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Autore: Kaira Jackson    27/06/2016    8 recensioni
//FANFICTION INTERATTIVA//
(...)
Qualche folle ha tentato di opporsi ai giochi fomentando rivolte nelle proprie cabine.
Inutile dire dov’è adesso.
Il Tartaro accoglie i ribelli dalla notte dei tempi.
Gli Dei non si possono uccidere.
Possono essere ridotti a forme dormienti. Possono essere gettati nella fossa.
Ma non moriranno mai.
A meno che non tornino i Titani, ma nessuno sano di mente andrebbe a risvegliarli.
Sono più antichi, più forti e più cattivi.
Di crudeltà ne abbiamo già ricevuta a fiotti.
Ci basta e ci avanza per quel poco di tempo che vivremo.
« Benvenuti, giovani semidei e semidee, alla trecento novantasettesima edizione dei Demigods’ Games,» esclama la voce squillante di Phoebe, richiamandomi all’ordine.

Felici Demigods' Games e possa la fortuna essere sempre a vostro favore.
Genere: Angst, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Amazzoni, Le Cacciatrici, Nuova generazione di Semidei, Semidei Fanfiction Interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Prologo
 
 
Il limaccio del fiume l’ha coperto bene, ma non servirà.
Non serve mai.
Nascondersi è impossibile.
Alla fine ti trovano sempre. E se non ti trovano loro, ci pensano i mostri. Il che è anche peggio perché almeno gli umani non ti dilaniano la carne con i denti e non ti riducono a una massa informe e sanguinolenta.
Il più delle volte perlomeno.
Theseus implora.
Le sue urla mi perforano i timpani.
Pietà. Pietà. Pietà.
Non c’è benevolenza nei tratti del figlio di Acli.
Solo cupa bramosia.
Solo fame di vittoria.
La voce gli si impiglia in gola mentre il sangue esce a fiotti.
Gli occhi verdi cui tanto mi sono affezionata si fanno vitrei, spenti.
Il cannone suona.
 
Un senso di vertigine mi assale le viscere. Mi ritrovo a boccheggiare alla ricerca d’aria mentre la bile risale lungo l’esofago.
Deglutisco a vuoto e mi aggrappo con tutte le forze alle lenzuola.
Sono sudate, appiccicaticce e mi stringono troppo.
Sono spire di serpente.
Le scalcio via e con un gesto della mancina allontano i ricci rossi dal volto.
Ho il petto ansante e le mani tremano.
Devo calmarmi.
Gli attacchi di panico non fanno per me.
Sono normali il giorno della mietitura, ma fanno apparire deboli.
Fanno dire: ecco, altra carne per mostri in arrivo. Questa non sopravvive al bagno di sangue iniziale.
Non è detto che il mio nome sia annunciato, ma che differenza fa? Se non sono io, sarà qualche mio fratello o qualche mia sorella. E allora passerei giorni a rodermi il fegato e a non staccare lo sguardo dallo schermo.
In fondo è già successo.
Quando Theseus è stata mietuto tre anni fa, mi dimenticavo persino di mangiare per non perdermi un secondo della sua vita.
Quando è morto, Charles ha dovuto portarvi via di peso dalla piazza prima che mi mettessi a urlare e che mi facessi ammazzare.
Non voglio pensare a Theseus. Non adesso.
Devo distrarmi.
Gli occhi vagano per la casa che chiamo mia da quando avevo cinque anni.
Fossili di conchiglie si incuneano tra gli spazi lasciati liberi dalla posidonia e dall’aragonite.
L’odore dell’acqua salmastra permea le pareti della cabina accompagnato da una brezza che sembra non interrompersi mai.
Se da bambina adoravo l’odore del mare, adesso non provo che rabbia e disgusto rinchiusa come sono, qui dentro.
Il sangue mi ribolle nel ventre e per un attimo vorrei urlare tutta la mia frustrazione contro gli dei, contro questa vita ingiusta che ci è stata imposta, contro tutto e contro tutti.
Persino contro Delphina che sonnecchia ancora nel letto accanto al mio.
Come diamine fa ad essere così serena?
Potrebbe essere estratto il suo nome.
Oggi un letto non verrà occupato.
Oggi uno di noi non tornerà a casa.
Casa.
Il pensiero mi fa sorridere di scherno.
Se questa è casa mia, allora perché c’è una rete metallica che circumnaviga la spiaggia e arriva sino al Laboratorio delle navi, impedendoci persino di avvicinarci all’Oceano?
Se questa è casa mia, perché non posso andarmene quando voglio?
Andare dove, mi ha chiesto Delphina una volta quando ho racimolato abbastanza fegato da esternare quel pensiero ribelle.
E ha ragione.
Non abbiamo un posto dove andare.
Non abbiamo scelta.
Ho mai avuto una vita prima del Campo?
Il mondo dei mortali sembra un miraggio, come una nuotata nel mare o le mani prive di calli.
Per lo Stige, i miei palmi sembrano di carta vetrata per quante ore ho passato a lavorare il legno.
Gli scafi non si costruiscono da soli e, in fondo, mi piace troppo la mia occupazione.
Meglio lavorare che studiare.
E perché sforzarsi?
Non avremo mai un futuro.
Non usciremo mai da questo Campo.
O morti o dei o lavoratori.
Nient’altro.
Siamo venuti dal niente e al niente torneremo.
I genitori mortali non ci tengono con loro mai troppo a lungo con loro.
I satiri irrompono nelle nostre case, ci strappano dalle loro braccia e ci portano al Campo, nella nostra cabina. Dove il nostro genitore divino ci ha indirizzati per la vita.
Facile, semplice e veloce.
Una catena di montaggio che va avanti da secoli e secoli.
Io non serbo alcun ricordo di mia madre. Né il nome né il volto né il profumo. Assolutamente nulla.
Non la riconoscerei se la scorgessi e, probabilmente, neanche lei lo farebbe.
Non ho fotografie di lei.
Ho preferito non portale con me.
Che senso avrebbe avuto?
Sono trascorsi troppi anni da quella mattina di fine Gennaio quando Cliff è venuto a casa mia.
È stato anche più gentile rispetto alla media, mi hanno raccontato i miei fratelli anni fa.
Ha permesso a mia madre di abbracciarmi un’ultima volta.
O almeno questo spiegherebbe perché ho un braccialetto assicurato al polso destro.
Una cosina da nulla.
Un cinturino di gomma con sopra una scritta sbiadita.
Non so neanche io perché non l’abbia ancora gettato oltre la rete metallica.
Dovremmo essere grati, ci dicono i satiri quando, mogi, arranchiamo sotto il Sole, pesci sbatacchiati sulla sabbia, mentre lavoriamo come pazzi.
Dovremmo rendere onore agli dei perché sono scesi a patti con la feccia mortale per metterci al mondo.
Io non mi sento grata, ma tengo abbastanza alla mia vita da rimanere in silenzio.
Siamo il loro gaudio e la loro delizia.
Siamo lo spettacolo che allieta le loro giornate.
Si bagnano nel nostro sangue come fiere e proprio come le bestie ci gettano via quando hanno finito di spolparci.
Che vita di merda.
Ogni anno un giovane semidio o una giovane semidea viene mietuto da dodici cabine estratte a sorte.
Il Campo è immenso e neanche io, che vivo qui da dieci anni, conosco il numero esatto delle cabine.
Sono riuscita a contarne sette, appollaiandomi una notte di cinque anni fa al punto più alto della nostra, ma più non ho potuto.
Undici morti. Un unico dio. Semplice e lineare. Tutto molto greco e classico.
Ecco quanto vale l’immortalità: undici cadaveri sotto i calzari. Undici vite gettate nell’Ade.
Undici. Undici. Undici.
Una volta Cliff mi ha detto che ripetere tante volte una parola ne fa perdere il significato.
Cliff non entrerà mai in un’Arena, però.
« Emerald?»
Delphina si è svegliata finalmente.
Mi osserva in modo strano con quei suoi occhi verdi come la malachite, identici ai miei, che ricordano il mare d’Estate.
Devo sembrare una belva impazzita.
Sognare Theseus di solito mi fa questo effetto.
Il problema è che sogno mio fratello quasi ogni notte da tre anni a questa parte.
Le rivolgo una smorfia che potrebbe essere vagamente scambiata per un sorriso da un animo buono.
Delphina lo è.
Mia sorella è forse la creatura più dolce e disinteressata che abbia mai toccato il suolo di questa terra maledetta.
Persone come lei in quella dannata Arena non sopravvivono neanche un giorno.
« Vestiamoci. La mietitura inizia tra poco,» esclamo, portando le gambe fuori dal letto e sgranchendomi le braccia.
Morgan mugugna qualcosa, coprendosi con il cuscino.
È uno dei più piccoli.
Ha la fifa blu.
È la sua prima mietitura.
Stringo i denti e Delphina mi batte due dita all’interno del gomito.
Non ora.
Non posso parlare adesso.
Annuisco e agito la destra come per scacciare una mosca molesta.
Mi getto sul suo letto e inizio a solleticargli il pancino.
Ha otto anni.
Queste cose gli piacciono ancora.
Infatti ride e scosta il cuscino, agitando le mani e le gambette secche per liberarsi.
Si muove come un’anguilla. Sguscia via, ma io sono più veloce perché sono più grande e più allenata.
I suoi capelli neri sono indomabili, i suoi occhi verdi e grandi di innocenza.
Se toccasse a lui, oggi sarebbe la volta buona che sbrocco e mi dichiaro volontaria.
Quando mi fermo, le guance paffute si sono fatte rosse ed è senza fiato per le risate.
« Eme, non andartene,» pigola lui, tentando di stringermi il polso. Le sue dita minuscole, adatte per i lavori minuziosi delle chiglie e dei nodi, non riescono neanche ad accoglierne metà.
Il sorriso mi si gela sul volto.
Mai fare promesse.
« Il bagno è libero,» annuncia Delphina con voce soave, avanzando per la camera comune sistemandosi la lieve scollatura del vestito.
Non smetterò mai di essere in debito con lei.
Mi ha salvato la vita così tante volte in questi anni che non capisco come faccia ancora a sopportarmi.
« Tocca a me,» soffio contro il suo orecchio destro, come per rivelargli un segreto di inestimabile valore.
Lui è il mio pirata dalla benda nera e dal cappello di piume.
Saprà tenerlo al sicuro.
Mi chino a baciargli la punta del naso e Morgan ride.
Non prego mai gli Dei. Non ne sono degni.
A volte prego le Parche, però, e questa è l’occasione giusta per piegarmi.
Fate in modo che rimanga così. Innocente, puro e senza l’ombra scura della falce a gravargli sul collo di cigno.
Mi preparo in fretta, concedendomi un bagno di due minuti e asciugandomi con foga i capelli e il corpo.
La ruvidezza della spugna mi risveglia completamente.
Siamo dieci, tra ragazzi e ragazze, in cabina, il bagno è uno e per la mietitura dobbiamo essere puntuali.
Le conseguenze per i ritardatari sono durissime.
Frustate sulla schiena.
Lavori ininterrotti sino a notte fonda.
Olio bollente sotto i piedi.
Alle frustrate posso stringere i denti, del lavoro me ne frego, ma l’olio bollente è tosto.
E da noi i satiri sono gentili.
Stando alle insinuazioni che a volte i tributi si lasciano sfuggire nell’Arena, in altre cabine le punizioni sono di gran lunga peggiori.
Tornata nella camera comune, Delphina mi allunga il mio abito migliore.
È una specie di tunica blu bordata da fili dorati che arriva sino alle ginocchia.
Non capisco niente di moda, ma è davvero bello.
Dev’essere uno dei suoi.
Delphina cerca di sistemarmela in vita con una cintura di cuoio raccattata da Charlie.
È lei quella fissata con queste sciocchezze.
Dice che la bellezza è il primo passo per apparire temibili.
Un bel viso rimane impresso nella mente di chiunque.
Il fatto è che siamo quasi tutti belli, noi mezzosangue.
Beh, a parte i figli di Efesto. Quelli lì si salvano solo se sono intelligenti.
Un dio non si andrebbe mai a scegliere una mortale brutta.
Si credono così superiori.
Delphina mi acconcia i capelli in una crocchia elegante, lasciando che alcuni ricci mi accarezzino le guance, assicurando il tutto con uno spillone argentato.
Mi porge il vecchio specchio pieno di polvere che i ragazzi usano quando si radono.
Ha un sorriso affettuoso e uno sguardo che ispira fiducia e bontà.
No.
Neanche lei.
E siamo a due.
Tre se considero Charlie.
Insomma sono spacciata.
La ragazza che mi rivolge lo sguardo nello specchio ha il volto candido, lo sguardo altero e due rughe identiche agli angoli della bocca.
Uh-uh con questa espressione non riuscirei a conquistare i favori di un gerbillo, figurarsi di quelli spocchiosi ai piani alti.
Sono abbastanza graziosa per gli standard della Casa Grande.
Potrei ricevere qualche aiuto nell’Arena.
Poi ricordo che ho un carattere di merda e so benissimo che non riceverei un aiuto decente anche se riuscissi a sopravvivere al bagno di sangue iniziale.
Faccio schifo nelle relazioni sociali.
Charlie intercetta i miei pensieri meglio di un sonar per le balene e sbuffa al mio indirizzo, tentando di infilarsi un paio di pantaloni decenti.
È così buffo che non riesco a trattenere una risatina.
Quando tutti siamo pronti, il clima si fa teso.
I miei fratelli e le mie sorelle hanno la stessa espressione disgustata che so essere presente sul mio volto.
Ci scambiamo un’occhiata complice e cominciamo a dirigerci verso la piazza in un’ordinata fila indiata.
Charlie è il maggiore, Morgan la chiude e io sono quasi perfettamente nel mezzo.
La piazza è uno dei luoghi più belli che abbiamo qui. Un colonnato greco dai capitelli dorici che circoscrive uno spazio quadrato.
Tutto è ha il colore della posidonia.
Dev’essere marmo, ma non me intendo e sinceramente non m’interessa affatto.
Perché spiegare qualcosa che è semplicemente bello?
Perché non goderne e basta?
Lo schermo immenso si accende dinanzi a noi, trasmettendo le vie da sogno dell’Olimpo.
Trattengo a stento uno sputo nello scorgere gli Dei riuniti sui loro troni.
Me li immagino mentre si gloriano della nostra morte.
Questi stronzi che ci mettono al mondo soltanto per distruggerci.
L’inquadratura si ferma su quello che sono costretta a definire mio padre.
Il re quest’anno è lui, dopotutto.
Alto sei metri, con la barba nera e folta, gli occhi di malachite e i capelli che sembrano un turbine scuro come gli abissi del mare.
Un moto di odio purissimo mi scuote le membra e a stento trattengo il ringhio che mi sta artigliando la gola.  
Qualche folle ha tentato di opporsi ai giochi fomentando rivolte nelle proprie cabine.
Inutile dire dov’è adesso.
Il Tartaro accoglie i ribelli dalla notte dei tempi.
Gli Dei non si possono uccidere.
Possono essere ridotti a forme dormienti. Possono essere gettati nella fossa.
Ma non moriranno mai.
A meno che non tornino i Titani, ma nessuno sano di mente andrebbe a risvegliarli.
Sono più antichi, più forti e più cattivi.
Di crudeltà ne abbiamo già ricevuta a fiotti.
Ci basta e ci avanza per quel poco tempo che vivremo.
« Benvenuti, giovani semidei e semidee, alla trecento novantasettesima edizione dei Demigods’ Games,» esclama la voce squillante di Phoebe, richiamandomi all’ordine.
Phoebe è una Cacciatrice di Artemide, l’accompagnatrice della nostra cabina.
Quest’anno si è superata.
Indossa un vestito verde acido che sembra uscito da un libro sulle streghe. Ha il cerone bianco che le ricopre tutta la faccia.
È pesantemente truccata di verde e nero, cosa che stona con i suoi capelli arancioni.
Sembra una carota al contrario.
È così ridicola che non riesco a provare odio per questa tizia.
La moda della Casa Grande è disgustosa.
A Theseus, durante la sfilata delle bighe, hanno fatto indossare una rete da pesca che è servita soltanto a coprirgli il pube. Quasi non riusciva a parlare per l’imbarazzo.
« Ogni anno sempre la stessa storia,» mormoro quasi non muovendo le labbra.
Sono diventata brava a sussurrare.
Delphina mi intima di stare in silenzio, osservandomi di sottecchi con la coda dell’occhio.
Mi rifilerebbe una gomitata se potesse.
Un conto sono le smorfie, un altro sono le parole.
Non sai mai chi è in ascolto.
Il fatto è che il discorso fa veramente schifo.
È tutto un onore agli dei di qua e un a morte i mortali di là. Il che è un gran cavillo.
Si parla dei Giorni Bui in cui gli eroi avevano osato innalzarsi a sfiorare il divino.
I nomi si confondono, ma uno mi salta sempre all’orecchio: Perseus Jackson, figlio di Poseidone.
È stato uno dei nostri. E ha osato più di tutti.
Vorrei avere il suo coraggio.
Chirone annuncia le cabine estratte a sorte dall’altra parte dello schermo.
La terza è la prima ad essere estratta.
I Tre Pezzi Grossi fanno a turno ogni anno.
L’anno scorso è toccato a un figlio di Zeus, un ragazzino di dodici anni che è riuscito a resistere sino alla fine per poi morire di stenti a un passo dalla vittoria.
Due anni fa a un figlio di Ade, che si è letteralmente liquefatto in una pozza d’ombra.
Tre anni fa è toccato a Theseus.
« E adesso passiamo alla mietitura,» continua Phoebe con voce leziosa ancheggiando verso la boccia che contiene i nostri nomi.
Fa un grande svolazzo con la mancina e poi tuffa le unghie smaltate all’interno, mescolando i foglietti.
Stronza sadica.
Come se non bastasse dover morire in un’Arena ed essere costretta ad ammazzare qualcuno.
Estrae un foglietto spiegazzato e se lo porta dinanzi agli occhi.
Sa di avere l’attenzione su di sé e ne gode.
Vorrei solo che questa pagliacciata finisca presto.
Vedo le sue labbra articolare un nome, ma non capisco.
Non subito almeno.
Mi si sono tappate le orecchie e riesco a sentire solo un sibilo.
Come alla fine di una giornata di lavoro troppo intenso senza aver messo niente sotto i denti.
Non devo svenire.
Non posso.
Non ora.
Il ghigno mi si è fossilizzato sul volto.
Lo vedo riflesso nello schermo
Per lo Stige, sono davvero così bassa?
Oh no.
Non posso ridere.
Delphina, accanto a me, sta prendendo fiato.
Quella piccola sciocca troppo buona.
Scuoto il capo con veemenza e sento i capelli sciogliersi.
Lo spillone tintinna sul pavimento di marmo.
L’impercettibile suono ha il potere di darmi una scrollata.
Meglio io che lei.
Meglio io che i miei fratelli e le mie sorelle.
Tanto mi sarei offerta comunque.
Avanzo verso il palco tentando di mantenere le spalle dritte e il petto in fuori come Theseus.
È già tanto che non sia inciampata.
Morgan sta urlando qualcosa, disperato come solo un bambino di otto anni può essere mentre guarda sua sorella avanzare verso la morte.
Per le Parche, qualcuno lo fermi prima che si faccia ammazzare.
Mi volto verso la mia famiglia non appena arrivata sul palco, tentando di tenere a freno le gambe che vorrebbero scattare.
Noto le braccia dell’unico fratello intelligente che mi è rimasto protendersi verso il piccolo.
Charlie lo prende in braccio e gli preme il volto contro la camicia.
« Facciamo tutti un bell’applauso d’incoraggiamento per Emerald Sullivan,» esclama Phoebe deliziata, con la voce acuta per superare i singhiozzi di Morgan.
Se potessi ammazzare questa stronza, lo farei.
Non è lei il mio nemico, però.
Ad onor del vero nessuno dei miei fratelli applaude.
Noto Delphina trattenere a stento le lacrime e Alyssa che sta per sollevare il medio contro l’accompagnatrice, fermata prontamente da Pyrrhus.
Alyssa che non mi è mai tanto piaciuta.
Ha guadagnato un sacco di punti in un secondo.
Osservo i loro volti imprimendoli nella memoria.
Hanno visi pieni di sconcerto e di odio.
Sono così simili al mio.
Il pensiero mi rinfranca così tanto che trovo la forza di piegare le labbra in un sorriso.
Grover Underwood, il capo dei satiri, mi osserva con quella che sembra nostalgia mentre mi porge la destra.
La stringo e la lascio ciondolare un po’. Perlomeno questo qui non sembra goderci.
Nostalgia di che, poi? Non ho mai parlato con questo tizio.
Mi rispondo da sola dopo qualche istante.
Perché non dovrebbe?
Sono già morta.
Sta guardando uno spettro.
 
 
Hola a todos.
Ho tentato di unire due delle mie saghe preferite in questa interattiva: Percy Jackson e Hunger Games.
Vi annuncio che tutti voi avrete un ruolo cruciale per la sopravvivenza del vostro tributo. Sarete i loro sponsor, i loro mentori e i loro stilisti.
Vi annuncio già che, in perfetto stile Hunger Games, soltanto uno sarà il vincitore di questi giochi. Gli altri moriranno. Non abbiatene a male, ma la Collins mi ha insegnato che anche il personaggio migliore alla fine può morire. La mia piccola zollettina di zucchero.
Diversamente dai giochi di Panem, qui il tributo per divinità sarà solo uno perché non voglio strafare.
Quindi mi servono 6 ragazzi e 5 ragazze.
La lista delle divinità che accetto è più in basso.
Potete mandarmi al massimo due personaggi tramite messaggio privato, previa mia risposta affermativa alla recensione, entro il 6 Luglio. Nella recensione potete scrivere sesso, età e genitore divino.
Vi annuncio che questa non è una storia d’amore. È una storia di guerra, di lotte, di assassinii, di tanto, tanto dolore. Ma non d’amore. Ci sarà linguaggio scurrile, scene di morti violente e sangue come se piovesse.
 
Vi lascio alla lista delle divinità:
 
Apate, spirito dell’inganno, della falsità, della frode e dell’imbroglio
 
Apollo, dio del Sole, di tutte le arti, della musica, della profezia, della poesia, della medicina, delle pestilenze e della scienza che illumina l’intelletto
 
Ares, dio della guerra, della lotta intesa come sete di sangue e della violenza
 
Atena, dea della sapienza, delle arti tecniche, della tessitura e della strategia militare
 
Demetra, dea del grano, dell’agricoltura, del raccolto, della crescita e della nutrizione
 
Dioniso, dio del vino, delle feste, della follia, del caos, dell’ubriachezza, delle droghe e dell’estasi
 
Ecate, dea della magia, della stregoneria, della notte, della Luna, dei fantasmi e della negromanzia
 
Efesto, dio del fuoco, della metallurgia e dell’artigianato
 
Eris, dea della discordia, della lotta, della contesa e della rivalità
 
Ermes, dio dei confini, dei viaggi, delle comunicazioni, degli scambi commerciali, dei linguaggi e della scrittura
 
Nemesi, dea della vendetta, del bilanciamento, dell’indignazione e del compenso
 
 
E questa è la scheda:
 
Nome e Cognome:
Età:
Cabina:
Volontario ( se sì, perché?):
Rapporto con i compagni di cabina:
Rapporto con il genitore divino:
Descrizione fisica:
Prestavolto:
Descrizione caratteriale:
Atteggiamento verso gli altri:
Storia personale:
Cosa ama:
Cosa odia/teme:
Abilità:
Arma preferita:
Debolezze:
Intervista (di che parla? È a suo agio? È schivo?):
Curiosità ( come si comporta durante la mietitura? E sul treno? Durante la sfilata?):

Altro (idee sull’abito della sfilata, passioni, hobby, tutto ciò che volete):
   
 
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