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Autore: Ipox_017    26/06/2016    1 recensioni
"Prima o poi succederà qualcosa in questo mondo. Qualcosa di grosso, qualcosa di incredibilmente bello o, incredibilmente brutto. In entrambi i casi voglio vivere la mia vita senza costrizioni, senza scappare perché dopo la vita non c'è nient'altro a parte il ricordo di te in questo mondo."
Gwen, una ragazza di 25 anni sopravvissuta ad una epidemia che ha contagiato l'itero globo in pochi giorni, si ritrova a andare città dopo città e a combattere contro delle persone che si sono trasformate in vaganti, mangiatori di uomini. Credendo ormai di essere l'unico essere umano rimasto in vita tira avanti giorno dopo giorno fin quando, per puro caso non incontra un gruppo con il quale condividerà le sofferenze e le gioie di questo nuovo mondo.
Genere: Avventura, Horror, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daryl Dixon, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve a tutti! Io sono Roberta, una fangirl professionista condannata ad entrare continuamente in nuovi fendom in modo da far definitivamente crollare la sua vita sociale. Yeah. Passando alle cose serie, come avrete già ben capito, questa è una fanfiction sulla serie di THE WALKING DEAD, creata dal genio del male Robert Kirkman. In realtà l'ho già postata su un altro sito(?), e proprio oggi mi sono detta "ma perchè non postarla anche su EFP? Così tutti quelli che sono a caccia di una storia di questo genere possano leggerla". Quindi ecco a voi LIFE AFTER DEATH 1, che si riferisce alla prima stagione della serie. Penso di aver detto tutto, buona lettura!

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CAPITOLO UNO. AIUTO.

Sto correndo. Corro veloce senza fermarmi, senza guardare indietro. I miei polmoni bruciano e così anche i muscoli delle gambe. Le piante e i rami bassi degli alberi mi graffiano la pelle delle braccia e del viso, ma continuo a correre. Dietro di me il lamento di quei “cosi” si fa sempre più forte e più vicino. Riesco a distanziarli e mi fermo dietro un tronco. Esco il caricatore della mia pistola. Mi restano solo tre colpi. Respiro profondamente e poi mi giro. Sparo a un vagante, poi a un altro e un altro ancora. Adesso ho finito i colpi e la situazione non è cambiata. “Che stupida” penso rimettendomi a correre.
Finalmente riesco ad uscire dal bosco e la prima cosa che vedo di fronte a me è un ospedale. Non ci penso due volte e continuo a correre fino alle porte d’ingresso. Ne apro una e vi ci entro in tempo prima che i vaganti mi raggiungano. La porta si apre verso l'esterno quindi se continuano a spingere non ci concluderanno niente. Ad ogni modo la blocco insieme all’altra metà facendo passare un tubo tra le maniglie. Respiro prendendo fiato e mi siedo con le spalle appoggiate alla porta. Mi asciugo il sudore sulla fronte che continua a colare sulle mie guance e sul mio collo. Una volta che il mio respiro si regolarizza mi alzo e mi armo di coltello, dato che ho finito le munizioni. Cammino cercando di non fare nemmeno il minimo rumore, ma è quasi impossibile dato i mille detriti e lo strato incredibile di polvere che c’è a terra. Cammino fra i corridoi dell’ospedale controllando ogni stanza: fortunatamente non c’è nessun vagante. Decido di rimanere qui per la notte, così entro in una delle stanze e chiudo la porta. Appoggio il mio borsone a terra e nel comodino vicino al letto poso la pistola e il coltello. Slaccio le cinghie della fondina gambale e la lascio vicino ad essi. Mi sdraio su uno dei due letti e sospiro di sollievo non appena sento la mia testa toccare il morbido cuscino. Era da settimane che non dormivo su un letto comodo. Ho dormito seduta, su un albero, su una sedia, a terra. Il mio corpo chiede pietà e così cado in un sonno profondo.
Quando riapro gli occhi  sento la voce di qualcuno chiamare “aiuto”. Scuoto la testa credendo fosse la mia immaginazione, ma non è così. Mi alzo e subito riprendo le mie cose. Tenendo il coltello in una mano con l’altra apro delicatamente la porta ed ecco che lo vedo. È da così tanto che non vedo una persona che mi rendo solo ora che tutti quei “cosi” una volta erano come lui. Lo spio ancora un po’. Non ha vestiti a parte una tunica da paziente color verde acqua slacciata sul davanti. Si vede una fasciatura su tutto l’addome, la mia curiosità mi spinge a chiedergli come se lo sia fatto. “E se fosse stato morso?”.  Non posso rischiare perciò me ne rimango nascosta. L’uomo si avvicina ad una porta con su scritto “non aprire, morti all’interno”. L’espressione del tizio è confusa. Allunga le mani sulla maniglia e prova ad aprire la porta che è fissata malamente con delle catene. Appena prova a tirare delle mani ne escono fuori. In un secondo esco e lo tiro via dal braccio per poi spingere la porta e richiuderla.
<< Che cavolo fai?! Non hai letto cosa c’è scritto? >> chiedo. Il tizio è ancora più confuso. Adesso che lo vedo da vicino sta sudando ed è pallido. Faccio un passo indietro per paura che possa essere stato morso.
<< Chi sei tu? Dove mi trovo? Cosa sta succedendo? >>
<< Accidenti, non sai niente eh? >> dico riposando il mio coltello.
<< Cosa dovrei sapere? >> chiede toccandosi l’addome. Fa una smorfia e perde l’equilibrio. Io lo afferro da sotto le ascelle e lo appoggio a terra. Mi piego sulle ginocchia e lo guardo.
<< Il mondo se n’è andato a puttane. Che cosa ti sei fatto? >> chiedo indicando la fasciatura.
<< Mi hanno sparato >> dice mettendosi dritto.
<< Sei un criminale? >>
<< Un poliziotto >> 
Annuisco.
<< Cosa intendevi prima? >> chiede lui.
<< È…complicato da spiegare >> dico abbassando la testa. "È troppo scombussolato per il momento. Ha bisogno di mangiare qualcosa".
<< Devo trovare mia moglie e mio figlio >> dice cercando di alzarsi.
Lo fermo.
<< Credi davvero che siano ancora qui? Dopo tutto quello che è successo? >>
<< Si >> dice sicuro.
Mi guarda.
<< Ho controllato tutte le case del quartiere. Se ne sono andati tutti >>
<< Aiutami a raggiungere casa mia >>
<< Mi hai sentito? >> dico quasi sull’orlo di una crisi di nervi.
<< Aiutami a raggiungere casa mia >> ripete ancora più deciso.
Sbuffo e poi lo aiuto ad alzarsi. Gli metto un suo braccio intorno alle mie spalle e con un braccio lo sorreggo dalla vita. È così magro che gli si possono toccare le ossa.
<< Da quanto tempo sei qui dentro? >> gli chiedo.
<< Non lo so. Penso di essere entrato in coma dopo l’incidente >>
<< Perché ti sei beccato una pallottola? Hai fatto arrabbiare qualcuno? >>
Svoltiamo a sinistra.
<< Beh quando fai il poliziotto fai arrabbiare tante persone >>
Sorrido.
In fondo al corridoio c’è la porta d’ingresso, ma io svolto a sinistra verso la porta sul retro.
<< Perché non siamo usciti di là? >> chiede lui indicando con l’indice la porta che ho sprangato ieri notte.
<< Penso che ci siano dei vaganti lì fuori. Meglio passare dal retro >>
<< Comunque io sono Gwen May >>
<< Piacere, io sono Rick Grimes >>
Finalmente usciamo. Il sole batte di nuovo sulla sua pelle e dandogli un’occhiata vedo che sorride. È felice di essere ancora vivo. Non so per quanto lo sarà.
Ad un certo punto una puzza incredibile mi arriva al naso. Volgo lo sguardo di nuovo davanti a me e per poco non vomito.
<< Accidenti…questo posto è diventato un cimitero >> dico fermandomi. File intere di cadaveri sono ammassati in modo da creare vari corridoi. Piano piano io e Rick arriviamo nella strada principale. Superiamo alcune case, giriamo in varie vie finché Rick non mi ferma. Ci giriamo verso una casa molto simile alle altre. La porta è spalancata e le finestre sono quasi tutte con i vetri a pezzi. Attraversiamo il vialetto e poi entriamo. Nella prima stanza davanti alla porta d’ingresso c’è una scala che porta al piano di sopra. A sinistra c’è il salone e a destra la cucina.
<< Aspetta qui >> dico. Esco il mio coltello e faccio un giro tra le stanze. A parte un gran disordine e i cassetti vuoti non c’è niente.
<< Tutto apposto >> dico ritornando indietro. Trovo Rick nel salone con una foto tra le mani. Mi avvicino e mi sporgo per guardarla.
<< Sono tua moglie e tuo figlio? Come si chiamano? >> chiedo.
<< Lori e Carl >> dice con una nota di tristezza nella voce.
Prendo la foto e passo la mano sulle loro facce togliendo uno strato di polvere.
<< Cavolo, ti assomiglia molto >> dico sorridendo.
<< Tua moglie è molto bella, ma poteva almeno sorridere >>
Lui accenna un sorriso.
<< A Lori non sono mai piaciute le foto >> dice.
<< Oh nemmeno a me. Mi piace farle agli altri, ma quando ci sono di mezzo io… >>
Rick si allontana salendo le scale. Io sfilo la foto dalla cornice e me la metto in tasca. Poi vado in cucina dove comincio a rovistare per cercare qualcosa da mangiare. Trovo delle brioche nella dispensa e non ci penso due volte a prenderne una. Mi avvicino poi al frigo ed esco una bottiglia di acqua.
Quando Rick scende lo vedo vestito da poliziotto. Si sistema i capelli e poi indossa un cappello. Il suo distintivo da sceriffo splende sul suo petto.
<< Non credo che ci sia bisogno di vestirsi così >> dico, poi gli lancio una brioche.
<< Mangia che sei debole >>
<< Grazie >> dice.
Si siede su una delle sedie vicino al tavolo mentre io sono seduta sul bancone e guardo fuori.
<< Cos’hai intenzione di fare adesso? >> gli chiedo continuando a guardare fuori.
<< Andrò a cercare Lori e Carl, e tu? >> dice mentre con un ultimo morso finisce la broche.
<< Non lo so >> dico. Poi mi viene un’idea.
<< Lasciami venire con te. Potrei darti una mano >>
<< Scusa, ma non voglio essere responsabile di te. Mi hai aiutato e te ne sono grato. Ma adesso ho altro da fare >> si alza ma la ferita all’addome lo costringe a sedersi un’altra volta.
<< Ma guardati Rick, non ti reggi in piedi. Sei appena uscito da un coma con una ferita da arma da fuoco. Non hai idea di cosa sia successo. Hai bisogno d’aiuto >>
<< Scusa Gwen, ma non cambierò idea. Sei sveglia e te la caverai >>
Si alza con un grande sforzo, si sistema il cappello ed esce. Lo guardo dalla finestra mentre si allontana. Non appena arriva in mezzo alla strada si gira a guardarmi. Mi fa un cenno col capo e poi si allontana. Sospiro ormai rassegnata. Esco fuori il mio coltello e lo guardo. È un bel po’ malandato e taglia appena. Giro per la cucina in cerca di qualcosa per affilarlo. Apro i cassetti uno per uno finché non trovo qualcosa di meglio. Tre splendidi coltelli di ceramica, sono molto affilati e il bello è che non c’è mai bisogno di affilarli. Li metto nella fondina insieme alla mia pistola scarica ed esco di casa. È pericoloso rimanere in strada, ma è ancora più pericoloso tornare tra la boscaglia. Cammino a passo veloce e canticchio tra me e me una canzone. Entro in alcune case per vedere se c’è del cibo, ma niente. Mi fermo per riposarmi un po’ in una casa con l’amaca. Ad un certo punto sento il lamento e i versacci di uno di quei cosi. Mi alzo e subito esco il coltello e glielo pianto nella testa. Il corpo di quest’ultimo si dimena e poi si accascia per terra.
<< Che schifo >> dico mentre ripulisco il coltello dal sangue sull’amaca.
Ricomincio a camminare. Dopo alcune ore alzo gli occhi al cielo e mi rendo conto che sta per fare buio. “Devo trovare un rifugio sicuro” penso. Così continuo a camminare più spedita. Attraverso vie, giro per varie stradine, poi ad un certo punto alzo lo sguardo e rivedo Rick. È a terra cinque o sei case più avanti. A pochi metri c’è un vagante che lentamente va verso di lui.
<< Rick! >> urlo. Lui si gira, ma sembra non vedermi.
<< Rick scappa! Rick muoviti di lì! >> continuo ad urlare mentre corro verso di lui. Raggiungo il vagante in tempo proprio quando stava per morderlo. Gli pianto il coltello in testa e lo allontano. Mi avvicino a Rick e gli prendo la testa appoggiandola sulle mie gambe.
<< Gwen >> dice in un sussurro. È tutto sudato e più bianco di quando l’ho incontrato stamattina.
<< Sta tranquillo, okay? Andrà tutto bene >>
All’improvviso sento qualcuno dietro di me. Mi giro e vedo la bocca di un vagante donna che tenta di mordermi. Urlo e mi piego su Rick che è svenuto. Sento uno sparo e la donna cade di fianco a me sul mio borsone. Alzo lo sguardo. A pochi metri da me un uomo di colore si avvicina.
<< Tutto okay? >> mi chiede. Annuisco mentre le lacrime mi rigano il volto. Sposta lo sguardo da me a Rick.
<< È stato morso? >> chiede alzando il fucile.
<< No è una ferita da arma da fuoco >> dico singhiozzando.
L’uomo abbassa la sua arma e poi mi mette una mano sulla spalla.
<< Su entriamo dentro >> dice. Mi aiuta a portare Rick in casa dove lo fa sdraiare su un letto.
<< Devo recuperare il mio borsone >> dico e faccio per andare fuori.
<< Oh non c’è bisogno, mio figlio Duane l’ha già portato in casa. È di sotto >>
<< Tuo figlio… >> ripeto, ma subito mi blocco vedendo due occhietti scuri che mi fissano da dietro la porta.
<< Ciao >> dico sorridendo. Il bimbo continua a guardarmi. Mi rendo conto che ho ancora gli occhi bagnati e forse anche gonfi. Me li asciugo e poi vado verso Rick. Gli sbottono la camicia e gliela sfilo con l’aiuto dell’uomo.
<< Sono Morgan >> dice mentre sistema i cuscini sotto la testa di Rick.
<< Gwen >>
<< È tuo padre? >>
<< No, è…l’ho conosciuto oggi a dire il vero >>
Morgan mi guarda confuso.
<< Lo conosci da neanche un giorno e gli dai tutte queste attenzioni? >>
Non rispondo. In effetti non è molto sensato quello che sto facendo, ma è l’unica cosa che mi viene in mente di fare. Mi salgono le lacrime agli occhi e subito me li asciugo.
Guardo la fasciatura che è insanguinata.
<< La ferita si è riaperta. Mi serve ago e filo e delle bende pulite. E del disinfettante se ne hai >> dico.
Adesso devo concentrarmi sulla ferita di Rick. Devo salvargli la vita.
“Perché?” mi chiede una voce dentro la mia testa. "Perché lo sto facendo? Per aiutarlo? È solo per questo Gwen? Davvero?"
Scuoto la testa. “La ferita”.
Taglio le fasce mentre Morgan rientra nella stanza con tutto quello che gli ho chiesto. Pulisco il sangue della ferita, poi taglio i vecchi punti ormai del tutto sfilacciati e con l’ago e il filo ricucio alla benché meglio la ferita. Ringrazio mio zio per avermi insegnato alcune cose. Passo il disinfettante più volte e poi Morgan mi aiuta a mettergli delle fasce.
<< Non dovrà muoversi per almeno due giorni, ma penso sarà difficile impedirglielo >> dico.
Mi guardo le mani, sono sporche di sangue.
<< Se vuoi puoi farti una doccia, il bagno è di là. Tranquilla gli do un occhio io >> dice Morgan.
Gli sorrido.
<< Grazie >>
Dopo la doccia mi metto degli abiti puliti che esco dal mio borsone. Chiedo a Morgan se posso mettere a lavare quelli sporchi e lui acconsente. Poi mi offre anche un piatto di fagioli in scatola e carne secca. Lo ringrazio infinitamente e mangio tutto con foga.
Sono già le undici e Rick ancora non si è svegliato. Mi siedo vicino a lui e appoggio le braccia e la testa sul materasso. Lo guardo a lungo e poi, non so come, il mio cervello si spegne e io mi addormento.

Sento cantare degli uccellini, ma non apro gli occhi. Guardare il buio mi fa stare tranquilla. Sento che qualcuno mi sfiora le braccia. Apro, allora gli occhi e guardo Rick credendo che si fosse svegliato, ma non è così. Mi passo una mano fra i capelli e poi controllo la sua benda. Tutto a posto per fortuna. Ad un certo punto comincia a lamentarsi. Lo guardo e, lentamente, come se gli facessero male anche le palpebre, apre gli occhi.
<< Ehi, come ti senti? >> gli chiedo sorridendo.
<< Dove siamo? >>
Il fatto che non risponde mai alle domande che gli faccio mi fa innervosire, ma lascio stare.
<< A casa di un signore, Morgan e suo figlio Duane. Ci hanno offerto un riparo per stanotte e domani >>
<< Domani? Perché domani? >> chiede cercando di alzarsi. Lo fermo proprio nel momento in cui geme dal dolore.
<< Non ti sforzare. Ho dovuto ricucire la ferita. Per almeno due giorni devi stare fermo >> lo rimprovero.
<< Due giorni? Impossibile. Devo cercare la mia famiglia >> tenta ancora di rialzarsi, ma il lo spingo giù.
<< Ti prometto che quando sarai guarito andremo a cercare Lori e Carl. Ma finché non guarisci non riuscirai a fare un passo e non troverai nessuno >>
Ci fissiamo negli occhi. Fanno un po’ impressione i suoi di quel colore così chiaro e freddo. Ti congelano nello stesso momento in cui ti si posano addosso.
<< D’accordo >> dice e gira la testa dall’altra parte.
Morgan ci porta dell’altro cibo e nel frattempo Rick ha l’occasione di conoscerlo mentre io gioco con Duane con alcuni soldatini e macchinine.
La giornata finisce presto e cala il buio. Dopo cena Rick ha recuperato abbastanza forze da potersi alzare e nel frattempo la ferita si è cicatrizzata. Fa per avvicinarsi alla finestra della stanza, ma Morgan lo ferma.
<< È meglio non farsi vedere dai vaganti quando è notte. Non so perché, ma sono più operativi in questo momento della giornata >>
<< Siete rimasti solo tu e tuo figlio o siete sempre stati soli? >> chiede Rick. "Inutile il suo essere sceriffo non lo ha abbandonato". Morgan lo guarda addolorato.
<< Mia moglie, Jenny, è stata morsa. Io ho visto cosa succede, come succede. Non è per niente bello. Duane ha dovuto…Non sono nemmeno riuscito ad ucciderla. È lì fuori che continua a vagare. Fa un male cane >> 
Abbasso la testa. Mi dispiace così tanto per Morgan. Nessuno dovrebbe vedere le persone care morire per uno stupido virus. Così tra singhiozzi e un paio di ore di sonno, la notte passa. 

 

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