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Autore: Lettrice_del_mondo    01/07/2016    0 recensioni
I banchi splendevano lucidi sotto i raggi del sole, attraversati dalle finestre pulite, la lavagna veniva incisa da un gessetto. ma, quando l'ultimo libro della giornata veniva chiuso, la porta chiusa dietro le spalle del professore, il sole iniziava a calare con rapidità. E, ad ogni scocco dell'orologio, i passi nelle strade aumentavano, il vociare iniziava a riempire qualsiasi angolo, gli occhi raccogliere qualsiasi movimento, i telefoni mandare nuovi messaggi, i bambini dormire, le macchine mettersi in moto, i computer funzionare, le televisioni mandare in onda programmi per adulti, la gente diventare libera, le finestre abbassarsi, i negozi chiudersi, gli angoli bui riempirsi di gente, le discoteche occupare tutti i posti liberi, il bagliore della luna risplendere nel buio, l'aria catturare l'ultimo respiro, le mani afflosciarsi nel tentativo di un appiglio di salvezza, i sorrisi ghermire l'ultima goccia di vita, le grigie mattonelle macchiarsi di segreti e sangue, infinito toccava i passanti portando con se paura e timore.
Il telefono squillò. Squillò. Lo stridulo segnale appuntito come lame di coltelli. Si diffondeva. Silenzioso. Stridulo. Mortale. La morte creata come un gioco. Le vite strappate come cibo. Insaziate.
La luna calò. Comparve il sole.
Silenzio.
Genere: Horror, Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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《 E ora? Non avrebbe dovuto... 》 La voce di Venye era lontana, quasi impercettibile, non poteva neanche essere definita una voce, ma un brivido freddo, gelato, senza anima, che, come un serpente, si inalzava, strisciava per avvicinarsi alla sua vittima e nutrirsene, dissanguarla. La vista di Yennelle era offuscata dalle lacrime e dal mascara penzolanti dalle ciglia: asciugarle non sarebbe servito a nulla. Ora, solamente l'udito l'aiutava a capire cosa stessero facendo le sue amiche nel salotto del piano terra mentre lei era vicino alla porta del primo piano, nascosta. L'orecchio poggiato al muro, l'età era udibile, percettibile, piccoli segreti sussurrati insieme ai discorsi e ai pensieri. 《 Lo so, lo so, Venye. C'è ancora bontà in lei. 》 Stefanie camminava avanti e indietro, le mani tra i capelli, un nido di preoccupazioni. Le scarpe rimbombavano contro il pavimento di legno, i sospiri e gli urli scacciati un udibile eco silenzioso. 《 Lei non avrebbe mai voluto questo, lei avrebbe preferito che i suoi piani si seguissero. È ancora all'inizio. 》 Venye si era poggiata al muro, le dita trotterellavano sul ginocchio, come se quell'intrigato codice potesse aiutarla a pensare. Forse era veramente così. Un'assurda soluzione. 《 Manca ancora molto perché la rispecchi. 》 I passi ora erano muti, fermi, in attesa. 《 Però ho visto uno spicchio di luce in Yennelle. Lei st.... 》 le voci erano ormai lontane, la distanza gli annegava nell'acqua, solo le onde del silenzio la trasportavano, l'allontanavano dalla sicurezza della riva, la trasportavano verso il profondo oceano, nella bocca degli squali, tra i denti dei predatori, rendendola non altro che schiava della morte. Un lugubre corpo zuppo d'acqua. Neanche Yennelle sapeva perché avesse deciso di dirigersi nel sinistro corridoio, il ridente sorriso del buio pronto a cibarsene con prelibatezza, un succulente banchetto. Il corpo minuto perso nell'ombra. I passi che si sperdevano nell'aria, i piedi leggeri come ossigeno nel corridoio polveroso. Il sussurro di vita e morte, l'unione di acido e cioccolato. Come un arido fuoco intrappolato in una cupola di vetro, nemici vitali. Il buio iniziava ad aumentare nel corridoio, le voci di Venye e Stefani ora non erano altro che un ricordo, la loro strana discussione rimasta nascosta in un angolo della sua mente, sola, senza importarsene di far parte della vita di Yennelle, senza che sia al centro dell'attenzione, il punto centrale della vita, le pupille di quegli occhi grigi inespressivi. La pelle violacea di un tulipano in piena primavera svoalzzava nell'aria, il sorridente polline sparso su ogni suo passo, lo stelo bianco in risalto contro i ciuffi neri ricadenti sulle spalle. Le risate in sottofondo erano accompagnate da un venticello di foglie ed erba verde smeraldo e risate rimbombanti, ricordi di vite passate. La bambina correva, il vestito svolazzava, si guardava dietro di se mentre percorreva la sua strada, gli occhi vispi di una bambina di otto anni, gli occhi celesti sorridevano al mondo. Il vento pian piano aumentava, la bambina correva sempre più piano, come se fosse un rallentatore, e un sussurro docile attirava Yennelle, chiamandola. 《 Di qui. 》 Le sussurrava. Come una mano versata ad un uomo steso dal dolore. 《 Si, lei è qui. Lei ti vuole. 》 E mentre Yennelle seguiva quei consigli, la voce famigliare svaniva insieme al vento, alla corsa ormai veloce, gli occhi vispi d'infanzia lontani nella galassia, un ricordo invisibile. La stanza in cui fu accompagnata era buia, illuminata solamente da qualche lunga e magra candela bianca, l'apice infiammato. Non appena Yennelle fu dentro la porta si chiuse dietro le sue spalle, un tetro e stridente strisciare. La musica iniziò ad aumentare, le fiammelle delle pallide candele tremolare, le tende chiuse delle finestre muoversi, si alzavano, ma la luce non entrava, dietro di essere si trovavano solo delle travi, il pavimento si muoveva, passi pesanti di persone incise sul parquet vecchio, la polvere si alzava unendosi all'aria poco respirabile. Le fiamme delle candele si muovevano, ancora e ancora più veloce, aumentavano, divoravano le cere, i tavolini bruciavano per il troppo calore, i vasi di ceramica loro vicini ricordavano la manodopoera e il tempo sprecato nella lavorazione, l'innato bisogno di ritornare alla propria natura, all'origine dei tempi. La cera sciolta sussultava e rispecchiava, le dita graffianti gocciolavano sul pavimento annoso, le dita congelanti in un volatile comunione di dolore, polvere e ricordi smarriti. Il cielo chiaro abbracciava il sole estivo dei primi giorni di Giugno. L'armadio era spalancato, i vestiti fuoriuscivano dal loro ordine, accasciandosi sul pavimento o sul letto, arricciandosi e rovinando la stiratura attenta della madre. Una ragazza dai capelli castani, stirati, i capelli curati con attenzione, ore passate a curarli. Il viso, ricco di attenzione, uscì fuori dall'armadio, gli occhi celesti fissi in direzione di quelli grigi di Yennelle, intensi. Minuti alla ricerca di un tesoro nascosto, sotterrato sotto la sabbia fredda: l'anima. E, per quanto lo spirito, il soggetto di ricerche infinite di uomini tristi, la base di storie d'amore, di rotture e ritrovamenti, di leggende infinite, insinuate tra le colline e le montagne dei territori del mondo, insinuate nei mari, nei sotterranei e nei cieli riscaldati o gelati, nuvole al centro dell'attenzione o nascosti nei ranghi bui, quei due erano diversi, eppure erano uguali, solamente due gocce d'acqua di differenti colori, uno nero e l'altro trasparente. La stessa persona, la coscenza differente. << Yenny? >> Una voce femminile veniva dalla porta della camera della ragazza. Chi mi chiama? si chiese Yennelle, girandosi. I fluidi capelli rossi corti sotto le orecchie, un vestitino azzurrino accompagnato da un paio di scarpe alte beige, due perle come orecchini, fissava dritta l'armadio. Solamente quando tutto il busto nascosto dall'anta fuoriuscì, Yennelle capì. Quella ragazza, quegli occhi celesti, quei ciuffi di capelli castani, un reggiseno blu e un paio di slip abbinato. << Non so cosa mettermi. >> La ragazza, Amanda, attraversò Yennelle. Una fitta intensa partì nello stomaco di Yennelle, si infittì nelle vene rosse, ricoprendo le molecole di sangue e arrivando al cuore intrigandolo di dolore e sofferenza, strappando ogni pezzo di muscolo striato. Avrebbe urlato, espulso il suo dolore, se non fosse che non riusciva a parlare, solamente provare ad aprire la bocca era un dolore ancora più fittizio, un urlo demoniaco, insinuato, solamente, nel suo corpo. Il dolore dell'abbandono. << Non sei ancora vestita? Sta arrivando. >> Come risposta solamente uno sbuffo. << Non so c.... >> la vista si annebbiò, i vestiti sul terreno iniziarono ad alzarsi, un uragano aveva catturato Yennelle, l'aveva inalzata e scaraventata contro un muro di legno, un muro freddo, la schiena conficcata contro la parete, sporca. Oddio. Le mani vicino alla bocca, i piedi, non appena Yennelle fu in piedi, iniziarono ad indietreggiare. La bocca aperta in un urlo. Le scarpe contro il corpo. Non credeva realmente che fosse accaduto qualcosa del genere. Non poteva. Era impossibile. Inimmaginabile. Le mani dietro la schiena di lei furono tirate verso l'ombra, finalmente riuscì a parlare, le urla non erano più silenziose e pericolose, ma, nessuno nella stanza - una donna lacrimante, un uomo in divisa che abbracciava la prima donna e un'altra, china su un corpo , lo stesso corpo sul quale era caduta - la sentirono. Lo stesso corpo che conosceva troppo bene. Il suo Era sempre stato il suo corpo. Era lei che cercava un abito nell'armadio, coperta solamente dall'intimo, era lei distesa in una pozza di sangue, esanime. La camera era ricca di candele, nessuna di loro era usurata, nessun tavolo cenere, solo il suo corpo era scomposto, caduto sul parquet, gli occhi dritti verso un lato della parete. Il muro non era molto decorato, solamente un vecchio telo lercio copriva un mobile. Il telo, un tempo bianco, iniziò a muoversi, delle dita ossute cercavano di allontanare il telo, prima una mano, poi un'altra. Il telo cadde, alzando la polvere e l'aria. Lo specchio sorrideva, una figura alta, magra, ossuta. Indossava un paio di stivaletti, una maglietta color salmone e un paio di Jeans, la giacca aperta, il cappuccio abbassato. << Ciao ciao, Yennelle. >> << Tu. >> Disse la ragazza china << Tu sei uguale a me. >> Un ghigno parve sul volto chiaro e macchiato dall'età.
   
 
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