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Autore: Hydrogen96    26/06/2016    0 recensioni
Questa è una raccolta di sogni -o per meglio dire incubi- di Thranduil, dopo la Guerra di Angmar in cui ha perso la sua amata moglie. Siccome sto tessendo la trama man mano che scrivo direi che è qualcosa di indefinito e di imprevedibile. :)
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Altri, Legolas, Thranduil
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Royal Nightmares





 

1. Ricordi sfuggenti che tagliano come lame




Era un giorno di pace, il sole splendeva al di fuori di Bosco Atro e nell'aria si poteva palpare un certo tepore, nonostante fosse inverno.
La guerra per Erebor era finita, ed i nani vi erano tornati a dimorare e a regnare, così per il regno di Thranduil era iniziata un'epoca d'oro dal punto di vista economico e commerciale.
In quella giornata si inspirava gioia e felicità, come mai prima di allora, e tutti i boschi erano in festa per via della sconfitta del nemico.
Gli alberi colossali che si ergevano su Bosco Atro, proteggendolo dalle intemperie e riparandolo dal sole estivo quando batteva troppo forte, erano stati decorati con fiori e ghirlande fatte di erbe e piante diverse, colorate e belle che davano più vitalità al regno. Gli elfi erano allegri, persino le pattuglie si potevano concedere pace pensando alla festa che si sarebbe tenuta nelle sale del regno. Elfi silvani festeggiavano assieme ai Sindar e a tutte le altre razze di elfi che popolavano il bosco questa pace tanto attesa, pareva che i loro cuori battessero all'unisono, intonando la stessa melodia e brillando di gioia.
Ma tra tutti quei cuori, ce n'era uno silenzioso, opaco nel suo tacito dolore.
Bosco Atro era di certo più colorato, ma gran parte di esso era comunque malato per via di un dolore antico che non aveva mai abbandonato le sale del regno.
Era il cuore di Thranduil, che si crogiolava nei ricordi passati perché non era mai stato in grado di lasciarli andare. Ogni giorno che passava si appesantiva sempre di più, in parte perché egli era conscio del fatto che le forze del male sarebbero tornate. Aveva questa sicurezza, dal momento che Mairon era solo scappato.
Non avevano ucciso l’Ainur, ed il Re di Bosco Atro ne aveva dedotto un futuro ritorno.
Tuttavia non era il caso di tormentarsi, bisognava ricostruire ciò che era andato distrutto, magari creare qualcosa di nuovo e bello poiché era necessario ripristinare lo splendore di Arda.
Thranduil sedeva sul suo trono intagliato nel legno e decorato da immense corna di alce. Sulla sua testa poggiava una corona di rami e di bacche rosse, che si intonava al mantello color tramonto. Era ricamato in argento, secondo i gusti del Sindar. L’abito che indossava in quel momento era argenteo anch’esso e risplendeva riflettendo la luce che lo accarezzava debolmente. Le sue vesti ed il suo portamento nobile facevano di lui un Re elegante e composto, uno splendente elfo. Tuttavia, nonostante questo splendore, vi l’ombra del passato che appesantiva i suoi giorni.
Le fredde dita del Re degli Elfi di Bosco Atro erano decorate da quattro anelli: due per mano. Nella mano destra indossava due anelli intrecciati come rami, d’argento, mentre nella mano sinistra ne indossava uno d’oro splendente, dalla forma serpentina che gli si avvolgeva attorno all’anulare come le spire di un rettile. L’anello più grande, lo indossava all’indice. Era d’argento, ed incastonato ad esso vi era una gemma preziosa, bianca, che risplendeva come un diamante.
E tra queste dita diafane e stanche stringeva qualcosa di altrettanto lucente. Gemme di pura luce stellare, che guarnivano una splendente collana d’argento. Ogni volta che posava lo sguardo su di esse, le immaginava al collo di chi le aveva possedute. La Regina di Bosco Atro, caduta nell’orribile Battaglia di Angmar. Non poteva non pensarci. Ora che era riuscito ad impossessarsi di quel cimelio, ricadere nella tela di quei ricordi intessuti nel sangue gli era impossibile. Forse, sarebbe stato meglio se la collana fosse stata distrutta dal drago, o comunque che non fosse mai tornata da lui. Ma quel profondo senso di colpa lo stava divorando da troppo tempo ormai.
Thranduil alzò lo sguardo verso l’uscita della grande sala, per poi spostarlo verso il corridoio che portava alle proprie stanze, che aveva condiviso con lei. Si alzò elegantemente e discese le scale con passo leggero, dirigendosi proprio là. Stringendo la collana tra le dita. Se in quel momento aveva avuto un briciolo di calore nelle mani, lo aveva passato tutto al prezioso cimelio, poiché ora si sentiva riscaldato da questo, come se le stesse tenendo la mano.
Una fitta al cuore, quel pensiero lo rese felice per il tempo di realizzare che lei non c’era più, e che l’unica cosa che gli rimaneva era la sua mancanza. Si domandò se l’avrebbe mai rivista. Il suo operato ad Arda non era terminato, e non avrebbe raggiunto le sponde di Valinor prima della fine di un’altra era. Il tempo per un elfo non è che un mero battito di ciglia, ed è così se non si sente addosso il peso della morte, della scomparsa della persona amata. Il peso del proprio fallimento.
Quelle gemme non sono tutto ciò che tua moglie ti ha lasciato, amico mio. Ti ha lasciato un figlio. Dimmi, quale avrebbe avuto un valore maggiore per lei?
A metà strada, le parole di Gandalf gli rimbombarono in testa, e non capì se era stato per magia o perché aveva lasciato la mente libera di navigare nei ricordi. Un debole sorriso si affacciò sul suo volto, come un raggio di sole tra mille strati di nuvole. Ora Legolas era alla ricerca di Grampasso. Lo aveva addestrato bene, sapeva che un giorno sarebbe tornato. In fondo erano giorni di pace, nessun grande pericolo avrebbe gravato sulla più preziosa delle gemme: suo figlio.
Ma ora Thranduil era solo nel suo reame, solo con se stesso. E le nuvole tornarono ad addensarsi. Sperò che Legolas non dovesse mai sperimentare il dolore di una tale perdita. Anche se lo aveva già provato sotto un altro aspetto, poiché quel giorno Thranduil non aveva perso solo la sua coniuge, ma il piccolo Legolas aveva perso anche sua madre.
Ma c’era una cosa che Thranduil non avrebbe mai saputo.
***

La terra bruciata di Angmar emetteva un terribile puzzo, poiché era il covo di orchi e di altre spaventose creature. Un giovane Thranduil, già esperiente di guerra, stava pianificando il prossimo attacco, in modo da assediare Angmar e di porre fine agli orrori che davano luogo a brutali spargimenti di sangue e morte ai confini del suo regno. Regno che apparteneva a suo padre Oropher, e che ora era ricaduto sulle sue spalle. Doveva proteggere i suoi abitanti, la sua famiglia. Non poteva permettere che ci fossero dei sentieri pericolosi ai confini. E dopo la guerra che aveva visto suo padre morto, non voleva che altri perdessero la propria vita.
Legolas stava giocando con dei segnaposti che dovevano essere disposti sulla mappa, ma che ora come ora non servivano. Qualcuno entrò nella tenda del Re. Era la Regina.
«La zona ad est dell’accampamento è sicura, nessuna creatura nemica nei paraggi.» Disse ella con voce sicura, anche se un po’ affannata. Evidentemente aveva combattuto affinché non ci fosse davvero alcuna creatura. Thranduil fece scivolare un bacio sulla guancia candida di lei, leggermente arrossata dalla fatica.
Mentre i due regnanti si concedevano un momento di ristoro, Legolas si alzò in piedi per andare a sbirciare sulla mappa e prese un pezzo a forma di grosso orco, dipinto di nero, più grande degli altri che erano stati disposti nei vari punti. Ora sulla mappa la zona ovest era scoperta. Il bimbo si portò via quel pezzo, perché gli serviva per giocare a fare la guerra assieme agli altri modellini.
«Come ho calcolato» iniziò a parlare Thranduil, dirigendosi verso la mappa. «La zona a nord è libera, ma un pugno di orchi è posto a sud. Prevedo che ci attaccheranno al calar del sole. Possiamo andare verso…» Guardò la mappa orientandosi e vide una zona sguarnita «…ovest.» Concluse, disegnando la traiettoria con il dito. La Regina approvò, era stata istruita sulle battaglie e quello sembrava un buon piano.
«Andrò a fare un’ispezione ad ovest, per accertarmi che sia davvero vuota.» Affermò ella, di rimando.
«No. Non voglio che tu vada da sola. Aspetterò il tuo ritorno.» Rispose Thranduil, non l’avrebbe mai lasciata andare.
In quel momento due soldati entrarono nella tenda, per informare il Re della situazione corrente. Non menzionarono la grossa legione di Orchi posta ad ovest, perché erano concentrati sul loro Re anziché sulla mappa, dove c’era un fatale errore. Ma la Regina di Bosco Atro approfittò di ciò per svanire. Thranduil ormai la conosceva, non le si poteva negare nulla, testarda come era. Testarda ma delicata, tanto da non sembrarlo nemmeno.
La Regina tuttavia, andò incontro al peggiore destino. I suoi passi erano veloci, ma non troppo da uscire da quella imboscata. Lottò al massimo delle sue forze, ma una legione era troppo per lei, e fu uccisa.
Thranduil era sempre più preoccupato poiché il tempo passava e lei tardava a tornare, tanto che mandò quella che era la madre di Tauriel a cercare la Regina. Persino Legolas aveva iniziato ad agitarsi.
«Mia regina! Dove siete?» Andò ella correndo e cercando di chiamarla.
La rossa non tardò a trovarla, seguendone la direzione e le tracce. Era appoggiata ad un tronco, con tre frecce nel petto. Era stata trascinata fino ad un tratto, ed un altro tratto lo aveva percorso con le sue forze.
«Mia regina!» Si fermò di colpo, davanti a lei. E la osservò con sguardo sbarrato prima di avvicinarsi.
Il capo era leggermente piegato, un rivolo di sangue le aveva percorso le labbra fino al mento, mentre il petto era brutalmente trapassato da delle frecce.
Un debole borbottio, ancora soave uscì dalle labbra di lei, in risposta, mentre gli occhi cerulei si aprivano debolmente. Si guardarono per un istante e la madre di Tauriel cadde sulle ginocchia davanti a lei, con lo sguardo lucido.
«Dobbiamo tornare immediatamente» le disse, osservandola preoccupata, e cercò di sollevarla afferrandola per le spalle.
La Regina scosse il capo.
«No. È troppo tardi per me… Devi tornare indietro. Da sola.» Disse con voce soave e delicata come la primavera, mentre un rivolo di sangue riprese a ruscellarle dalle labbra. La rossa si fermò, non la mosse più. Era sbigottita, non poteva realizzare tutto ciò.
«Devi tornare ed essere una buona madre per Tauriel.» Proseguì ella. I capelli lunghi di lei erano dello stesso colore del suo coniuge, ma verso la punta erano intrisi del sangue di lei.
«Vorrei aver potuto fare lo stesso con Legolas…» Tossì sangue, una tosse secca e violenta che scosse il debole petto. Le frecce si muovevano con lei, in lei, causandole un sempre maggiore dolore.
«…e con il mio secondo.» Finì la frase dopo aver tossito, con gli occhi lucidi. La madre di Tauriel era basita, ma nulla più di questa frase poté gettarla nello sconforto. Se Thranduil avesse saputo… Ne sarebbe rimasto doppiamente ferito. Guardò la mano destra della Regina, era appoggiata sul grembo, e solo ora aveva fatto caso che aveva una superficie leggermente più grande di un ventre normale. La Regina era incinta.
«Per favore, non dirlo a Thranduil. Sarà solo più difficile per lui…» Man mano che parlava, le parole erano più fioche e disperse nell’aria. Come, un istante dopo lo fu anche il suo spirito.
La madre di Tauriel pianse. Piegata su se stessa, nel dolore di un segreto troppo grande per lei. Ma lo avrebbe mantenuto a tutti i costi.
E lo mantenne. Quando gli orchi avanzarono verso l’accampamento, gli elfi erano preparati a riceverli.
La rossa scorse Thranduil in piena lotta, vederlo combattere per qualcosa che non avrebbe più avuto le ruppe il cuore, e bastò come unica distrazione. Tre frecce le attraversarono il petto, ed il segreto così pesante se ne andò con lei. Era meglio così, non sarebbe riuscita a vivere con tale fardello, poiché ciò che l’avrebbe ferita di più era che Thranduil non sapeva, e che lei non poteva dirglielo.
Se lo avesse saputo, non si può immaginare quale immenso dolore avrebbe patito.

 
***

Così Thranduil trascinava la sua esistenza, ciò che gli dava vitalità era Legolas, la sua unica luce in un mondo di tenebre. L’unico motivo per cui non era crollato del tutto nell’oscurità, sebbene gran parte del suo cuore fosse avvolto dalla tristezza, come un cielo perennemente nuvoloso.
Si diresse verso le sue stanze. Il rumore degli elfi che festeggiavano era alto e lo si poteva udire riecheggiare per il corridoio, ma ciò che Thranduil udiva meglio era il silenzio. Nessuna festa gli portava gioia. Lo rendeva sereno che il suo popolo fosse felice, ma nulla di più. Egli si estraniava dalla gioia come una talpa che si isola dalla luce, nel buio.
Ogni volta che vi entrava gli pareva di sentire il profumo di lei, della sua primavera e della sua vitalità. La ricordava così, ma non vi era alcun ricordo di lei. Non aveva permesso che ci fosse qualcosa che rimandasse alla Regina. Salvo una statua che si ergeva delicata all’ingresso di Bosco Atro. Prima della guerra quella statua era meravigliosa, anche se non poteva esprimere la bellezza di lei, il suo tocco fragile e delicato ma al contempo deciso e vigoroso quando si trattava di impugnare un arco o una spada.
Da quando i ragni se n’erano andati e Bosco Atro era tornato a prosperare, gli elfi avevano rimosso le erbacce che si erano impossessate della Dama del reame boscoso, e ogni qualvolta che passava qualcuno, vi portava un mazzo di fiori per ricordarne la bellezza e la bontà, la premura con cui si prendeva cura del suo popolo. Perché lei era la gemma del regno di Thranduil, lei e Legolas. Unici raggi di sole nella vita di Thranduil.
Il Re di Bosco Atro tirò un sospiro mite, osservando il suo giaciglio, che da quando la sua Regina se n’era andato era diventato freddo e gli sembrava così inospitale. Nulla meglio di ciò gli ricordava la sua solitudine.
Tuttavia si guardò intorno, poi appoggiò delicatamente la collana su di esso. Era giunta la sera e la luna piena splendeva, donando a quelle gemme una luce stellare. Pareva brillassero di luce propria, e a Thranduil sembrò di sentire una voce molto famigliare, dolce e soave come la primavera.
Una lacrima gli inumidì la guancia, cadendo sulle gemme come una cometa. Non era il momento di crogiolarsi nel dolore. Con la notte era arrivato anche il momento di celebrare il plenilunio.
«Im mellim le.» Sussurrò debolmente, prima di lasciare la stanza, prima di lasciare le gemme.

Prima di mettere la maschera che indossava sempre per non farsi cogliere nei momenti di debolezza.
Ora doveva fare il Re, non poteva concedersi alla disperazione che rapiva sempre il suo cuore.
Perché nonostante il suo popolo sapesse, non voleva dimostrarsi debole, non voleva l’aiuto di nessuno, perché sapeva che non l’avrebbe mai capito nessuno nonostante gran parte di loro avessero vissuto la battaglia di Angmar, nonostante il dolore fosse simile.
Ma Thranduil sapeva, o almeno era convinto che il suo dolore fosse il più profondo e lacerante.

La porta si chiuse alle sue spalle con un rumore sordo.
Come i battiti del suo cuore.


[Im mellim le = Ti amo n.d.A]
   
 
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