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Autore: Moonyra    25/06/2016    0 recensioni
Si tratta di una storia ordinaria.
Non ci sono eroi, né principesse, né draghi o guerriere.
È la storia di un semplice coinquilino alla ricerca di un'altra etichetta oltre a quella che lo identifica adesso.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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“Andreaa?”.
”Che cazzo vuoi?” fu la brusca risposta che ricevette chi aveva chiamato la ragazza che giaceva scompostamente sul divano nel piccolo salotto inanellandosi le ciocche di capelli alle dita e guardando un film catastrofico che la televisione stava trasmettendo.
“Dove sono gli asciugamaniii?”.
La ragazza sbuffò, alzando gli occhi al cielo, e borbottò in direzione dell’altra ragazza stravaccata all’altro capo del divano: “Perché è coglione? Perché uno così coglione è dovuto capitare a ME?!” L’altra alzò le spalle e continuò a guardare il film, dove un famoso attore di Hollywood stava cercando di recitare la parte del marito preoccupato per la famiglia, fallendo miseramente nell’intento. “Dove li hai lasciati tu, coglione!”.
Il silenzio calò nel piccolo appartamento. Dopo pochi attimi di quell’innaturale situazione la ragazza chiamata Andrea si girò verso l’amica: “A chi tocca oggi la cena?”.
Lei distolse l’attenzione dal punto imprecisato del soffitto in cui aveva fissato lo sguardo e si alzò svogliatamente dal comodo divano, trascinandosi in cucina come se avesse ottant’anni e fosse stata tutto il giorno affaccendata, mentre di anni ne aveva venti e la sua unica occupazione della giornata era stata studiare qualche ora la mattina.
Arrivata in cucina, iniziò a mettere sul fuoco la padella con il burro. Aveva deciso all’istante che avrebbero mangiato delle semplici fettine, perché era fin troppo tardi per l’appuntamento che aveva con il suo ragazzo e non se la sentiva di cucinare e mangiare altro. Dall’esterno sembrava calma e fiduciosa, ma dentro di lei era molto più agitata di quanto fosse mai stata. Non sapeva nemmeno lei perché. Forse era solo fissazione, forse era una premonizione, forse…
“Che si mangia?”. Si girò di scatto, rischiando un violento torcicollo. Un ragazzo, vestito solamente di un asciugamano rosso intorno alla vita, stava fermo sullo stipite della porta della cucina, guardando in giro evidentemente affamato.
“Fanculo Allen. Non ti avevo sentito arrivare” borbottò la ragazza, tornando vicino la padella dove il sottile strato di burro aveva iniziato a sfrigolare.
“Ok, adesso mi hai visto che sono arrivato. Cosa si mangia?” sorrise tranquillo lui, a suo agio come se andarsene in giro vestito solo di un asciugamano fosse la cosa più normale al mondo. E forse doveva essere normale per lui, perché la ragazza non sembrava fare caso a quello strano capo d’abbigliamento: “Tacchino”.
Passò un lungo minuto di silenzio, nel quale la ragazza, girata di spalle rispetto alla porta, credette che l’altro se ne fosse andato silenziosamente come era arrivato.
Ma la sua voce la fece sobbalzare di nuovo: “Sei nervosa?”. “Non sono nervosa!” urlò la ragazza ai fornelli, dimostrando che era vero il contrario di quello che aveva detto  “Sono… agitata”.
Lui le lanciò uno sguardo di commiserazione, aggiungendo qualcosa che suonò come: “Sì, e io sono vergine” e uscì dalla cucina, dirigendosi verso la porta a fianco, che era la sua camera.
“Aaaaaaalleeeen!”. Questa volta fu il suo turno di urlare in risposta: “Che vuooooi?!”. “Se stai disturbando Madison ti ammazzo!”. “Non la sto disturbando!”.  Si sentirono i passi di Andrea che percorrevano i pochi metri di corridoio che collegavano le cinque stanze dell’appartamento.
Poi la sua testa castana fece capolino dalla porta della cucina, osservò la scena del ragazzo in asciugamano e commentò irritata: “Stavo sentendo le sue urla dal salotto. Quindi vuol dire che la stai infastidendo. Ma porca vacca , convivi con me da ventuno anni e non hai ancora imparato che non devi nemmeno provare a parlare con una ragazza che sta per uscire con uno? Se penso che siamo nati dalla stessa donna mi viene da vergognarmi”.
La ragazza che stava cucinando, tale Madison, alzò la testa, senza spiaccicare una parola lasciò incustodita la padella con le fettine di tacchino e uscì dalla cucina, sorpassando Andrea e Allen, che la guardavano straniti. “Non mangi?” provò la ragazza.
“Sono in ritardo” le rispose Madison, che dopo essersi messa le scarpe uscì sbattendo la porta. I due fratelli si scambiarono un’occhiata che esprimeva tutto la loro perplessità: Madison non si preoccupava mai per minuzie come l’essere in orario. Era già abbastanza strano che non fosse tranquilla come al solito, adesso aveva perso anche la sua spensieratezza. Era troppo strano. Andrea decise all’istante di sottoporla a un interrogatorio al suo ritorno e, lanciando un’occhiataccia al fratello, gli intimò:”E tu vatti a mettere un paio di mutande”.
 
Madison rientrò a casa dopo meno di tre ore. Andrea era ancora sul divano, intenta a vedere un film drammatico e aspettando che rientrassero i suoi coinquilini. Si preparò a mettere in atto il suo proposito, ma si bloccò quando vide che l’amica aveva gli occhi rossi. Non riuscì a cavarle di bocca nulla, tranne che andava tutto bene e che andava subito a dormire. Il giorno dopo seppe che si era lasciata con Brad. Ma dovette insistere molto e per molti giorni per sapere come fosse accaduto.
 
Allen Pierce era sdraiato su quel divano da più di due ore, con la scusa che stava studiando per l’esame di giugno. Anche se era ancora marzo. Era immobile, il libro di poesie tedesche poggiato aperto sulla pancia, lo sguardo puntato sul soffitto. Stava cercando di venire a capo del groviglio dei pensieri che gli vorticavano nella testa, con scarsi risultati. Il consiglio unanime dei suoi amici più stretti, ai quali aveva raccontato tutta la faccenda, non era stato consolante: “Amico, sei nella merda e non ne uscirai più, rassegnati”. Aveva anche provato a uscire con qualche ragazza del suo corso, ma dopo massimo due appuntamenti troncava i rapporti, con il risultato di non poter entrare più in aula senza essere vittima di uno sguardo di fuoco.
Un improvviso scampanellio lo fece quasi cadere dal divano. Si riprese in tempo e masticando tra i denti qualche maledizione andò ad aprire, sicuro di ritrovarsi davanti la sorella che aveva dimenticato le chiavi. Invece, quando aprì la porta, vide che fuori dalla porta c’era un tipo che non aveva mai visto. Biondo, palestrato, vestito impeccabilmente e con un ghigno sfrontato a completare l’ immagine. Non doveva nemmeno chiedersi per quale motivo a quella prima analisi lo sconosciuto gli risultò da evitare.
“Sì?” cercò di essere gentile, quantomeno per levarselo più presto possibile dalle palle e tornare al suo amato divano. “Cerco Madison” rispose quello, dopo averlo esaminato da capo a piedi con un’espressione molto simile al disgusto. Un’espressione che si inasprì ancora di più quando il proprietario di casa urlò verso le altre stanze dell’appartamento: “Maaadison! C’è un tipo che ti ceeeerca!”. Se il biondo avesse potuto anche leggere nella mente dell’altro, probabilmente si sarebbe disgustato maggiormente per l’opinione di lui che si stava formando nella mente del ragazzo.
Passò qualche istante di silenzio, poi Allen si girò verso il tipo alla porta e lo informò con una punta di soddisfazione: “Deve essere uscita”. Lui lo squadrò un’altra volta, prima di ribattere duro: “Ascoltami, coglione … lo so che non è uscita, vammela a chiamare. E se non lo fai tu, ci vado io”. Allen a quel punto trattenne una risatina sarcastica e gli rispose: “Credo di sapere se la mia coinquilina è in casa oppure no. Quindi fammi il favore di smammare”. L’altro strinse le labbra, irritato al massimo grado, e insistette: “Devi farmi entrare. Sono Brad, il suo ragazzo. Quindi spostati e fammi andare a parlare con lei”.
Allen a quel nome cambiò colore. Se fino ad allora era rimasto rilassato, quasi divertito, quando sentì il nome dell’altro raddrizzò le spalle e strinse la mascella: “Oh, piacere, sono proprio contento di vedere la tua faccia. Volevo proprio conoscere quello che ha lasciato Madison, per sapere quale faccia da stronzo spaccare”.
Brad, a quella risposta, ormai completamente infuriato scattò. Preso alla sprovvista, Allen non riuscì a evitare il primo pugno. Ma si riprese subito e con una spallata buttò l’altro fuori dalla porta, chiudendogli poi dietro l’uscio. Sentì quello picchiare i pugni sul legno, ma lo lasciò sul pianerottolo, sperando che se ne andasse prima che le ragazze tornassero. E solo allora iniziò ad avvertire il dolore. L’occhio destro gli pulsava, il naso sembrava quasi rotto. Quel coglione borioso. Poi, non aveva capito nemmeno cosa accidenti volesse e per quale motivo si fosse arrabbiato. E perché, dopo settimane che non si sentivano, lui voleva riallacciare i rapporti con Madison? Ora che lei finalmente sembrava averlo dimenticato. Tremava al pensiero di cosa sarebbe potuto succedere se lei fosse stata in casa, o peggio se avesse aperto lei il portone.
Mentre andava verso il bagno per controllare la sua faccia, passò davanti la camera delle ragazze. La porta era aperta e buttando un’occhiata all’interno vide che Madison era lì. Non era uscita.  Era seduta per terra, le spalle al muro, guardava il soffitto assente, un’ombra di paura sul viso.
“Madie…”. Lei lo guardò e allora Allen vide che i suoi occhi erano pieni di lacrime. Si precipitò da lei: voleva, doveva capire. Era sua amica, vivevano insieme da un anno e mezzo, sapeva che non si sarebbe mai lasciata spaventare da un galletto montato. Madison si nascose il viso, rimase sorda alle sue parole che chiedevano spiegazioni. Solo quando alzò la testa, dopo diversi minuti, vide lo stato in cui era ridotta parte della faccia di Allen. Allungò una mano, chiedendo unicamente: “Te l’ha fatto lui?”.
Allen annuì, ma aggiunse subito: “Ma tu non ti preoccupare per me, ok? Dimmi cosa è successo, per favore. So che magari non vuoi parlare con me del tuoi problemi, ma Andrea è fuori e io ti … voglio bene”.
Madison restò qualche istante con lo sguardo fisso sul suo occhio destro: “Prima ti serve del ghiaccio” e si alzò, scostando Allen che continuava ad assediarla insistendo che lui stava bene e che il suo istinto da studente di infermieristica non era necessario in quel momento. “Siediti sul divano!” ordinò, prima di andare in cucina e tornare in salotto con una confezione di pesce surgelato in una mano e una garza in un’altra. Allen si sedette, obbediente, capendo che con quella testarda non c’era nulla da fare.
Madison si sistemò sopra alle sue ginocchi a cavalcioni, per mettere bene sotto la luce l’occhio offeso. Il ragazzo vide che aveva ancora gli occhi rossi, ma la preoccupazione per la sua salute aveva fermato le lacrime. “Hai un occhio completamente nero” lo informò lei  “e un po’ di sangue dal naso. Ma non sembra niente di troppo grave”. Gli mise il pesce surgelato sull’occhio, intimandogli di tenerlo fermo, e con il fazzoletto iniziò a cercare di fermargli il sangue che usciva dal naso.
“Adesso mi dici cosa è successo?” insistette di nuovo Allen.
La ragazza con un tremito nelle labbra rispose: “Brad è un coglione”.
“Capisco la tua scarsa fiducia nell’utilità degli studenti di Lettere, ma fino a qui c’ero arrivato”.
Madison rise, sciogliendo il groppo in gola che era venuto ad entrambi. Quanto gli piaceva farla ridere. Aveva una risata strana, un po’ singhiozzata, tanto che lei se ne vergognava, ma a lui non importava: continuava sempre a scherzare per poter sentire Madison vicina.
“Gli ultimi giorni si è rifatto vivo e ha iniziato a comportarsi un po’ da stalker, non so perché. Ma adesso credo che non ci proverà più”. Gli sorrise, di quel sorriso un po’ accennato che esprimeva tenerezza, e continuò a medicarlo.
Allen in quel momento, come risvegliato da un coma dal suo sorriso, si accorse di essere a disagio in quella posizione. Sentiva le sue forme premergli sulle cosce, il respiro ridiventato regolare e tranquillo che gli sfiorava il collo, le mani calde sul viso. Erano soli, immersi in un silenzio così estraneo a quella casa, e il viso di Madison era così vicino, le labbra strette per la concentrazione. Stava per perdere il controllo.
Come quel giorno, tre mesi prima. Era una sera in cui Andrea aveva portato a casa il ragazzo con cui usciva, per “vedere un film”. Aveva chiuso la porta che collegava il piccolo soggiorno con il corridoio e le altre stanze dell’appartamento, intimando ai suoi due coinquilini di stare zitti e di non romperle le scatole. Dietro la promessa di lavare i piatti per due settimane, era anche riuscita a far giurare ad entrambi di restare confinati da dopo cena all’una. Per cui lui e Madison si erano ritrovati seduti sul pavimento del corridoio a giocare a Trivial Pursuit. La stava stracciando alle domande di Arte e di Storia, quando, per protestare sull’interpretazione ambigua di una domanda, lei si era alzata di scatto per andare a verificare ed era inciampata sul piede di una sedia. Istintivamente lui aveva cercato di afferrarla, ma la sua poca prestanza fisica aveva fatto sì che cadessero entrambi. Si erano ritrovati a fissarsi negli occhi, con i visi ad un soffio. Quel giorno, in quei pochi istanti che continuamente riviveva, stava per perdere il controllo. Era già difficile convivere con una ragazza che sentiva come perfetta per lui, guardarla fidanzarsi con altri, sapere che stava dormendo o facendosi la doccia a pochi metri da lui, senza che gli succedessero anche situazioni equivoche del genere. Allora, era stata lei che si era allontanata subito e aveva rotto quell’attimo di incantamento in cui era caduto. Ma in quel momento lei non sembrava accorgersi della situazione e continuava tranquilla a cercare di curargli il naso sanguinante. Toccava a lui allontanarla. Perché poi, si chiedeva. Era quello su cui aveva rimuginato tutto il pomeriggio. Perché insisteva a non volerci provare con lei, adesso che era libera?
“Perché merita di meglio. Un ragazzo bello, intelligente, che non sia così… te” continuava a rispondersi quando si poneva quella domanda “E perché non ti ricambierà mai”.
“Ehi Madie …”. “Aspetta un attimo, ho quasi finito”. “Madie … per favore”. La ragazza spostò lo sguardo dal naso del ragazzo ai suoi occhi castani: “Che c’è?”. Allen non rispose subito: continuò a guardare quegli occhi azzurri così … perfetti.
“Dai Allen, che hai?”. Lui spostò lo sguardo, fissandolo sul bracciolo del divano: “Adesso sto bene. Grazie”. Ecco. Tutto a posto. Scongiurato il pericolo. Aveva avuto sulla lingua quelle parole che avrebbero cambiato la sua vita in meglio o in peggio. Si sarebbe voluto buttare. Ma no, non poteva. Il suo destino era rimanere a guardare. Madison  si alzò dalle sue gambe. Come non sentì più il suo peso su di lui qualcosa nel suo petto si sciolse. Tutto era come prima. “Allen …”. Appuntò la sua attenzione su una mattonella del pavimento. Udì un sospiro, poi Madison uscì dal salotto.



Commenti

Avevo scritto questa storia mi pare un anno fa, ma poi non l'avevo pubblicata per insicurezze varie.
Era una delle mie prove per cimentarmi nel genere puramente realistico, che facevo forse per convincermi di poter scrivere anche qualcosa che non prevedesse spade, magia e persone dal passato triste.
iciamo che sono discretamente soddisfatta di questo, mi piacerebbe conoscere il vostro parere!
Pubblico insieme le tre parti della storia (dato che è già interamente scritta e revisionata), a presto!
  
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