Film > Le 5 Leggende
Segui la storia  |       
Autore: Honeymouth    29/06/2016    1 recensioni
Gli incubi hanno trascinato Pitchblack in un oscuro abisso. Il Signore degli Incubi è davvero scomparso per sempre, dilaniato dai suoi sottoposti? Oppure la sua mano aguzza tornerà per gettare nuovo scompiglio nel mondo degli uomini? Piuttosto che preoccuparsi per la salute dell’Uomo Nero, i Guardiani temono un suo ritorno e si preparano al peggio. Che cosa vorrà Pitchblack? Vendetta o risposte a domande che non sapeva nemmeno di avere dentro di sé?
Genere: Avventura, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
«…I am the shadow on the moon at night Filling your dreams to the brim with fright»

“This is Halloween” canzone dal film “Nightmare Before Christmas”.

«Sai North, Pitchblack non mi convince». Jack Frost, subito dopo l’incontro con l’Uomo nero nella foresta, si era recato da Babbo Natale, per consiglio e aiuto. «Mmm. Beh, Jack, Io non sente niente in mia pancia. Sarà tua impressione» rispose Babbo Natale, in modo svogliato, mentre eseguiva il suo regolamentare giro per controllare l’avanzamento dei lavori. Mancavano poco meno di sessantaquattro giorni a Natale e l’attività attorno ai regali era, se possibile, ancora più frenetica del solito. Anche se North avesse avuto delle sensazioni negative, non avrebbe certamente dato loro ascolto, non quando mancavano così pochi giorni a Natale. All’improvviso, si sentì un certo trambusto e un paio di yeti, con l’aria minacciosa e il passo pesante, gridando nella loro lingua, si avvicinarono a Babbo Natale, trascinando una figura familiare per le braccia. «Ragazzi, ragazzi, sono qui soltanto in visita!» disse una voce sarcastica, prima di essere bruscamente interrotta dallo sguardo assassino degli yeti. La figura venne buttata a terra, ai piedi di Babbo Natale. «…Pitch?» Pitchblack si rialzò con calma, spolverandosi la manica destra con la mano sinistra. «In persona. Non una delle mie migliori entrate in scena, ma mi dovrò accontentare. Come te la passi, North?» disse casualmente l’Uomo nero, mettendo le braccia dietro la schiena, in una posa rilassata e un sorriso strafottente. «Che ci fa tu qui?» disse North, incrociando le braccia tatuate sul petto e aggrottando minacciosamente le sopracciglia. «Lieto che tu l’abbia chiesto. Non è facile da spiegare» rispose Pitch, con l’aria di un professore che si accinga ad una spiegazione lunga e complicata, alzando il dito indice. «Volevo parlare faccia a faccia con te e sapendo quanto poco manchi a Natale, ero cosciente del fatto che uno dei miei soliti trucchetti non ti avrebbe distolto dai tuoi programmi» “Anche perché non me ne è rimasto nemmeno uno” pensò Pitch, ma avrebbe preferito morire – di nuovo – piuttosto che ammetterlo ad alta voce. “Anche perché non gliene è rimasto nemmeno uno” pensarono nello stesso momento Jack Frost e Nicholas S. North. “Oouga tooga iga” pensarono gli yeti, intendendo la stessa cosa. Era stato fin troppo facile acchiapparlo, e ciò si spiegava soltanto in due modi: o si era fatto catturare apposta oppure non aveva più l’abilità e le forze necessarie per entrare nel palazzo di Babbo Natale di nascosto. C’era, in verità, una terza opzione: si era fatto catturare apposta proprio perché non aveva più assi nella manica. Provare ad eludere la sorveglianza di due covi magici nel giro di due giorni non era proprio una passeggiata, anche se Pitchblack aveva l’aria di farla sembrare tale, sempre, anche quando era in un’evidente posizione di svantaggio. I suoi poteri andavano diminuendo di giorno in giorno. «Come fa io a sapere che non è proprio questo uno di tuoi trucchetti?» chiese North, squadrando dubbiosamente Pitchblack, con il portamento che hanno i vecchi lupi di mare quando ascoltano storie assurde dai marinai al porto. «Se fosse uno dei miei trucchetti…» rispose Pitchblack, sottolineando le sue parole con l’indice della mano sinistra, mentre teneva ancora la destra dietro la schiena, «…A quest’ora non avresti più regali da consegnare» concluse, con una provocatoria, ma finta, minaccia. North ci ragionò sopra, alzando le sopracciglia e lanciando uno sguardo significativo a Jack Frost, che spalancò gli occhi e fece spallucce. Rimasero in silenzio per un po’, guardandosi intorno con un’espressione in parte di disagio e in parte di attesa, come se si aspettassero lo scoppio di una bomba da un momento all’altro, eppure giudicando impossibile un tale evento. Intanto Pitchblack rimaneva lì, in piedi, senza muovere un muscolo, ma spostando gli occhi a destra e a sinistra, come se volesse lasciare i due a macerare ancora un po’ nel dubbio. «Quindi…» disse l’Uomo nero, prendendo fiato e congiungendo le mani. «…Torniamo all’argomento principale, se non vi dispiace» concluse, con un sorrisetto provocatorio. «Dipende dall’argomento» commentò Jack Frost, che se ne stava accovacciato sulla cima del suo bastone. «Nessuno ha chiesto il tuo parere» disse Pitchblack, con una smorfia di superiorità. Jack alzò gli occhi al cielo. «Poiché ammetto di non essere particolarmente portato per i bambini…» iniziò l’Uomo nero «…è un eufemismo» si inserì Jack. «…grazie per il tuo fondamentale contributo alla narrazione, Jack, ma penso tu faccia meglio a startene zitto» sibilò Pitch, all’indirizzo del ragazzo del gelo. «Nervosetto, eh?» provocò Jack, con un sorriso di scherno. «Io?» fece Pitchblack, assumendo un’aria innocente e indicandosi. Con gesti pacati, ma precisi, iniziò ad esprimere il senso di assurdo che aveva quella situazione, dicendo: «Perché dovrei essere nervoso? Sono soltanto nel covo di uno dei miei più acerrimi nemici a chiedere un favore! Chiaro che non sono nervoso! Perché dovrei esserlo?» Guardò Jack con occhi accesi e poi sussurrò, in una pacata minacciata, cambiando la postura del suo corpo che divenne più rigido: «In questo momento non sono nervoso, ma non ti conviene vedere quanto lo posso diventare, se continui a interrompermi.» Jack Frost si zittì, per un istante. «Oh, finalmente! Un istante di silenzio! Non speravo tanto! Caro North…» incominciò, di nuovo. «…Mi piacerebbe risollevare l’umore di una ragazzina di nome Joey e data la mia scarsissima esperienza in materia, vorrei chiederti un parere in merito». North sgranò gli occhi. Non si sarebbe mai aspettato che una tale sequenza di parole, sebbene così infelicemente scelte per dichiarare un così nobile e positivo intento, potessero uscire dalle fauci di Pitch. Le sue sopracciglia si alzarono talmente tanto, che Jack credette avrebbero potuto lasciare la sua fronte. Jack Frost e North si guardarono a lungo, intensamente, a vicenda, poi guardarono di nuovo Pitch, poi di nuovo se stessi e… «Che cosa c’è?» chiese bruscamente Pitchblack. «Uhm… Ecco… beh… niente. Niente, davvero. Tu ha… sorpreso me» fece North, grattandosi la testa, perplesso. «C’è o non c’è un modo per fare felice Joey?» insistette Pitchblack. North era sempre più meravigliato, ma lo stupore era il suo centro, per cui si riprese immediatamente e iniziò a ridere di quella sua bella, grassa, allegra risata che tanto lo rendeva amato. «Certo che c’è! C’è sempre modo di fare felice bambino!» disse, entusiasta. «Tu potrà noi dare una mano!» aggiunse, sottolineando la frase con un occhiolino. «Io? Dare una mano?» Pitchblack iniziò a ridere, di una risata fredda, distante, sarcastica, l’opposto di quella di North. «Tu stai scherzando» affermò, le palpebre abbassate, lo sguardo di chi non abbia tempo da perdere e sia già stanco di tutte quelle schermaglie. Fece per andarsene. «Un momento!» La manona di North calò sulla spalla di Pitchblack. «Dove tu crede di andare?» domandò l’omone barbuto. «Via?» rispose Pitch, alzando un’arcata sopraccigliare. Babbo Natale riprese a ridere. «No, no, tu non va da nessuna parte. Tu resterai qui, a dare mano a elfi!» L’Uomo nero diede un’occhiata agli esserini che North gli indicava con la sua ampia mano: uno di loro si era infilato delle grosse lampadine colorate in ciascuno degli orifizi liberi, ad eccezione della bocca, e gli rivolse uno sguardo beato e idiota; un altro aveva preso una pila di biscotti e correndo, cercava di portarli verso lo studio di Babbo Natale, perdendoli tutti, tranne quello che reggeva in mano (e che prontamente si mangiò, come i suoi compagni si erano mangiati gli altri persi per strada). L’angolo sinistro della bocca di Pitchblack si contrasse in una smorfia di disgusto. “Alla prima occasione me la filo” pensò l’Uomo nero, sapendo tuttavia che questo sarebbe stato molto difficile. I suoi poteri non l’avrebbero sostenuto abbastanza. «E perché tu non te la fili a prima occasione…» disse North «…Jack Frost guarderà te a vista!» Jack Frost e Pitchblack sgranarono gli occhi allo stesso momento, ma il ragazzo del ghiaccio fu più lesto nel protestare. «Come?! North! E chi si occuperà delle bufere di neve? Ho delle nevicate importanti in programma e…» «Jack, Jack, Jack!» lo interruppe North, mettendo le sue grandi mani sulle spalle del ragazzo. «Non c’è problema, Phil e Gustav daranno te mano in sorveglianza! Farete turni, così tu potrai occuparti di tue tempeste! Costa me molto darti due miei yeti per dare te mano, ma io so che userai bene risorse che io do te» fece North, aggiungendo un po’ di senso di colpa a quella che, a tutti gli effetti, era un’imposizione. «Rifletti, Jack Frost…» aggiunse poi, abbassando molto la voce e avvicinando il suo faccione al ragazzo «…se noi teniamo qui lui sotto stretta sorveglianza, potremmo impedirgli di fare danni. Potrebbe tramare qualcosa: ma non potrà fare niente, se noi teniamo prigioniero lui» Jack Frost ci pensò su. «Non hai paura che possa… non so… distruggerti i giocattoli, se lo tieni qui?» «Tu scherzi?» esclamò North, per poi riprendere a sussurrare «Lui è solo e debole, si vede. Se noi non cogliamo opportunità di tenerlo lontano da suoi piani per un po’, potrebbe riprendere suoi piani diabolici… diventare più forte…» si guardò intorno, guardingo, assicurandosi che un seccato e cupo Pitchblack fosse ancora nel punto in cui l’aveva lasciato, con Phil e Gustav ai suoi lati come due guardie del corpo, o due secondini. «…potrebbe essere stato sincero quando lui detto che vuole rendere felice una bambina, ma io ancora non essere del tutto sicuro». Diede una pacca sulla spalla di Jack, che gli rimandò uno sguardo seccato, ma non discusse oltre, sapendo che era sempre meglio fare come North diceva, non perché le conseguenze avrebbero potuto essere terribili, ma perché – forse per via della sua esperienza – aveva sempre ragione. Jack Frost lanciò uno sguardo d’odio a Pitchblack, perfettamente ricambiato da quest’ultimo. «Forza ragazzi, rimettiamo noi a lavoro!» esclamò North, con un’immensa gioia nella voce.

Jack Frost guardava fisso Pitchblack, ma l’Uomo nero lo ignorava a bella posta, non gli parlava, né considerava la sua presenza. Si era seduto su uno sgabello e con aria annoiata, tenendo la mano chiusa a pugno sulla guancia a sostenere la testa, osservava con scarsa partecipazione le esilaranti avventure dei piccoli elfi che tintinnando correvano di qua e di là, senza portare a compimento nulla di concreto. Le loro facce rugose, da bambini vecchi, sempre sorridenti, ma non particolarmente sveglie, suggerivano gioia e letizia. Pitchblack, visto che aiutare gli elfi consisteva, di per sé, nel non fare nulla, preso dalla noia, aveva iniziato ad analizzare il loro comportamento: qualcuno di loro era, incredibilmente, più intelligente di altri e di qualcuno si sarebbe potuto dire che fosse maligno, se avesse compiuto i suoi scherzi in malafede; invece, come i bambini piccoli, gli elfi pensavano che le loro vittime potessero trovare le burle di cui erano oggetto divertenti, così come lo erano nella mente del loro ideatore. Non sempre era così. Agitando i pugnetti in aria, sotto lo sguardo indifferente di Pitchblack, un elfo iniziò a rincorrerne un altro, che l’aveva totalmente ricoperto di glassa per biscotti. Come ci fosse riuscito non era così importante. Si sarebbe potuto giudicare addirittura un fallimento, visto che il vero obiettivo era un altro elfo, che, rimasto illeso, continuava a fissare il vuoto con aria beata. Benché buffi, anche Jack Frost e i due yeti della sorveglianza (Gustav e Phil) si stavano annoiando a morte e guardavano con evidente desiderio i loro compagni che si trovavano indaffarati a occuparsi dei giocattoli. «Ragazzi…» disse Frost, rivolgendosi a loro «…qua ci penso io. Potete tornare al lavoro». Le grosse e pelose creature del nord si scambiarono un’occhiata, alzando le sopracciglia cespugliose. «Gouga?» dissero insieme, con voce gutturale e incerta. «A Babbo Natale non darà fastidio. Gli dirò che vi ho lasciati andare. Forza! Tornate dai vostri giocattoli» disse, con un sorriso divertito alla loro espressione titubante. Gli yeti si guardarono di nuovo, fecero spallucce, allargando le braccia e si allontanarono. Pitchblack li seguì con lo sguardo e un’espressione distaccata sul volto. Si risistemò sullo sgabello e lanciò un’occhiata di superiorità e di lontananza a Jack Frost. Ricominciò ad osservare gli elfi, senza proferire una parola. Il ragazzo del ghiaccio assottigliò le labbra e la sua fronte si corrugò, non senza un certo disappunto. Non aveva mai sopportato quel modo di fare di Pitchblack: quello di una persona che prima di qualsiasi cosa vuole essere sicura che tu sappia chi lei è e che tu, in ragione di ciò, inizi ad avere verso di lei un atteggiamento di ammirazione, reverenza e, perché no, perfino di terrore. Con un guardiano che ha già battuto il signore degli incubi una volta un atteggiamento del genere finisce per essere snervante. Nel tentativo di superare l’irritazione, Jack Frost si guardò intorno. Notò così che era arrivato qualcun altro, lì, nella sede di Babbo Natale. Un svolazzare di ali e uno scintillio di piume smeraldo attirarono la sua attenzione. “Dentolina?” pensò Jack Frost. Pensò che qualcosa di grave – o di importante – fosse successa, per giustificare la sua presenza lì. Diede una rapida occhiata a Pitchblack. Sembrava assorto nei suoi pensieri e Jack pensò che, comunque, non avrebbe potuto andare da nessuna parte, non con tutti quegli yeti nei paraggi. Nonostante il Natale fosse così vicino, tutti loro a volte distoglievano lo sguardo dal loro lavoro per assicurarsi che l’Uomo nero fosse sempre al suo posto, visibile e, soprattutto, innocuo. Jack Frost si diresse verso l’ufficio di Babbo Natale, certo di trovarvi lui e Dentolina, intenti in una discussione. Era proprio così. «Dentolina, che cosa ci fai qui?» Nicholas S. North e la fatina dei denti si voltarono, gli occhi spalancati. «Jack Frost! Sei anche tu qui! Molto bene, stavo giusto per raccontare a Nicholas la scoperta che ho fatto!» disse, con un’espressione nervosa. «Brutte notizie?» chiese subito Jack. Nicholas stava per dire qualcosa riguardo al fatto che avrebbe dovuto essere di là a sorvegliare Pitchblack, ma la fatina dei denti lo precedette e lui rimase con la bocca semiaperta e il dito alzato. «Non so come catalogare la cosa che sto per dirvi!» rispose Dentolina. «E la cosa un po’ mi innervosisce». Prese un profondo respiro e proseguì. «Quando Pitchblack si è indrotto nel mio palazzo…» «Pitchblack cosa?» chiesero all’unisono Jack Frost e Nicholas S. North, profondamente costernati. «…Ragazzi, non abbiate paura, tutto si è risolto per il meglio!» rassicurò lei, con un sorriso allegro. «Comunque, stavo dicendo, quando Pitchblack si è introdotto nel mio palazzo, non mi ha mai detto che cosa di preciso fosse venuto a fare lì. Pensavo fosse venuto per vendicarsi, ma ripensando al momento in cui l’ho colpito la prima volta, mi sono resa conto che era come… sembrava essere in difficoltà. Come se qualcosa di invisibile lo stesse picchiando forte, mirando alla testa. Se la stringeva con forza e la sua faccia era contratta per il dolore» Dentolina, come al solito, parlava velocemente, sparando una parola dietro l’altra come una macchina da pop corn fa schizzare i pop corn. La pausa che si prese servì giusto per prendere un rapido respiro e continuare nel racconto. «La cosa mi è sembrata piuttosto inusuale. Così sono tornata a controllare il punto in cui l’avevo sorpreso e ho scoperto che a terra c’era un cilindro fuori posto, di una bambina di nome Joey». Jack Frost e Babbo Natale si scambiarono un’occhiata, ma non dissero nulla, anche perché non ne ebbero il tempo. Dentolina aveva ricominciato a parlare dopo una pausa durata un battito di ciglia. «Ora, sono sicura al 98% che Pitchblack abbia in qualche modo visto parte dei ricordi di Joey e che questi, in qualche modo, abbiano riportato alla sua mente alcuni ricordi particolarmente dolorosi e con una vividezza inconsueta per entità come noi, come se li avesse rivissuti, con un carico emozionale eccessivo…» Dentolina fece una pausa più lunga, come se quegli istanti le servissero per riorganizzare i pensieri. Prima che potesse ricominciare a parlare, Jack, che era una mente fresca, sveglia e pronta, colse l’opportunità per porre una domanda: «Perché solo il 98%?» «Perché – e stavo per dirlo – gli unici che possono leggere i ricordi nei cilindri siamo io e colui o colei che li possiede. Quindi, sarebbe impossibile per uno come Pitchblack leggere un contenitore. A meno che…» «A meno che?» chiesero in coro Jack Frost e Nicolas S. North. «…A meno che chi prenda in mano il cilindro sia in qualche modo collegato ai ricordi, anche se non li ha vissuti personalmente» concluse. Ci fu un silenzio un po’ imbarazzato, a questo punto, ma Jack Frost, che non doveva dimostrare di essere un guardiano esperto, fece la successiva e legittima domanda: «Cioè?» Dentolina rispose immediatamente: «Deve essere un antenato o un discendente di colui o colei a cui i ricordi appartengono». Jack Frost ci ragionò sopra, mentre Nicolas S. North assumeva un’espressione di profonda meraviglia, mescolata con una certa e inspiegabile inquietudine. Jack Frost le diede forma, dicendo: «Quindi, significa che questa Joey è… una diretta discendente… di Pitchblack?» La sua costernazione era aumentata via via che le parole uscivano. Sgranò gli occhi, guardando dritto in faccia Dentolina. «Sì» ammise lei, flebilmente. «Beh…» cominciò Jack Frost «…questo è inaspettato. Penso che gli potrebbe fare piacere saperlo. Ammesso che a Pitchblack piaccia qualcosa…» concluse, con una battuta ironica. Jack Frost, però, sapeva che l’unica cosa che Pitchblack aveva mai voluto era una famiglia. O almeno qualcuno che lo facesse sentire meno solo e considerato, qualcuno che credesse in lui. Ora aveva la possibilità di averlo. «…Dobbiamo dirglielo» disse Jack, rivolto a Dentolina. La fatina dei denti sembrò esitare. Guardò Babbo Natale con un’aria spaventata. Poi parlò. «Non possiamo Jack». Il ragazzo del gelo la guardò stranito. «Come… Perché?» chiese, stupefatto. «Perché… perché Pitchblack è diventato quello che è ora perché ha sempre creduto di essere fatto per spaventare la gente e che questa sua abilità non abbia mai salvato la vita di nessuno, anzi! Pensa di essere bravo a rovinare l’esistenza delle persone! Se noi gli diciamo che quella notte lui ha salvato sua figlia…» «Quale notte?» chiese Jack Frost, incuriosito. «La notte in cui è morto» spiegò Dentolina, con un tono triste nella voce. «Jack, se Pitchblack scoprisse di aver salvato sua figlia… Ti rendi conto che in questo modo si renderebbe conto di aver fatto una cosa da guardiano?» domandò, improvvisamente spaventata. «Non esiste! Pitchblack non è un guardiano e non sarà sapere di aver salvato la vita di qualcuno…» «Di sua figlia, Jack. Ha salvato la vita di sua figlia, spaventandola a morte». Jack strinse le labbra e aggrottò le sopracciglia. «Non esiste che Pitchblack possa diventare un Guardiano» proclamò. «Certo che no» assentì Dentolina «ma questo fatto non si concilia con la sua natura. Il conflitto tra quello che è e quello che vorrebbe essere potrebbe consumarlo. Se dovesse scoprire che Joey è una sua discendente lui potrebbe…» «Vai avanti» «…potrebbe svanire per sempre». Un grande silenzio scese nella stanza. Rimasero così, per quasi un minuto, immersi ciascuno nei propri pensieri. «Non è… non è quello che noi guardiani abbiamo sempre sperato?» chiese Jack Frost, senza riuscire a mascherare l’incertezza nella sua voce. «In un’occasione come questa? Una possibilità di allontanare per sempre la paura dai bambini?» Dentolina scosse lentamente la testa. «Non funziona così Jack. Non è una cosa che un guardiano farebbe: non toglierebbe la vita ad un’altra entità. Io non lo farei. Un guardiano non uccide, un guardiano deve proteggere, un guardiano deve lottare, ma non deve coscientemente porre termine ad un’esistenza». Dentolina guardò con aria significativa North, che annuiva gravemente. «Quando Pitchblack è stato trascinato via dagli incubi però nessuno di voi si è preoccupato!» esclamò Jack. «Nessuno di noi pensava che Pitchblack morto veramente, quando noi sconfitto lui a Pasqua» dichiarò North con il suo possente vocione. «Noi abbiamo pensato che noi sconfitto lui e che dovevamo continuare a essere vigili, per impedire suo ritorno». Jack Frost abbassò la testa, in una tacita ammissione. Nemmeno lui aveva pensato che Pitchblack se ne fosse andato per sempre e non era rimasto poi così sorpreso nel rivederlo al lago. Però non aveva nessuna intenzione di lasciarsi scappare questa opportunità: se c’era una via per poterlo togliere di mezzo per sempre, lui l’avrebbe seguita. «Tu non doveva sorvegliare Pitchblack, Jack?» chiese North, la voce carica di severità e di minaccia come le nuvole pesanti che promettono tempesta. Jack ebbe un sussulto e si precipitò nella fabbrica dei giocattoli. Pitchblack era sparito. Jack Frost controllò dappertutto. Volava rapido e veloce in tutte le stanze e passava con un turbinio di vento attraverso i corridoi. Alla fine, decise di controllare in un ultimo posto: la stalla delle renne. Nel locale buio in cui venivano agganciate i fieri e maestosi animali, si trovava anche la slitta, luccicante e immota. Qualche elfo si aggirava da quelle parti, perché si era perso e non era ancora riuscito a ritrovare la strada per la fabbrica. Gli yeti che si occupavano delle renne erano appena andati in pausa pranzo. Non c’era nessuno nella rimessa della slitta. Nella grotta ghiacciata e scintillante era buio. Jack Frost si avvicinò alla slitta e per poco non urlò per lo spavento. «Jack Frost» Pitchblack era emerso dall’oscurità alle sue spalle e, più che chiamarlo, sembrava avesse semplicemente constatato la sua presenza. Si avvicinò lentamente alla slitta e poi si sedette. Si mise di fronte agli strumenti di bordo. Emanavano una leggera luminescenza e con quella luce verdastra sul volto, il volto di Pitchblack assumeva un’aria malsana, cadaverica. I suoi brillanti occhi bianchi dardeggiavano nella penombra. Le sue dita sottili picchiettavano leggermente sul pannello della slitta, mentre il suo sguardo era perso nel soffuso bagliore che emanava la bussola. Jack Frost lo osservò, con l’aria di chi abbia un lavoro molto importante da svolgere. Pitchblack però parlò per primo. «Io odio il Natale, sai» Jack Frost non poté trattenersi dal rispondere «Penso che lo sappiano anche i muri», ma l’Uomo Nero non si scompose. Il suo preambolo era un pigro tentativo di mettere i pensieri in ordine. «Nel momento più buio dell’anno, la gente sorride ed è felice. Le strade si riempiono di luci e di colori e c’è la stessa aria che si respira a primavera, o in estate. Eppure tutto è freddo, silenzioso e morto. Mi è sempre sembrato che fosse ipocrita, che la gente cercasse di coprire la realtà, che fuggisse dalla durezza che è la vita» Fece una pausa mesta, prima di continuare. «Io ho sempre amato l’inverno. Era la condizione perfetta per riempire di terrore, paura e del nero dell’abisso il mondo» Jack strinse le labbra. Con un brivido freddo lungo la schiena, ricordò le parole che Pitchblack gli aveva detto quel giorno, tra i ghiacci dell’artico. La rabbia ricominciò a rimontargli nel cuore, per tutto quello che era successo prima e in seguito. Improvvisamente, la stanza si riempì di un’aria glaciale. «Il Natale ha rovinato tutto. Ha portato un po’ di luce nell’inverno e quella luce è diventata così calda e brillante che mi sono ritrovato sconfitto prima ancora di iniziare la battaglia. Combattere contro qualcosa di forte come la speranza è un’ardua impresa. La speranza distrugge le incertezze, rende le persone tenaci e perfino coraggiose». Pitchblack aggrottò le sopracciglia. «Non so perché io ti stia dicendo queste cose, non è nella mia natura fare delle confidenze. Tu sei insieme la persona meno e più adatta che le possa sentire. Eppure, ecco qua, perfino io ho sperato, quando ero vivo. Ma la speranza che io ho avuto mi ha causato soltanto angoscia, quando alla fine si è infranta ed è morta con me. Le persone felici sono solo quelle i cui sogni e speranze non sono morti. Per quelli come me, che sanno quanto la vita può deludere, quanto può essere crudele e fredda, è impossibile essere felici». La morsa del gelo si attenuò. Jack Frost aveva un’espressione perplessa e un po’ incupita, ma non arrabbiata. «Non è un buon motivo per rendere infelici gli altri» disse, con decisione. Pitchblack ghignò. «Sapevo che l’avresti detto» disse, ma non aggiunse altro. Si alzò dalla slitta e si avviò verso la fabbrica dei giocattoli. «Vogliamo andare?» chiese, non senza una certa ironia. Jack Frost, di malavoglia, lo seguì.

La neve scintillava in grandi mucchi nei giardini, seppelliva sotto un mantello candido le siepi e i cespugli, decorava i rami scuri degli alberi. Strutture di ghiaccio cristalline ammiccavano nella notte e si coloravano dei colori delle luci natalizie appese alle grondaie e intorno alle cornici delle finestre. Sfavillanti alberi di Natale, coperti di neve, festoni e palline di vetro, si ergevano davanti agli usci delle case, alcuni più grandi e più decorati di altri, in una sorta di gara di vicinato per l’albero più maestoso e natalizio. Nell’aria fredda e pungente a volte si coglievano, a tratti, come in una specie di linguaggio morse dei profumi, vari odori, come quello della carne allo spiedo, delle patate arrosto, delle torte fumanti alla marmellata o al cioccolato, dei biscotti fragranti e un vago sentore di cipolle fritte. Tutto si mescolava con il profumo degli aghi di pino e della foresta resinosa. Le stalattiti sembravano piccoli gioielli, orecchini e collane di diamante, mentre i festoni e le ghirlande natalizie, con quel colore verde scuro avvolgente e con le loro foglie fitte, sembravano gli orli e i ricami di un sontuoso vestito bianco di cui si erano addobbate le case. Si respirava un’aria di festa e le risate, i discorsi e la musica, al sicuro nel chiuso delle case, ogni tanto uscivano a prendere un po’ d’aria nella strada, quando una porta si apriva per far entrare un invitato. Quasi timorosi del gelo, i suoni rientravano subito e si stringevano di nuovo attorno agli ospiti, riscaldando la già calorosa atmosfera. La serata della vigilia di Natale trascorse tranquilla e poi, poco a poco, gli ospiti, rifocillati da una lauta e ottima cena, tornarono ognuno alle proprie case calde e pacifiche. La musica si spense, così come le luci, “Buonanotte”, dissero, mentre i colori delle decorazioni natalizie continuavano ad ammiccare nella notte: “Non siamo ancora stanche” dicevano, “Vogliamo vedere Babbo Natale”. E Babbo Natale venne, sulla sua slitta tintinnante. In una casa, ai margini della foresta, le lucine balenavano nel buio come le altre, ma ad un tratto ebbero un tremolio, come se fossero deluse per qualche motivo e poi ripresero a lampeggiare, quasi più velocemente, forse per una sorta di sorpresa o di inquietudine. L’ombra scura passò e scivolò nelle ombre, e queste ultime la accolsero dentro l’abitazione buia. La nera figura era silenziosa e non faceva il minimo rumore mentre si spostava sul pavimento. Reggeva tra le mani un regalo, ma le sue mani non erano le grosse e forzute mani di Babbo Natale. Erano grigiastre e sottili. Entrò nella stanza di Joey. Era una stanza normale, all’apparenza, ma ad un’occhiata più attenta era spoglia e un po’ troppo ordinata. Era come se Joey non avesse giocato con nessuno dei suoi giocattoli da mesi. Joey dormiva e stringeva a sé il fedele orsacchiotto. Una matita, a terra, mostrava come Joey passasse la maggior parte del suo tempo a disegnare, sotto al letto, alla luce di una torcia. Lì sotto leggeva e disegnava, ma non giocava. Non aveva più la gioia di inventare storie e i soggetti dei suoi disegni erano come avrebbe voluto che la sua vita fosse (insieme a suo padre, colorata e felice), come la sua vita era stata (infelice) e come avrebbe voluto che la sua vita fosse andata. Per essere una bambina così piccola, era piena di rimpianti e dentro di sé non sentiva nessuna gioia. Sotto al letto si sentiva protetta, si sentiva al sicuro da un mondo che non la voleva. La creatura che era entrata nella stanza rimase interdetta da quel fatto e sbirciò sotto al letto. Era il posto in cui lui normalmente si sarebbe infilato, il luogo in cui di solito i mostri si nascondevano. Joey sembrava dire, così, che i mostri fossero suoi amici e che con loro potesse fare lunghi e prolifici discorsi. Forse, chissà, si sentiva un po’ mostruosa anche lei. Era una cosa triste per una bambina. Una luce di sabbia dorata era ancora sospesa sulla sua testa, segno che Sandman era passato da poco. Eppure, spontaneamente, senza che l’Uomo Nero facesse nulla, impossibilitato dal fatto che teneva un voluminoso pacco regalo in mano, avvolto in carta argentata e con un luminoso fiocco blu oltremare, il sogno di Joey si stava trasformando in un incubo. La sabbia si tingeva di nero e si contorceva e pulsava, si agitava nell’aria, finché non comparve un uomo, e la figurina di lei che lo inseguiva, incespicando, correndo senza riuscire mai a raggiungerlo; anzi la distanza tra loro aumentava. Pitchblack osservava Joey, che aggrottava le sopracciglia nel sonno e sudava. L’Uomo Nero convinse l’incubo a venire da lui. Lo trasformò in un lupo famelico, che ringhiando scappò dalla mente di Joey e si rintanò nella veste di Mr. Boogeyman. La bambina mugugnò rigirandosi nelle coperte, immersa ora, apparentemente, in un sonno senza sogni. Pitchblack mise il regalo sul baule che si trovava ai piedi del letto e fece per andarsene. «Uomo Nero?». La vocina assonnata lo colse di sorpresa. Joey si era svegliata e i suoi occhioni grigi erano lucidi. Ella lo fissava ostinatamente, come se gli stesse chiedendo in silenzio che cosa ci facesse lì. «Ti ho portato un regalo» spiegò bruscamente Pitchblack, prendendo il regalo e consegnandolo. Joey lo strinse tra le mani. Aveva una forma cubica e, nonostante fosse piuttosto grande, era anche piuttosto leggero. La piccola rimase incerta sul da farsi. Tutti e due erano piuttosto imbarazzati, l’uno perché voleva che lei aprisse il regalo così da poter andare via (come se la semplice consegna non fosse sufficiente per poter dire che aveva fatto un buon lavoro), mentre l’altra, nel suo cuore, giudicava sbagliato aprirlo in quel momento, senza aspettare la mattina. Eppure sentiva anche di fare un torto a chi le aveva portato il regalo a non scartarlo in quel momento. Se avesse continuato a dormire, non avrebbe avuto quel dilemma. «Perché non lo apri?» chiese piccato Pitchblack, senza riuscire ad occultare una certa impazienza e irritazione. «Se la mamma scopre che ho aperto un regalo senza aspettare la mattina…» «Oh, ma che importa?» fece l’Uomo Nero, costernato «Il regalo è tuo, puoi aprirlo quando vuoi!» Joey strinse le labbra, perplessa. Pitchblack sospirò. «Senti, aprilo, farò in modo che non sembri sia stato mai aperto, d’accordo?» disse poi, con una certa urgenza. «Ok» rispose Joey, per niente turbata dal suo tono. Una volta sciolto il nastro e liberato il pacco dalla carta argentata, Joey poté estrarre il suo dono: era un globo leggero, blu profondo, un modello della terra che non era descritto con i mari e le terre emerse, ma in base a quali costellazioni si potevano vedere a seconda della latitudine e della longitudine. Era un bell’oggetto e quello che Joey aveva desiderato che le regalasse suo padre. «Era... Era proprio quello che volevo» disse, in modo pensieroso. «Sai, il mio papà l’anno scorso mi ha regalato quello…» e indicò una sfera simile, che rappresentava la luna e la sua superficie. «Ti piace… l’astrologia?» chiese Pitchblack. «Astronomia!» corresse Joey, severamente. «È la scienza che studia i corpi celesti» spiegò, citando direttamente dalla sua definizione ufficiale che aveva imparato a memoria. «L’astrologia invece interpreta i movimenti delle stelle per fare previsioni. Le mie amichette leggono sempre l’oroscopo e ci credono. Per un po’ anch’io ho letto il mio, ma non mi succedeva mai niente di quello che diceva». Joey guardò il soffitto con un’aria un po’ trasognata. «Cose tipo: state attente alla vostra migliore amica, potrebbe mettervi nei guai, anche se le sue intenzioni erano buone. Peccato che io non abbia amiche». Pitchblack non disse niente. La sua espressione era indecifrabile. Anche quella di Joey lo era, ma una cosa era certa: non era felice. «Non ti piace ricevere regali?» chiese l’Uomo nero, all’improvviso, come se si fosse reso conto che quella era una domanda molto importante. «…Sì… però…» cominciò Joey «…però avrei voluto che questo regalo me lo avesse dato il mio papà». La bambina sembrava immersa in pensieri burrascosi e i suoi occhi si stavano inumidendo per la commozione. Suo padre le mancava così tanto che le sembrava ci fosse un buco, da qualche parte dentro di sé, una parte mancante, qualcosa che aveva a che fare con la sua stessa felicità, ma che allo stesso tempo suscitava in lei anche ricordi dolorosi. Si sentiva tirata da una parte e dall’altra, nel tentativo di capire che cosa provava veramente nei confronti di suo padre. «Grazie per il regalo, Uomo Nero, mi piace moltissimo» disse alla fine, tentando un flebile sorriso, gli occhi lacrimosi. Pitchblack non rispose. Risistemò il pacco, come le aveva promesso, così che sembrasse non fosse mai stato aperto e lo rimise al suo posto ai piedi del letto. Joey tirò su con il naso. «Dovresti chiudere gli occhi ora» disse l’Uomo Nero «altrimenti non me ne posso andare». Joey ubbidì. Con gli occhi chiusi, la bambina sussurrò, con un sorriso: «Puoi venire a trovarmi quando vuoi, Uomo Nero». Pitchblack se n’era già andato.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Le 5 Leggende / Vai alla pagina dell'autore: Honeymouth