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Autore: LittleGinGin    26/06/2016    5 recensioni
“Allora, facci ascoltare una buona canzone”
“Arthur, per favore …”
Non voleva cantare, non davanti a tutte quelle persone. Non davanti a
lui.
“Questo è un ordine del tuo Re, Merlin. Osi contraddirmi?”
Come potrei?
Chiuse gli occhi.
{ One-shot di 2.451 parole | Merthur of course }
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Buongiorno a tutti! Eccomi tornata - mi dispiace per voi - con un'ltra storiella su questa meravigliosa coppia (ne ho molte altre in serbo che aspettano diessere terminate).
Ho preso ispirazione da questa meravigliosa fan-art: 
http://maryluis.tumblr.com/post/141798977073/singingmerlin-high-resolution-on-my-da-profile-i che vi consiglio di guardare per capirci un po' di più anche nella storia - e poi è meravigliosa, quindi ne vale la pena -.
Adoro l'artista, è veramente meravigliosa e fa dei lavori stupendi! *^*
Bando alle ciance! Volevo ringraziare di cuore chiunque avrà il coraggio di proseguire queste poche righe per leggere la fanfiction e spero non sia così malaccio come il mio cervello mi sta urlando.
Un abbraccio grande grande a tutti, Gin





 
Ricordi di una canzone




 
“Uccidimi”
Borbottò il giovane Pendragon, il volto nascosto dietro una mano, mentre stringeva le labbra nel disperato tentativo di non lasciarsi scappare alcuna imprecazione.
“Non fate così, Sire” Rispose Merlin, la bocca dispiegata in un leggero sorriso, mentre si chinava a riempire nuovamente il calice del proprio Re.
“È pur sempre Gwaine”
Arthur mugugnò qualcos’altro lasciandosi sprofondare sull’enorme scrano su cui sedeva, sfinito.
Era stanco e decisamente irritato.
Da giorni, oramai, non faceva altro che firmare scartoffie, presiedere a comizi e stupide riunioni, parlare ininterrottamente di agricoltura e bestiame e fondi da investire, passando da un compito a un altro senza sosta. Nemmeno i pochi allenamenti cui era riuscito a presenziare – per chissà quale colpo di fortuna, poi! – sembravano restituirgli quella pace e quella tranquillità che gli era stata sottratta, all’improvviso, dalle sue quotidiane giornate.
E non ne capiva il motivo.
Aveva sempre saputo, fin da quando era solo un bambino, che essere Re avrebbe comportato grandi responsabilità e non poche beghe: avrebbe dovuto rinunciare ai propri diletti per la salvaguardia del regno, affrontare nemici, mostri e quant’altro, e lui l’aveva sempre ritenuto un onore, una responsabilità che avrebbe accettato, un giorno, quando ne sarebbe stato degno, con la quale prometteva al proprio popolo serenità e protezione.
Eppure … tutta quella situazione aveva un che di sbagliato.
Non sapeva spiegarselo, ma c’era qualcosa, un punto che non riusciva ad afferrare, che gli sfuggiva dalle mani, che era fuori posto.
Strinse le dita attorno al calice mentre la musica risuonava vivace nella sala, portandosi dietro voci e canti allegri, trapassandogli dolorosamente il cranio.
Lasciò che il vino gli infiammasse la gola, anche nella speranza di intorpidire la sua stupida mente che non smetteva un attimo di pensare e ripensare. Ininterrottamente.
Poi lo vide.
Vide quel pezzo mancante brillare di una luce azzurra, accecante, incastonata in due splendidi occhi profondi ed enigmatici, così sfuggenti e limpidi. Li vide assottigliarsi, delineando piccole rughe ai loro angoli, accompagnati da una fragorosa risata, che lo trafisse nel petto.
Merlin.
Era da una settimana che non vedeva il suo irriverente servitore, che non sentiva le sue chiacchiere petulanti fracassargli i timpani, e quel sorriso – ogni volta era come essere travolti da una carrozza in piena corsa.
Aveva avuto questo effetto su di lui fin dal loro primo incontro: si erano incontrati per puro caso, tra parole velenose e pugni ben assestati, con il puro e semplice intento di farsi del male. Da quel momento non avevano fatto altro che scontrarsi lasciando dietro di sé i residui delle proprie armature mentre crollavano inesorabilmente, rimanendo nudi l’uno di fronte all’altro.
Merlin.
Fu come un sospiro strappato dal vento.
Merlin. Merlin. Merlin.
Non lo vedeva da così tanto! Gli era mancato quel suo modo di punzecchiarlo, una battuta tagliente sempre pronta sulla lingua, le sue mani che delicate si posavano sul suo corpo quando lo vestiva, che indugiavano, caute e amorevoli sul suo corpo mentre lo preparava. E i suoi bellissimi e dannatissimi occhi.
Erano una maledizione per lui.
Lasciò che lo sguardo indugiasse sulla figura slanciata al suo fianco, pallida come la luna d’inverno, e i capelli corvini scomposti sulla fronte imperlata di sudore, che gli ordinavano – lo imploravano – di affondarci le mani e perdervisi dentro.
Dio quanto gli era mancato.
Uno strozzato fa diesis gracchiò tra i tavoli, strappandolo brutalmente dai propri tormenti. Si ritrovò così tra i pensieri più indicibili e impensabili – Era tutta colpa della stanchezza. E di quel vino che gli aveva confuso il cervello! – e scattò di colpo, le dita strette con forza attorno ai braccioli, tanto da sbiancare le nocche.
“Per tutti gli Dei, toglietegli quel dannato boccale dalle mani!” Sbottò in preda all’ira, il fiato improvvisamente corto.
Sentì Merlin trattenere malamente una risata mentre cercava di nascondersi dietro la brocca di vino. Lo fulminò all’istante.
Accidenti a te Merlin, è solo colpa tua!
“Tutto apposto, Sire?” Chiese innocente il giovane mago, le labbra che cercavano disperatamente di non stirarsi all’insù – anche se con scarso successo, dobbiamo ammetterlo –.
“Siete ingiusto!” Gridò offeso Gwaine, alzando il calice in aria e facendo strabordare il vino sugli altri commensali.
“Ho fatto un favore all’intero popolo di Camelot. Non sai cantare Gwaine, rassegnati” Strinse le braccia al petto, il mento alzato che decretava quella faccenda conclusa.
“Sire, allora dovreste sentire come canta bene il vostro servitore”
“Eh?”
Fu come se ogni cosa sparisse all’improvviso: ogni rumore, ogni persona, tutto: cavalieri, servitori, chiacchiere e litigi. Ogni cosa sfumò lasciando posto a nient’altro che a quelle assurde parole.
La voce di Gwen era comparsa all’improvviso in quel trambusto composto da cantori improvvisati e desideri inconfessabili, facendo rizzare ogni pelo al povero Merlin, che, paralizzato, si ritrovò a boccheggiare e a lanciare sguardi omicidi alla tranonmoltoex- amica.
“Ha una voce splendida” Continuò la ragazza, ignara delle minacce di morte che saettavano furiose nella mente del giovane mago.
“Merlino?!” Ripeté Arthur esterrefatto.
Il suo servo? Il suo fidato servitore idiota sapeva cantare? Avrebbe voluto scoppiargli a ridere in faccia, ma si trattenne.
“L’ho sentito per caso nelle cucine ed è molto bravo”
“Veramente?” Chiese Arthur girandosi verso il suo servitore, un ghigno che non prometteva nulla di buono a dipingergli il volto.
“N-no Sire, non è-“ Balbettò Merlin, la brocca che vacillava tra le mani sudate mentre una vocina gli gridava di scappare e un’altra assentiva, pregandolo di alzare i tacchi il più in fretta possibile – anche utilizzando la magia se necessario.
“Oh, per favore Merlin, fai del tuo meglio” Esordì una Morgana raggiante, illuminata da un’insolita luce – malefica, avrebbe ardito a definirla Merlin –.
“Lady Morgana …” Squittì il povero servo, lo stomaco che si rimpiccioliva sotto lo sguardo divertito e compiaciuto del proprio Re.
“L’hai sentita”
 
***
 
Merlin barcollò titubante al centro della sala, la musica aveva smesso di deliziare i commensali e anche gli stessi cavalieri, incuriositi da quella bizzarra situazione, si erano fatti più attenti.
Strinse i pugni, le punte delle orecchie terribilmente accaldate.
Come diavolo aveva fatto a cacciarsi in quella situazione?
Lady Morgana, la bellissima – strega! Ora capiva perché il drago la chiamava così – Lady Morgana, aveva già decretato le sorti del suo misero – ignobile – destino. Quell’asino con la corona d’oro ovviamente …
“Allora, facci ascoltare una buona canzone”
“Arthur, per favore …”
Non voleva cantare, non davanti a tutte quelle persone. Non davanti a lui.
“Questo è un ordine del tuo Re, Merlin. Osi contraddirmi?”
Come potrei?
Chiuse gli occhi.
Un groppo gli bloccava la gola impedendogli di deglutire. Aveva affrontato mostri, draghi, assassini, streghe, maledetti wildren, rischiando la sua vita migliaia e migliaia di volte. In confronto, cantare davanti a tutti i nobili del regno doveva essere una passeggiata. Allora perché cazzo tremava come un condannato a morte che vede il cappio della corda penzolare attendendo solo di essere ben stretto attorno al suo collo?
Rilassati.
Inspirò l’aria nei polmoni.
Non pensare a niente.
Schiuse le labbra.
 
Dormi mio dolce amor, la notte è lunga
E la luna ci osserva, custode.
Stringimi a te, nelle tempeste più violente.
Nulla ha importanza, nulla ha importanza se non io e te.
Passerà anche questo giorno.
Abbiamo il destino contro, ma non importa
Rimarremo insieme, a sfiorarci nel silenzio, la notte è lunga
E la luna ci osserva, custode.
 
Le parole gli scivolarono dalle labbra senza che potesse realmente controllarle. Aveva chiuso gli occhi e si era lasciato invadere da quell’armonia e da quel senso di pace che solo lui sapeva dargli. Alla fine aveva finito per cantare quella vecchia ballata, l’immagine di Arthur, il suo odore, il suo volto, pressanti nella mente come a riempirne tutto lo spazio.
 
E lui le disse: Oh amor mio,
Per te morirei più di cento volte.
 
D’altronde Arthur era così, riusciva a riempire una stanza, a catturare l’attenzione di tutti, impadronendosi di ogni loro pensiero, come se fosse naturale, come se gli spettasse di diritto.
 
Baciamoci sotto le stelle,
Baciamoci senza parlar,
Al lume di mille fiammelle
È dolce sognar.1
 
E aveva cantato di quel legame sfortunato voluto dal destino, così forte da vincere su ogni avversità: la famiglia, le origini. La morte stessa.
 
E lei gli disse: Oh amor mio,
Per te morirei più di cento volte.
 
Rapidamente buttò la testa in avanti, una mano sul petto, nella speranza di simulare un impacciato e goffo inchino. Sentiva il volto in fiamme e il cuore battergli violento nel petto, il sangue che gli pulsava nelle orecchie.
Merlin strinse le labbra, il corpo tremante, i capelli corvini che ricadevano spettinati sulla fronte – e sperava vivamente che nascondessero il suo volto incandescente –, e posò lo sguardo su Arthur:
Teneva la testa bassa. Non lo guardava.
Sentì una fitta dilaniargli il petto e le lacrime velargli lo sguardo, ma – fortunatamente? – un uragano gli si precipitò addosso, costringendolo a portar su di lui tutta la sua attenzione.
“Sposami!”
“Gwaine!!” Urlò paonazzo cercando di liberarsi dalla stretta dell’amico.
La sala si riempì nuovamente di un ovattato brusio, fatto di complimenti e pacche sulle spalle e dolci sorrisi e occhi adulanti.
Le gambe divennero mollicce sotto il suo misero peso e Merlin si ritrovò a barcollare tra le braccia entusiaste di molti – non riusciva a inquadrarne bene i volti, la testa vorticava pericolosamente –.
“Sei fantastico!”
“Wow”
“Meraviglioso”
Parole, parole, parole che si confondevano, si mescolavano tra loro in modo disordinato, confondendolo.
Eppure, quando riuscì a riacquistare un minimo di controllo sul suo corpo, ancora una smorfia sul volto arrossato a storcere le labbra in un provato sorriso, lui era sparito.
 
***
 
L’aria gelida lo colpì con violenza, penetrandogli i polmoni.
Tutta quella musica, quell’allegria, l’alcol e le chiacchiere che gli martellavano convulsamente nella testa, si placarono lasciandogli un momento di pace.
Arthur si strinse nel mantello, il respiro accelerato, le gambe che bruciavano ancora, appesantite dalla rapida fuga cui si era dato un attimo prima, quando tutto era diventato veramente troppo.
Era iniziato come uno scherzo, uno stupido gioco per prendere in giro quell’idiota del suo servitore, che tanto gli mancava. Invece, quando le sue labbra si erano schiuse e le parole erano uscite dolci e armoniose, come mai avrebbe immaginato, ne era rimasto folgorato.
Poi però, quel suono così familiare aveva preso forma, assumendo la consistenza e il sapore amaro di vecchi ricordi, troppo lontani per poterli ricordare veramente.
Eppure lo sentiva:
Un canto.
Una voce.
Sua madre.
Si strinse una mano al petto mentre le lacrime fuoriuscivano con prepotenza, celate dall’oscurità, i denti affondati nel labbro inferiore, nel disperato tentativo di placare un urlo viscerale, profondo e antico, che gli scoppiava nella gola arsa.
Sperava solo che nessuno l’avesse seguito.
“Sei scappato via”
Tremò.
Con un gesto rapido scacciò via le lacrime e si sistemò meglio contro le mura – le spalle tese, la schiena dritta –, lo sguardo saldo a scrutare l’orizzonte.
Sentì il rumore dei passi battere le pietre e fermarsi poco dopo, delicati come poche volte erano stati. Fu colpito dal suo profumo pungente e arrogante, se ne sentì avvolgere, brusco gli tolse il respiro.
“Arthur…”
“Morgana sto bene” La voce uscì dura, tagliente dalle sue labbra.
Morgana sussultò, incerta mentre un nodo le bloccava il respiro in gola. Avrebbe voluto lanciarsi contro di lui e abbracciarlo, nascondendo la testa sul suo petto, stringendolo forte, fra le sue braccia mentre piangeva, scosso dai singhiozzi di quel vecchio dolore.
Si riprese in fretta. Arricciò le labbra colorate da una lieve tintura color porpora e strinse le braccia attorno alla veste, come se fosse stata colpita, solo ora, dal freddo della notte.
“Fai come ti pare” aggiunse secca prima di girarsi per andarsene, la chioma scura che frustò l’aria.
Arthur strinse i pugni lasciando che le grida morissero nel petto, senza trovare sfogo. Avrebbe voluto fermarla, forse avrebbe dovuto, ma non lo fece. Lasciò che il silenzio si sedimentasse tra di loro.
“Tutto bene?”
Fu come cadere nel vuoto, giù da un dirupo altissimo del quale non è possibile scorgere la fine. Con gesto rapido, scacciò via dal volto la presenza di quelle lacrime e strinse le dita attorno al bastione, il corpo rigido e immobile che cercava di mantenere una parvenza d'indifferenza.
Ma come poteva riuscirci? Come, se al solo suono di quella voce si sentiva vacillare e lo stomaco si contorceva dolorosamente?
“Siete scomparso senza dire niente a nessuno”
Il vento gli sferzava le guance, e lui rimase ad ascoltarlo, il cuore che batteva frenetico, le mani che si serravano con forza, e tutto, nella sua mente, tornava a essere confuso e privo di senso: così dannatamente sbagliato.
Prese un bel respiro.
“Non dire fesserie, Merlin
Arthur schioccò la lingua sul palato, smuovendo leggermente la chioma, in un gesto stizzito, quasi rassegnato. Non ce l’aveva con Merlin, non veramente, ma quella sera aveva già dovuto sopportare abbastanza e non voleva aggiungere, alla sua lista di figure di merda, anche quella di scoppiare a piangere come un ragazzino davanti al suo servitore. Per quanto bene gli volesse – e sembrava proprio che fosse più di quanto avrebbe dovuto –, non poteva mostrarsi così debole, nemmeno di fronte a lui.
Dannazione era un Re!
“Sono stato così pessimo?”
E poté sentirlo, l’esatto momento in cui tutto si frantumò in piccole scaglie di vetro.
“Cosa”
Si girò di scatto – ‘fanculo quello che si era promesso! – e lo vide: il volto basso, le labbra che si arricciavano in una smorfia, le mani che si tormentavano nascoste dietro la schiena. E i capelli che coprivano due occhi sicuramente pieni di lacrime.
Arthur sentì il proprio cuore perdere un battito.
“Beh … siete scappato via e … pensavo solo che – balbettava, la voce rotta che voleva esplodere in un pianto – non avevate gradito …”
“Sei proprio un idiota”
Merlin alzò il volto, gli occhi due lame affilate e la bocca serrata in un broncio indignato. Strinse i pugni al lato dei fianchi.
“Adesso vi mettete anche a offendere?! Siete l’asino più irriconoscente, arrogante, borioso e viz-”
E lo zittì con un bacio.
“Per una volta: sta zitto” sorrise dolce e malinconico Arthur, accarezzandogli una guancia – com’era calda – e cancellandogli con il pollice una lacrima che aveva osato macchiare quel volto così stupendo.
“Cosa?” Merlin lo guardò confuso, gli occhi sgranati che tremavano.
“Non ci riesci proprio, eh?” scoppiò a ridere, lo sguardo velato di lacrime.
Merlin rimase a osservarlo, le ombre che ne celavano i lineamenti tirati, doloranti. Lo stomaco si attorcigliò in un groviglio e lo strinse a sé, permettendogli di nascondere il volto nel suo collo.
Arthur chiuse gli occhi, inspirando il suo odore, lasciandosi pervadere da quella dolce sensazione, dal suo calore, dalla pace che gli avvolse il cuore. E si permise di piangere, in silenzio, nascosto tra le sue braccia.
Il pezzo mancante finalmente al proprio posto.






Note:
  1. A. Togliani e N. Pizzi, La luna si veste d’argento, http://italiasempre.com/verita/lalunasiveste1.htm
  2. Non ho messo, come genere, Song-fic perchè la storia non è costruita attorno alla canzone, che ho inventato io - fa schifo eh? - tranne per quell'unica strofa della quale, nel punto sopra, ho riportato le fonti. Infatti essa è solo un adorno per non lasciare bianca la parte dove Merlin canta.
Se siete arrivati fin qui, e se siete ancora vivi nonostante lo scempio che avete appena letto, vi ringrazio nuovamente! Spero mi lasciate una recensione, per aiutarmi a migliorare così da non propinarvi un altro scarabocchio simile - ovviamente il prossimo non sarà una meraviglia, ma forse già meglio di questo...
Un bacio, la vostra taaanto positiva e fiduciosa nelle sue capacità - quali di grazia? - Gin
   
 
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