Tony si svegliò lentamente, con la sensazione di avere un peso sullo stomaco. La stanza era immersa nell’oscurità ma, grazie alle luci degli edifici di Washington che entravano dalla finestra ed il suo inconfondibile profumo, riconobbe subito la stupenda israeliana addormentata sopra di lui, con la testa appoggiata sul suo petto.
Con cautela girò la testa
in direzione della sveglia sul
comodino. Non era passata neanche un’ora da quando erano
crollati addormentati,
ma già si sentiva completamente ristorato e pronto per
continuare. Per fortuna
il giorno dopo non dovevano andare al lavoro: Gibbs non si sarebbe mai
bevuto
un’altra scusa per il loro ritardo.
Ziva si mosse leggermente e mormorò qualcosa in un linguaggio incomprensibile, probabilmente ebraico, prima di rilassarsi e scivolare nuovamente nel mondo dei sogni. Lui sperava che si svegliasse da sola, non volendo correre il rischio di farsi puntare ancora una pistola alla testa. Quando si era addormentato doveva essere davvero esausto per non sentire che ce n’era una proprio sotto il suo cuscino. Per un attimo fu tentato di nascondergliela, ma sicuramente c’erano altre armi nelle vicinanze e non sarebbe riuscito a disarmare la stanza senza prima svegliarla.
Stava ancora ponderando la questione
quando vide la donna
fra le sue braccia sorridere nel sonno ed emettere degli strani suoni,
che gli
ricordavano quelli di un gatto che faceva le fusa. Tony si
lasciò sfuggire una
risata al pensiero: sapeva già che era una leonessa a letto,
come i graffi
sulla sua schiena potevano dimostrare, ma che potesse trasformarsi in
una
gattina… Totalmente inaspettato. E incredibilmente eccitante.
Stanco di aspettare, raccolse tutto il suo coraggio e decise di prendere in mano la situazione. Non volendo dare l’impressione di svegliarla intenzionalmente, prese tra le dita una ciocca dei suoi lunghi capelli castani e la tirò, debolmente all’inizio e poi via via più forte. Quando quel metodo non dette risultati provò a soffiarle sul viso, ricordando che funzionava con il gatto che aveva da piccolo.
“Provaci ancora e sei
morto.”
Tony gemette dal dolore sentendo le sue unghie conficcarsi nella carne della sua pancia. “Scusa!”
Ziva si alzò dal petto che
le aveva fatto da cuscino,
sbadigliando e stiracchiandosi languidamente. Tornò
giù per attirarlo in un
lungo bacio.
“Cosa stai pensando?” Gli chiese quando si separarono per riprendere fiato, notando il suo sorriso malizioso.
“A molte cose. Ma
soprattutto a quello che abbiamo fatto
dopo cena, sul pianoforte.”
“Immagino sia stato di tuo gradimento.”
“Oh, certo! Non mi sarebbe
mai venuto in mente… Hai
un’immaginazione davvero perversa, Zee.”
“Mi hai ricordato che dovrò chiamare Jimmy per farlo accordare.”
Tony fece una smorfia disgustata.
“Urgh, devi proprio
nominare il gremlin dell’obitorio? Non credo esista un metodo
anticoncezionale
più efficace…”
Lei rise dandogli qualche colpetto sulla pancia. “Se fossi in te mi preoccuperei di mangiare meno pizza: se continui così dovrò stare sempre sopra, per evitare di rimanere schiacciata.”
“Esagerata! Per tua
informazione mi hanno sempre detto che
ho le maniglie dell’amore più sexy del
pianeta.”
“Credici… Da domani puoi venire a correre con me, sì?”
“No, grazie, perderei dieci
anni di vita svegliandomi ogni
volta alle cinque del mattino.” Con un sorriso le
scostò una ciocca di capelli
dalla fronte e avvicinò la bocca al suo orecchio, come per
rivelarle un
segreto. “Conosco un modo molto più piacevole per
bruciare un sacco di
calorie…”
Erano nel bel mezzo di un bacio profondo e appassionato, quando il cellulare appoggiato sul comodino iniziò a squillare. Entrambi decisero di ignorarlo, sicuri che presto avrebbe smesso, ma la persona che stava chiamando era incredibilmente insistente.
Con un sospiro irritato, Ziva
cercò di disincastrare le sue
gambe da quelle di Tony e lo afferrò alla cieca.
“Chi diavolo è??” Rispose
senza preoccuparsi di controllare a chi apparteneva il numero.
“Ti prego, piccola, lascia perdere quel coso e torna qua…” Il suo compagno si lamentò, tentando invano di strapparle il telefonino dalla mano.
Per qualche istante la persona
all’altro capo della linea
rimase in silenzio. “…
Ziva?”
Lei accese la lampada sul comodino, vedendo con orrore che il suo cellulare era ancora dove l’aveva messo prima di andare a letto. “… Gibbs?”
“Passami
DiNozzo.”
Si voltò verso Tony, che gesticolava in preda al panico per
non farsi passare
la telefonata. “E digli che
l’ho
sentito.”
Ziva gli lanciò il telefono, recuperò in fretta i suoi vestiti e corse in bagno per farsi una doccia. Lui inspirò profondamente prima di avvicinarlo all’orecchio e chiuse gli occhi, come se si aspettasse uno scappellotto da un momento all’altro. “Uh, capo, non è come sembra…”
“Lo
so, DiNozzo. Anche
a me è capitato di giocare a carte con una donna fino alle
tre di notte!”
“Veramente mi stava dando lezioni di pianoforte…” Tony non resistette alla tentazione di replicare, ancora una volta la bocca aveva preso possesso del suo cervello.
“Marine
morto. Se non
vi presentate entro venti minuti ti farò trasferire in
Alaska.”
“… Questo vuol dire che non sei arrabbiato con noi? Per aver infranto la regola numero dodici?”
“Sul
lavoro non voglio
sapere, vedere o sentire niente di questa storia. E vedi di non
rovinare tutto
anche questa volta, DiNozzo, oppure te la farò
pagare… sempre che Ziva decida
di lasciarti vivere.”
Tony sorrise stupito. “Capo, ho le allucinazioni o ci hai appena dato la tua benedizione?”
“Non sposatevi. Mai.” Gibbs aggiunse un attimo prima di riagganciare.