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Autore: kou_oniisan01    24/06/2016    0 recensioni
"Mamma...ti ho sognato...talmente tante volte...tra poco saremo di nuovo insieme...basta aspettare...il tempo non è alleato di nessuno...neanche di chi la morte la desidera."
Keiichi la morte la desiederava davvero, mai il filo rosso del destino non si può spezzare, e sarà proprio quello che, tra le intricate strade della grande Tokyo lo condurrà verso una persona speciale.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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“Mamma…ti ho sognato…talmente tante volte…tra poco saremo di nuovo insieme…basta aspettare…il tempo non è alleato di nessuno…neanche di chi la morte la desidera.”  

Camminava per i corridoi della scuola con passo pesante, osservato dagli sguardi indiscreti degli altri liceali in uniforme, tirandosi, con la mano, il ciuffo biondo davanti agli occhi nel disperato tentativo di coprirsi il viso pallido. Arrivò nella sua aula al terzo piano, come ogni mattina, alle ore 7:40 in punto, lanciò la borsa blu sull’ultimo banco vicino alla finestra, per poi stravaccarsi sulla sedia, appoggiando le gambe sul banco e osservare il panorama alquanto grigio; come ogni mattina. Se l’aula fosse stata al primo piano, si sarebbe ugualmente annoiato osservando i ragazzi al campetto da baseball, non provando un minimo di eccitazione neanche nel vedere l’allenamento delle ragazze del club di danza moderna, che non consisteva in altro che in uno spettacolo di marionette, ansiose di mettere in mostra l’ultimo reggiseno o comunque abbigliamento intimo comprato. D’improvviso iniziarono a piombare dal cielo proiettili d’acqua, sottili come uno spillo, che aggiungevano malinconia al già grigio panorama che circondava la scuola. Il rumore dell’acqua che si infrangeva al suolo andava allo stesso ritmo di “suicide circus”, che risuonava ad alto volume nelle orecchie del ragazzo.
Il secondo ad arrivare in classe, era, come ogni mattina, Hiro.
- Buongiorno Kei…sempre con le cuffie nelle orecchie! – gli tolse una cuffia appoggiandola al suo orecchio. Hiro era l’unica persona a cui Keiichi permettesse di chiamarlo con quel nomignolo: loro due erano ormai amici da tredici lunghissimi anni, anche se Hiro era un anno e mezzo più piccolo dell’amico. Insieme si erano fatti le migliori risate della loro vita, assieme avevano fatto i migliori sbagli della loro vita, senza mai pentirsene; avevano iniziato a puzzare di tabacco insieme (anche se due mesi dopo Hiro tornò a profumare di lavanda grazie ai suoi genitori) e spesso avevano marinato la scuola senza mai preoccuparsi delle conseguenze, perché stando insieme anche le punizioni avevano un sapore migliore.

  Odio invecchiato e giovane sangue freddo.
Il motivo del brivido, quella povertà brulicante.
[TICK-TACK-TACK-TACK-TACK-TACK]
Nessuno può riavvolgere il tempo.
[TICK-TACK-TACK-TACK-TACK-TACK]
La scena a pezzi senza pietà.  
-Ascolti ancora questa canzone? Amico finirai col demoralizzarti! – Hiro sorrideva sempre quando parlava, di fronte a Keiichi non aveva mai smesso di farlo, era proprio una cinciallegra dagli occhi e i capelli color carbone. Diede un forte pacca sulla spalla dell’amico, sorridendo e strizzando i piccoli occhi a mandorla.
- Ahia…sai che male…sei proprio un rompipalle...i Gazette fanno musica che a me piace, dov’è il problema? – Hiro iniziò a saltellare per la classe tirandosi ciuffi dei capelli a mo’ di codine.
- Il problema è che tra un po’ mi diventerai una femminuccia! – attaccò a gridacchiare come una checca isterica, strappando un sorriso a Keiichi che ridacchiava divertito; poi Kei si alzò per tirargli un buffetto sul braccio.
- Sei proprio bravo ad imitare le ragazzine, del resto ascolti le canzoni sdolcinate delle AKB48! – Hiro lo afferrò circondandoli il collo con il braccio e sussurrandoli sottovoce.
- Io le seguo solo perché…sono tutte gnocche da paura! – Keiichi rise annuendo per far segno di condividere la sua opinione. 
Suonò la campanella, tutti gli studenti si recarono nelle proprie classi, anche quella di Kei finì col riempirsi nel giro di pochi secondi. Arrivò pure Tadashi, all’ultimo secondo prima dell’inizio delle lezione, come ogni mattina; del resto era un ritardatario cronico, però in compenso, aveva la media dei voti scolastici più alta di tutta la classe.
- Sempre in ritardo eh Tadashi? – disse Keiichi con fare sfottente.
-  Zitto tu, levati quei piercing dal labbro e dal sopracciglio e abbottonati i due bottoni, se la professoressa se ne accorge ti spedisce in sala professori, lo dico per te, sei già stato rimandato l’anno scorso. – Keiichi sbuffò spingendosi contro lo schienale della sedia con i piedi e poi si scompigliò i capelli biondi.
-Che palle…a volte penso che sarebbe stato meglio se mia madre fosse rimasta in Europa…lì non sono così pignoli su queste piccolezze, e poi così non avrebbe conosciuto quello schifoso di mio padre, avrei preferito non nascere. – Hiro li tirò un forte scappellotto dietro la nuca, facendolo sobbalzare per la sorpresa, ma non replicò sul gesto dell’amico; intanto la professoressa entrò in classe, con atteggiamento rigido come sempre, tutti si alzarono in piedi e il primo rappresentante di classe disse con voce solenne - Saluto! -, seguirono gli altri in coro – Buongiorno! – poi si sedettero tutti simultaneamente, come soldatini.
La professoressa iniziò a girare tra i banchi, ma era facilmente intuibile che il suo obbiettivo principale era controllare che Keiichi fosse in ordine. I tacchi schioccavano a contatto con il pavimento ed il rumore aumentava d’intensità con l’avvicinarsi della professoressa, Kei chiuse gli occhi per un istante, mettendosi la mano sinistra tra i capelli biondissimi per tirarsi all’indietro il lungo ciuffo che li arrivava all’orecchio; poi li riaprì annusando l’odore di carta stampata che emanava la donna e girando la testa si trovò di fianco la professoressa Kawasaki che lo guardava con fare circospetto.
- Professoressa non siamo cani che si annusano a vicenda, se ha la lingua può parlare. – il ragazzo si stravaccò sulla sedia ricambiando lo sguardo guardingo della professoressa.
- Insolente. Abbottonati la camicia, togliti piercing e orecchini e sistemati la cravatta dell’uniforme, sei a scuola, non in una strada di Harajuku. – la donna rimase composta con braccia conserte e sguardo cagnesco per intimidire l’alunno, che in verità pareva tutt’altro che impaurito, e sul viso del quale comparve l’espressione tipica di chi vede un insetto disgustoso.
- E lei allora? Vestita con quella gonna corta a tubo mi ricorda molto le signorine dei casini di Amsterdam. E poi se lo lasci dire…non ha più l’età per portare quelle cose…zitellona! – tutti i compagni scoppiarono in una fragorosa risata facendo salire i nervi alla professoressa in tal modo che la faccia le si colorò tutta di un rosso violaceo, iniziò a digrignare i denti spalancando gli occhi per poi strascinare per un orecchio Keiichi fuori dalla classe urlando per i corridoi
– Disgraziato! Io ti faccio espellere! Insolente maleducato! - dall’aula si potevano ancora udire le fragorose risate dei ragazzi. La professoressa Kawasaki lo trascinò in sala professori e lo fece sedere ad una sedia in fondo alla stanza come in punizione.
-Io adesso vado a parlare con il preside affinché tu venga punito severamente! E non ti muovere da lì! – lui si sbracò nuovamente sulla sedia aprendo le gambe e incrociando le braccia come uno Yakuza. La donna girò sui tacchi e si diresse verso la porta.
-  Ah professoressa! Volevo chiederle: le ho mai detto che la sua voce quando grida mi ricorda tanto il doppiaggio di Masako Nozawa quando doppia la kamehameha di Goku?! – la professoressa uscì dall’aula gridando come una pazza, mentre Keiichi rideva a crepapelle con le lacrime agli occhi per quant’era divertito. Erano passati all’incirca quindici minuti da quando la professoressa l’aveva fatto sedere su quella sedia e per la noia stava sonnecchiando con la testa appesa e le braccia conserte, sorretta solo dalla sua schiena, che oltretutto stava cedendo lasciando cadere dolcemente la testa tra le sue gambe.
-Mi perdoni dottoressa Taneda…il fatto è che non potevo permettere che quei ragazzi facessero quello che volevano…- Keiichi udendo quella voce, spalancò gli occhi assonnati e si affacciò alla porta per vedere cosa stesse succedendo.
- Capisco il tuo disappunto però non è il caso che tu faccia più attenzione? I ragazzi spesso sono violenti ed è già la quinta volta in due mesi che vieni in infermeria. – la ragazzina assunse un’espressione dispiaciuta, reggendosi il braccio sinistro con la mano destra; notato quel gesto la donna dal camice bianco e i capelli corvini di natura mossa ma alquanto scompigliati, la guardò sorridendole con lo sguardo dolce di una mamma, poi le mise una mano sulla spalla per accompagnarla in infermeria.
Keiichi rimase incuriosito e pensò di seguirle in infermeria: “i ragazzi spesso sono violenti…la quinta volta in due mesi in infermeria…non capisco, ormai picchiano anche le ragazze.”
L’infermeria non distava molto dall’aula professori, bisognava attraversare due corridoi e girare a destra per poi trovarsi davanti ad una porta scorrevole azzurrina. Keiichi sgattaiolò dentro un aula vuota per non farsi vedere e aguzzando le orecchie attendeva il momento giusto per entrare. La dottoressa Taneda fece sedere la ragazza sul lettino bianco.
-Tu rimani un attimo qui, io vado a prendere il tuo fascicolo didattico per aggiornarlo dell’accaduto. – la ragazza annuì scuotendo la testa, un ciuffo dei lunghi capelli neri le cadde davanti agli occhi. Keiichi vide uscire la donna dalla stanza e colse l’attimo per entrarvi con fare timido, rimanendo sull’uscio, appoggiato alla guarnizione della porta con le mani in tasca. L’infermeria della scuola odorava di detersivo per parquet e candeggina, di ospedale e ginocchia sbucciate; per Keiichi quello era un odore familiare, un odore che conosceva benissimo e che non li suscitava bei ricordi.
- Ciao…- lui le rivolse timidamente un saluto, la ragazzina si voltò verso di lui con il braccio sinistro ancora sostenuto dalla mano destra
- Ciao. – la ragazza voltò lo sguardo altrove.
- Se non ti dispiace…posso dare un’occhiata al tuo braccio? – lui entrò definitivamente nella stanza avvicinandosi al lettino della ragazza.
- Sei uno studente volontario per l’infermeria? – Keiichi aggrottò la fronte e poi sorrise sorpreso tenendo le mani nelle tasche.
- Ah…si! Sì! Sì! Certo...allora posso dare un’occhiata al tuo braccio? – lei le porse il braccio: aveva la pelle bianchissima e liscia inoltre il braccio era molto magro con un rigonfiamento roseo al centro. Poi glielo sfiorò appena con la mano, lei emise un silenzioso gemito di dolore.
- Sei anche tu del primo anno? – lui alzò lo sguardo accorgendosi degli strani occhi ghiaccio che aveva la ragazza, poi si girò verso l’armadietto dell’infermeria per cercare delle stecche e dello scotch.
- Sì ma l’anno scorso sono stato bocciato, sono un ripetente, ho quasi diciassette anni…e sì, lo so, sono strano, infatti non sono giapponese, mia madre era europea. – la ragazzina lo osservò perplessa.
- Perché dai tutte queste spiegazioni? Insomma…io ti ho chiesto solo se sei del primo anno, non ho chiesto la storia della tua vita. – lui ridacchiò fissandole la stecca al braccio con l’ultimo pezzo di scotch.
- Mi piace come pensi, hai ragione dovrei prestare più attenzione alle domane che mi fanno; et voilà finito! Il braccio ha una piccola frattura, ti consiglio di andare in ospedale a fartelo controllare dopo la scuola. –
- Ah…ok va bene ma scusa come l’ahi capit…- la dottoressa Taneda entrò nella stanza con il fascicolo tra le braccia e lo sguardo un po’ accigliato, poco sorpresa di vedere Keiichi nell’infermeria.
- Keiichi...casinista che non sei altro che hai combinato al braccio della mia piccola paziente? – lui sobbalzò rabbrividendo alla vista di quegli occhi da corvo arrabbiato, tentando di apparire un angioletto mostrando i suoi occhioni azzurri e facendosi piccolo piccolo.
- No dottoressa cos’ha pensato! Ho visto che le faceva male il braccio e controllandolo ho intuito che era rotto…- la donna si avvicinò alla ragazzina e le prese il braccio esaminando con cura il bendaggio fatto dal ragazzo.
- Niente male…davvero niente male…direi che hai fatto un ottimo lavoro, perché non vieni a dare una mano all’infermeria? Potrebbero darti dei crediti per questo. – la ragazzina guardò la dottoressa con sguardo perplesso, per poi volgere la testa verso il ragazzo.
- Scusa ma tu non eri già un volontario? – Lui sgattaiolò fuori dalla porta correndo, la dottoressa Taneda sorrise divertita.
- È davvero un ragazzo simpatico non trovi? –      

Erano le 7:40 del mattino, Keiichi era già in classe.
- Salve! Buongiorno principessa Kei-chan! – Hiro appoggiò la borsa sul banco e si sedette sulla sedia a cavalcioni, notando immediatamente lo sguardo malinconico dell’amico, che, appoggiato con le braccia sul banco, si sorreggeva il viso con la mano, non degnando di uno sguardo il ragazzo che li aveva rivolto allegramente il saluto.
- Buongiorno…- Hiro era un ragazzo molto testardo, una di quelle persone-cecchino, che non abbassano il fucile prima di aver colpito il loro bersaglio, e anche stavolta non aveva certo intenzione di mollare, così guardò nel mirino e sparò un colpo per centrare il bersaglio.
- Ma come siamo malinconici stamattina, perché non mi dici un po’ cosa ti è successo? Di certo non ti ha lasciato la ragazza perché solitamente sei tu a lasciare loro. – Kei schioccò le dita di una mano inacidendo il tono di voce. - Vedi di non rompere le palle di primo mattino, non è successo niente. – Bersaglio mancato. Il tiratore carica un altro colpo in fucile e prende di nuovo la mira. Calibro .50 BMG.
- Ti manca tua madre? – Kei alterò nuovamente il tono.
- Hiro, hai davvero rotto le palle. – Terzo e ultimo colpo per il tiratore Hiro Kobayashi. Calibro .50 BMG.
- Allora tuo padre l’ha fatto di nuovo? -
-Hiro mi hai davvero rotto! Non è successo niente! – Kei si alzò in piedi lasciando che la sua mano scoprisse la guancia coperta da un grande cerotto. Bersaglio colpito. Silenzio, perché ogni battaglia inizia e finisce con il silenzio.
-Allora, adesso vuoi dirmelo? – il ragazzo si sedette di nuovo sulla sedia, con la stessa compostezza di tutte le volte che succedevano cose del genere con Hiro, una compostezza che non gli apparteneva e che tutte le volte non preannunciava belle notizie. Si tolse delicatamente il grande cerotto che li copriva il volto.
- Ma che…? – una grande chiazza rossa e violacea investiva il viso del ragazzo dall’occhio fino alla guancia; taglietti sanguinolenti facevano da contorno sull’ematoma arrivando quasi a sfregiare le tristi labbra dell’ormai diciassettenne. Kei guardò l’amico con espressione sconsolata e rassegnata, lasciandosi abbandonare, finalmente, sullo schienale della sedia.
- Ma che cazzo ti ha fatto?! Porca puttana Kei quello è pazzo! – Hiro lo guardò dritto negli occhi azzurri cielo, colmi di una voglia di libertà; una libertà che il ragazzo aveva tentato di conquistare più di una volta e  i segni della rivolta si riflettevano sulla sua guancia. Il biondo fece un respiro profondo.
- Quando ieri sono tornato a casa, mio padre non c’era, o almeno credevo che non ci fosse…così mi ero messo a cercare sul sito di un’agenzia immobiliare un appartamento a basso costo, sai uno di quelli che sono accessibili agli studenti; e mentre cercavo ne avevo trovato uno che era vicino a casa tua e che avrei potuto pagarmi facilmente con il mio lavoro part time così iniziare ad esultare per la gioia… - si intravide un lieve sorriso sul viso del ragazzo; durò il tempo di un caffè al bar, per poi sparire.
- Mio padre in realtà c’era, era semplicemente in camera da letto con un’altra delle sue puttane. Poi venne in soggiorno e si accorse della ricerca che stavo facendo…lì ha iniziato a picchiarmi gridando “figlio di puttana che stai facendo?! Se provi ad andartene ti trovo e t’ammazzo come ho fatto con tua madre!” il resto non te lo racconto…intendo il modo in mi ha fatto sta roba… - Hiro rimase basito, come ogni altra volta nel giro dei quindici anni passati insieme.
- Ma perché non vuole lasciarti andare via di casa? Ha paura che tu racconti la verità sull’omicidio di tua madre? – Kei sghignazzò.
- Tsk! Ma figurati quel bastardo nel processo aveva corrotto chiunque, anche il bidello, affinché io gli fossi affidato per ricevere l’assegno dallo stato per il mio mantenimento siccome lui non ha un lavoro fisso…con quei soldi ci va a troie. – Hiro si morse il labbro, e sentì il naso bruciargli e gli occhi gonfiarsi come le vele di una barca.
- Quando mi guardo allo specchio dopo che succedono queste cose…mi sento più vicino a mia madre; quei lividi, li ha avuti anche lei prima di quel giorno…- fece un sorriso disperato, ridendo affannosamente e guardando a tratti il cielo fuori dalla finestra con occhi lucidi e gonfi, come se stesse per piangere lacrime amare, che pizzicavano come peperoncino e che avevano voglia di solcare quelle guance rosee; ma Keiichi non lasciò andare quelle lacrime, non l’aveva mai fatto e non intendeva farlo.
- Non ho mai pensato al suicidio, lei non lo vorrebbe lo sai, attendo solo la mia ora. –
- Beh, allora mi sa proprio che la tua ora dovrà attendere parecchio tempo, andiamo in infermeria. – Hiro si asciugò il naso bagnato di muco con un fazzolettino usato che aveva in tasca, poi afferrò per un braccio l’amico e lo trascinò nell’infermeria.
Hiro bussò alla porta della stanza, che puzzava ogni giorno di più di detersivo e candeggina, un odore che faceva venire un nodo in gola a chiunque. Aprì la porta e con il braccio fece segno alla dottoressa Taneda.
-Ehi voi due come mai qui di primo mattino? Ehm mah! Keiichi cosa ti è successo?!- la dottoressa scrutò il viso del ragazzo, mentre lui faceva di tutto per nascondersi per l’imbarazzo. La donna gli accarezzò l’altra guancia con il fare rassicurante di una mamma e afferrandolo per una spalla lo portò a sedersi sul lettino; aprì la cassetta d’infermeria e con un tampone imbevuto di disinfettante iniziò a pulirli il viso. I tagli bruciavano facendo formicolare le mani a Kei, ma la cosa che più di tutto gli ardeva dentro, ormai da 4 anni, era la rabbia.
- Come sta il braccio della ragazza che stava qui l’altro giorno? –
- Hai quest’obbrobrio sulla faccia e ti preoccupi della ragazza dell’altro giorno? – lui annuì tranquillamente e la donna gli rispose sospirando.
- Il braccio era effettivamente rotto, una frattura composta per fortuna, però ha dovuto mettere comunque il gesso, ma come mai ti interessa tanto? - -Era molto carina. – Hiro sussultò felicemente e si sedette accanto all’amico.
- Ehi Kei, egoista che non sei altro non me ne hai parlato! Eh vabbè fa niente ti perdono…ma allora chi è la fortunata? – il ragazzo non poté voltarsi a parlare perché aveva ancora il volto incollato al tampone e le guance stritolate dalle mani della dottoressa, ma tentò comunque di guardare in direzione dell’amico.
- Il suo nome non me l’ha detto, però ho notato un particolare davvero interessante! –
- Cioè? – Hiro incuriosì ancora di più lo sguardo. - Aveva gli occhi degli Husky siberiani, erano di un color ghiaccio impressionante. È davvero una caratteristica unica per una giapponese. – Hirò sobbalzò sul lettino facendo spaventare la dottoressa che si fermò un attimo per guardarlo con sguardo cagnesco, lui sorrise stupidamente intimidito dalla donna.
- Beh che ti è preso? – domandò Kei.
- No è che quella ragazza io la conosco, c’è insomma, la conosco perché è famosa qui a scuola, possibile che tu non abbia mai sentito parlare del demone dagli occhi ghiaccio? – Kei riuscì finalmente a girarsi in direzione di Hiro, e scosse la testa con disapprovazione.
- La chiamano così per via degli occhi, ma non solo per quello: dicono che in lei risieda un lo spirito di un grande samurai, si immischia sempre nelle risse dei ragazzi per prendere le difese di qualcuno, non sopporta le ingiustizie e ama la democrazia…solo che spesso si fa male perché i ragazzi sono violenti…è un po’ imbranata però ha un gran fegato! – La dottoressa annuì ridacchiando.
-Si chiama Takahashi Reila. È del primo anno, mi sono subito affezionata a lei per cui non toccarla è la mia figlioletta. – Hiro sorrise ammiccando all’amico.
- E fidati…è un gran pezzo di figlioletta, l’uniforme le dona tantissimo. – la donna lo fulminò nuovamente con gli occhi e lui impaurito alzò le mani facendo segno di bandiera bianca. Lei richiuse la cassetta d’infermeria dando una pacca sulla spalla di Keiichi. Il ragazzo scese dal lettino avviandosi verso la porta.
- Grazie ancora dottoressa, non so davvero come ricompensarla. – la donna si voltò arzilla scompigliando ancor più la sua pettinatura anni 50’. - -Guarda puoi iniziare domani ad aiutarmi qui in infermeria. Tanto i club che frequenti fanno allenamento la mattina presto. – Hiro ridacchiò sottovoce portandosi la mano davanti alla bocca per nascondere la risata scema e poi bisbigliò sottovoce nell’orecchio di Kei.
- Ti ha fregato… - Keiichi lo guardò malissimo, con uno sguardo della serie: “quando usciamo ti distruggo” ed Hiro aveva il pieno diritto di aver paura dato che il latin lover dai capelli biondi, nonché il suo miglior amico, era uno degli assi del club di boxe.
- Non lo so…non credo di aver il tempo…sa devo studiare. – la donna alzò il sopracciglio sorridendo a malapena.
- Mi spieghi chi vuoi prendere in giro? Due volte bocciato, campione di battutacce ai professori, medaglia d’oro nel campo dei voti bassi e tu mi vuoi far credere che adesso stai studiando? – Keiichi adottò la tattica del sorrisetto scemo di Hiro nel tentativo di impietosire la donna.
-Se vieni ti faccio conoscere Reila. –
-Ok va bene. – la dottoressa se ne andò ridacchiando.  
 
   
 
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