
una sorta
di tentacoli d’ombra.
Prese il volo proprio quando
sentì il pigolio acuto della
fatina.
«Una fata? Ma
quanto è
carina!...»
Ehm.
Allora.
Chi ha già avuto modo di
conoscere Zachary Connors come la
sottospecie di terrorista ventiduenne che è al momento, di
certo non si è sorpreso
molto nel leggere quello che tutti voi avete letto. Produrre del napalm
in
bagno è ben poca cosa, confrontata al resto :’D
L’idea
per scrivere
questa storia proviene da una mia vecchia one shot presente in una
raccolta,
sempre pubblicata qui, chiamata “fare l’Uomo Nero
è complicato”. Lì il
ventiduenne Zachary Connors incontra Pitch, lasciando intendere di aver
già
avuto a che fare con lui in un’altra occasione…ossia questa qui!
Spero che abbiate gradito almeno un
minimo l’assurdità
intrinseca in tutti i fatti, e anche la, ehm, psicosi -teoricamente
ancora
acerba, ma in pratica non è cambiato poi così
tanto!- del nostro amatissimo
Zachary Connors che è tanto
carino! *spara
arcobaleni con un fucile* …scusate :’D
Le citazioni semi nascoste
-*tossisce*koffkoff Pyro e Medico -
invece sono rivolte a
una persona in particolare :’D
Grazie a tutti quelli che hanno
letto. Alla prossima…presumibilmente
col nuovo capitolo di LLD 2,
_Dracarys_