Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Lila
Genere: commedia, fluff, romantico
Rating: G
Avvertimenti: longfic
Wordcount: 1.046 (Fidipù)
Note: Salve! Eccomi qua con...ebbene sì, una nuova storia! Ma lasciate che vi spieghi: qualche giorno fa sono stata taggata in un post su FB, dove mi si chiedeva di scrivere qualcosa su una serie fan-art comic (che potete trovare qua): ho provato a resistere, adducendo alla scusa che avevo già due storie in corso e volevo concentrarmi solo su di esse, ma alla fine non ce l'ho fatta ed ecco qua la fanfiction.
Ovviamente, mentre scrivevo, la mia mente ha divagato tanto...no, ok tantissimo (datemi un imput e vi scriverò il mondo!) ed è nata questa storia.
Che altro dire, se non buona lettura!
Ladybug osservò la farfalla bianca volare
alta nel cielo, sospirando poi pesantemente e guardando la compagna di
classe che, inginocchiata per terra, teneva il volto basso e nascosto dai
lunghi capelli scuri: quante volte, Lila era stata akumatizzata? Tante.
Troppe volte, secondo lei.
La rabbia che l’italiana provava sembrava non trovare fine e ciò faceva sì
che Papillon la usasse a suo piacimento.
E’ colpa mia.
Cosa posso fare?
L’eroina parigina sospirò, tenendo lo sguardo celeste sulla ragazza e
notando appena il movimento del suo compagno: «Sta iniziando a essere una
cosa sfiancante, sai?» dichiarò Chat Noir, affiancandola con le mani
dietro la nuca e l’incessante suono del suo Miraculous che lo avvertiva
che la trasformazione era quasi giunta al limite.
«Non dovresti andare, tu?»
«Stavo pensando di mostrarmi a te, sai? Così potresti rimanere sfolgorata
dalla mia bellezza e cadere ai miei piedi.»
«Vai, Chat. E’ meglio che Parigi non sappia chi siamo e, sinceramente, non
m’interessa sapere la tua identità.»
«Sei crudele, my lady. Ma ti adoro anche per questo.» dichiarò il felino,
facendole l’occhiolino e sorridendo, indicando poi con un cenno del capo
Lila: «Non andarci troppo pesante, ok?»
«Lo farò.»
«Ci vediamo, my lady.» dichiarò poi Chat, inchinandosi con fare galante e
balzando poi via, saltando sopra un furgoncino e, da questo, dandosi la
spinta per raggiungere il tetto del palazzo più vicino: Ladybug l’osservò,
finché non sparì dietro un palazzo e mentalmente lo ringraziò per essere
con lei. Sempre.
Un sospiro le sfuggì dalle labbra, voltandosi verso l’italiana che,
adesso, la fissava con lo sguardo chiaro: «Vuoi ridere di me?» le domandò,
alzandosi e sovrastandola leggermente: «L’unica che viene akumatizzata più
e più volte. Ma è colpa tua, Ladybug. Solamente colpa tua!»
Lo so e non so come rimediare.
Gli orecchini suonarono, avvisandola che, a breve, la sua trasformazione
sarebbe terminata: «Non potrei mai ridere di te.» mormorò, tormentandosi
le mani guantate di rosso e alzando la testa, fissando negli occhi
l’altra: «Volevo solo dirti di…beh, ecco…» Che cosa poteva dirle? Come
poteva rimediare a ciò che aveva fatto?: «Rendi vere le tue illusioni,
ok?» buttò lì e quasi ebbe la tentazione di battersi la mano sulla fronte
per la stupidità di quella frase.
Ma perché non pensava, prima di parlare?
«Io vado.» decretò, mettendo mano allo yo-yo, appeso alla vita, e
abbozzando un sorriso: «Ciao, Lila.» bisbigliò, lanciando l’arma verso uno
dei palazzi e, dandosi un poi una spinta, balzò poi sul tetto; gettò
un’ultima occhiata indietro, prima di correre verso la fine dell’edificio
e saltare giù, in direzione di casa sua.
Marinette sospirò, osservando gli abiti appesi nel suo armadio e cercando
qualcosa che la potesse aiutare contro la calura che aveva avvolto Parigi:
«Beata te, Tikki.» mugugnò, osservando la kwami, tranquillamente in attesa
che lei si preparasse: «Non senti per niente il caldo.»
«Mh. Ti posso dire che in Egitto faceva molto più caldo che qui.» dichiarò
lo spiritello, sorridendole e sorprendendo la ragazza: di solito, Tikki
era restia a parlare di ciò che era avvenuto prima che si incontrassero;
una volta sola le aveva accennato qualcosa, riguardo alle Ladybug che
l’avevano preceduta, ma facendo subito cadere l’argomento: «Hai trovato
cosa metterti?»
«Pensavo a questi shorts e questa maglia.» dichiarò la ragazza,
mostrandole gli indumenti: «E potrei abbinarci quel gilet che ho fatto
qualche giorno fa, che ne dici?»
«Sei tu l’esperta di moda!»
«Magari…» mormorò la ragazza, togliendosi velocemente il pigiama e
indossando gli indumenti prescelti, legandosi poi i capelli e, presi lo
zaino e la borsetta ove Tikki s’infilò prontamente, scese rapida le scale:
«Buongiorno!» esclamò, avvicinandosi alla madre e baciandola sulla
guancia, sedendosi poi al tavolino e iniziando a fare colazione: «Oggi
devi pulire camera tua, Marinette.» dichiarò la madre, sorridendole:
«Potrei farlo io e così leggere…»
«La faccio. Appena torno da scuola.» sentenziò la ragazza, mettendo fine
al piano di spionaggio della madre: «E comunque non potresti mai leggere
il mio diario.»
«Non sottovalutare tua madre.» decretò Sabine, sorridendole: «Sono capace
di fare qualsiasi cosa.»
«Mai messo in dubbio.» assentì la figlia, dedicandosi alla colazione e
sorridendo al ricordo della scatola “magica”, che aveva creato apposta per
il diario: da quando era Ladybug e aveva iniziato a scrivere i suoi
pensieri sulle sue avventure da eroina, aveva pensato bene di creare un
qualcosa che impedisse a sua madre – quasi sicuramente una ex-spia di una
qualche organizzazione governativa – di leggerlo: «Io vado.» dichiarò,
posando la tazza nel lavello e salutando la donna con un nuovo bacio: «A
oggi.»
Scese le scale, salutando velocemente suo padre e poi uscì, diretta verso
la scuola dall’altro lato della strada: attraverso la piccola via che
separava i due edifici e osservò incuriosita il piccolo gruppo di studenti
che, davanti le scale della Dupont, stavano parlando fra di loro.
«Davvero? Era tutto una bugia?»
«Sì, ho sentito Ladybug dirlo.»
«Che bugiarda!»
«E pensare che…»
Marinette smise di prestare attenzione alle chiacchiere, osservando la
protagonista di queste poco lontano: le braccia abbandonate lungo i
fianchi, i pugni stretti e lo sguardo rivolto verso quelle persone che,
fino a pochi giorni prima, la idolatravano perché nessuno aveva capito che
ciò che diceva Lila erano solo bugie, almeno finché, durante l’ennesimo
scontro, lei non lo aveva urlato contro la rivale.
Sono stata terribile.
Lila è messa al bando, ora.
E’ solo colpa mia.
Strinse la cinghia della borsetta, alzando lo sguardo e avvicinandosi
all’italiana: «Ehi, Lila!» esclamò, sorridendo alla ragazza: «Non penso
che ci siamo ancora presentate…» mormorò, allungando una mano verso di
lei: «Io mi chiamo Marinette e vivo nella boulangerie dall’altro lato
della strada. Cioè sopra…la boulangerie è dei miei genitori e noi viviamo
nell’appartamento sopra…» si fermò, mordendosi il labbro inferiore e
guardandosi attorno: «Mh. Ti piacerebbe pranzare con me oggi?»
Lila la fissò stranita e Marinette poteva capire benissimo il suo
frastornamento: chi era questa ragazza che, fino al giorno prima, era
stata ai margini della sua sfera sociale? Non c’erano mai state molte
occasioni per conoscersi: Lila era sempre interessata solo ed
esclusivamente a Adrien e lei…
Beh, lei era rimasta sullo sfondo a osservarli e piagnucolare, facendo
alterare più e più volte Alya.
«Uhm. Io sono Lila.» Lila allungò la mano, stringendo quella che le era
stata offerta: «E ok, per il pranzo intendo.»
«Grande!»