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Autore: ImARavenclaw    02/07/2016    3 recensioni
- Andiamo, John. Ho sempre voluto lasciare questa città, lo sai – Provò a far ragionare il compagno, poggiandogli una mano sulla spalla. – E questo è solo un input per trovare il coraggio di andar via e vivere la vita che sogno. –Provò a spiegare con il tono più pacato che riuscì a trovare.
- Il patto era che ce ne andassimo insieme, Stu. Ricordi? – John cercò di reprimere ogni traccia di tristezza dalla sua voce, ma evidentemente il risultato fu pessimo, poiché Stuart nascose il viso tra le mani. – Ma chi sono io per capire, infondo – Pronunciò lentamente.
- Ti prego, John non farmi partire sapendo di lasciarti così. – si ritrovò quasi a supplicarlo.
John osservò ancora una volta il paesaggio che lo circondava, ed una sensazione di gelo si insinuò sotto la sua t-shirt bianca, facendolo rabbrividire.
La partenza di Stuart avrebbe significato tante cose per il ragazzo: non era semplicemente un amico che andava alla ricerca del suo legame.
Era il suo migliore amico, anzi, il suo unico vero amico che andava via e lo lasciava senza il suo punto di riferimento, l’unico al cui fianco, quel letamaio di città in cui vivevano sembrava quasi piacevole.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon, Paul McCartney, Quasi tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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John
 
 
La solitudine potrebbe essere piacevole, se non si fosse in tempesta con se stessi.
 
 
1960
Liverpool, Merseyside.
 

 
Il sole primaverile risplendeva con i suoi raggi pigri su tutta Liverpool, invogliando gli abitanti della piccola città portuale ad uscire per godersi un po' di calore dopo il rigido inverno che li aveva colpiti.
Alcuni ragazzini improvvisavano una partita di calcio lungo il porto, con un pallone di cuoio logoro e sfilacciato. Esso avrebbe sicuramente procurato dei graffi a quelle gambe esili, ma loro sembravano così spensierati che le escoriazioni sulle caviglie sarebbero stati nulla se non motivo di orgoglio, come delle vere e proprie ferite di guerra.
I bambini più piccoli camminavano al sicuro, con le loro mani paffute strette in quelle dei genitori che scambiavano chiacchiere piacevoli; gli anziani occupavano la maggior parte delle panchine fumando tabacco pregiato, oppure intrattenendo leggere conversazioni.
 
I ragazzi invece approfittavano della giornata per stendersi in uno dei parchi della città, per godersi la giornata in compagnia, alcuni tra le braccia dell'altro.
Ed era proprio una coppia che il giovane John Lennon osservava.
Un ragazzo ed una ragazza, che avevano pressappoco la sua età si scambiavano dolci baci e tenere carezze all'ombra di un ciliegio.
Il loro amore era prematuro come i fiori dello stesso albero, ancora ai primi passi, a giudicare dalla moltitudine di sorrisi e di effusioni che i due erano intenti a scambiarsi.
John li guardò e storse un po' le labbra infastidito dall'intimità che i due sembravano avere, al contrario di Stuart che invece li osservava incantato.
 
- Vado in Germania. - Annunciò Stuart tutto d'un tratto, spostando il proprio sguardo su quello dell'amico.
- Stai scherzando, Stu? - Esclamò John spalancando gli occhi, allibito. - Come può saltarti in mente un'idea del genere?
Stuart sorrise malinconico verso il proprio amico. - Voglio trovarla, voglio sapere chi è - Sospirò sognante, sfiorando con il pollice il proprio anulare sinistro, sul quale era impresso in una tonalità rosea il nome "Astrid." - Credo che non riuscirei a vivere senza saperlo.
 
John infilò la propria mano sinistra stretta a pugno, all'interno dei suoi jeans. Non riusciva a credere che il suo migliore amico volesse compiere un atto così stupido.
- Come puoi sapere che si trova in Germania? Insomma, il nome è tedesco ma come puoi essere certo che sia lì? - Chiese con tono aspro, un po' incuriosito, un po' per scoraggiare il ragazzo seduto al proprio fianco.
 
Stuart ponderò a lungo la risposta da fornire al suo compagno. A primo impatto avrebbe risposto con un gelido “Tu non puoi capire, John”, ma sapeva che quella risposta lo avrebbe solo ferito a morte, e Stuart era lungi dall’essere una persona cattiva, soprattutto con il suo migliore amico.
Stuart voleva andare in Germania perché sapeva perfettamente di poterla trovare lì, era come se glielo avesse detto lei stessa.
Ma questo John non poteva capirlo e soprattutto non poteva saperlo.
Per cui, nonostante gli anni di sincera e profonda amicizia, Stuart si trovò a mentire, come ogni volta che il Legame diventava argomento di conversazione.
 
- Non lo so, John, in effetti – Mascherò la bugia con un sorriso sghembo.
- Stronzate – Sputò con amarezza il ragazzo.
- Andiamo, John. Ho sempre voluto lasciare questa città, lo sai – Provò a far ragionare il compagno, poggiandogli una mano sulla spalla. – E questo è solo un input per trovare il coraggio di andar via e vivere la vita che sogno. –Provò a spiegare con il tono più pacato che riuscì a trovare.
- Il patto era che ce ne andassimo insieme, Stu. Ricordi? – John cercò di reprimere ogni traccia di tristezza dalla sua voce, ma evidentemente il risultato fu pessimo, poiché Stuart nascose il viso tra le mani. – Ma chi sono io per capire, infondo – Pronunciò lentamente.
 
- Ti prego, John non farmi partire sapendo di lasciarti così. – si ritrovò quasi a supplicarlo.
 
John osservò ancora una volta il paesaggio che lo circondava, ed una sensazione di gelo si insinuò sotto la sua t-shirt bianca, facendolo rabbrividire.
La partenza di Stuart avrebbe significato tante cose per il ragazzo: non era semplicemente un amico che andava alla ricerca del suo legame.
Era il suo migliore amico, anzi, il suo unico vero amico che andava via e lo lasciava senza il suo punto di riferimento, l’unico al cui fianco, quel letamaio di città in cui vivevano sembrava quasi piacevole.
Niente più chiacchierate al chiaro di Luna, niente più conversazioni da ubriachi, niente più spalla su cui piangere.
 
Tutto questo per quello stupido, inutile marchio sulla pelle. Ma John, sebbene non riuscisse ad ammetterlo ad alta voce, sapeva che quel giorno sarebbe arrivato e sapeva anche che avrebbe dovuto lasciar libero Stuart di trovare lei, la sua metà. Stuart non era suo, dopotutto.
-Dicono che le tedesche abbiano delle tette enormi! – Esclamò John, puntando di nuovo i suoi occhi in quelli schermati dagli occhiali da sole del compagno.
Stuart scostò piano piano le mani dal viso, mentre un sorriso sincero si faceva largo su di esso.
-Sei il miglior amico che un bastardo potesse mai avere, lo sai questo? – Si sollevò in piedi per stringere l’amico, noncurante degli sguardi delle persone che li circondavano.
 
 
 
 
 
 
Liverpool, 1941.
 
 
La stretta di Julia sul bambino era passata da premurosa a possessiva.
Il piccolo John avvertiva il battito accelerato ed il respiro affannato della madre, i quali procuravano in lui uno stato di paura ed angoscia. Questi stati d'animo così forti irradiarono la mente ed il corpo del piccolo che, incapace di manifestarli in modo diverso, a causa della sua tenera età, cominciò a piangere.
 
- Portalo in camera, non vedi che sta piangendo?! - Sbottò un uomo alto poco più della media, strofinando le mani callose sugli occhi chiari.
 
La presa di Julia aumentò ancora un po' di più su John che, ascoltato il tono brusco dell'uomo, per riflesso, pianse ancora più forte.
 
- Devi avere il coraggio di dire che vuoi farlo, guardando tuo figlio negli occhi! - Pianse la donna avvicinandosi all'uomo poggiato al tavolo della cucina.
- Suona tanto come un ricatto. - Sorrise amaramente, accostando alle labbra una sigaretta stropicciata.
- Alfred ti prego, non puoi fare una cosa del genere! - Singhiozzò Julia, mentre le lacrime correvano sul suo viso ancora così giovane, eppure segnato da terribili avvenimenti.
Alfred riuscì a prendere John dalle braccia di Julia. La donna crebbe, almeno per un istante, che guardando la creatura ancora innocente e pura, avesse cambiato idea.
Alfred osservò a lungo il bambino, simile a lui in qualche tratto, gli sfiorò la punta del naso appena accennata e le piccole labbra ancora scosse dai fremiti del pianto. Toccò i morbidi capelli biondicci del bambino e per istinto guardò Julia, che dondolava su se stessa in modo impaziente, premendo il dorso della propria mano sulle labbra pallide.
 
Alfred posò di nuovo lo sguardo sul bambino che gli aveva afferrato un dito della mano con la propria mancina.
Fu solo allora, alla vista della piccola ferita irritata, ancora illeggibile, sul piccolo dito che l'uomo ricordò di avere tra le braccia un Broken.
 
L'espressione di Alfred Lennon mutò nel giro di pochi attimi.
- Abbiamo sbagliato,  abbiamo creduto di poter ingannare il Legame, ma è stati Lui ad ingannare noi nel momento in cui hai dato alla luce questo Broken! - Esclamò in modo glaciale, afferrando la mano del piccolo per mostrarla a Julia, in modo da farle guardare cosa fosse loro figlio.
- È solo un bambino! - Strillò Julia, sicura di voler prendere il bambino dalle braccia di quell'uomo tanto insensibile.
 
- Julia, tu lo sai quelli come lui che fanno, sai che portano solo disgrazie! Tra qualche anno nessuna scuola lo vorrà, quando gli altri lo sapranno, nessun genitore permetterà che il proprio bambino gli stia vicino, sarà solo, e quando sarà adulto, dio solo sa cosa farà! - Alfred indossò il cappotto, annodò la sciarpa dalla trama a scacchi sulla propria gola ed aprì la porta, pronto ad andarsene. - Lo porto in un orfanotrofio e tu non lo cercherai. Intesi? Puoi farti un'altra vita, lasciarti me, il bambino e tutto questo alle spalle, proprio come farò io.
 
Julia tremò, era incapace di muoversi, di compiere un atto semplice quanto parlare.
- Non farlo. Andandovene mi toglierai tutto ciò che ho di più caro al mondo. - Sussurrò, non riuscendo ad emettere suoni più decisi.
- È giusto così. Sai che lo è. - Rispose Alfred, un piede già fuori la porta.
 
 
 
Quando Mimi, entrando in casa di Julia, dopo la breve telefonata ricevuta dalla sorella, vide il passeggino vuoto, realizzò cosa fosse successo e credette per la prima volta che fosse davvero possibile morire di paura.
Sua sorella Julia era una donna mentalmente labile, fin da bambina aveva mostrato segni di instabilità e l'atto di concepire un figlio da un uomo che non era destinato ad essere il suo Legame, era una prova lampante della sua sregolatezza e poca razionalità.
Mimi provò a farla ragionare, cercò di avere qualche informazione riguardo John ed Alfred, ma Julia sembrava essere su un altro pianeta, totalmente sconnessa dalla realtà, la donna sedeva a terra e fissava un punto impreciso, un’espressione totalmente assente ed immobile, ripetendo come una nenia le parole “Lo ha portato via”.

 
Mimi non poteva permettere che suo nipote fosse l'ennesima vittima a causa di un Legame interrotto, la sua forte morale si era scagliata contro Julia. Quando la donna la informò della sua gravidanza, Mimi sentiva nel profondo che qualcosa sarebbe andato storto, sapeva che, alla fine, Julia ed Alfred non sarebbero riusciti a crescere un bambino, in quanto bambini loro stessi.
 
Ma la loro scelleratezza non aveva nulla a che fare con la piccola creatura che ora si trovava chissà dove. Mimi si sentiva in qualche modo responsabile del bambino, seppur non figlio suo. Dunque non ci pensò due volte: dopo aver informato suo marito, i coniugi Smith passarono la notte di quell'Aprile a cercare in ogni Chiesa ed orfanotrofio il piccolo John, pregando Dio che Alfred non avesse fatto nulla di diverso da ciò che aveva minacciato di fare negli ultimi mesi.
 
Fu per questo motivo che, quando verso le cinque del mattino, la piccola suora del convento di Blackpool portò il piccolo John addormentato avvolto in una copertina di lana azzurra tra le braccia di Mimi, che la donna promise tra le lacrime che nulla sarebbe accaduto a quel bambino, che restava, broken o meno, una creatura innocente.
 
 
 
 
Negli anni successivi i coniugi Smith dovettero fare i conti con la realtà.
John non fu accettato da nessuna scuola privata, dove quelli come lui non venivano ammessi da regolamento.
Più di una volta Mimi provò a falsificare il certificato ma, alla fine dovette arrendersi e mandare John nell’unica scuola in città in cui poteva andare.
L’ambiente e la crescente consapevolezza della sua situazione lo portarono ad essere il tipico ragazzo che “è intelligente, ma non si applica”, fino a diventare poi “un caso disperato”.
Mimi con la sua educazione ferrea, intransigenza, ma anche ad una immensa dose di pazienza, riuscì a tenere John lontano, per quanto possibile, dalle malelingue durante gli anni dell’adolescenza, imponendogli di tenere segreto il suo Legame.
Sapeva, in cuor suo, di aver fatto il possibile, di aver tirato su un bravo ragazzo, ma John, restava comunque quello che era.
 
Figlio di una società malata fondata su una gerarchia basata sui Legami, John occupava l’ultimo posto della scala, quello di Legame Interrotto, volgarmente inteso come broken.
 
I broken non avrebbero mai instaurato un legame con la loro anima gemella, poiché esso era spezzato, dunque per il portatore era univalente. L'altra metà del loro Legame era a sua volta un broken oppure un bondless (tr. senza legame), qualcuno, insomma con cui il Legame non avrebbe potuto mai formarsi.

Molti broken impazzivano, alcuni decidevano di togliersi la vita, altri arrivavano a gesti folli, quale uccidere l'altra loro metà, poiché il loro diventava uno spasmodico desiderio di possessione ed ossessione.
Predestinati ad una vita infelice, a  causa dei pregiudizi delle persone, e di una società che imponeva divieti talvolta ridicoli ai Senza Legame, si vociferava che una vasta percentuale della classe criminale fosse occupata proprio da questi ultimi.
Era diventata abitudine, ormai, guardare l'anulare sinistro prima di cominciare a parlare con qualcuno.
 
 
 
 
 _____
 
Ehm, salve!
Come avete potuto leggere, è una AU, non posso dire molto ma ci ho messo veramente il cuore e spero che vi possa piacere almeno quanto piace a me scriverla.
Al prossimo capitolo
Ravenclaw
 
 
   
 
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