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Autore: _Ayucchan    27/06/2016    1 recensioni
Non ho mai saputo cosa fosse l'amore, forse perché non l'avevo ancora vissuto.
(Jimin POV)
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Jung Hoseok/ J-Hope, Kim Taehyung/ V, Min Yoongi/ Suga, Park Jimin
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Non ho mai saputo cosa fosse l'amore, forse perché non l'avevo ancora vissuto. Sin da quando ne ho ricordo, vivevo in quel luogo che scoprii chiamarsi 'orfanotrofio', e tutto sommato la vita li mi piaceva.
Da quanto mi spiegarono quel posto accoglieva tutti i bambini che non avevano i genitori, molti bambini preferivano non averli piuttosto che essere abbandonati, poiché il ricordo dei loro genitori sarebbe vissuto nei loro cuori. Io ero uno di quei pochi che non aveva nessuna memoria, anche se spesso mi sforzavo attraverso alcune attività, nessun ricordo si degnava di presentarsi.
L'ambiente in cui vivevo era molto spazioso, c'erano diversi laboratori, un enorme dormitorio e in fine le docce, che erano comuni. La mia camera era davvero grande, forse perché convivevo con un altro ragazzo il cui nome era Taehyung. Io e lui andavamo molto d'accordo, anche se all'inizio lo trovavo strano, ad esempio a volte lo vedevo steso sul letto con la testa appoggiata bordo quasi sospesa nel nulla mentre osservava il bianco soffitto e parlava su come un giorno avrebbe trovato l'amore della sua vita o su quanto avrebbe pagato per visitare la luna.
Nulla di strano fin qui, non fosse che in alcuni giorni parlava da solo oppure in certi momenti le sue conversazioni con se stesso raggiungevano il massimo della follia, perché ce ne vuole di pazzia per arrivare a credere che i conigli abitino sulla luna. Ricordo ancora che non ci parlammo per una settimana a causa di quel litigio, lui sosteneva fermamente l'esistenza dei conigli sulla luna e io che, con l'aiuto di internet, cercavo di fargli capire che era impossibile.
Eravamo entrambi dei bambini orgogliosi, quindi nessuno dei due avrebbe ceduto o chiesto scusa per primo, per fortuna però le nostre badanti ci costrinsero a farlo. Inoltre come punizione entrambi fummo costretti a subirci un intera predica su come chiedere scusa sia fondamentale. Durante quella lezione di vita, il nostro rapporto si ricucì visto che ci ritrovammo a lanciarci palline di carte a vicenda e a ridere senza motivo alcuno.
Un ricordo ancora impresso nella mia mente mi stuzzicava, mentre esaminavo alcune righe di un vecchio libro che avevo già letto, era quello in cui io e Taehyung stavamo giocando con la vernice tempo fa. Il nostro compito era semplice, ridipingere le pareti della nostra camera che ormai erano diventate di un bianco deprimente, dopo diversi litigi sul colore da scegliere entrambi optammo per un bellissimo arancione acceso.
Io presi il mio pennello con una mano e diligentemente iniziai a passarlo sulla parete di fronte a me, mentre con l'altra mano cercavo di coprirmi il mio naso per evitare che quel forte odore di pittura si infiltrasse nel mio cervello. Guardai la parte di muro che avevo dipinto, fiero del risultato e con un sorriso stampato in faccia, poi rivolsi lo sguardo verso Taehyung che invece stava dipingendo se stesso invece del muro diventando un alieno di più di quanto già non fosse.
Scese cautamente dalla scala, ma la sua attenzione era troppo focalizzata su quei scalini, visto che si dimenticò di avere in mano un secchiello strapieno di vernice arancione. La sua mano lasciò la presa del manico per poi aggrappare il bordo della scala evitando di cadere, ma finendo per versare quel liquido arancione sui miei capelli marroni e appena lavati.
Corsi subito in bagno per osservare cosa aveva combinato, il risultato era che non solo i miei capelli sembravano la buccia di un mandarino ma anche la mia faccia era cosparsa di vernice. Decisi di fare una lunga doccia nella speranza che la pittura non si fosse già asciugata, presi lo sciampo e iniziai a strofinare come se non ci fosse un domani, graffiandomi anche il cuoio capelluto, poi sciacquai il tutto con l’acqua fredda visto che ero troppo impaziente per aspettare che si riscaldasse.
Presi l’asciugamano che con morbidezza asciugò le gocce d’acqua che cadevano come pioggia dai miei capelli, poi decisi di coprire i miei occhi ancora chiusi non pronto a specchiarmi. Sospirai, e con decisione aprii gli occhi che stavano iniziando a bruciare, i miei capelli ancora arancione acceso ricordavano qualche specie di cartello stradale, con quella tinta avrei avuto milioni di attenzioni quando il mio scopo era esattamente l’opposto.
Mi vestii, non posi attenzioni a Taehyung che cercava in ogni modo di fermarmi e parlarmi, uscii da quella camera che mi stava opprimendo sempre di più, notai che stava piovendo ma ormai era troppo tardi per tornare indietro a prendere l’ombrello. Ero arrabbiato, per qualche motivo, ma lo scorrere lento della pioggia calma riuscii a raffreddare la mia anima che ormai era diventata bollente.
Pian piano le dolci gocce divennero sempre più forti costringendomi a ripararmi nella biblioteca vicino al dormitorio. Visitavo spesso quel piccolo posto, quando volevo rinchiudermi in me stesso o dedicarmi ai piaceri della lettura, infondo avevo imparato molto dai libri e avevo conosciuto quell’amore di cui tanto si parlava quindi ero molto legato ad essi.
Spinsi cautamente quella porta, cercando di non rompere la quiete che invadeva quel luogo ma non ostante il mio intento, essa scricchiolò. Mi aspettavo alla mia sinistra la vecchietta, che era solita ad accogliermi ogni volta che decidevo di entrare in quel posto e invece davanti ai miei occhi era presente una figura decisamente giovane per essere la solita bibliotecaria.
Era un ragazzo più alto di me, non che ci volesse molto visto la mia bassa statura, aveva i capelli nero pece in cui ogni ciocca era perfettamente disordinata e non al posto in cui avrebbero dovuto essere. Gli occhi del medesimo colore,nascondevano qualcosa di diverso da delle semplici pupille visto che il suo sguardo era rivolto verso il nulla, molto probabilmente pensava a qualcosa.
Il suo viso era più allungato di quello dei comuni ragazzi, ricordando il profilo di un cavallo, però era pallido come la maggior parte delle persone che viveva in Corea. Il mio sguardo fu catturato dal suo cartellino bianco che risaltava sulla sua camicia nera, su cui era accuratamente poggiato, Jung Hoseok lessi.
Il cognome era lo stesso della vecchietta quindi supposi, come se fossi Sherlock Holmes, che quella due persone potessero essere legate. Quello che non avevo notato era che lo stavo guardando da un bel po e la sua mano si era leggermente grattata la nuca, segno ovvio di imbarazzo. Subito fissai il pavimento di legno, come se ci fosse stato qualcosa di raro in quelle assi di un comune marrone quercia.
Mi diressi verso il bancone, prendendo la mia tessera di iscrizione che per fortuna era accuratamente stropicciata nella tasca sinistra dei miei pantaloni. Appoggiai le mie mani sul gelido tavolo, mostrando la tessera e evitando di osservare i suoi occhi, come se avessi potuto morire. Un cosa che odiavo di me stesso, era la mia infinita timidezza nei confronti degli estranei, cercavo in ogni modo di non attrarre attenzione ma finivo sempre per cascare in un mare di guance arrossate e la testa china verso il pavimento.
A quanto pare quel bibliotecario era più simpatico di tutte le persone che conoscessi e, dopo aver visto la foto sulla tessera, con voce inaspettatamente roca mi chiese:

“Che cosa hai combinato ai capelli..Park Jimin?”

“Mh, non credo che siano affari tuoi, Jung Hoseok”


“Hyung”

“ Ne sei sicuro? Non mi sembri così tanto intelligente da meritarti quel nominativo”


“ E tu sembri non conoscere un minimo di rispetto per quelli che sono nati prima di te, ma forse sei talmente ignorante che forse non dovrei incolparti”

“ Si sono talmente ignorante, che nella vita leggo romanzi per ragazze in modo da bagnare la mia anima o qualcos’altro..” dissi puntando il mio dito al libro gentilmente posto sul bancone, non riuscivo a leggere il nome ma le due figure su quel libro sembravano scambiarsi un momento tanto desiderato da i giovani ragazzi : il fatale primo bacio. In realtà adoravo quella categoria di libri, era quella che riusciva a colmare il mio cuore con emozioni che un giorno mi sarebbe piaciuto provare: gioia, rimorso, paura, rabbia, desiderio, vuoto, affetto, mancanza, amore.

“ Ehy, questo ‘romanzo per ragazze’ è orgoglio e pregiudizio, e non mi vergogno a dire che è un capolavoro di libro.”

“ Lo prendo” In realtà avevo letto quel libro tantissime volte spingendomi, ogni volta che sfogliavo quelle pagine, a immedesimarmi nella vita di Elizabeth e Darcy. Lo ritenevo magico come una persona così orgogliosa potesse provare dei sentimenti per una donna che, non ostante gli innumerevoli pregiudizi, si sia alla fine lasciata cullare da quella tempesta di emozioni.

“ Non credo tu sia degno di questa lettura” disse con un chiaro tono di disgusto, molto probabilmente nei miei confronti, una sua mano si spostò automaticamente aggrappando, quasi come se lo volesse proteggere da me, il libro.

“ Apri il libro, scegli una pagina a caso, leggi un verso poi dimmi il suo numero” vidi le sue lunga dite affusolate girare pagina, dopo pagina, il rumore di queste influenzò il ritmo del mio battito rendendolo calmo e sicuro di se. Ad un tratto si fermarono bruscamente su una pagina, il mio sguardo si pose sul suo per la seconda volta in quella giornata, notando che pendolava a sinistra e a destra nel tentativo di leggere quelle righe.

 “ Pagina 171 ultimo rigo” sorrisi beffardamente, era impossibile come avesse trovato esattamente la pagina che preferivo più di tutte e di cui sapevo a memoria ogni parola e persino punteggiatura.

“Invano ho lottato. Non è servito. Il miei sentimenti non possono essere repressi. Dovete permettermi di dirvi con quanto ardore vi ammiro e vi amo.”

“ Non capisco non era un romanzo per ragazzine?”

“ Non credevo fosse il mio libro preferito.”
le mie guance divennero più rosse di quanto già non fossero, facendosi notare tanto quanto i miei capelli.

“ Se ti piacciono i romanzi dovresti seguirmi” più che seguirlo, letteralmente mi trascinò prendendomi il polso con le sue mani calde e il contrasto tra il calore dei nostri corpi mi creo una strana sensazione di formicolio che dal polso si propagò per tutto il braccio per poi scomparire secondi dopo.
Raggiungemmo uno dei tanti enormi scaffali, lui prese la scala abbandonata per terra e l’alzò mostrandomi quei bicipiti che, fino a un secondo prima, erano nascosti sotto le lunghe maniche della sua maglietta. Ne rimasi affascinato, dal tipo di ragazzo non sembrava una persona che amava allenarsi ma forse mi ero fatta un’idea sbagliata.
Lo continuai a seguire con i miei occhi mentre appoggiava la scala sullo scaffale, mi aspettai che salisse per prendermi il libro ma da quanto mi raccontò lui aveva paura dell’altezza. Mi chiese gentilmente di salire al posto suo e di prendere il libro numero 21, una volta su quella scala non mi sentii molto al sicuro nonostante avessi salito solo quattro scalini.
Presi il libro mettendo forza nelle dita visto che era incastrato, e nello stesso momento in cui esso fu fuori una nube grigia di polvere si elevò invadendo il mio viso, cercai di proteggermi usando la mia mano destra dimenticandomi dove fossi. Avvenne in un secondo, persi l’equilibrio, ben presto sentii il vuoto sotto il mio ventre dilaniarmi all’improvviso, chiusi gli occhi aspettando l’impatto tra il mio corpo e il duro pavimento ma sentii una presenza morbida ed estranea sotto di me.
Aprii lentamente, quasi con paura, i miei occhi vedendo il volto di Hoseok a due centimetri dal mio, tanto che, la pelle del suo naso stava sfiorando la mia e i nostri respiri si stavano mischiando tra di loro. Sentii un fastidio crescere lentamente sotto il mio ventre dovuto al contatto che stavo avendo con il bacino sotto il mio, ebbi un fastidioso impulso di voler strusciarmi su quelle gambe poiché avevo la sensazione che avrebbe calmato quel fastidio.
Ci fu, in realtà, un micro movimento da parte mia ma lo feci per alzarmi sperando che la persona, ancora stesa a terra, non avesse notato la mia crescente erezione. La mia unica direzione in quel momento era la porta, che sembrava allontanarsi sempre di più ogni passo che facevo, quando finalmente però la mia mano toccò la gelida maniglia, sentii il mio nome provenire dalle labbra che fino a qualche secondo prima erano a due dita dalle mie.

“Ehy Jimin, ti va se ci scriviamo delle lettere?” Ci trovavamo nel ventunesimo secolo, in cui ormai scrivere delle lettere ai propri amici era una cosa che non esisteva ne in cielo ne in terra a causa dei cellulari. Io non facevo parte della generazione che amava la tecnologia, visto che sin da piccolo ho avuto il mio amore per la letteratura e le epoche passate.
Quindi fui esuberante quando mi pose quella domanda e più che felice di poterla accettare, prima che uscissi ci scambiammo i nostri indirizzi e non vedevo letteralmente il momento in cui avrei ricevuto la mia prima lettera. Stringevo ancora il libro, che Hoseok mi aveva dato, tra le mani e non appena fui dentro la mia camera mi gettai sul letto immergendomi di già nella prima pagina.
Ignorai totalmente la presenza di Taehyung, visto che ero già nel pieno della lettura e lui mi conosceva abbastanza da sapere che non appena avevo un libro nuovo niente poteva più distrarmi, in realtà una cosa lo fece e per essere più precisi, quella cosa fu la lettera di Hoseok.
La nostra badante busso alla porta seguita dalla sua familiare voce che ci scongiurava di aprire, io però non avevo nessuna intenzione di alzarmi dal mio, troppo soffice, letto e Taehyung era impegnato in qualche nuovo gioco per nintendo. Ormai era passato un bel po da quando quel rumore aveva leggermente distratto la mia lettura, mi alzai per andare in bagno quando notai davanti alla porta una lettera abbandonata al suo destino.
Sopra di essa, era scritto chiaramente il mio nome, il nostro indirizzo con accanto anche un piccolo francobollo raffigurante un cavallo. Aprii la busta estraendo la lettera, forse era la mia immaginazione ma, riuscii a sentire un profumo familiare impregnare quel foglio e propagarsi nell’aria finendo anche nel mio corpo.

Caro Park Jimin,
Come stai? Sono lieto di scriverti questa mia prima lettera in onore del nostro incontro.
All’inizio non avevo idea di cosa scriverti, ma ho deciso di confessarti che l’altro giorno ho visto un ragazzo piuttosto carino.
E’ entrato nella biblioteca di mia nonna, con quei capelli arancioni mi è sembrato il figlio del sole.
Nonostante ciò rimane un ragazzo gentile, o almeno così sembra perché non mi fido di chi si tinge i capelli, ma questa è un altra storia che ti racconterò se rimarremo amici.
Io lo spero con tutto me stesso, e tu?
Scrivimi presto,
Jung Hoseok.


Di tutto quello che aveva scritto avevo notato solo due parole, cosa piuttosto strana visto che quando leggevo mi piaceva capire il significato generale del messaggio e non le singole parole, piuttosto carino. Era la prima volta che qualcuno me lo diceva e in quel momento non feci a meno che pensare tante volte su quelle parole e arrossire spontaneamente.
Non avevo idea, o così mi piaceva pensarla, sul perché le parole di quel ragazzo mi avevano provocato quel fastidioso rossore, che non passava neanche inosservato. Infatti Taehyung mi beccò nell’atto e mi confiscò la lettera, leggendola ad alta voce con un tono che non era decisamente il suo, inutile dire che mi stava prendendo in giro.
Il rossore divenne ben presto di rabbia, cercai in ogni modo di sfilare quella lettera dalle sue mani, ma la mia bassezza non era d’aiuto e spesso il mio coinquilino si ritrovava a metterla in alto per farmi innervosire ancora di più.
La mia mano, finalmente, sentii la carta e tirò in basso nella speranza che l’altro mollasse la presa purtroppo così non fu e a causa delle due diverse forze, quello che rimase della lettera furono due fogli diversi. Sentivo un ignoto istinto omicida nascere nei confronti della persona che mi stava di fronte, cosi presi il libro tranquillamente posto sul mio cuscino e lasciai quella camera con la parte della lettera che mi era rimasta nella mano.
Odiavo quando Taehyung faceva il bambino, non distinguendo i momenti seri da quelli di gioco, quella lettera era importante per me e anche un neonato l’avrebbe capito, ma il suo fastidiosissimo orgoglio si metteva di mezzo ogni volta che avevamo un litigio. I miei piedi mi portarono automaticamente verso la sala comune dove, nonostante si chiamasse in quel modo, non c’era mai nessuno.
In quel posto continuai la mia lettura finché la notte calò e decisi di ritornare in camera. Nei giorni successivi tutto prosegui nella norma, io e Hoseok continuavamo a scambiarci lettere, e pian piano sentivo che dovevo metterci sempre più passione e attenzione nelle parole che scrivevo. Mi sedevo con consuetudine su quella sedia di legno, appoggiando le mie mani sulla scrivania mentre le mie dita battevano ritmi continui, nel tentativo di catturare delle parole che potessero andar bene.
Più lettere scrivevo più mi accorgevo che niente mi importava a parte la reazione che Hoseok avrebbe avuto leggendo le mie lettere, e ogni volta che mi arrivavano le sue risposte un camion di gioia si svuotava nel mio corpo mandandomi al settimo cielo. Tutto procedeva esattamente così, nottate passate a pensare su cosa scrivere e giornate ad attendere che quelle lettere arrivassero nella mia camera.
Un giorno uscii per consegnare una delle tante lettere, era l’una di notte e al mio ritorno mi aspettavo Taehyung nello stesso posto in cui l’avevo lasciato, ovvero sul letto mentre giocava, ma rientrando nella mia camera vidi solamente il vuoto. Mi prese un leggero attacco di ansia, soprattutto dopo che visitai l’intero orfanotrofio e lui non era in nessuna delle camere lì presenti, pensai a qualsiasi posto dove si fosse potuto cacciare, e un luogo mi venne in mente.
Era un locale che non distava molto, l’avevo trovato in quel posto un po di tempo fa durante una delle nostre tante litigate, così decisi di andarci e di sperare nel meglio. La fortuna mi volle bene, e appena varcai il sudicio locale lo vidi li assieme a cinque bicchierini ormai vuoti. La musica urtava la mia testa per quanto il volume era alto, insulse canzoni rendevano quel posto simile alla mia concezione di inferno.
Mi avvicinai a Taehyung implorandolo di andarcene subito, infondo era notte fonda e spesso a quell’ora c’erano persone a cui non piaceva giocare. Il mio sesto senso aveva fottutamente ragione, vidi un ragazzo alto quanto me ma dall’aspetto più maturo, approcciarsi a noi. La cosa più strana, non tanto visto che io avevo i capelli arancioni anche se non era stato per mio volere, era che aveva la tinta color verde acqua ma per il resto era un comune ragazzo ovviamente ubriaco.
Non fu tanto comune quando mi chiamò bellezza e si avvicinò a me palpandomi il culo, in questi casi nel proprio corpo dovrebbe nascere eccitazione ma nel mio c’era solo tanta paura. Strinsi forte la mano di Taehyung evitando di fissare il ragazzo di fronte a me e cercando una possibile via di fuga, e non so se quello che avvenne accadde grazie alle mie costanti preghiere, ma una figura che già conoscevo spuntò dal bagno.
Era Hoseok, senza pensarci due volte mi avvicinai a lui salutandolo e portando con me anche Taehyung, lui dopo aver ricambiato il mio gesto, mi chiese cosa stessi facendo in quel posto. Io fidandomi, gli spiegai la situazione e quello che era successo, e vidi la sua faccia preoccuparsi all’improvviso.
Senza perdere tempo prese la mia mano trascinandomi verso quella che doveva essere la nostra via di fuga. Quel ragazzo che prima mi aveva importunato però, ci bloccò evitandoci di nuovo di uscire, lo vidi mentre scagliava il primo pugno sulla faccia di Hoseok che aveva gentilmente deciso di proteggerci e che per fortuna, non sembrò avere nessuna difficoltà quando ricambiò quel pugno stendendo l’altro ragazzo.
Gentilmente poi ci invitò a sedersi nella sua macchina, parcheggiata davanti a quel locale. Dopo aver accompagnato Taehyung nel dormitorio, la mia intenzione era quella di stendermi sul mio letto per non rialzarmi mai più ma Hoseok mi invitò a fare una passeggiata con lui. Era strano vedere quel ragazzo seduto affianco a me, mentre guidava tranquillamente portandomi in qualche luogo sconosciuto, in realtà non era strana quella visione piuttosto era bizzarra la mia innata fiducia verso quella persona.
Forse non era innata, infondo ci scrivevamo da parecchie settimane e dopo quella serata mi sentivo ancora più al sicuro affianco a lui. Parcheggiò e prima che ci allontanassimo dalla macchina si fermò per prendere dei cerotti, nascosti nel bagaglio. Lo vidi mentre agonizzava, nel tentativo di posizionare un cerotto sulla sua guancia dove, il ragazzo del locale l’aveva colpito.
Decisi di prendere la sua mano, fermando il suo movimento, per poi aiutarlo a medicare la ferita e mentre applicavo i cerotto sentii il suo sguardo posarsi sul mio, molto probabilmente grato della mia azione. Decidemmo di camminare sulla spiaggia vicino al parcheggio, mi ero completamente dimenticato che stavo ancora mantenendo la sua mano ma lui strinse la presa, facendomi sentire stranamente felice.
Ci sedemmo sulla sabbia fredda, mentre guardavamo le stelle splendere per noi su nel cielo sereno. Era bello poter trascorrere una serata in sua compagnia piuttosto che pensare a cosa scrivergli. Affondai la mano libera nella sabbia mentre facevo scorrere i granelli tra le dita, ero chiaramente nervoso in fondo non avevamo scambiato nessuna parola, inoltre, ogni tanto, sentivo come telepaticamente i suoi sguardi posarsi su una parte molto precisa del mio volto: le mie labbra.
Mi sentii quasi sollevato quando la sua voce si azzardò a porgermi una domanda che mi avrebbe mandato nel panico.

“ Posso baciarti?” In nessun libro che avevo letto, il protagonista aveva mai chiesto all’altro se avrebbe potuto baciarlo, succedeva e basta. Io non sapevo cosa rispondere, un bacio non era tra una ragazza e un ragazzo? No, risposi a me stesso. Un bacio era tra due persone che si amavano, ma io non avevo mai provato amore ed ero veramente certo che quello fosse amore? Non lo so.
Dovevo dargli una risposta, era il mio primo bacio e volevo che fosse con la persona giusta. Ma come potevo sapere se era la persona giusta se non lo baciavo? Okay Jimin, hai deciso ora annuisci, pensai e fui quello che feci.
Vidi lo sguardo felice di Hoseok, avvicinarsi pian piano insieme alle sue labbra, per poi inclinare la testa leggermente. Il mio respiro non era più regolare, sembrava come se l’ansia stesse per uccidermi da un momento all’altro, poi però si fermò anzi le labbra di Hoseok la fermarono. Fermarono tutto ciò che potesse circondarci e non ostante nei libri i primi baci erano perfetti, il nostro era un casino.
Come poteva essere perfetto se le labbra di Hoseok si muovevano in un modo fluido e le mie in confronto sembravano essere un robot, i miei denti avevano più volte colpito i suoi facendoci gemere di dolore durante quell’atto. La mia lingua era troppo sensibile e al tocco della sua e quindi cercava spesso di evitarla, anche se poi ci prese gusto a incontrare l’altra.
Come poteva essere perfetto se io, quando Hoseok cercò di accarezzarmi il collo, mi ritrovai steso sulla sabbia mentre ridevo perché in quella precisa zona soffrivo il solletico. La mia risata però non era la sola perché si aggiunse quella di Hoseok riempiendo le mie orecchie, che presto ritornò di nuovo serio ma sempre con il suo sorriso stampato in faccia.
Sentivo che avrei potuto perdermi, se già non ero perso, per quell’espressione così genuina e sincera che aveva riscaldato il mio cuore non ostante il vento freddo fosse presente durante la nostra serata assieme.
Era quel calore ardente nel cuore, che mi spinse a tirare Hoseok da una manica, a farlo poggiare sopra di me, il suo viso si era avvicinato al mio un’altra volta ma prima che potesse succedere qualcosa, fermai le sue labbra con il mio indice. 

“Lo sai che la parte migliore di qualsiasi bacio è l’istante che lo precede, il momento subito prima di quello che le labbra si tocchino è un po come se fosse un rullo di tamburi”

Sentii tanti baci porsi sul mio dito e il mio sorriso crescere genuino sul mio volto. Non durò molto quell’istante perché Hoseok, decise di non darmi ragione e di baciarmi di nuovo. Questo lo consideravo perfetto, nonostante mancassero i fuochi d’artificio, la pioggia estiva, o la tanto cercata atmosfera ideale, non mancavano però i nostri sentimenti che si erano scambiati attraverso le nostre labbra.
Era semplicemente bello, non puro, ma genuino e ogni cosa andava nel modo giusto. Quando ci staccammo, si stese di fianco a me, il suo sguardo fisso ad osservare quei miliardi di puntini nel cielo, mi raccontò che quel locale era suo, e che il ragazzo che mi aveva palpato era un pianta grane di nome Yoongi.
A quanto pare questo tipo, spacciava erba dentro il locale di Hoseok, e siccome quest’ultimo non voleva nessun problema aveva cercato di mandare via lui e i suoi amici ricevendo in cambiò però solo ferite. Ero preoccupato per lui, anche se non avevamo una relazione e io non sapevo ancora dei miei sentimenti per lui, ci tenevo alla sua amicizia e alla sua salute.
Lui mi disse di non pensarci però, che avrebbe risolto tutto prima o poi, io stupidamente gli avevo creduto. Cercai di non notare le insistenti ferite che aveva sul collo la prima volta che mi chiese, formalmente, di uscire insieme per un appuntamento. Ogni volta che cercavo di convincerlo che la cosa migliore sarebbe stata dirlo ai poliziotti, lui diceva di non preoccuparmi e che come al solito avrebbe risolto da solo.
Spesso finivamo per litigare a causa di quel discorso, ricordo ancora le sue parole taglienti come una lama che trafiggevano il mio cuore ogni volta che ne parlavamo, ma come facevo ad ignorare semplicemente le ferite sul suo bellissimo volto,che non facevano altro se non aumentare sempre di più ogni volta che ci vedevamo? Non ci riuscivo, infatti ci sono state tante discussioni, poi io finivo con le lacrime agli occhi e lui a baciare,accarezzare e abbracciare ogni parte di me, in fine ci scusavamo a vicenda fino a farci venire la nausea.
Dopo quella sera, dopo l’ultimo bacio prima che io entrassi nell’orfanotrofio, lo vidi di nuovo solo qualche giorno dopo. Era steso in un letto bianco, le ferite rossicce e sanguinanti sulla sua pelle risaltavano e avevano sporcato il cuscino su cui la sua testa era dolcemente poggiata, gli occhi chiusi non avevano nessuna intenzione di aprirsi. Il dottore mi spiegò che ero stato chiamato perché ero il contatto più recente sulla sua rubrica, anche se questo io lo sapevo benissimo, avevamo deciso finalmente di scambiarci i nostri numeri, dopo mille lettere.
Mi aveva chiamato quella mattina per darmi appuntamento, come potevo dimenticare la sua voce contenta ma da cui potevi capire quanto fosse nervosa la persona dall’altra parte del telefono. Io non ho saputo neanche controllare la mia faccia, perché mi ritrovai a sorridere spontaneamente, felicemente, stupidamente a quella richiesta e ad emettere più volte la parola si.
Erano passate poche ore, da quella chiamata e io non riuscivo a capire cosa fosse successo, non riuscivo a capire perché la persona a cui tenevo di più fosse stesa fragile in una fottuta e sciatta camera di ospedale. Lo stesso dottore che mi aveva mostrato la situazione con noncuranza, come se niente di grave fosse accaduto, ritornò da me con un mazzo di rose rosse dicendomi che era una delle cose che avevano trovato e che c’era il mio nome sul bigliettino.
Le presi, il loro profumo esaltò le mie narici rendendomi meno agitato fin quando non presi con cautela, cercando di non danneggiare le rose, il bigliettino di carta. La scrittura era così pulita e precisa, l’avrei riconosciuta tra mille, il mio nome risaltava davanti al foglio piegato in due e quando con una forza a me ignota decisi di aprirlo due parole erano scandite precise : Ti amo.
La mia vista fu offuscata da lacrime cristalline e veloci che scorrevano dai miei occhi fino al mio mento, bagnando poi il foglio e cancellando leggermente quella scritta che comunque rimase lì, in attesa di essere letta talmente tante volte dai miei occhi. Le risposte alle mille domande, che insistevano nella mia mente, non potevano trovare nessuna risposta perché questa era nelle parole della persona che continuava a dormire davanti a me.
Speravo che stesse sognando noi due, mentre la mia mano spazzolava con nostalgia i suoi capelli nero corvino, mentre la mia bocca donava tanti piccoli baci alla sua fronte che mi ricordava l’inverno gelido. I miei occhi dondolavano, spostandosi dal suo corpo alla macchinetta che continuava a mostrare il suo battito calmo segno che era ancora con me, ma la paura che tutto ciò sarebbe potuto finire da un momento all’altro regnava sovrana.
Non mi aspettavo, che il mio tutto, mi sarebbe stato portato via quella stessa notte. La mezzanotte rintoccava grazie all’orologio poggiato sul muro, svegliandomi dall’ora di sonno che a stento feci, i miei occhi si aprirono bruciando ancora, sia per il sonno che per le lacrime, però ebbero la forza di posarsi un’altra volta su quelle labbra che ormai non avevano più un colore rosa pesca ma erano diventate pallide portandomi malinconia.
Avevo ancora il desiderio di baciarle, l’ho sempre avuto dentro di me solo che non lo sapevo. Con naturalezza portai le mie labbra, che lui definiva dolci, sulle sue baciandolo castamente e sperando che, come nelle fiabe che avevo letto da piccolo, lui potesse semplicemente svegliarsi.
Purtroppo però, io e lui vivevamo nella schifosa realtà dove l’amore non era sempre permesso, e a noi era stato rubato e portato via perché esattamente a mezzanotte e tre minuti, il suoi tre battiti al secondo divennero due, poi uno, poi quel rumore piatto e continuo dilanio il mio cuore.
Il suo aveva smarrito la forza per battere, e nel mio si stava diffondendo tanto di quel dolore che non sapevo come esprimere, visto che ero a corto anche di lacrime il che mi faceva stare peggio. Era come se anche il mio cuore desiderasse di fermarsi, voleva raggiungerlo e abbracciarlo, baciarlo,amarlo ancora un altra volta.
Fu allora, in quel preciso istante, mentre i dottori mi strattonavano fuori da quella camera che ormai aveva assorbito la nostra non certa futura vita assieme, che imparai davvero cosa fosse amare. Lo imparai quando, mentre i dottori mi spiegavano ancora una volta che la causa della sua morte era stata un accumulo di sangue nel cervello dovuto ai numerosi colpi che aveva ricevuto, l’unica cosa che io sentivo era la sua voce che mi chiamava dolcemente.
Lo imparai quando, nonostante i dottori mi avessero buttato fuori, io ero rimasto li a fissare con occhi spenti quella camera ormai vuota. Fissai il cartello appeso fuori alla porta in cui era battuto, con lo stesso carattere degli altri cartelli, quel nome che sarebbe scomparso dalla memoria di molti ma di certo non dalla mia : Jung Hoseok.
Suonava ancora melodioso nella mia mente come la prima volta che lo lessi, facendomi ricordare il nostro primo incontro, le nostre piccole e brevi memorie assieme. Grazie a quelle memorie, la mia mente realizzò che lui viveva ancora dentro di me, che il suo cuore batteva ancora nei miei pensieri e grazie a quella scoperta impazzii.
Forse avevo sviluppato troppa fantasia negli anni, o forse non avevo mai provato quella specie di dolore lancinante nel mio cuore, ma io lo vedevo ancora. Il suo corpo alto e snello, il suo volto che non aveva più tutte quelle ferite ma che era sorridente e felice di rivedermi, non provai mai ad approcciarmi a lui, nella paura di poterlo ferire o farlo scomparire ma desideravo tanto poter avvinghiare le mie braccia attorno a lui.
Non ero arrabbiato nei confronti delle persone che avevano causato tutto ciò, non desideravo nessuna vendetta per le stesse persone che me l’avevano portato via. Provavo soltanto un grande dolore, misto a quella poca felicità che sentivo quando lo vedevo ancora accanto a me, che camminava e mi chiamava e io gli rispondevo, con naturalezza, dicendogli che finalmente avevo imparato cosa fosse l’amore e che lo amavo, lo amavo tanto.
Ma ben presto, quel ricordo che avevo di lui, si trasformò nel mio incubo peggiore perché, se all’inizio la visione era docile come un micetto, appena nato, il cui unico scopo era farmi sentire leggermente meglio, riempirmi di parole sdolcinate e affettuose; ora era diventata la reincarnazione di satana sceso in terra e io riuscivo solo a sentire tanto dolore.
Il fatto che io parlassi con il vuoto, non era passato inosservato, aveva fatto preoccupare le persone che ancora mi circondavano, ma che io non vedevo perché i miei occhi avevano deciso di osservare solo lui e i suoi sorrisi che splendevano anche nella camera più buia dove mi avevano rinchiuso.
In quella camera in cui non c’era nient’altro se non io, il bigliettino che ancora conservavo nella tasca dei miei pantaloni e la figura di Hoseok. Avevano tentato di curarmi, ma l’amore non si può curare, e quelle dannate piccole pillole bianche che ogni volta mi rifilavano, avevano provato ad allontanare Hoseok da me, lo portavano così lontano che non riuscivo più a raggiungerlo.
Si era fermato tutto, come se un grande semaforo illuminato di rosso mi dicesse di fermarmi, come se un grande cartello mi segnasse il pericolo, e non stavo affatto meglio, volevo solo sentire di nuovo la sua voce, volevo sentirlo dire che mi amava invece di leggerlo su un biglietto ormai consumato dai miei occhi.
Così, ogni volta che mi davano quelle pillole, evitavo di ingoiarle nascondendole da qualche parte nel materasso. Presto lo rividi davanti a me, con il suo aspetto perfetto, ricordo che lo pregai di portarmi via da quell’incubo, di mandarmi una ventata di calore per il mio povero cuore che aveva sofferto in quei giorni, mesi, senza di lui, che soffriva ancora nonostante la sua presenza.
Mi ritrovavo giornate a parlare con lui, a dirgli quanto stavo soffrendo senza il nostro amore, quanto l’addio tra di noi era stato ancora più doloroso,quanto niente nel mondo avrebbe potuto sostituirlo, niente avrebbe potuto sostituire il mio amore nei sui confronti. Io l’avevo salutato prima che lo portassero via da me, l’avevo baciato, gli avevo detto che l’amavo, ma Hoseok mi aveva sentito? Non lo sapevo.
Fu Hoseok a consigliarmi di farmi un bel bagno e io non avevo avuto la forza di respingere le sue parole, non l’avevo mai trovata ma se l’avessi fatto forse lui sarebbe stato ancora con me, ma cosa dici lui è con te. Cazzate, a cui mi piaceva credere però. Una volta steso in quella vasca non mi scomodai neanche di chiudere il rubinetto permettendo all’acqua di scorrere tranquilla, rilassando ogni mio muscolo teso.
Non mi azzardai a dirgli di no quando, sempre con quella voce ipnotizzante, mi chiese di rilassarmi sotto il pelo dell’acqua, una piccola parte di me voleva ancora che nel mio corpo ci fosse ossigeno al posto di quel liquido che mi stava pian piano soffocando. Lui però era li ad assicurarmi che se rimanevo fermo avrei potuto rivederlo, avrei potuto capire ancora meglio cosa fosse l’amore, avremmo potuto vivere per sempre assieme.
Aveva ragione anzi avevo, perché in quei momenti Hoseok era stato il buonissimo frutto della mia fervida immaginazione, e io avevo deciso di mangiarlo cadendo in tentazione o meglio in depressione. Quando sentii i battiti nel mio petto scandire lentamente per poi fermarsi, lo vidi chiaramente di fronte a me, Hoseok, che mi aspettava con una mano tesa invitandomi ad aggrapparla.
La strinsi sentendo il peso della mia anima sollevarsi dal mio corpo.

“Jimin” fui certo che quella era la sua vera voce e non una mera imitazione della mia mente, era l’ultima cosa che sentii, ma mai nella vita ero stato più sicuro di quella scelta, oramai non dovevo più aver paura di rimanere solo, perché sarei stato con lui per sempre, e mi andava più che bene.

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Cosa sarebbe successo se Jimin avesse avuto la forza di convincere Hoseok a chiamare la polizia e non risolvere da solo i suoi problemi? Forse il più grande, sarebbe vivo, forse il loro amori si sarebbe sviluppato nei loro cuori, ma io sono un’amante dell’amore nell’anima più che nel corpo e quindi anche questa è finita così. Questa volta ringrazio, per modo di dire non solo never mind, ma anche love is not over, che con le loro melodie mi ispirano sempre a scrivere queste cose sadiche. Detto questo buona giornata, o nottata dipende da quando la leggete, se la leggete a tutti c:
  
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